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Sangue sul Chianti: Un nuovo caso per il commissario Ferrara
Sangue sul Chianti: Un nuovo caso per il commissario Ferrara
Sangue sul Chianti: Un nuovo caso per il commissario Ferrara
E-book508 pagine6 ore

Sangue sul Chianti: Un nuovo caso per il commissario Ferrara

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Info su questo ebook

È un inverno di sangue nel meraviglioso Chianti dove, dentro la cornice delle sue colline, il Male si fa vivo con morti che all’apparenza sembrano non avere alcun collegamento tra loro. La Squadra Mobile deve indagare per trovare il filo conduttore che unisce la brutale uccisione della compagna di un ricco banchiere, il suicidio di una testimone e altre morti misteriose al mondo di personaggi al di sopra di ogni sospetto con centro dei loro sporchi interessi e divertimenti nella Capitale. Il commissario Michele Ferrara, per trovare la soluzione, deve scavare tra segreti inconfessabili guardandosi anche da figure istituzionali che ufficialmente gli sono vicine per collaborarlo. Michele Giuttari ritorna da protagonista con un thriller aspro e travolgente sui segreti più inconfessabili di gente potente con un susseguirsi di morti, colpi di scena e tradimenti dove i cattivi diventano buoni o vittime e i buoni cattivi. Ritorna così a inquietarci e sfidare i lettori con un’indagine incredibile che ha il sapore della realtà costruendo un impeccabile meccanismo narrativo dove tutto alla fine si ricostruisce in una intelaiatura coerente in maniera del tutto logica.

Michele Giuttari, grande investigatore della Polizia di Stato, ha svolto importanti indagini nel contrasto alle organizzazioni mafiose, tra cui quelle sulle stragi di mafia del 1993, realizzate da Cosa Nostra a Firenze, Roma, Milano. Come Capo della Squadra Mobile di Firenze ha riaperto il caso del “Mostro di Firenze” dimostrando che i delitti erano stati opera di un gruppo di assassini e non di un serial killer solitario. I suoi libri con il commissario Michele Ferrara sono tradotti nelle principali lingue e in quella inglese pubblicati in ben 104 paesi tra cui USA e UK dove si sono affermati ai primi posti delle classifiche. Ha ricevuto numerosi premi tra cui presso la Camera dei Deputati a Roma il prestigioso “Falcone Borsellino” due volte (2015-2019): per la sua attività di investigatore e quale autore di noir di fama internazionale. Attualmente lavora alla sceneggiatura di un film Thriller/Horror per il cinema.
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2021
ISBN9788869435478
Sangue sul Chianti: Un nuovo caso per il commissario Ferrara

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    Anteprima del libro

    Sangue sul Chianti - Michele Giuttari

    PARTE PRIMA

    RIMORSI

    Possiamo soffocare il vecchio, il lungo Rimorso, che vive, si agita e si contorce, e di noi si nutre come il verme dei morti, come il bruco della quercia?

    Possiamo soffocare l’implacabile Rimorso?

    Charles Baudelaire, L’irreparabile, I fiori del male, 1857/61

    1

    Sabato, 17 dicembre 2005

    Non era proprio una giornata come le altre, a Firenze. E, per motivi diversi, non lo era neppure per Mauro Sacco.

    Le strade deserte sembravano quelle di una città fantasma. I turisti, rintanati negli alberghi, avevano perso un giorno di vacanza. Bombe d’acqua la flagellavano da ore causando allagamenti di negozi, cantine e appartamenti al piano terreno. Tantissimi gli alberi sradicati sia sui viali che abbracciavano il centro storico sia nel parco delle Cascine, un cimitero della natura.

    Anche l’Arno mostrava la peggiore delle sue facce.

    Il livello delle acque turbolente era cresciuto a vista d’occhio. E, per capire quanto la situazione fosse allarmante, bastava osservarle dalla piccola terrazza sul lungarno Amerigo Vespucci, sotto cui si trova la Pescaia Santa Rosa, formata dai resti dei mulini e delle costruzioni della chiusa realizzata per il Fosso Macinante. Un canale artificiale, parallelo al fiume, un tempo utilizzato per la raccolta delle acque nei casi di piena e per deviarle nelle campagne. Poi, per azionare una serie di mulini. Adesso, però, c’erano solo case, alberghi di lusso, monumenti e chiese.

    Nel tardo pomeriggio, Mauro Sacco telefonò all’ANAS e, dalla voce gentile e premurosa dell’impiegata, seppe che lungo il suo itinerario fortunatamente non c’erano particolari problemi di viabilità.

