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La ragazza del Club 27: Milano, Porta Venezia: un'indagine della magliaia Delia
La ragazza del Club 27: Milano, Porta Venezia: un'indagine della magliaia Delia
La ragazza del Club 27: Milano, Porta Venezia: un'indagine della magliaia Delia
E-book221 pagine5 ore

La ragazza del Club 27: Milano, Porta Venezia: un'indagine della magliaia Delia

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Info su questo ebook

Milano, quartiere di Porta Venezia. Un vivace microcosmo multietnico dove convivono borghesi e nullafacenti, giovani creativi da ogni parte del mondo e vecchi milanesi. Nella prestigiosa Torre Rasini risiedono i Morigi, una famiglia altolocata e integerrima agli occhi di tutti. L’unica macchia nella loro vita sembra essere la giovane Marianeve detta Neve, una ragazza ribelle e dal diminutivo beffardo, considerando la sua dipendenza dalla cocaina. Tra i tanti tatuaggi sul corpo, ne ha uno sul polso che mette i brividi: la scritta The 27 Club con sotto un teschio. Si rifà al leggendario elenco di artisti, tutti morti a 27 anni. Da Jimi Hendrix a Kurt Cobain, da Jim Morrison a Amy Winehouse. Anche Neve, a breve, compirà ventisette anni. Non ha amici, solo un cucciolo di bulldog, e la sua unica confidente è la vecchia magliaia Delia, sempre pronta a offrire calore umano a chi ne abbia bisogno. Finché una notte di luglio, il cadavere di Diana Morigi, madre di Neve, viene ritrovato nel parco. Qualcuno l’ha uccisa a coltellate. La prima indiziata è proprio la ragazza, che con lei ha sempre avuto un rapporto conflittuale. Ma le indagini condotte dal commissario Attilio Masini, uomo sensibile e amante di Schopenhauer, porteranno alla luce segreti e vizi inconfessabili dei Morigi e di tutte le persone che gravitano intorno a loro. Ognuno sembra nascondere un motivo per avere desiderato la morte di Diana Morigi. La soluzione del caso stenta a emergere e un nuovo omicidio complicherà le cose. E sarà ancora una volta la magliaia Delia, con il suo intuito speciale, a scoprire la verità. Spaventosa e inaspettata.

Mauro Biagini è nato a Genova, dove si è laureato in Lettere Moderne, e vive a Milano nel quartiere di Porta Venezia: fonte d’ispirazione per i suoi romanzi noir. Creativo pubblicitario fin dalla fine degli anni Ottanta, ha firmato popolari spot televisivi per importanti brand italiani e internazionali, quali Averna, Mercedes-Benz, Fastweb. Insegna Copywriting all’ACME, Accademia di Belle Arti Europea dei Media, ed è consulente di comunicazione per varie aziende. È autore e conduttore del programma di cultura letteraria Stonewall, in onda su onBooX Radio. Ha pubblicato: Marcantonio detto Toni (Robin Edizioni, scritto in coppia con Silvia Colombini), Soprattutto viole (goWare), Il rumeno di Porta Venezia (Fratelli Frilli Editori) e numerosi racconti inseriti in antologie, tra le quali 44 gatti in noir e Tutti i sapori del noir (Fratelli Frilli Editori).
LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2020
ISBN9788869434273
La ragazza del Club 27: Milano, Porta Venezia: un'indagine della magliaia Delia

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    Anteprima del libro

    La ragazza del Club 27 - Mauro Biagini

    Ho il cuore in mano, e la mano bucata, e la mano nel sacco, e il sacco chiuso, e il mio cuore è in trappola.

    (Jean Genet)

    "Sometimes I feel I’ve got to run away

    I’ve got to get away

    From the pain you drive into the heart of me

    The love we share seems to go nowhere

    And I’ve lost my light for I toss and turn

    I can’t sleep at night."

    (Tainted Love, Soft Cell)

    1.

