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Se il cibo diventa barriera

, il neo-formato Governo Meloni ha presentato la nuova denominazione del Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, la confusione terminologica e semantica – legata soprattutto alla vicinanza tra sovranità e sovranismo – ha scatenato polemiche, paure e grida di vittoria parimenti infondate: quali che fossero le ragioni della scelta (mai davvero chiarite) la sovranità alimentare è in realtà un pensiero che attraversa in maniera transnazionale le correnti “ruraliste” di tutto il mondo, da Slow Food alla Via Campesina (movimento internazionale a difesa della piccola agricoltura sostenibile), con il fine di garantire il diritto dei popoli all’autodeterminazione delle proprie politiche alimentari in ottica di bene comune, sottolineando la connessione tra territori, comunità e cibo. Tuttavia, pur visto in questa chiave più condivisibile, anche il concetto di sovranità alimentare, e l’orgoglio identitario legato al, pubblicato da People, a cura di Michele Antonio Fino, docente dell’UniSG di Pollenzo, e Anna Claudia Cecconi, esperta in scienze gastronomiche (con un contributo di Andrea Bezzecchi, produttore di aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia in polemica con le maglie larghe della Igp modenese), che analizza con dovizia normativa il sistema europeo delle Denominazioni d’Origine, emblema di quella che gli autori definiscono efficacemente “food heritage fever”. E (solo in inglese al momento, per Columbia University Press) di Fabio Parasecoli – esperto di Food Studies e docente della New York University con collaborazioni accademiche che spaziano dalla Bologna Business School all’Accademia Polacca delle Scienze di Varsavia – che a partire dal titolo abbraccia un’ottica più ampia del fenomeno.

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