    E così, in serata, abbandonò la città.

    Alla guida di una Fiat Panda 4x4, percorse la statale Chiantigiana con aria rilassata e, qualche minuto prima delle ventidue, giunse nei pressi della sua destinazione. Spense le luci e, con entrambe le mani strette al volante, procedette lungo la strada sterrata, in parte ricoperta di ghiaia. Unico rumore, lo scricchiolio degli pneumatici sui rametti spezzati e sul pietrisco. Raggiunse uno slargo e arrestò il motore.

    Calò il silenzio.

    Negli ultimi due mesi era stato lì in diversi orari della sera e della notte, sempre con auto differenti o in moto per annotare ogni evento e dettaglio.

    Dopo un respiro profondo, si distese contro lo schienale. Quindi prelevò dallo zaino il binocolo a raggi infrarossi. Lo strinse tra le mani, mettendo a fuoco l’obiettivo di cui sapeva tutto il necessario. Nella sua mente, aveva ben presente ogni azione da compiere, ogni movimento e iniziativa anche di fronte a eventuali imprevisti. Perché doveva riuscire nel suo piano. E, come in ogni altra analoga situazione, sapeva che questo sarebbe stato sufficiente.

    Ne era convinto.

    2

    Panzano, frazione di Greve in Chianti, tranquillo centro situato sulla cima di una collina, è famoso per le sue ricchezze storiche e per una stravagante tradizione. Un macellaio poeta che, nel tagliare la ben nota bistecca fiorentina, è solito recitare versi tratti dalla Divina Commedia di Dante Alighieri.

    Mauro Sacco si trovava nei pressi di una villa che osservava con insistenza. Circondata da un bel giardino e da un prestigioso vitigno, vanto del proprietario, confinava su tre lati con un bosco di castagni e ciliegie selvatiche, e con un laghetto artificiale dove sguazzavano le anatre, sul quarto.

    Non notò alcuna luce sospetta. Dopo poco più di mezz’ora, decise di muoversi. Tirò fuori dallo zaino il passamontagna scuro e lo indossò, coprendo il viso affilato e i capelli lisci ancora scuri, raccolti in una coda di cavallo. I suoi occhi neri sembravano perdersi nell’oscurità. Attese ancora un paio di minuti. Poi scese dalla Panda.

    Il piano aveva inizio.

    Il cielo era carico di nubi pesanti, talmente gonfie da sembrare che volessero scoppiare da un momento all’altro. Una folata di vento gelido lo fece rabbrividire per un istante, poi s’incamminò lungo un viottolo con le spalle ricurve che lo facevano apparire ancor più basso del suo metro e sessantadue. Raggiunse il bosco, all’inizio del quale c’era un cartello con l’indicazione DIVIETO DI ACCESSO. Da lì, tra gli alberi spogli, tese l’orecchio. Aveva sempre avuto un ottimo udito e ora era l’occasione per sfruttarlo al meglio. Nessun rumore. Nessuna traccia di presenze umane, neppure di animali.

    Proseguì.

    Dopo essere passato davanti al cancello di ferro battuto, sorretto da pilastri di pietra, si trovò in una zona impregnata dal profumo di erbe selvatiche. Controllò l’orologio. Le lancette fosforescenti segnavano le 22:46.

    La guardia privata dell’istituto di vigilanza sarebbe ripassata intorno alle due. Qualche minuto dopo, ma non prima. Erano controlli metodici, come lui aveva avuto modo di constatare più volte. L’uomo fermava l’auto davanti al cancello mantenendo il motore acceso, scendeva per guardare intorno, poi lasciava il tagliando del suo passaggio nella cassetta di ferro, collocata sul muretto accanto a quella della posta. Era stato sempre così.

    Si avvicinò alla recinzione per aprirsi un varco con un tronchese. Entrò nella proprietà e poco dopo raggiunse il vitigno, dove si acquattò sul terreno per scandagliare per qualche minuto ancora una volta la zona. Dopo essersi accertato che non correva alcun rischio a uscire allo scoperto, si mosse in direzione del giardino. Lo tagliò a passi veloci e raggiunse il locale adibito a garage. Attraverso la finestrella con le sbarre di ferro, vide due grosse auto: un SUV e una Mercedes classe E scura. Proseguì passando davanti al pesante e lucido portone di ingresso e da un giro intorno alla villa non notò alcun segno di vita attraverso le finestre, né alcun sistema di videocamere esterne.

