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Appuntamento mortale: Un'indagine di Teresa Maritano
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E-book259 pagine6 ore

Appuntamento mortale: Un'indagine di Teresa Maritano

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Sono i giorni che precedono Ferragosto e dall’inverno precedente Teresa Maritano non ha più avuto contatti con il vicequestore Marco Ardini. Cerca di dimenticarlo e di dimenticare Paola, la bambina che aveva in affido temporaneo. Un ordine restrittivo le ha impedito di incontrarla perché la bimba deve cominciare una nuova vita senza di lei. La notizia che Paola è scomparsa e che i nuovi genitori sono stati uccisi rompe il fragile equilibrio che Teresa cerca di costruire. Quando la portano in Questura e perquisiscono il suo appartamento, scopre che il sospettato degli omicidi è proprio Ardini e che avrebbe ucciso per rapirla e riportarla proprio a lei. Sì, hanno sospettato anche una sua complicità e soltanto per caso lei ha un solido alibi. Paola è scomparsa e Ardini è irreperibile: Teresa può soltanto sperare che siano insieme e che ci sia un’altra spiegazione agli omicidi dei nuovi genitori e della loro domestica. Deve indagare per ritrovare quella che considera una figlia. Scende a patti con gli ex colleghi, qualcosa rivela e altro tiene per sé, ma anche loro si comportano allo stesso modo. Indaga anche per scagionare Ardini sperando che lui la aiuti a ritrovare Paola. Più volte Maritano riesamina gli stessi indizi e si sposta seguendo tracce che, forse, Ardini le ha lasciato. Si sposta da Genova, ma a Genova ogni volta ritorna.

Maria Masella è nata a Genova. Ha partecipato varie volte al Mystfest di Cattolica ed è stata premiata in due edizioni (1987 e 1988). Sempre con la Clessidra è uscito nel 1999 il romanzo poliziesco Per sapere la verità. La Giuria del XXVIII Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” (edizione 2001) ha segnalato un suo racconto La parabola dei ciechi, inserito successivamente nell’antologia Liguria in giallo e nero (Fratelli Frilli Editori, 2006). Ha scritto articoli e racconti sulla rivista “Marea”. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Morte a domicilio (2002), Il dubbio (2004), La segreta causa (2005), Il cartomante di via Venti (2005), Giorni contati (2006), Mariani. Il caso cuorenero (2006), Io so L’enigma di Mariani (2007), Primo (2008), Ultima chiamata per Mariani (2009), Mariani e il caso irrisolto (2010), Recita per Mariani (2011), Per sapere la verità (2012), Celtique (2012, terzo classificato al Premio Azzeccagarbugli 2013), Mariani allo specchio (2013), Mariani e le mezze verità (2014), Mariani e le porte chiuse (2015), Testimone. Sette indagini per Antonio Mariani (2016), Mariani e il peso della colpa (2016), Mariani e la cagna (2017) Mariani e le parole taciute (2018), Matematiche certezze (2019 scritto a quattro mani con lo scrittore Rocco Ballacchino), Mariani e le giuste scelte (2019), Mariani e le ferite del passato (2020), Tempesta su Mariani (2021), Nessun ricordo muore (2017), Vittime e delitti (2018), Le porte della notte (2019) e Un posto per morire (2021) questi ultimi quattro con protagonista la coppia Teresa Maritano e Marco Ardini. Per Rizzoli, nella collana youfeel, sono usciti Il cliente (2014), La preda (2014) e Il tesoro del melograno (2016), per Castelvecchi il romanzo Tracce di Ada (2021). Morte a domicilio e Il dubbio sono stati pubblicati in Germania dalla Goldmann. Nel 2015 le è stato conferito il premio “La Vie en Rose”. 2018, terza classificata alla prima edizione del Premio EWWA. Premio Tigulliana, 2019. Premio alla carriera La Quercia del Myr, 2020.
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2022
ISBN9788869435997
Appuntamento mortale: Un'indagine di Teresa Maritano

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    Anteprima del libro

    Appuntamento mortale - Maria Masella

    CAPITOLO 1

    Domenica 8 agosto

    Fuori dal limbo del sonno la prima sensazione è una mano straniera sulla mia spalla nuda e la seconda è una voce altrettanto estranea che ripete un nome, il mio, con urgenza: – Teresa, Teresa.

