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I signori delle ombre - Anteprima
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E-book211 pagine2 ore

I signori delle ombre - Anteprima

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Info su questo ebook

Questa storia non è come le altre. 
Perché è la storia (vera e nascosta) della più potente arma di distrAzione di massa, ovvero della manipolazione di milioni di persone per asservirle o annientarle negli anni della Guerra Fredda.
Introdotta anche in Italia negli Anni Settanta, ha fatto migliaia di morti e distrutto ancor più famiglie. Tutte vittime ignare del più scellerato progetto di controllo sociale mai attuato.
E purtroppo, personaggi a parte (per evitare querele), è una storia vera.
Leggerla cambierà radicalmente la vostra prospettiva sugli ultimi quaranta anni della storia italiana.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2016
ISBN9788822862372
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    Anteprima del libro

    I signori delle ombre - Anteprima - Jacopo Nesti

    Jacopo Nesti

    I signori delle ombre - Anteprima

    ©Jacopo Nesti

    I signori delle ombre

    2016

    Foto di copertina di Licínio Florêncio

    Per vedere altre immagini:

    http://instagram.com/licinio_florencio/

    UUID: b01e77c8-e64f-11e6-af2c-0f7870795abd

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Nota dell'autore

    Questo libro è un’opera di fantasia. Appoggia però su vicende realmente accadute e documentate.

    Di conseguenza molti personaggi e fatti narrati hanno avuto un’esistenza storica, ma il loro impiego in queste pagine serve unicamente a offrire maggior vividezza al racconto. Pertanto qualsiasi cosa li riguardi in questa narrazione (pensieri, dialoghi, azioni e fatti) è da intendere esclusivamente come frutto delle suggestioni dell’autore e come tale deve essere considerato dal lettore.

    Per quanto riguarda invece i personaggi di fantasia, qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive e defunte, è assolutamente casuale.

    Esergo

    La verità è nella storia, ma la storia non è la verità.

    Nicolás Gómez Dávila

    Noi siamo polvere e ombra.

    Orazio

    Prologo

    Per un attimo si chiese se il navigatore l’avesse tradita. 

    Abbandonata in una notte d’inverno a quasi 600 chilometri da casa sua.

    Nel nulla.

    Circondata da una corona di lontane colline, nere come ombre nel buio. Davanti a sé solo una strada sterrata che sembrava sorgesse nei suoi fari allo xeno.

    Fermò il suv e rimase a fissare quella luce. Come volesse inghiottirla per ricacciare indietro le ombre che sentiva crescere dentro.

    Non adesso, si ripeté più volte nella sua testa.

    Allora scese dalla macchina per prendere una boccata d’aria, rinserrandosi con le mani il lungo piumino per proteggersi dal freddo pungente, preludio della perturbazione siberiana prevista sull’Italia centrale per l’indomani. Attorno a lei soltanto l’oscurità più totale, spessa come la pece.

    Era un po’ che aveva lasciato la provinciale che portava da Siena a Chiusdino, ma nessuno dei poggi scuri che aveva fiancheggiato era rischiarato sulla cima dalla luce di una casa, come lui le aveva indicato. Solo alle sue spalle, nella direzione da cui proveniva, alcuni bagliori di una lontana colonica.

    Poi, come se la chiamassero, alzò gli occhi al cielo. Un milione di stelle palpitavano di luce, come un letto di diamanti su un panno di velluto nero. Così luminose, forse, le aveva viste soltanto nelle notti della sua infanzia in Bolivia, quasi mezzo secolo prima.

    Bellissime, pensò fra sé tornando a interrogare il buio circostante.

    Quale irrefrenabile comando può condurre un uomo come lui a consumare gli ultimi anni della sua vita in un luogo tanto isolato?

    Infine, prima di rimontare in macchina, le tornò in mente ancora quella frase, pronunciata da lui nell’ultima loro videochiamata.

    "È il mio al iksir, ne sono convinto. Possiamo raccontare al mondo intero che è la fine della schiavitù umana, della dipendenza. E tu ne sarai l’iniziatrice".

    Parole.