    Un’altra conferma.

    Sapeva, infatti, che il giorno prima, venerdì, il proprietario e la sua convivente erano partiti per Sydney, dove avrebbero trascorso le festività natalizie aspettando l’inizio del nuovo anno. Era una delle loro mete preferite per un paio di settimane al caldo, durante le quali immergersi in acque meravigliose e gustare pesce freschissimo. E poi per vivere le emozioni dello spettacolare gioco colorato dei fuochi d’artificio che illuminavano la celebre baia a Opera House.

    Ritornò davanti al portone, dove coprì le scarpe con due sacchetti di plastica e indossò un paio di guanti di gomma neri. Quindi trasse un profondo respiro e dalla tasca del giaccone prelevò la chiave. La inserì nella toppa, la girò dolcemente e il portone, girando sui cardini, si aprì.

    3

    L’atrio profumava di cera per mobili.

    Mauro Sacco, con un gesto veloce della mano, accese la torcia elettrica e la puntò in ogni direzione. Vide tappeti persiani ben distesi, il soffitto alto quasi sei metri, quadri a olio alle pareti, mobili d’antiquariato. Quindi, s’incamminò e, evitato l’ascensore sul lato destro, salì i gradini di pietra serena, larghi e lunghi quasi il doppio di quelli moderni.

    Raggiunse il primo piano, dove si diresse subito verso la camera da letto padronale. Appena ebbe abbassato la maniglia di fine ottone antico fu investito dall’odore di un costoso profumo. La stanza era molto spaziosa, il suo arredamento particolarmente raffinato con pezzi di antiquariato e fini tendaggi alle finestre. In un angolo, spiccava un vecchio camino davanti al quale erano sistemate due avvolgenti poltrone rivestite dello stesso tessuto delle tende con il disegno giallo del giglio fiorentino su fondo rosso amaranto. Poco distante, una chaise longue antica. Era la stanza più lussuosa e sfarzosa che avesse mai visto dal vero. Proprio come quelle pubblicate in certe riviste patinate di arredamento.

    Per un lungo istante, fissò la porta semiaperta nella parete di fronte e, dopo aver annuito a se stesso, la oltrepassò.

    Ora finalmente era nel posto giusto.

    Lì campeggiavano, una di fronte all’altra, due cabine armadio in stile moderno. Aprì le ante per controllarne il contenuto: in una abiti e indumenti da uomo, nell’altra, femminili. Si concentrò su quest’ultima parte. Illuminò i pannelli posteriori e notò alcune viti allentate. Tirò fuori dallo zaino il cacciavite e le svitò. Tolse il pannello e vide la cassaforte nella nicchia. Non si sorprese per nulla quando notò che era di quelle con la combinazione. Prelevò dallo zaino il suo socio. Era così che chiamava lo strumento, piccolo come un pacchetto di sigarette, con un microchip capace di individuare in pochi secondi la sequenza numerica esatta. Non lo aveva tradito mai. Se l’era fatto costruire anni prima da un esperto di informatica, a cui facevano capo le bande di criminali napoletane dedite ai furti nelle gioiellerie e nelle banche, non solo in Italia. Lo manovrò e presto sul display presero a lampeggiare dei numeri. Pochi secondi ancora e se ne stabilizzarono tre: 1-10-70. Girò le rotelline e, dopo l’ultimo numero, avvertì lo scatto.

    Bingo!

    Ripose gli attrezzi nello zaino e cominciò a tirar fuori il contenuto. Denaro contante, diviso in mazzette da cinquecento, da duecento e da cento euro. Tanto, ma sul momento non si chiese il motivo di una somma così grossa custodita in casa, anziché in banca. Astucci di gioielli con collane di perle pregiate. Collier di griffe famose. Anelli. Orologi, tra cui costosissimi Rolex sia da donna sia da uomo. Diversi modelli Patek Philippe molto ricercati e ambiti. Una vera collezione che valeva da sola un ingente patrimonio. Guardò le lancette dell’orologio: le 23:12.

    Sentendosi baciato dalla fortuna, con calma incominciò a riempire lo zaino determinato a non lasciare proprio nulla di quel ben di dio. Stava per realizzare il colpo della sua vita, sognato per tanti anni. Il colpo che gli avrebbe assicurato un bellissimo futuro.

    Non immaginava, neppure lontanamente, però, che di lì a breve sarebbe accaduto qualcosa.