    La mano e la voce sono di un uomo che ho usato per inseguire l’oblio di una notte. Vorrebbe di più, un di più che non ho da dargli. L’ho usato, senza pudore e senza vergogna.

    Apro gli occhi, ogni risveglio è una maledizione. Mi tiro su. – Cosa c’è?

    – Suonano alla porta, Teresa.

    L’unica luce è dell’orologio digitale che segna le sette e ventinove di domenica 8 agosto. Prendo da terra un caffettano e lo infilo dirigendomi verso l’ingresso, mentre continuano a suonare. Controllo dallo spioncino. Due uomini: niente uniforme e facce sconosciute. Eppure, so con certezza assoluta cosa sono, non ho bisogno di chiedere e di farmi rispondere polizia.

    Apro, scalza e coperta soltanto dal lino grezzo e logoro che un tempo era color sabbia. – Cosa c’è?

    – Maritano Teresa?

    Annuisco.

    – Deve seguirci in Questura.

    Alle mie spalle la voce gentile di Luca che è un amico e vorrebbe essere più di un occasionale compagno di letto: – Cosa c’è, Teresa?

    – Senti, devo andare. Resta quanto vuoi, poi ti chiudi la porta alle spalle.

    – Ma…

    Taccio perché sarebbe troppo lungo spiegargli che se sono venuti hanno le carte in regola. Taccio perché ho un nodo alla gola: se sono qui a cercarmi può essere soltanto per qualcosa che farà male.

    – Devo vestirmi – e mi scosto per farli entrare.

    Uno dei due annuisce e l’altro aggiunge che deve perquisire.

    Ecco, sì, questo mi stupisce. – Perquisire?

    Mostra il documento che li autorizza a ficcare le mani fra le mie cose. La motivazione neppure la leggo. Allargo le braccia.

    – Padroni. Come a casa vostra.

    Ho infilato jeans e canotta nera. Infradito. La sacca che uso come borsa l’ho presa al volo. Per un attimo ho incrociato lo sguardo di Luca in cui c’era una muta domanda. Mi sono stretta nelle spalle e ho seguito i miei ex colleghi.

    Incazzata? L’angoscia è più forte.

    È già passato mezzogiorno quando, finalmente, un agente mi fa entrare. In qualche modo, confuso, prevedevo di trovarmi di fronte Ardini, perché questo è il suo ufficio, ma dietro la scrivania c’è un uomo che non conosco e che si qualifica come vicequestore Dallera.

    – Possiamo evitare di perdere tempo, dottoressa Maritano.

    Taccio.

    – Nella primavera dell’anno scorso le era stato consegnato un ordine restrittivo nei confronti di Lanata Paola, su richiesta del Tribunale dei minori.

    – Mi sono adeguata. – Non aggiungo che era stato ed è doloroso. Ancora di più perché incomprensibile la motivazione. Se Paola non avrà alcun contatto con lei, signora Maritano, si affezionerà più facilmente ai nuovi genitori. A me voleva bene, mi chiamava mamma mammina. Ma era stata valutata come adottabile e l’affido non era stato rinnovato. – Non ho mai violato l’ordine restrittivo. – Taccio che avrei voluto farlo.

    Non ha alcun senso che mi prelevino e mi portino qui soltanto per ricordarmi un ordine restrittivo. E il mandato di perquisizione per casa mia? La domanda gliela pongo guardandolo negli occhi: – È successo qualcosa a Paola?

    – Si sieda, dottoressa – perché mi sono alzata senza rendermene conto.