    Sull’asfalto, come cadaveri

    Sull’asfalto, come cadaveri, giacevano mozziconi di sigarette, bottiglie di birra vuote, tovaglioli di carta appallottolati.

    E sui tetti delle auto in sosta, come un esercito di soldati esausti, si ergeva una fila sterminata di bicchieri in plastica con rimasugli di cocktail misti a cenere.

    Alle sette del mattino, in una domenica di luglio, le strade di Porta Venezia sembravano un campo di battaglia dopo una lunga notte di combattimenti.

    Ormai da tempo, l’area dove via Panfilo Castaldi si incrocia con via Settala, via Lecco e via Tadino, era diventata una meta abituale per i milanesi in cerca di divertimento.

    Tra moderni locali gay friendly, raffinate enoteche, ristoranti di tutte le cucine del mondo e vecchi bar africani che ancora resistevano dagli anni ’80 – quando la zona era conosciuta come la casbah – il baccano era sempre assordante fino all’alba. Un intreccio di musica e chiacchiere ad alto volume che esasperava i residenti più anziani e più incattiviti verso il mondo che cambia, ma che aveva dato nuovo lustro al quartiere, tanto che i prezzi delle case erano schizzati alle stelle.

    Adesso era tornata la quiete.

    Nel silenzio più assoluto si riusciva persino a udire il dolce tintinnio dei ferri con i quali un’anziana donna, con i capelli bianchi tendenti all’azzurrino, lavorava a maglia.

    Aveva il volto sereno, illuminato dai primi raggi di sole che filtravano attraverso i platani di viale Vittorio Veneto.

    Era Delia, seduta sulla sua sedia in paglia, sempre più sgangherata, davanti alla porta del suo laboratorio.

    Niente di strano. Vederla sul marciapiede di via Lecco, a tutte le ore del giorno e spesso della notte, faceva ormai parte delle attrazioni storiche di Porta Venezia. Alla stregua della chiesa di San Carlo al Lazzaretto o dei palazzi liberty di via Malpighi.

    Intenta a terminare un golfino di lana, a fare l’orlo a un paio di blue jeans, a chiacchierare con qualcuno o più semplicemente a respirare la vita, lei che ne era così capace.

    C’era da preoccuparsi, semmai, quando la saracinesca era abbassata. Il che accadeva solo durante quel poco tempo in cui si rinchiudeva per riposare, perché la vecchia magliaia ormai abitava lì.

    Aveva lasciato il suo appartamento di via Melzo: era troppo distante per lei che si doveva muovere con le stampelle a causa di una grave forma di artrite degenerativa e, soprattutto, le spese dell’affitto si erano fatte insostenibili. Ma questo, Delia, non lo avrebbe mai ammesso.

    Lamentarsi era un verbo che non rientrava nel suo vocabolario. Sdraiato ai suoi piedi c’era il piccolo Andy, suo compagno di vita: un tenero meticcio incrociato con un bassotto, che se ringhia a qualcuno, non c’è da fidarsi, come era solita affermare. Perché i cani non si sbagliano mai.

    D’un tratto, sollevò il musetto da terra. Il suo olfatto gli stava annunciando l’approssimarsi di qualcuno.

    Infatti, trascorsi pochi secondi, ecco spuntare da dietro l’angolo un cucciolo di bulldog inglese che, tutto festoso, si avvicinò a lui cominciando a riempirlo di attenzioni.

    E tu chi sei, giovanotto? domandò Delia, che nel quartiere conosceva tutti, ma non aveva mai visto quella bestiola.

    Si chiama Amy: è una signorina rispose una voce rauca per le troppe sigarette fumate.

    In sella a una bicicletta con le ruote arancioni, di quelle che a Milano si prendono a noleggio, era comparsa una ragazza.