    4

    In quei minuti una BMW nera serie 7 procedeva velocemente su una strada di campagna.

    A bordo, due persone. Un uomo e una donna.

    La coppia, circa un’ora prima, aveva lasciato il ristorante La Bettola del Buttero, nei pressi dell’autostrada A1, al confine tra la Toscana e l’Umbria. Un vecchio casale in pietra all’apparenza simile a un piccolo castello medievale, trasformato in locale per i viaggiatori in transito.

    Avevano mangiato bruschetta con fagioli e una tenera bistecca, cucinata nella mega griglia sul camino di pietra al centro della sala più grande. E bevuto un gradevole vino Chianti Gallo Nero dal famoso vitigno a bacca rossa tipico della zona, occupando un tavolo ad angolo in una piccola sala con le foto di personaggi famosi del cinema e della televisione affisse alle pareti.

    Avevano quindi ripreso il viaggio sulla stessa autostrada, da dove erano usciti al casello di Incisa Valdarno per prendere la strada provinciale 16 diretti verso il Chianti.

    La nottata sarebbe stata lunga e piacevole.

    5

    Mauro Sacco bloccò le mani, piccole come quelle di un ragazzino, all’interno dello zaino. Era il rombo di un motore a inquietarlo. Istintivamente, spense subito la torcia.

    E, come un serpente, strisciò verso una delle due finestre per sbirciare fuori. Un’auto percorreva il vialetto del giardino. La seguì con lo sguardo fino all’angolo più distante del parcheggio. Poco dopo le portiere anteriori si aprirono quasi simultaneamente e scesero due persone. Aguzzò la vista per metterle a fuoco. Inutilmente. Troppo buio. Meditò.

    I proprietari non potevano essere. E allora? Altri ladri? No, si disse. Sarebbe stata una coincidenza eccezionale. E poi non sarebbero giunti dall’ingresso principale. Dovevano aver aperto il cancello con la chiave. Familiari dei proprietari? Amici intimi? Forse.

    Cercò di cogliere qualche rumore e, poco dopo, sentì quello tipico del portone che si richiudeva.

    Hanno aperto con la chiave!

    Valutò velocemente la situazione e gli venne in mente una sola possibilità: nascondersi nell’angolo più lontano della cabina armadio. E così fece. Posò lo zaino accanto a sé, dopo essersi sdraiato con le gambe allungate. Immobile come un manichino. Dopo un paio di minuti, avvertì il rumore dell’ascensore e subito dopo dei passi che si avvicinavano. Il cigolio dei cardini della porta della camera da letto e il tonfo prodotto dalla sua chiusura gli confermarono che erano lì, proprio nella stanza accanto.

    Pochi attimi ancora e colse un’esplosione di gioia.

    Allegri!

    Impietrito, Mauro Sacco provò a ricostruire i suoi movimenti. No, non aveva commesso alcun errore. Non aveva toccato nulla in quella stanza. Ogni oggetto era rimasto al suo posto.

    Distinse le voci: una maschile e l’altra femminile. Gente matura.

    Cercò di farsi ancor più piccolo, pur sapendo che, se qualcuno avesse aperto la porta della cabina, lui non sarebbe stato invisibile. E non avrebbe potuto fare nulla, anche perché non aveva portato con sé alcuna arma. Neppure un coltello. Lui quegli aggeggi di morte li odiava. Continuò a tendere l’orecchio, sperando di evitare i crampi. In più di vent’anni di attività ladresca, non gli era mai capitata una situazione simile. Sì, aveva rubato anche mentre i proprietari dormivano candidamente nei loro letti, essendo consapevole della loro presenza e avendo programmato ogni cosa per non farsi scoprire. Tutto era andato sempre alla perfezione. Adesso però era diverso per un imprevisto non calcolato.

    Intanto altri sghignazzi continuavano a giungergli alle orecchie. Quei due dovevano essere mezzi brilli.

    Meglio così!

    Moralmente risollevato, scivolò ancora più in fondo come un pesce nel mare, convinto di dover trascorrere in quella posizione la notte più lunga della sua vita. Per un istante, però, immaginò la porta che si apriva e il volto di un uomo che orientava lo sguardo dentro con una pistola in pugno. Gli sembrò addirittura di vedere la canna allungata dal silenziatore, proprio come quella di un killer. Ben presto avvertì un forte desiderio di aria che lo liberasse da quella specie di bolla velenosa salita alla gola per soffocarlo. Rabbrividì e dovette sforzarsi per rimanere fermo e in silenzio.

