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“Otranto, il punto più a oriente d’Italia, è da millenni una città porto”, dice Predrag Matvejevic. L’antica città messapica fu greca, romana, bizantina, gotica, normanna, sveva, angioina, aragonese, sempre dialogando con il mare. Attraverso le grandi istituzioni monastiche, gli insediamenti rupestri e gli anacoreti, ha aperto la porta alla Grecia, alla Chiesa d’Oriente, alla luce di Bisanzio. Otranto è luogo di luce meridiana che acceca e (1997), romanzo ambientato nella Puglia del ’400 sconvolta dalle incursioni saracene, racconta il massacro nel 1480 di 800 abitanti ad opera dei turchi. Sontuoso di rosso scarlatto, accecante di bianco su bianco e melodioso di blu marino, , il film di Carmelo Bene (1937-2002) è un capolavoro di delirio visionario che quando uscì, nel 1968, suscitò proteste e indignazione. Potrebbe bastare quest’opera - dapprima romanzo (1965), poi rappresentazione teatrale (1966) e pellicola cinematografica (1968) - a consacrare il grande attore come il figlio illustre di Otranto. Nato a Campi Salentina, Bene amava creare nella tranquillità della sua casa di Otranto, nella quale si ritirava per lunghi periodi dell’anno, inebriato dal rumore del mare.