    Così magra che un soffio di vento avrebbe potuto farla volare via, con un volto tutto spigoli e malinconia, gli occhi di uno splendido azzurro, ma privi di luce, come se qualcuno ne avesse spento l’interruttore, e i capelli sottili castano chiaro, tagliati corti come un maschiaccio.

    Neve! Come sono felice di rivederti!

    Era Marianeve, la figlia dei Morigi, ma fin da bambina per tutti non era altro che Neve. Un diminutivo che nel tempo si era rivelato beffardo, considerando l’abuso di cocaina che le stava devastando l’esistenza da molti anni, com’era risaputo nel quartiere.

    Anch’io sono felice di essere tornata libera. In quella cazzo di comunità non resistevo più.

    Da quelle parole, pronunciate con tono sprezzante, fu subito evidente che l’ennesimo tentativo da parte della famiglia di farla uscire dalla tossicodipendenza era fallito.

    Delia preferì non infierire. Sapeva che in questi casi fare la morale non serve.

    E questa scricciolina che zampetta già senza guinzaglio, da dove sbuca?

    Me l’ha regalata la stronza, così definì sua madre. Poi aggiunse con un ghigno: Su consiglio dello psicologo…

    Be’, un nuovo animaletto in casa fa sempre bene commentò Delia. Chissà quante feste le avrà fatto il vecchio Gengis. Il vostro cagnone è troppo simpatico.

    Ma se non l’ha nemmeno vista! Da quando sono tornata in città, non vivo più con i miei. Sono stata gentilmente imprigionata in una mansardina di via Lambro, anzi una cella e lo sottolineò con sarcasmo. Di giorno posso uscire e la notte mi chiudono dentro. Hanno installato una serratura esterna e fanno i turni da carceriere. Si sono mobilitati tutti: la stronza, il cornuto, la vecchia, il Camilleri dei poveri. Persino la serva e il marchettaro e Delia non si sforzò per collegare ogni soprannome alla persona a cui era attribuito.

    È come se l’unico problema fosse dove trascorro la notte. Non è ridicolo? Potrei denunciarli per sequestro di persona. Ma per ora mi va bene così.

    E ripeté: Per ora…

    Delia restò in silenzio. Era difficile giudicare la scelta così drastica di una famiglia che le stava tentando tutte per aiutarla ed era impossibile fronteggiare nella chiacchiera di un minuto la disperazione di una vita intera. Quella di una ragazza che il destino, a giudizio dei più, aveva baciato in fronte facendola nascere in una famiglia unita, e pure molto agiata.

    Si poteva solo tornare a parlare di cani che servono anche a questo, ad alleggerire le conversazioni, oltre che a darti un amore infinito.

    Come hai detto che si chiama la cucciola?

    Amy. In onore di Amy Winehouse, la mia cantante preferita.

    Non la conosco. Dimmi una sua canzone.

    Neve cominciò a intonare un motivo.

    "They tried to make me go to rehab I said, no, no, no… yes, yes, I’ve been black but when I come back you’ll know, know, know… ti piace?"

    Bella, anche se non ho capito le parole. Sto dimenticando tutto il mio inglese disse Delia, che, tra i gustosi aneddoti sul suo passato, raccontava di aver fatto da assistente a quella farabutta di Mary Quant, nella swinging London degli anni ’60, che mi ha rubato l’idea della minigonna!

    "Ora te la traduco. Sembra la mia storia. Hanno provato a farmi andare in riabilitazione ma io ho detto no, no, no… Sì, sono stata male ma quando ritornerò tu saprai, saprai, saprai… finché poi è morta di overdose e Neve sorrise. Era sempre strafatta anche in concerto. Guarda i suoi video su YouTube. Saliva sul palco e non si reggeva neanche in piedi. Un vero mito!"

    Non è giusto buttare via la vita in questo modo sussurrò la magliaia.

    Cosa hai detto? domandò la ragazza, che si era distratta per chinarsi a fare due carezze ad Andy, così paziente nel subire senza fiatare tutti i tormenti a cui lo sottoponeva la cucciola con i suoi dentini aguzzi.