    Attese come un topo intrappolato, cercando di comprendere qualche parola per farsi anche un’idea sull’identità dei due. Intanto, però, al pensiero di trovarsi a due passi da una morte violenta, sentì il sangue gelargli nelle vene. Mentre il sudore gli bagnava la fronte e gli colava giù lungo la schiena provocandogli il solletico.

    Maledetta notte!

    6

    «Al tuo successo, Lori!» pronunciò l’uomo con un tono sensuale. Era sulla quarantina. Alto sul metro e ottanta, magro, il suo aspetto dimostrava una lunga esperienza di vita.

    Aveva riempito due coppe di champagne porgendone una alla donna, più giovane, bella da mozzare il fiato.

    Le fecero tintinnare in un brindisi, fissandosi negli occhi desiderosi.

    «Pensi davvero che sarà un successo?»

    «Ne sono convinto.»

    «E per il problema di cui ti ho parlato?»

    «Devi stare serena. Ci penso io a risolverlo. Te lo prometto e sai che sono di parola.»

    «Ti conosco bene.»

    Lei allungò la mano libera e lo accarezzò sui capelli scuri, corti e con la riga laterale.

    Vuotarono le coppe e l’uomo riempì di nuovo la sua bevendo d’un fiato. Quindi, l’appoggiò sul tavolino davanti alle poltrone e si avvicinò alla donna per abbracciarla.

    «Aspetta! Devo andare in bagno» protestò lei.

    Al suo ritorno dopo pochi minuti, apparve avvolta in una vestaglia di seta color carne sul corpo nudo. Lo trovò seduto ai piedi del letto con indosso solo i boxer neri. Gli si sedette sulle ginocchia sfiorandogli la guancia con le labbra. Incominciò a baciarlo sul collo, mentre le mani di lui si muovevano lungo la schiena sotto la vestaglia, ora aperta completamente, fino a giungere sulle natiche.

    Lei sembrò volersi abbandonare al piacere e lui l’attirò a sé. Subito dopo le sue dita, lunghe e sottili, affondarono con forza nella carne. E una smorfia di dolore apparve sul viso di lei che tentò, invano, di allontanarsi.

    Lui l’agguantò ancor più forte stringendola tra le braccia, poi le sfilò la vestaglia che scivolò sul pavimento e la distese sul letto. Subito dopo le sollevò le gambe appoggiandole sulle sue spalle, mentre le mani si appoggiavano ai seni. Li strizzò così forte che lei emise un grido di dolore.

    Lori lo schiaffeggiò con una violenza tale da avvertire una fitta di dolore salire su per il braccio fino alla spalla.

    «Sei un pazzo!»

    Lui rispose con un manrovescio altrettanto violento. Gocce di sangue affiorarono all’angolo della bocca di lei, scivolandole sulle labbra carnose.

    «Sei un pervertito!» strillò, liberandosi finalmente dalla presa, quindi si alzò dal letto per andare a sedersi sul pavimento sopra la vestaglia con in bocca il sapore del proprio sangue.

    Sul volto dell’uomo spuntò il sogghigno proprio di una belva che si appresta ad attaccare la preda. Nessuna si era permessa di apostrofarlo con quegli epiteti. Lui, sì, aveva dei vizietti, ma proprio pazzo e pervertito non era. E poi come si permetteva di aggredirlo in quel modo? Proprio lei, che gli doveva la sua fortuna? Il cambio di rotta della sua vita passata? La ricchezza inimmaginabile che, da un giorno all’altro, si era ritrovata tra le mani?

    «Sei uno sporco maniaco sessuale!» urlò ancora Lori, mentre si sollevava da terra. Lui la prese per un braccio e con un movimento fulmineo glielo torse, strappandole un altro grido di dolore e facendola crollare pesantemente di nuovo sul pavimento. Quando lei si rialzò, dopo aver preso lentamente fiato, nei suoi grandi occhi brillavano lampi di rabbia.

    Nel frattempo anche lui si era alzato.

    E, quando furono uno davanti all’altra, lei gli mollò una ginocchiata in mezzo alle gambe, che lo fece piegare in due e crollare sul pavimento. Gemette, mentre lei recuperava la vestaglia per indossarla. Voleva fuggire, ma non calcolò l’immediata reazione dell’uomo che, con un movimento improvviso, l’afferrò per una caviglia facendola cadere ancora una volta con un tonfo.

