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L'appetito sociale: Il cibo come desiderio di riscatto nel linguaggio cinematografico di Pier Paolo Pasolini. Il caso di «Mamma Roma»
L'appetito sociale: Il cibo come desiderio di riscatto nel linguaggio cinematografico di Pier Paolo Pasolini. Il caso di «Mamma Roma»
L'appetito sociale: Il cibo come desiderio di riscatto nel linguaggio cinematografico di Pier Paolo Pasolini. Il caso di «Mamma Roma»
E-book338 pagine4 ore

L'appetito sociale: Il cibo come desiderio di riscatto nel linguaggio cinematografico di Pier Paolo Pasolini. Il caso di «Mamma Roma»

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Info su questo ebook

L’anno 2018 è stato proclamato Anno nazionale del cibo italiano. Ciononostante mostra enormi squilibri e contraddizioni, soprattutto in riferimento a tematiche come il cibo e la povertà. Il testo compie una disamina dei modelli nutrizionali che si sono storicamente affermati e analizza il rapporto tra il cibo e la cultura partendo da una prospettiva filosofica e passando attraverso la lettura di alcune operette letterarie, con lo scopo di porre l’accento sul cibo come ‘fattore identitario’. Luogo di elezione per la parte empirica è il cinema, da sempre spazio di raccolta e di espressione enfatica dei sogni che animano l’immaginario collettivo. La centralità delle immagini è cruciale nello studio dei paradossi tipici dell’epoca attuale, tra i quali spicca la ‘cibomania contemporanea’. Il cinema è un ambito privilegiato per le analisi dei mutamenti intercorsi nella società. La scelta è caduta su Mamma Roma poiché in tale pellicola Pier Paolo Pasolini affronta il tema del passaggio dalle periferie al centro con il conseguente percorso ascendente che la protagonista intende seguire. In tale cornice il cibo assume i tratti di una chimera mai raggiunta e di un traguardo inafferrabile da parte dei “poveri Cristi”, derelitti di ogni epoca, che nei panni dei “pellegrini del cibo” inseguono una meta, una terra promessa sempre all’orizzonte e destinata a svanire nel tentativo incessante di dare senso alla propria ricerca. Il cibo e la fame diventano le proiezioni del desiderio di vedere migliorata la posizione di partenza, le condizioni emblematiche, persistenti e mai rimosse, di chi esprime il proprio ‘appetito sociale’ nei termini di una precisa volontà di riscattarsi, senza soluzioni di sorta, dalla condizione subalterna di appartenenza.
***
Eleonora Sparano è Sociologa con specializzazione in Metodologia della Ricerca sociale e Dottore di Ricerca in Politiche sociali e Sviluppo locale. Durante il suo percorso ha affrontato il tema delle disuguaglianze scolastiche basate sul genere e sulla stratificazione sociale, approdando allo studio del diverso accesso alle risorse naturali, all’acqua e al cibo. È stata Assegnista di Ricerca presso l’Università di Roma Tre e Docente di Sociologia per l’Università di Viterbo. Attualmente è Cultrice della materia in Sociologia dei processi culturali (Roma Tre) e al di sopra di ogni cosa è madre di una splendida bambina, al momento di tre anni, alla quale desidera mostrare con l’esempio che cosa significa coltivare, proteggere e difendere i propri sogni con il coraggio, la forza e la fiducia che occorrono per affrontare il domani.
LinguaItaliano
Data di uscita4 ott 2018
ISBN9788832760484
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    Anteprima del libro