    Non obbedisco per poterlo guardare dall’alto. Cerco di calmarmi. – Cosa è successo? – Evito di chiedere perché mi hanno portata qui e perché hanno perquisito la mia abitazione.

    – Una possibilità è che la minore sia fuggita e stia cercando di tornare qui, da lei, dottoressa.

    Mi rimetto seduta. – Per Paola non sarà facile raggiungermi.

    – Siamo al corrente della dislessia.

    – Mentre era con me aveva fatto molti progressi… – Sono consapevole di impigliarmi. – Anche gli specialisti che la seguivano l’avevano confermato. Era diventata più autonoma. Ma Genova è lontana da Monza.

    Lo vedo irrigidirsi. – Sapeva dove sarebbe andata a vivere?

    Parla e rivedo quei giorni dolorosi. Mi avevano comunicato che, per il benessere della minore, non sarebbe stato rinnovato l’affido, Sapeva già che era temporaneo, signora Maritano, e in attesa dell’adozione, soltanto da formalizzare, sarebbe stata alloggiata in una struttura protetta. Come se io non fossi in grado di proteggerla. Avevo chiesto se, dove sarebbe andata, c’era il mare, perché le piaceva molto nuotare. Ricordo la risposta: A Monza ci sono molte piscine. Subito la responsabile era arrossita e si era interrotta, forse preoccupata perché involontariamente mi aveva rivelato dove sarebbe andata mia figlia. L’avevo rassicurata: Monza è grande. E so che non devo cercarla.

    – Avevo capito che avrebbe abitato a Monza.

    – La famiglia si era trasferita subito prima dell’adozione.

    Parla e io vedo Paola smarrita. Quando è spaventata, fatica a leggere correttamente. La vedo aggirarsi fra le stazioni, cercando di decifrare i tabelloni. È sveglia ma troppo fiduciosa. Mi sforzo di essere razionale. – Quando è scomparsa?

    Ha una strana espressione e ripeto la domanda. Ancora nessuna risposta.

    Mi alzo. – Non ho capito perché mi avete portata qui. Vorrei sapere se mi avete portata qui perché sospettate che io l’abbia rapita. – Faccio una pausa. – O perché volete il mio aiuto per ritrovarla.

    Ricordo abbastanza il mestiere da riconoscere l’attimo in cui decide cosa dirmi. Perché nessuno dice tutto e sempre. Le omissioni sono importanti quanto le informazioni fornite spontaneamente.

    – Abbiamo perquisito il suo appartamento, dottoressa, e anche sentito il dottor Bertolacci. Ha confermato di essere stato con lei da giovedì alle nove a questa mattina.

    Quindi prima di questo colloquio hanno fatto le loro mosse.

    – Per tornare alla sua domanda, ora posso risponderle che speriamo nel suo aiuto per ritrovarla. – Fa una pausa. – E per capire cosa è successo.

    – Non ho la sfera di cristallo e non sono più dei vostri, vicequestore Dallera. – Percorro l’ufficio con un’occhiata. – Sono soltanto un privato cittadino.

    – Che vuole molto bene a una minore di cui si sono perse le tracce.

    – Il mio voler bene a Paola e quello che lei provava per me li hanno cancellati quando non hanno confermato l’affido. – Mi rendo conto di aver alzato la voce, ma non riesco a dominare il nodo di collera e dolore. – Peggio, quando mi è stato imposto di starle lontana, con la scusa che doveva cominciare una nuova vita. Quante vite le farete ricominciare?

    – Non è dipeso da me, dottoressa, e capisco come si sia sentita. Come si senta. Mi ha chiesto quando è scomparsa. Non lo sappiamo. Giovedì, verso mezzogiorno, era stata vista nel giardino della villa. Stava nuotando in piscina.

    Ero stata io a insegnarle.

    – Non abbiamo informazioni più precise per un motivo molto semplice. I genitori adottivi hanno avuto un incidente. – Riprende dopo un breve silenzio. – Un incidente particolare. Sono stati uccisi. Anche la domestica. Sono stati trovati giovedì 5 agosto poco dopo le venti. Da una coppia che era stata invitata a cena.