    «Puttana! Sei una lurida puttana e tale rimarrai per sempre!»

    Lei reagì ancora una volta, scalciando, senza però riuscire a liberarsi dalla presa. Quelle mani le sembravano una tenaglia pronta a stritolarla.

    «Troia di merda!» le gridò ancora lui con gli occhi quasi fuori dalle orbite. E, alzatosi, la prese per il collo sollevandola. Quindi cominciò a stringerlo, mentre gli occhi di lei si riempivano di terrore. Sentiva il respiro venir meno. Cercò di graffiarlo sulle braccia per fargli mollare la presa. Inutilmente, però. Lui era molto più forte. I suoi occhi allora si posarono per un attimo sullo scrittoio antico con alzata a scomparsa. Allungò il braccio e, impugnato il tagliacarte, con tutta la sua forza affondò la punta nel braccio destro dell’uomo.

    Un urlo terribile, viscerale, orrore trasformato in voce capace di far crollare il soffitto, rimbombò nella stanza.

    Lei non scappò via.

    7

    La sua mano vibrava nell’aria l’arma su cui si rifletteva la luce del lampadario. In quell’istante, con tutta l’energia che riuscì a raccogliere, gli scagliò un calcio colpendolo dritto nei testicoli.

    Lui emise un nuovo urlo, mentre altre gocce di sangue gli scivolavano dal braccio sul pavimento. Piegatosi sulle ginocchia, subito dopo rovinò completamente per terra in preda a ripetuti sussulti.

    «Ti taglio i coglioni!» gridò la donna come un cane arrabbiato con la bava alla bocca, mentre si ripeteva di volerlo sbudellare.

    Sembrava possedere una forza insperata e nei suoi occhi brillava la luce omicida. Sì, doveva ucciderlo, quel bastardo che si era permesso di apostrofarla come puttana e troia di merda. Aveva iniziato a torturarla con i suoi giochetti erotici, quei giochetti di cui fino a quella sera aveva sentito soltanto parlare da qualche sua vecchia conoscenza.

    Con un gesto veloce, si mise a cavalcioni su di lui e tese ancora più in alto il braccio destro per affondargli il colpo risolutivo.

    Lui capì le intenzioni.

    La fissò negli occhi e in quell’attimo pensò di avere solo qualche istante di vita. Intanto il suo viso, arrossato, era rigato da un rivolo di sudore che scorreva lungo la guancia, mentre la vena del collo, ingrossata, pulsava visibilmente.

    Quando il braccio di lei incominciò ad abbassarsi, lui con una mossa fulminea rotolò di lato riuscendo a scansare il colpo. Poi si sollevò e con un salto raggiunse la poltrona sulla quale aveva appoggiato il suo revolver Smith & Wesson a cinque colpi, coperto dai pantaloni del vestito. Lo impugnò, sollevò il braccio e mirò. Esplose due colpi, mentre lei cercava di raggiungere la porta per fuggire.

    Inutilmente, però.

    Un proiettile la colpì alle spalle, l’altro alla testa. Cadde sul pavimento con un tonfo e, con il suo ultimo respiro, lanciò una maledizione che nessuno poté ascoltare. Intanto schizzi di sangue e di materia grigia si erano sparsi tutt’intorno.

    Rimase immobile.

    E nella stanza sopraggiunse il silenzio.

    Della morte.

    8

    Tremava come una foglia sbattuta dal vento.

    Erano stati momenti insopportabili per Mauro Sacco. Sempre più teso, aveva distinto solo poche parole. Mai una frase intera. In maniera chiara, invece, gli erano giunti le urla, i gemiti e i due potenti boati che gli erano sembrati detonazioni di esplosivo. Ed era certo che a due passi da lui si era consumata una tragedia.

    Quando avvertì il rombo della Bmw che si allontanava, immaginò che presto avrebbe ascoltato le sirene delle auto della polizia. Con cautela uscì dal nascondiglio, senza avere la cognizione del tempo effettivamente trascorso. Accese la torcia.

    E, per la seconda volta nella sua vita, si trovò davanti al cadavere di una donna.

    Aveva appena cinque anni quando, per tutta la notte, aveva vegliato il corpo privo di vita della madre, uccisa da un uomo violento, un alcolizzato con cui conviveva dopo la separazione dal marito, rinchiuso in carcere per alcune rapine e un omicidio che in città aveva fatto tanto scalpore.