    «Pensavo di essermi persa» esordì, mentre si toglieva il lungo piumino color avorio, sotto il quale esibiva un elegante tailleur prugna, che si attagliava perfettamente al suo corpo.

    Lui la scrutò con uno sguardo insistito. Dalla testa, con caschetto nero corvino a risaltare gli occhi cerulei, precipitò ai piedi, assecondando il risveglio di un antico ricordo, di un inverno molto lontano. Come allora, erano fasciati in eleganti scarpe col tacco che le slanciavano gambe ancora molto belle, fini e tornite, appena velate di nero da un paio di calze fumé, con una vertiginosa cucitura posteriore a indicare una direzione inequivocabile. Che nella fantasia di un momento percorse fino al pensiero di un palpito, di un respiro affannoso, di un’incitazione sussurrata. La maturità sembrava non aver sfiorito quel corpo e nonostante gli anni rimaneva una donna bella. Di una bellezza che più di trent’anni fa l’aveva turbato, e adesso scopriva – con sua sorpresa – di subire ancora.

    «È passato tanto tempo, ma su di te è scivolato via come la pioggia di maggio. Non c’è che dire, sei sempre bella, dal vivo ancor di più... Su Skype però – l’ultima volta che ci siamo visti – eri bionda, con i capelli lunghi...»

    «Un piccolo colpo di testa... Noto invece che nell’invecchiare ti si è sciolta la lingua, peccato che le tue siano lusinghe tardive.»

    «Come ti ho detto, non ho nulla da perdere, in tutti i sensi. A noi vecchi è concesso di dire ciò che pensiamo e di fare le cazzate che vogliamo. Soprattutto quando – come nel mio caso – non abbiamo più una famiglia da imbarazzare.»

    «Perdonami, ma trovo patetica una simile professione di libertà alla tua età. Cosa sono i rimpianti di un vecchio per un frutto non colto? O l’improvviso risveglio di un’ultima fregola, magari chimicamente assistita? Il treno è passato una vita fa, quasi mi impressiono a ricordarmi che l’hai perso di... Trent’anni!? Praticamente adesso è come se fossimo due estranei. I tuoi occhi addosso a me sono quelli di un qualsiasi sconosciuto incrociato per strada. Perciò – ti prego – procediamo oltre.» L’uomo, con il pretesto di prenderle il piumino, le si avvicino guardandola dritta negli occhi.

    «Freya, sapevo che dopo tutti questi anni avresti tentato di impressionarmi. Di rinfacciarmi la tua bellezza. Ti sei sempre divertita ad usarla con gli uomini. Sto dunque semplicemente soddisfacendo la tua ennesima vendetta nei miei confronti. Sto al tuo gioco. Perché se davvero volessi...» disse afferrandola con un braccio intorno alla vita e stringendola a sé, ad un palmo dalla sua bocca.

    «...Spingermi oltre, cosa me lo impedirebbe?»

    Quell’improvvisa presa, la sua forza insospettata, quegli occhi di lampo accesi contro i suoi, le diedero un fremito che per un momento sembrò cancellare il tempo.

    «Velio, per cortesia, lasciami! Non è proprio il caso.»

    Lui continuò a fissarla per qualche altro istante, il naso pronunciato e fine come una lama, le labbra appena disegnate di carminio, leggermente aperte su denti serrati e bianchissimi. Assaporò quella sottile vittoria, la sensazione di poter disporre di lei come volesse. Aveva ripristinato la sua superiorità, e aveva letto nei suoi occhi la confusa miscela di turbamento e timore, agitazione ed eccitazione che sapeva essere il segnale, l’invito celato a vincere le ultime difese.

    Avvicinò ancor di più la sua bocca, fino a sentire il respiro farsi affannoso e vedere le guance colorarsi di rosso.

    Quanto tempo… dimenticato in un attimo, pensò.

    A quel punto le rivolse un sorriso beffardo e allentando la presa le rispose.

    «Ha ragione lei – signora Krupp – non è proprio il caso. Siamo qui perché dobbiamo parlare di altre cose, assai più importanti. Per adesso, allora, accomodiamoci al tavolo.»