    Niente. Non ho detto niente.

    Intanto aveva notato un tatuaggio sul polso sinistro della ragazza. Uno tra i tanti che ricoprivano il suo corpo scheletrico.

    Che cosa ti sei fatta dipingere lì?

    Neve tirò su una manica della sua camicia bianca di lino tutta lisa.

    Parli di questo? e mostrò la scritta The 27 Club, sotto la quale era tatuato anche un teschio.

    È il club delle meraviglie: il Club 27.

    Cos’è? Una discoteca di New York?

    Ma ti prego… , e Neve si mise le mani nei capelli, come se avesse ascoltato un’eresia. È il gruppo dei musicisti e cantanti morti a ventisette anni. Una bella lista: Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain… e fece un sospiro. E anche Amy Winehouse, naturalmente. Tutti mitici e tutti morti alla stessa età. Non è incredibile?

    Delia si limitò a farle una domanda: E tu quanti anni hai?

    La ragazza tornò in sella alla bicicletta.

    Quasi ventisette rispose, ma con leggerezza, senza badarci troppo. Li compio pochi giorni prima di Natale. Sfigata fin dalla nascita: ho sempre ricevuto un regalo solo e ridacchiò.

    Poi abbassò lo sguardo verso la cucciola, che non ne voleva sapere di mollare Andy.

    Andiamo, bella. Abbiamo un appuntamento di quelli che mi incuriosiscono.

    Si chinò, la sollevò da terra e la ficcò dentro il cestino. Brusca e tenera, come una mamma che mette in riga un bimbo capriccioso. Poi, dopo un lungo sorso alla bottiglietta di succo di mirtilli che portava con sé, imboccò via Panfilo Castaldi contromano e sparì in un baleno dalla vista di Delia.

    La magliaia non ebbe neanche il tempo di chiederle dove stesse andando, di domenica così presto.

    Niente di male.

    Tanto, sarebbe stata una domanda inutile.

    2.

    Nonostante fosse domenica

    Nonostante fosse domenica e gli spettasse un turno di riposo, il commissario Attilio Masini aveva dovuto svegliarsi presto.

    Nessun problema. Non era certo il tipo di persona che fa le ore piccole, né il sabato, né in qualunque altro giorno della settimana.

    Da quando aveva accettato il trasferimento da Udine a Milano circa tre anni addietro, in contemporanea con la dolorosa separazione dalla moglie Francesca, le sue serate si assomigliavano tutte.

    La solita cena in solitudine nell’angolo più appartato del ristorante Rosy e Gabriele di via Sirtori, quattro passi in corso Buenos Aires senza incrociare lo sguardo di nessuno, e meno che mai di una donna, una sigaretta dietro l’altra – quelle bianche e sottili che mal si addicevano allo stereotipo del rude poliziotto, ma gli sembravano il male minore, visto che soffriva di un soffio al cuore dalla nascita

    – e poi dritto a casa, una mansarda minuscola in via Frisi. Dove, per confortarlo, lo attendeva soltanto la sua amata musica americana della West Coast anni ’70 e il manualetto sulla ricerca della felicità di Schopenhauer, che teneva sempre sul comodino. Ma ultimamente anche il grande filosofo aveva cominciato a non sortire alcun effetto.

    Ciò che lo disturbava, ora, era il motivo di quella strana convocazione in commissariato alle sette del mattino di domenica.

    Qualche giorno prima, il magistrato Antonella Fini gli aveva chiesto una cortesia, se così si poteva definire, istruendolo alla sua maniera, ovvero senza lasciargli il tempo di obiettare.