    La madre era stata freddata nel corso dell’ennesimo litigio, sotto lo sguardo terrorizzato del figlio, con numerosi colpi di una pistola calibro 7,65 munita di silenziatore. Quelle immagini, sequenza dopo sequenza, erano rimaste impresse nella memoria del piccolo Mauro come un video.

    Verso le otto di mattina, aveva suonato al campanello della vicina di casa chiedendo aiuto. Intanto l’assassino aveva avuto tutto il tempo per prendere il volo. Un rimorso terribile che si era portato dentro negli anni perché, se avesse dato l’allarme subito, forse quel bruto sarebbe stato catturato e costretto a pagare per il suo delitto.

    Pietrificato davanti al cadavere, spostava i suoi occhi ora sul corpo, con una parte della testa orrendamente mutilata, ora sulla pozza di sangue. Dopo alcuni attimi, si lasciò cadere su una poltrona e incominciò a massaggiarsi le gambe per riattivare la circolazione, mentre con la mente rivisitava tutti i movimenti fatti. Non trovò niente di cui doversi preoccupare. Non aveva lasciato nessuna impronta di piedi e di mani. Né tantomeno tracce biologiche.

    Nulla.

    A un tratto, manovrando la torcia intorno, notò uno scintillio sotto il cassettone appoggiato alla parete di fronte. Si avvicinò e, dopo essersi accovacciato, vide un oggetto. Lo prelevò per osservarlo da vicino. Una lama con manico. Un’arma. Sporca di sangue. Dopo aver riflettuto a lungo, decise di portarla con sé.

    In un cassetto dello scrittorio trovò una busta rinforzata. La aprì e infilò la lama, quindi pose la busta nello zaino insieme alla refurtiva. Adesso doveva allontanarsi al più presto per non essere sorpreso e con ogni probabilità accusato di un omicidio che non aveva commesso, ma di cui era stato casualmente testimone. Un testimone pericoloso. Stava mettendosi lo zaino sulla spalla, quando avvertì di nuovo il rombo di un motore. Spense la torcia, si avvicinò alla finestra e vide chiaramente l’auto. Gli pareva la stessa di prima. E questa volta riconobbe il modello perché era stata parcheggiata più vicino alla finestra. Era una grossa Bmw. Distinse pure meglio la figura dell’uomo che gli sembrò magro e abbastanza alto.

    Dannazione!

    Si chiese se dovesse collocare l’arma lì dove l’aveva raccolta e ritornare nel suo nascondiglio, oppure fuggire. Meglio fuggire. Non gli andava di ritornare in quella gabbia dove rischiava di essere scoperto e con ogni probabilità assassinato. Si avvicinò all’altra finestra della stanza nascosta dal vialetto e dal portone di ingresso. Aprì lo zaino e tirò fuori una corda di una trentina di metri che aveva portato con sé. Ne legò un’estremità al piede del massiccio cassettone e, dopo aver aperto la finestra, la srotolò verso il basso. Quindi tolse i sacchetti di plastica dalle scarpe e li ripose nella tasca del giaccone. Subito dopo incominciò a calarsi lentamente. Poi avrebbe dovuto solo correre con tutte le sue energie. Come un topo in fuga da una baracca in fiamme.

    Era una questione di vita o di morte.

    9

    La Bmw aveva percorso solo pochi chilometri, quando l’assassino si era ricordato di non aver prelevato l’arma con cui era stato ferito al braccio. Fatta subito inversione di marcia, aveva guidato a tutto gas come un folle.

    Entrato nella stanza da letto, ebbe un attimo di sbigottimento alla vista della fune. Avvicinatosi alla finestra, i suoi occhi per un lungo attimo rimasero incollati sulla sagoma che schizzava nell’oscurità.

    Pezzo di merda!

    Diede una veloce occhiata vicino al cadavere, ma non vide l’arma. Senza perdere altro tempo si precipitò fuori scendendo velocemente le scale e corse nella direzione presa dal fuggitivo. Il quale intanto arrancava tra gli alberi, zigzagando, con il cuore che gli martellava sempre più forte nel petto e senza preoccuparsi delle tracce che avrebbe lasciato. Era fiducioso dell’oscurità. La luna continuava a non farsi vedere e lui, vestito completamente di nero, pensava di rimanere invisibile. Continuò a correre senza avvertire il peso dello zaino che avrebbe potuto rallentare la sua fuga. A un tratto però ebbe la sensazione di poter essere raggiunto dal suo inseguitore e si infilò in una scorciatoia notata durante uno dei suoi sopralluoghi. Riacquistò terreno e, quando uscì dagli alberi, si ritrovò davanti alla Panda. Salì con i polmoni in fiamme, mise in moto e partì, mentre il sudore gli inondava la fronte e il viso scendendogli giù per la schiena e le gambe. Al rombo del motore l’inseguitore accelerò, come spinto da un uragano, ma quando uscì dal bosco fece appena in tempo a vedere le luci rosse dei fanalini di coda della macchina che sbandava ora a destra ora a sinistra. Un attimo dopo anche le luci scomparvero. Con il fiato corto e in un lago di sudore, ritornò alla sua Bmw con la mente martellata da una rabbia rovente per l’errore commesso. Un errore che rendeva possibile la sua identificazione. E questo non doveva accadere.