    L'appetito sociale - Eleonora Sparano

    L'autrice

    Introduzione

    Il rapporto sullo stato di sicurezza alimentare e sulla nutrizione mondiale pubblicato dalla Fao il 15 settembre 2017 mostra come lo spettro della povertà e della fame nel mondo sia tutt’altro che rimosso. Il fatto stesso che le più importanti agenzie non governative, Fao, Ifad, Unicef, Wfp e Oms, si siano date l’impegno di ridurre drasticamente la fame e le forme di malnutrizione entro il 2030 indica che si è ancora lontani dall’abbattere in maniera definitiva il problema. I dati del Rapporto Fao (2017) mostrano la drammaticità della situazione in cui versano ancora milioni di persone e parlano di un nuovo aumento del numero dei poveri, dei soggetti esposti al rischio dell’esclusione sociale, della carenza di risorse primarie, come l’acqua e il cibo, e della malnutrizione, dovuta alla fame, le cui principali cause sono da individuare nell’aumento dei conflitti e nei cambiamenti climatici.¹ Secondo le stime prodotte, nel 2016, i soggetti colpiti ammontano a 815 milioni, segnando un incremento di 38 milioni rispetto all’anno precedente, raggiungendo così il 11% della popolazione mondiale.² Sono 155 milioni i bambini di età inferiore ai cinque anni in condizioni di ‘sottosviluppo’, ossia troppo bassi per la loro età, mentre 52 i minori che soffrono di deperimento cronico, non avendo un peso adeguato alla loro altezza. A preoccupare i sottoscrittori dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030 non sono solo i minori in condizioni di sottopeso, ma anche quelli in evidente stato di sovrappeso e di obesità (41 milioni). Chiaramente gli eccessi di peso colpiscono anche gli adulti, per una quota pari al 13% della popolazione mondiale. Anche in questo caso, il dato sconcertante è che le cause non sono da ricercare nell’abbondanza del cibo e nel benessere, bensì in una condizione cronica di malnutrizione, dovuta – oltre che ai suddetti ‘fattori ambientali’ – anche alle cattive abitudini di vita e alla recessione economica.

    E veniamo così ad un primo punto sul quale si intende riflettere in questa trattazione, incentrata sull’analisi dei vari paradossi esistenti all’interno del ‘sistema alimentare’. Tra gli aspetti significativi messi in luce dal Rapporto si legge il dato concernente la diffusione di molteplici forme della malnutrizione in ogni parte del pianeta, dalle quali deriva l’epidemia dei Disturbi del comportamento alimentare, anche nei paesi occidentali, usualmente considerati ricchi.

    Ciò che preme sottolineare, in una prima istanza, riguardo al corpo e al suo rapporto con il cibo, interessa gli eccessi di peso e di magrezza. L’epoca attuale, attraversata da complessità e contraddizioni in ogni dove, mette in scena una curiosa maniera di far risaltare, rispetto allo sguardo dell’indagatore esterno, le due facce della stessa medaglia. La condizione del sottopeso e dell’obesità per malnutrizione non rappresenta più una prerogativa esclusiva dei paesi poveri e di recente industrializzazione, perché – come il Rapporto menzionato tende a sottolineare – il numero dei soggetti in sottopeso, sovrappeso e obesità cresce pure nei paesi occidentali, caratterizzati da economie più floride.

    Per assurdo oggi la presenza di una magrezza eccessiva simboleggia, ai poli opposti del pianeta, condizioni di appartenenza emblematicamente diverse, sebbene in entrambi i casi si tratti dei dilaganti episodi di malnutrizione di cui si è detto. In un caso la magrezza esprime uno stato di penoso disagio, dovuto principalmente alla mancanza dei beni di prima necessità, come l’acqua e il cibo; in un altro viene ostentata e a volte addirittura ricercata, come simbolo di appartenenza a specifici ambiti sociali.

    Gli eccessi di magrezza, nelle società occidentali, talvolta possono racchiudere ed esprimere un bisogno di identificazione in un preciso status symbol, che denoti il possesso dei requisiti idonei a far parte dei ranghi più elevati del contesto in cui si vive. Pertanto, in questi casi, la selezione, la preparazione e la degustazione dei cibi e delle bevande si presenta come una ricerca, più o meno ostentata, delle prelibatezze più delicate, dei prodotti più raffinati in commercio, le cui qualità elevate e gli standards produttivi, certificati e controllati, sono in grado di garantire, presumibilmente, ottimali condizioni di salute. È chiaro che in un momento successivo intervengono le mani sapienti degli esperti gourmands, i quali praticano ogni artificio possibile pur di rendere individuabile all’esterno i tratti distintivi del proprio status, che solo persone altrettanto esperte delle sofisticherie dell’arte e della cultura culinaria sono in grado di riconoscere.

    In sintesi, se da una parte del globo la sottonutrizione rappresenta una condizione eterodiretta e imposta da ‘fattori esogeni’, come le gravi crisi ambientali, l’assenza di risorse e l’acuirsi dei conflitti, dall’altra, per contrapposizione, diventa una peculiarità a volte voluta e ricercata per trasmettere, con il corpo, messaggi di tutt’altro tipo sul sé e sulla propria appartenenza agli strati più alti della società, ai quali corrisponde, di norma, una maggiore attenzione per ciò che si mette in tavola.