    – E Paola?

    – Niente. Nessuna indicazione che si sia allontanata volontariamente o che sia stata rapita. Prima che me lo chieda le uniche tracce ematiche sono riconducibili ai tre adulti deceduti.

    Quindi non è stata ferita o uccisa. – Marco. Chiamate Marco. – Mi correggo: – Il vicequestore Ardini la conosce. – Soltanto l’amore per Paola mi ha spinto a nominare l’uomo che cerco di cancellare dalla mia vita, anche facendo sesso con altri.

    Dal viso di Dallera capisco che ha di nuovo alzato un muro fra di noi, ma sono una che insiste: – L’ultima volta c’era lui dietro questa scrivania.

    – Lo so. – Si alza. – Può andare, dottoressa. È chiaro che lei è estranea alla sparizione della minore.

    Resto seduta. – La minore? Paola ha vissuto con me e mi chiamava mamma. Ora è scomparsa e quelli che avrebbero dovuto darle una famiglia, una vera famiglia, sono stati uccisi. Mi si dice di andarmene; nomino uno di voi che la conosce quasi quanto me e vi trincerate dietro il silenzio.

    Ripete che posso andare e non mi alzo. – Fatemi parlare con Ardini. Abbiamo lavorato insieme e, come avete portato qui me, potete richiamare lui, anche temporaneamente. Se è stato destinato ad altra sede.

    – Non è possibile. Le ripeto che può andare.

    Mi alzo e lo guardo in faccia. Fossi ancora un ispettore modererei i termini, ma sono un privato cittadino: – E lei è un coglione e una testa di cazzo. Mi denunci pure per oltraggio a pubblico ufficiale.

    Non ottengo reazione.

    – Mi ha portata qui soltanto perché riteneva possibile un mio coinvolgimento nella sparizione; ora l’ha escluso. Sa che conosco il mestiere e le servirebbe il mio aiuto, ma per farlo ho bisogno di informazioni.

    Si siede e mi fa segno di imitarlo. – Siamo riusciti a non far trapelare nulla. – Posa una cartellina grigia sulla scrivania prendendola dal cassetto. La spinge verso di me. – La esamini con calma, dottoressa.

    Foto. Nessuna inquadra dettagli che permettano di localizzare la villa o di identificare le vittime: i visi sono stati sfocati, nitide sono le ferite provocate da armi da fuoco. I corpi di un uomo e una donna sono intrecciati in una parodia di abbraccio.

    Gli abiti li classificano come benestanti, di gusti molto sobri, classici, forse un po’ antiquati. A sentimento li direi fra i quaranta e i cinquanta.

    La terza vittima deve essere loro coetanea, ma la vita l’ha logorata di più. Indossa una specie di cappa azzurrina con colletto bianco come il piccolo grembiule. Gli altri due sono stati colpiti alla nuca, mentre erano seduti sul divano, questa in pieno petto e doveva essere in piedi. Il suo viso non è stato trattato e l’espressione spaventata è leggibile.

    – Arma?

    – Recuperate cartucce calibro 9x19 mm Parabellum.

    Vorrei sapere se è casuale che siano camerate in 9x19 Parabellum le pistole d’ordinanza e mitragliatrici in dotazione delle Forze Armate e di Polizia italiane. È un pensiero idiota perché si tratta del calibro più diffuso al mondo per arma corta, semiautomatica o a ripetizione. – Tracce?

    – Nessuna.

    È peggio che confrontarsi con una parete di gomma, ma insisto: – Indizi che Paola si sia allontanata volontariamente o che sia stata rapita?

    – Nessuna traccia di colluttazione. Soltanto i corpi dei genitori adottivi.