    Intanto Mauro Sacco continuava a spingere a fondo l’acceleratore come se, al posto del piede, avesse una mazza da muratore.

    Giunto a casa, si chiuse la porta alle spalle con un sospiro di sollievo. Schiacciò l’interruttore della luce e i faretti sulle pareti dell’ingresso si accesero. Le luci fecero luccicare il velo di sudore sul suo viso pallido. Con il dorso della mano si asciugò la fronte, poi lasciò scivolare lo zaino sul vecchio pavimento di cotto. Quindi corse alla finestra per guardare fuori, giù in strada. Non vide anima viva. Si trattenne pochi attimi ma i suoi occhi non notarono alcunché di strano. Tutto era silenzioso e tranquillo. No, nessuno l’aveva seguito.

    I primi chilometri li aveva percorsi come se fosse stato tallonato dal diavolo, poi, imboccata la superstrada, aveva guidato in maniera regolare per non destare sospetti. A un certo punto aveva incrociato una Volante della polizia ma, nonostante i suoi timori, i poliziotti avevano proseguito sulla loro strada. Raggiunto il parcheggio dell’aeroporto di Peretola, aveva abbandonato la macchina e, a bordo del suo vespone grigio scuro, era arrivato a casa a Borgo San Frediano, il rione al di là dell’Arno, dove un tempo si trovavano le botteghe di abili artigiani, veri artisti di una Firenze ormai scomparsa.

    Andò a distendersi sul divano senza pensare al ricco bottino. Pensò alla sensazione di trionfo che di solito assaporava dopo aver raggiunto l’obiettivo. Nella sua mente, invece, questa volta dominava un senso di ansia misto a paura.

    Uno stato d’animo nuovo.

    10

    Chiuse gli occhi.

    Rivide mentalmente come in un film ogni attimo. Analizzò i movimenti sin da quando era entrato nella proprietà e all’interno della villa. Ancora una volta gli sembrò di non aver commesso alcun errore. Poi udì i gemiti, le urla, gli spari. Rivide il cadavere, il sangue, l’arma macchiata. Non avrebbe dovuto possederla perché avrebbe potuto incastrarlo. Poi, la scena della fuga con l’assassino che lo inseguiva per ucciderlo.

    Un brivido gli percorse la schiena.

    Scosse la testa e si disse che quell’uomo non poteva averlo visto, considerate la distanza e l’oscurità, al massimo avrebbe potuto ipotizzare la sua altezza, forse la sua corporatura minuta. Nient’altro di preciso. E così, senza altri dettagli, quali l’età, la razza, le caratteristiche del viso, quell’inseguitore era destinato a brancolare nel buio. Come pure la polizia, sempre che l’uomo avesse presentato una denuncia. Un’eventualità irrealizzabile a meno che non si fosse nascosto dietro a una segnalazione anonima.

    Senza contare che aveva corso come un dannato, quindi quell’uomo avrebbe potuto pensare a un giovane. In quel caso la polizia avrebbe orientato le indagini verso un ventenne o al massimo un trentenne, forse extracomunitario, dedito ai furti nelle abitazioni. Un’ipotesi credibile.

    Quest’ultimo pensiero lo aiutò a rilassarsi.

    Analizzò ancora una volta il proprio modus operandi. No, concluse con sollievo, non aveva commesso nessun errore. Era stato estremamente cauto. Come sempre. E la sua cautela fino a quel momento era stata sempre premiata. Certo, potevano esserci delle fotocamere nascoste, facili da mimetizzare, ma lui aveva indossato il passamontagna e nella villa non se lo era tolto neppure per un attimo.

    Posso stare tranquillo, tranquillo, tranquillo… si ripeté più volte come un mantra.

    Quindi, si alzò,

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