    Nella parte ricca del pianeta si assiste ad un’esasperazione del ‘culto del corpo’, al quale si associa uno stile di vita orientato alla ricerca del benessere ad ogni costo. I dati mostrano l’incremento notevole registrato nel settore del wellness e di ogni pratica olistica che in qualche modo colleghi la mente e il corpo, attraverso la spiritualità. Il culto per il lato più espressivo ed esteriore della propria fisicità raggiunge limiti fino ad ora inimmaginabili, se si considera l’esistenza di alcuni gruppi, presenti in particolar modo nella rete, che pongono al centro della propria organizzazione, gerarchicamente strutturata, la ricerca ossessiva della magrezza, spinta fino al limite estremo dell’anoressia.

    Mentre i telegiornali lanciano l’allarme nazionale sulla diffusione dei Dca, accentuando in particolar modo l’epidemia dei casi di anoressia e bulimia, che hanno provocato proprio di recente alcuni decessi tra i più giovani, e mentre la Regione Lazio fa notare la carenza pressoché totale di strutture idonee e specializzate nel ricovero dei pazienti affetti da queste gravi patologie, esplode in rete un fenomeno nuovo e a dir poco inquietante. Secondo alcuni si presenta come una religione, con veri comandamenti e punizioni corporali da autoinfliggersi nel caso in cui si sgarri cedendo ai morsi della fame e prendendo qualche grammo in più. Stanare i blog che continuano a fiorire su Internet è praticamente impossibile, perché per un sito che viene chiuso, un altro viene aperto. Così, le devote di Ana hanno trovato il modo per non essere intercettate nella rete e hanno deciso di trasferirsi su WhatsApp, dove possono chattare indisturbate, continuando in questo modo a farsi forza a vicenda e a darsi consigli utili per digiunare e vomitare. Non si tratta di luoghi virtuali gestiti da dilettanti allo sbaraglio, perché il più delle volte dietro le quinte ci sono giovani competenti, capaci di editare testi eruditi con cui far leva sulle insicurezze psicologiche delle più giovani, le quali hanno bisogno di identificarsi in un gruppo di appartenenza in cui sentirsi a proprio agio, perché le problematiche condivise con le pari sono le stesse, e in cui dimenticare gli abusi e il bullismo che devono subire a scuola a causa dell’aspetto fisico ingombrante. L’età media delle adepte va dai 14 ai 16 anni e nelle chat di gruppo si chiamano Ana, quando sono seguaci del culto dell’anoressia, e Mia, quando invece praticano la bulimia. Basta digitare su un qualsiasi motore di ricerca le parole ana e pro ana per essere sommersi da una valanga di precetti da seguire per raggiungere il traguardo: essere magre e belle. Quindi, dietro i gruppi pro ana e pro mia si nasconde un bisogno di identificazione in una realtà condivisa che permetta alle ragazze di non sentirsi più vittime del pregiudizio e degli stereotipi fondati sul peso, unitamente a un desiderio di riscatto con cui affrancarsi dalla condizione di disagio, raggiungendo l’ambito scopo.³

    Un secondo aspetto paradossale è che, nei paesi occidentali, mentre si diffonde l’idea che la magrezza eccessiva denoti l’appartenenza a un ambito sociale elevato, dilagano quei Dca che trovano un’espressione sintomatica nelle recenti epidemie del sovrappeso e dell’obesità. Per quanto riguarda la salute dei minori, è stato da poco lanciato l’allarme da parte della Società Italiana di Pediatria e quella di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, che hanno notato come il consumo dei pasti sia frequentemente associato ai consumi tecnologici, digitali e culturali. Nel nostro paese a 9 anni un bambino su dieci è obeso, e due su dieci sono in sovrappeso. Con tutte le conseguenze che ci possono essere sull’organismo, dall’ipertensione all’aumento della glicemia e delle probabilità di contrarre il diabete. E siccome la prevenzione del sovrappeso e dell’obesità vanno promosse dal principio, poiché lo stato di salute dell’individuo adulto si decide nei primi mille giorni di vita, le due associazioni scientifiche hanno messo a punto un decalogo rivolto contemporaneamente ai minori e alle donne in gravidanza.⁴ Gli esperti segnalano una carente attività fisica, per cui ciò che occorre promuovere in Italia e lo stile di vita attivo, sin dalle prime fasi dell’infanzia, evitando che i bambini – come troppo spesso accade – trascorrano molte ore oziando davanti a supporti digitali e mediatici di ogni tipo.