    – E della domestica. – Lo vedo fare un distratto cenno d’assenso e continuo: – Quando si fugge, spesso si porta qualcosa con sé, qualcosa che ci dia sicurezza. Questo è ancora più comune per i minori come mia… Come Paola. Qualcuno ha esaminato i suoi oggetti personali per dirvi se manca qualcosa a cui era molto legata? Avete consultato un’amica? Anche un amico?

    – Abbiamo avuto poco tempo.

    È stato rapido nel disporsi in difensiva. Evito di replicare che il tempo per convocarmi e per predisporre una perquisizione l’-hanno trovato.

    – È stato anche per non divulgare la notizia. La psicologa che la stava seguendo l’ha descritta come molto appartata.

    Mi chiedo il motivo della decisione di tenere riservata la sparizione di Paola. Ma è domanda a cui non risponderebbe. Ripiego sull’unica possibile: – Perché una psicologa?

    – Di supporto. Per aiutarla ad abituarsi al nuovo ambiente.

    In cui è stata trapiantata a forza; per le piante si ha maggior riguardo. Ingoio la collera, imponendomi di essere razionale. – Ardini la conosce e ha molta esperienza nel rintracciare minori scomparsi.

    Si alza. – La bambina riuscirebbe a mettersi in contatto con lei?

    Sì, il vicequestore Ardini non deve essere nominato. Per ora mi adeguo. – Paola è dislessica, ma intelligente. Una delle prime sequenze che ha voluto imparare è stato il mio numero di cellulare, ma non mi ha chiamata.

    – Quali altri numeri conosce?

    – Quando mi è stata tolta sapeva chiamare Sara, la ragazza che mi aiuta al bar. – Lo vedo fare un cenno d’assenso. – Ma se l’avesse sentita, me lo avrebbe detto! – Faccio una pausa. – E conosce il numero di Marco. Sì, il vicequestore Ardini per lei era Marco. Gli voleva bene. Ricambiata, penso. Chiedete a lui. Non lo sento dal dicembre scorso. – Ripeto, inutilmente, che chiedano a lui e che lo coinvolgano nella ricerca.

    Ogni volta che lo nomino il muro fra noi si alza un po’ di più.

    – Non capisco la necessità di non divulgare la notizia.

    – Può andare, dottoressa Maritano.

    CAPITOLO 2

    Domenica 8 agosto pomeriggio

    Quando esco, il caldo e l’afa di inizio agosto in città mi tolgono il fiato. O forse a farmi stare male sono le notizie che ho avuto e l’essere ritornata nella Questura da cui ero uscita sbattendo la porta dopo averci lavorato per anni come ispettore. Mi preoccupa non aver visto Ardini alla solita scrivania.

    – Teresa!

    Mi giro verso la voce gentile di Luca. Non avevo notato la sua presenza accanto al portone della Questura. È lui ad avvicinarsi. – Cosa è successo?

    – È scomparsa e quelli… I nuovi genitori di Paola sono stati uccisi. – Trattengo a stento una risata. – Forse questi – e indico la Questura alle nostre spalle – credevano che l’avessi rapita e per farlo avessi sparato. Qualche volta la tentazione l’ho avuta.

    Mi prende sottobraccio. – Volevano sapere se in questi giorni, da giovedì, eri stata con me. Ho risposto la verità.

    Ho un alibi soltanto perché ho ceduto alla sua insistenza di chiudere il bar giovedì 5 invece di sabato 7 per trascorrere insieme questi pochi giorni di inizio agosto che ha potuto ottenere come ferie.

    – Lui cosa ne pensa?

    Lui? Fatico un po’ a capire che sta parlando di Ardini.

    – Non lo so. Sono stata interrogata da un altro. Lui non c’era. – Come spiegargli che quando lo nominavo la comunicazione si raggelava? – Comunque la stanno cercando e mi hanno ordinato di avvisarli se lei si mettesse in contatto con me.

    Camminiamo per un po’ in silenzio, fin quando mi chiede che intenzioni ho, che cosa penso di fare.

    – Mi sono offerta di collaborare alle indagini, ma niente!