    «Come ti ho scritto, il gruppo di ricerca è rimasto molto impressionato dei dati che ci hai inviato nell’ultimo anno» disse Freya mettendosi a sedere e poggiando il suo beauty-case sulla sedia accanto.

    «Dopo mesi e mesi di attente verifiche» proseguì la donna «siamo giunti alla conclusione che le tue relazioni sono attendibili. Il nostro team di ricercatori non si è mai imbattuto in una simile sostanza, con un quadro generale del genere. Le potenzialità appaiono virtualmente prodigiose. Ovviamente fin tanto che non ci fornirai tutti gli elementi del tuo al iksir – come lo chiami tu – non potremo esserne certi al cento per cento.»

    L’uomo la raggiunse al tavolo portando con sé il suo portatile già acceso.

    «Fornirvi tutti i dati... » sorrise fra sé scuotendo appena la testa. «Certo. Appena avrete accettato la mia proposta.»

    «Anche perché adesso» riprese l’uomo «ho trovato un altro modo per liberarmi dalle vostre catene, che in passato hanno fatto saltare tutti i contatti con le altre aziende.»

    «Volevi ti stendessimo un tappeto rosso?! Abbiamo soltanto fatto valere le nostre prerogative. Nessuna azienda farmaceutica si metterebbe contro di noi, scoprendo che sei ancora legato da un contratto di esclusiva. Poi, Velio, anche il presidente comprende perfettamente che il tuo ritrovato potrebbe avere una portata epocale... Chiede però un altro po’ di tempo. Non è ancora riuscito a convincere quelli del Dipartimento. Nonostante le nostre rassicurazioni, sono estremamente dubbiosi: sentono puzza di bruciato. E tu meglio di chiunque altro sai che peso abbiano loro su certe cose.»

    «Un altro po’ di tempo!?» proruppe l’uomo con un sorriso nervoso. «Sono troppo vecchio per non capire che il vostro temporeggiamento, che dura da mesi, è una strategia precisa, un modo per sfiancarmi fino a farmi accettare il vostro compromesso. La realtà è che avete paura del Dipartimento. Ma io non ne ho. Non ho più nulla da perdere.»

    Poi, fissandola dritta negli occhi, «Freya, ho passato i novant’anni: non ho tempo per rinvii sine die. Perciò o prendete una decisione o lo farò io!»

    «Cosa intendi, Velio?»

    «Una cosa molto semplice: o voi accettate la mia proposta entro una settimana, firmando il contratto inviato, oppure io inizierò a sparare in rete questo video che ho preparato. È la mia arma per rompere l’assedio» disse con tono enfatico. «Ovviamente» riprese «lo invierò anche ai media, all’Oms, altre agenzie governative del farmaco, ordine dei medici, università, centri di ricerca indipendenti, associazioni del malato, dei consumatori, eccetera, eccetera.»

    «Un ultimatum con un video che mostra le sconvolgenti evoluzioni farmacodinamiche che nessuno comprende?!» rise. «Scusami l’ironia Velio, ma tutto ciò non è credibile. La complessità della chimica farmaceutica non è roba da YouTube.»

    L’uomo fissò la donna negli occhi, sciogliendosi un attimo dopo in un sorriso plateale.

    «Allora rimarrai sorpresa dallo sforzo divulgativo. Il documento che tra poco vedrai spiega in maniera chiara cosa sia questa sostanza e, cosa ancor più sbalorditiva, mostra gli effetti clinici sperimentati direttamente sull’uomo. Hai capito bene, Freya?! Direttamente sull’uomo. Non topi da laboratorio, ma uomini. Vedendo queste immagini anche un profano si renderebbe conto di assistere a qualcosa di incredibile»

    Poi pigiò play sul computer e prese la mano di Freya. «Te lo ripeto. Possiamo annunciare al mondo intero che è la fine della schiavitù. E tu puoi essere artefice di questa storia... So che lo vuoi!»

    In bagno, seduta sul gabinetto, Freya rimase con lo smartphone in mano.

    Quando il display si oscurò, cancellando l’sms, lo schermo riflesse il suo sguardo vitreo.

    Velio c’è riuscito.

    Il video che le aveva appena mostrato non lasciava adito a dubbi. Per Freya però non c’era da stupirsi.

