Come radice nella pietra
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Anteprima del libro
Come radice nella pietra - Federico Iannaccone
633/1941.
Prologo
Scende forte la pioggia, troppo forte.
Sento rimbombare nelle orecchie il crepitio dell’acqua che rimbalza sulle foglie, sento il profumo dell’erba bagnata e della terra umida.
Vedo i rami dei possenti alberi piegarsi sotto i colpi del vento che si fanno sempre più violenti.
Non c’è nessuno intorno a me, sono sola, molto sola.
Il dolore che percepisco alla gola si sta facendo insopportabile; quella che inizialmente era una piccola ferita è diventata nel corso dei giorni una profonda lacerazione che continua a sanguinare copiosamente. Il filo di ferro che l’ha provocata sta penetrando sempre di più nella mia carne.
Sento che ormai le forze mi stanno abbandonando, il mio istinto mi dice che mi rimane poco da vivere. Sto morendo, e non so il motivo.
Un uomo che ho tanto amato negli anni passati mi ha lasciata qui, in mezzo alla giungla, in mezzo al nulla, legata ad un albero, ed è scomparso.
Penso e ripenso a che cosa abbia fatto di male per meritare questo: forse ho abbaiato troppo, ho richiesto troppe attenzioni, non lo so. L’unica cosa che so è che adesso ho paura, ho freddo, ho fame.
Mi lascio cadere sull’erba bagnata, il cappio mi stringe forte la gola, ma le zampe non mi reggono più. Ho sonno, mi addormento, ben sapendo che forse non mi risveglierò.
Improvvisamente inizia a risuonare nella mia mente annebbiata un rumore leggero, che si fa man mano più forte, più vicino. Con un grande sforzo apro gli occhi e nel mezzo della tormenta vedo qualcosa muoversi velocemente tra gli alberi, e poi sento un grande frastuono. A pochi metri da me il rumore cessa. Torna il silenzio. Ora dei passi si muovono lentamente nella mia direzione e il mio primo pensiero è che sia lui, che sia tornato, che abbia cambiato idea e mi voglia riportare a casa, la nostra casa. Ma non è così. La persona che si sta avvicinando è un’altra, ha un odore che non riconosco. Per un attimo i nostri sguardi si incrociano, poi la vista mi si annebbia e, spaventata e indebolita, perdo i sensi abbandonandomi al mio destino.
Capitolo I
Mi sentivo davvero euforico, ero arrivato a Playa del Carmen da una settimana e il progetto era di rimanerci diversi mesi; finalmente ero riuscito a prendermi una pausa da tutto e da tutti, realizzando il sogno che mi portavo dentro dai tempi del liceo: un periodo sabbatico.
In quegli anni purtroppo non avevo avuto il coraggio di farlo. Era stato più facile continuare a vivere la vita che gli altri si aspettavano da me. A trentadue anni suonati, avevo finalmente deciso di partire, andando contro coloro che dicevano che era una cosa stupida, che ormai ero vecchio, che avrei lasciato un ottimo posto di lavoro. Scuse, queste, che spesso utilizziamo per convincere non tanto gli altri quanto noi stessi, mettendo a tacere il nostro cuore e accantonando i nostri sogni.
La mia felicità era anche dovuta al fatto che avrei finalmente passato del tempo con mio fratello Luca, al quale sono molto legato e che da ormai tanti anni si era trasferito in quella località marittima. Lavorava come skipper per crociere a vela nel mar dei Caraibi. È sempre stato uno spirito libero.
Con lui condividevo un grande amore per la natura. Era stato proprio questo amore a portarci in Messico, paese in cui convivono ecosistemi straordinari.
Avevamo trascorso i primi giorni del mio soggiorno facendo immersioni subacquee insieme, per visitare i punti più belli del reef. Ho sempre amato calarmi con le bombole nelle profondità del mare. Si viene catapultati in una realtà a noi sconosciuta, in cui i pesci non ti considerano più una minaccia come in superficie, ma ti permettono di condividere con loro quel mondo di pace e di silenzio.
C’erano molte altre avventure acquatiche in programma, ma la mia priorità era visitare la giungla e i suoi famosi cenotes. Questi ultimi sono delle piscine naturali di acqua dolce, collegate tra loro da una fitta rete di grotte sotterranee, che si sviluppano attraverso tutta la penisola dello Yucatan.
Mi era stato detto che la migliore agenzia per questo tipo di escursioni si chiamava Mexxtremo Adventures. Loro infatti non vendono le classiche gite turistiche per persone in cerca di qualche bella foto da far vedere agli amici al ritorno dalle vacanze. Organizzano invece vere e proprie esperienze estreme a contatto con la natura.
Dopo averli incontrati, capii subito che facevano al caso mio. Tra le varie opzioni che mi proposero, scelsi l’avventura con i quad. Queste moto fuoristrada a quattro ruote mi avrebbero portato nel bel mezzo della giungla, da cui sarebbe partita una visita speleologica nelle grotte.
L’appuntamento era per la mattina seguente.
Capitolo II
Arrivai a piedi al punto di ritrovo fissato per la partenza dell’escursione, l’ufficio di Mexxtremo nel centro di Playa del Carmen, a due passi dalla via principale della città, la quinta.
Erano le 7. Il cielo prometteva pioggia, cosa del tutto normale per quel periodo dell’anno; era agosto, piena stagione umida.
Fui accolto dai due proprietari dell’agenzia, José Juan, un messicano dal fisico piuttosto atletico amante degli sport estremi, e Ivo, un ragazzo italiano molto simpatico che anni prima era riuscito a coronare il suo sogno lasciando la grigia Milano per aprire un’attività ai Caraibi.
Ci fu un piccolo briefing esplicativo, dopodiché mi diedero l’attrezzatura necessaria e mi portarono alla moto, dove mi stavano aspettando le mie guide Paco e Raul.
Dopo una breve presentazione e qualche raccomandazione i due mi fecero montare in sella e mi chiesero di seguirli.
Nella cittadina non c’era traffico e in pochissimi minuti raggiungemmo la giungla.
Quello che amo della penisola dello Yucatan è la possibilità di passare da un paesaggio all’altro in breve tempo: mare, città, selva, tutto a distanza di pochi chilometri.
Arrivati sulla strada sterrata le guide si fermarono, mi fecero cenno di spegnere il motore e Paco mi disse: «Ricordati che da