    Si tratta dei Morigi, sono miei carissimi amici. Abitano in Porta Venezia, nella Torre Rasini. Una famiglia perbene, molto in vista. Lui è il proprietario della Mori-Pharma, l’azienda farmaceutica, ha presente? e il commissario non aveva potuto fare a meno di pensare che l’ideatore di quel nome non fosse certo un buon creativo, considerando il richiamo alla parola morte. Hanno un solo tormento: la figlia. Si chiama Marianeve, ma pensi com’è strano il destino, tutti la chiamano Neve e la ragazza, da un bel po’, è dipendente dalla cocaina. Bizzarro, no? È appena uscita per l’ennesima volta da una comunità di recupero, di quelle prestigiose. Ormai ne avrà girate mille. Speriamo che questa sia la volta buona. Ora, caro Masini, lei deve semplicemente metterla in guardia. Le faccia presente che in passato sono spariti spesso oggetti preziosi da casa ed è chiaro a tutti che li ha rubati lei. Le dica che è meglio non commettere più sciocchezze di quel genere. No, non è nulla di ufficiale. Non è stata fatta alcuna denuncia, ci mancherebbe altro. I Morigi non vogliono scandali. Sarà un incontro informale. Una semplice chiacchierata, insomma. Per questo abbiamo scelto una domenica e un orario così insolito. Chissà che questa lezione non sia utile alla ragazza.

    Metterla in guardia? Non commettere più sciocchezze? Questa lezione? A Masini, uomo sensibile, non era sembrata affatto una buona idea. Le minacce, a suo parere, non hanno mai aiutato nessuno. Però non aveva potuto rifiutare di prestarsi a questa farsa.

    In più, c’era dell’altro a metterlo di cattivo umore.

    Dover incontrare, anche nel proprio giorno libero, Marco Saronni, l’ispettore che avrebbe partecipato insieme a lui allo sgradevole appuntamento. Con il suo timbro di voce così squillante che tanto lo irritava e, soprattutto, con la sua natura grezza e ignorante che, a parere di Masini, disonorava la reputazione delle forze dell’ordine.

    Commissario, è arrivata la ragazza annunciò Saronni, affacciandosi sulla porta dell’ufficio con la Gazzetta dello Sport in mano. Mezz’ora di ritardo, ma va già bene così per una drogata.

    La faccia entrare rispose Masini, sorvolando sul vocabolario in linea con la mentalità dell’ispettore.

    A dire il vero, ci sarebbe un problema…

    Ovvero?

    La tipa non è sola. Ha con sé un cagnaccio poco raccomandabile, uno di quelli da combattimento per intenderci. Per di più, senza guinzaglio e museruola come prescritto dalla legge in questi casi. La faccia entrare ripeté il commissario, che nella vita temeva molto più il comportamento di tanti esseri umani che quello dei cani.

    Pochi secondi e Marianeve fece il suo ingresso con la cucciola di bulldog in braccio.

    Era quello il pericoloso cagnaccio a cui si riferiva Saronni, che come tutte le persone aride di cuore aveva scarsa dimestichezza con gli animali.

    Posso lasciarla libera? esordì la ragazza, e nella sua voce rauca si percepì un leggero tremore che contrastava con il tono, volutamente caustico.

    Certo. È una femminuccia?

    Lei fece cenno di sì con la testa.

    Come si chiama?

    Amy.

    Quanto tempo ha?

    Due mesi, forse tre.

    La cucciola cominciò subito a ispezionare ogni angolo della stanza, seguita dallo sguardo attento e timoroso di Saronni, che era rimasto in piedi accanto alla porta.

    Si accomodi qui disse Masini alla ragazza, indicandole la poltroncina di pelle davanti alla scrivania.

    E si accomodi anche lei, Saronni suggerendogli con un movimento degli occhi di prendere posto su una sedia più distante.

    Il commissario non sapeva da dove cominciare.

    Aprì un fascicolo, fece finta di dare una rapida lettura, come se nemmeno ricordasse l’argomento che doveva essere trattato.

    Minimizzare. Ecco qual era il suo proponimento, mentre sentiva calare su di sé un

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