    Assunta proprio da lui a venticinqu’anni, come sua assistente personale, aveva compreso in breve tempo che gli occhi che facevano abbassare i suoi erano la scivolosa voragine su un mondo oscuro e potente, illuminato da un’intelligenza saettante e dominato senza tregua da un’ostinazione feroce.

    Un’ostinazione a dominare la realtà, a piegarla al suo volere, come un demiurgo incessantemente proteso a modellare il cosmo, obbedendo unicamente al suo furore creativo che non smetteva mai di ardergli dentro. La chimica era stata per lui lo strumento, l’Organon come la definiva lui, attraverso cui l’uomo si sottrae all’arbitrio del caso e prende in mano il suo destino di creatore.

    Quel video ne era l’ennesima riprova. Così come la discussione rovente che ne era seguita dimostrava – ancora una volta – che Velio Di Sangro non sarebbe sceso a compromessi con nessuno, neppure con il Padre Eterno in persona.

    Ma non è da Dio che l’uomo si deve guardare, pensò Freya, mentre frugando nel suo beauty-case sentì ad un certo punto la fredda canna del piccolo revolver calibro 9. Poi richiuse tutto rimanendo con una caramella già scartata in mano. Se la mise in bocca guardando l’orologio.

    Dieci minuti a mezzanotte, disse fra sé prima di alzarsi per uscire dal bagno.

    «L’alcol è l’unica droga ad uso voluttuario che ormai mi concedo» disse Velio, con un bicchiere di scotch in mano, che non doveva essere il primo, visto il modo traballante con cui sollevava la bottiglia di Jack Daniel’s per invitarla a seguirlo.

    «Non ho mai amato il rude gusto del whiskey» rispose Freya, riprendendo il suo posto al tavolo.

    «Già, troppo americano per una sofisticata signora tedesca» replicò tracannando il bicchiere in un sorso e lasciandosi cadere all’indietro contro la spalliera della seggiola.

    «Poi, sto mangiando una menta» fece lei, mostrandogliela fra i denti.

    «Non te ne offro una perché non si abbina con lo scotch. Ma guarda cosa ho in valigia» disse la donna ritirando la mano dal beauty-case sulla sedia alla sua destra.

    Velio corrugò d’un tratto lo sguardo e rimase con la bocca socchiusa.

    «Freya, ma che diavolo è?!» riuscì appena a dire ancora sbigottito.

    «È una cineseria moderna, riproduzione di uno strano robot dei cartoni animati giapponesi degli anni ottanta. Ma in realtà è un innocuo distributore di mentine» gli spiegò Freya mostrandogli il bizzarro meccanismo dell’erogazione delle caramelle che si attivava premendo la testa.

    «Fa anche una cosa molto curiosa e coreografica» continuò la donna mentre con le mani iniziava a girare la testa al robot come una carica a molla.

    «Poveri cinesi, un grande popolo piegatosi a costruire le cianfrusaglie dell’intero mondo» commentò l’uomo.

    «Come del resto anche tu: pubblicherai davvero quel video?» chiese a brucia pelo Freya con sguardo improvvisamente serio.

    L’uomo la fissò come a volerla trapassare.

    «Sai che lo farò.»

    Gut!, ringhiò fra i denti Freya facendo scattare una piccola levetta sulla schiena del robot.

    La testa iniziò a svolgersi repentinamente in senso contrario alla carica. Poi, di colpo – staccandosi dal corpo – saltò in aria, continuando a roteare vorticosamente su se stessa, di fronte allo sguardo incredulo di Velio. In un attimo raggiunse il metro d’altezza dove si manifestò la vera sorpresa. Dagli occhi del robot iniziò a zampillare un liquido incolore e inodore che a contatto con l’aria in pochi istanti si vaporizzò in una sottile e impercettibile nube.

    Velio sgranò gli occhi come a voler vedere in un solo attimo tutto quello che stava accadendo, e come sarebbe accaduto. Non ci fu neppure il tempo di esprimere un’ultima speranza.

    Miliardi e miliardi di molecole penetrarono nelle sue vie respiratorie, poi nei polmoni e da lì nel sangue, per giungere al

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