    – Ho l’auto qui, ti accompagno a casa?

    Capisco che chiedeva altro, che mi offriva un passaggio. – Vado a piedi, per camminare. Questa notte sei già di turno e dovrai riposare un po’. – Accosto il viso al suo in una parodia di bacio.

    – Se ho bisogno, ti chiamo, tranquillo.

    Entro in un bar e ne esco mordendo un pinguino, cammino lentamente. Questi portici che chiudono la piazza sono lineari solo in apparenza, ma in realtà sono labirinti, tanto che di notte alcuni tratti sono chiusi da cancellate. Non a quest’ora, però. Qualche passo, qualche svolta, e sono in via Brigata Liguria; mentre mordo il gelato, attraverso e svolto in via Venti.

    Dubito che mi sia stata assegnata una coda, ma essere seguita è possibilità da non escludere. Entro da UPIM; gironzolo per un po’, prendo un foulard di viscosa a fiori e un vestito lilla.

    In un camerino tolgo il cellulare dalla tasca e clicco su ARDINI.

    Numero inesistente. Riprovo anche se è un gesto sciocco e ottengo lo stesso risultato. Quindi ha cambiato numero, disabilitando il precedente e senza avvisarmi. Ma devo parlargli. I suoi colleghi non vogliono coinvolgerlo nella ricerca di Paola, anzi, sembra che non debba essere nominato, ma lui deve aiutarmi a ritrovare mia figlia.

    L’unica possibilità è andare a casa sua. È impossibile che l’abbia lasciata, è il suo rifugio: quando è notte guarda il mare e dimentica il mondo inumano alle sue spalle.

    Se mi sono infilata alla UPIM è perché d’istinto avevo cercato il posto giusto per rendere la vita più difficile a una possibile coda. Avvolgo il foulard come un turbante, nascondendo bene i ricci rossi. Dalla sacca tolgo la camicia di cotone a righe e la infilo sulla canotta. Il vestito lilla che indosserei solo se costretta lo lascio appeso.

    Quando esco non sono diversa, ma neppure uguale perché un inseguitore si focalizzerebbe sui capelli rossi e sulla canotta nera. Esco dall’accesso in via Brigata Liguria. Attraverso e sono alla fermata del 15, il bus che raggiunge Nervi percorrendo la costa.

    Dalla sacca tolgo Il procuratore della Giudea che tengo di scorta perché è leggero e maneggevole. Non perché sia un prestito di Ardini, la rossa ti somiglia; non gliel’ho reso e mai l’ha chiesto. Quel brano lo so a memoria e ricordo la sua voce mentre me lo legge: Le reni inarcate, la testa rovesciata e, come tirata dal peso della sua folta chioma rossa, gli occhi annegati di voluttà. Lo tengo nella sacca perché occupa poco spazio. Il cellulare in modalità specchio, posato ogni tanto con noncuranza fra le pagine, mi permetterà di lanciarmi un’occhiata alle spalle. Non posso fare di più.

    Arrivo al capolinea, Nervi, viale Franchini. Entro nel bar di fronte per una spremuta. Salgo sul 15 che torna verso il centro; scendo alla prima fermata dopo Bagnara e faccio una lenta camminata lungo la breve crêuza pedonale che si spinge sul mare e ritorna indietro in via Quinto, poco lontano da dove è cominciata; è una specie di mezzo cerchio, da un lato la scogliera e dall’altro vecchie case addossate a formare un’unica palizzata in cui i diversi colori sono stati stemperati dalla salsedine.

    Non un mezzo cerchio, per essere precisi tre quarti di cerchio. Mai abitare in strade chiuse: due accessi, sempre. È una delle sue regole.

    Non posso aspettare oltre, devo provare. Suono al portone; come prevedevo, nessuna risposta. Non è difficile forzare la serratura. Salgo fino all’ultimo piano, dove abita soltanto lui. Ripeto il gesto di suonare e il

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