    Ciò che si intende segnalare rispetto agli interessi conoscitivi e agli scopi di questo studio è che tali disturbi riguardano – come dimostrano i dati presentati nel prosieguo – soprattutto i soggetti esposti al rischio di povertà e di esclusione sociale.

    Sulla base dei riscontri effettuati, emerge un dubbio sul possibile nesso tra la qualità del cibo, il reddito e l’appartenenza alle classi sociali. Tale suggestione, sollevata dalla lettura dei resoconti di ricerca, si traduce, nel nostro caso, in un’ipotesi conoscitiva, a partire dalla quale la presente indagine di approfondimento tematico muove i suoi passi.

    I dati sui consumi alimentari, inseriti all’interno di questo testo, mostrano la maggiore propensione da parte degli italiani ad acquistare prodotti di qualità. Sette italiani su dieci si dichiarano intenzionati a spendere qualcosa in più pur di mettere in tavola i cibi migliori, facendo registrare, sotto questo profilo, una differenza positiva rispetto ai partners europei. I consumatori italiani, dunque, conoscono la relazione tra il cibo di qualità e la longevità. Lo testimonia la tenuta del comparto alimentare di fronte alla crisi economica, coadiuvata in questo – è bene precisarlo – dall’attrattiva che i prodotti di eccellenza, le tipicità e il made in Italy esercitano sugli importatori esteri. Ciò significa in ogni caso che la cultura della sana e corretta alimentazione si diffonde attraverso i vari strati sociali. Cionondimeno appare evidente che i prodotti di elevata qualità e realizzati secondo i migliori standards restano per il momento ancora inaccessibili alla maggior parte delle persone. Dalle osservazioni appena compiute dipende una prima domanda conoscitiva, con la quale ci si chiede come si possa garantire a tutti il perseguimento di uno stato di salute ottimale, attraverso l’alimentazione, se i prodotti migliori hanno un costo troppo elevato per buona parte della popolazione. Il cibo è considerato un elisir di lunga vita. Sì… Ma a quale costo? Ecco un aspetto sul quale si intende indagare più a fondo compiendo questa analisi.

    Dal momento che si desidera focalizzare l’attenzione sul nesso esistente tra la qualità del cibo e lo stato di salute, passando attraverso il reddito e la classe di appartenenza, è necessario considerare il contributo dato dai più recenti rapporti di ricerca a proposito dell’aumento della povertà e del rischio di esclusione sociale. I dati presentati nel Rapporto Censis (2017) parlano chiaro in proposito: il tessuto sociale italiano volge verso un maggiore impoverimento generale, la forbice che separa i soggetti più facoltosi da quelli indigenti si allarga sempre più e tra gli italiani serpeggia la paura del ‘declassamento’ economico e sociale.

    Come si vede, quindi, l’analisi dei principali mutamenti in atto nel ‘corpo sociale’ pone la necessità di riprendere alcuni temi che, a seguito delle riforme democratizzanti degli anni Sessanta, si è creduto di poter rimuovere e mettere da parte. Invece le notizie diffuse dalle più importanti testate giornalistiche in questi ultimi tempi mostrano, non soltanto che alcuni social problems non sono affatto spariti, ma sottolineano l’urgenza di affrontarli e di esaminarli in modo da offrire un’interpretazione quanto più realistica è possibile di ciò che sta avvenendo. In sostanza si torna a parlare di disuguaglianze, di stratificazione, di percorsi di presunta ‘mobilità verticale’, di classi, di povertà e di fame. Per cui, ciò che si vuole fare con la prima parte di questo studio è porre sotto l’attenzione degli scienziati sociali e dei sociologi, in particolare, la relazione esistente tra la qualità del cibo, il reddito e le classi di appartenenza.

    Secondo il Rapporto Istat (2017) in Italia esistono 18 milioni di nuovi poveri, come pure la Caritas di Latina rileva la presenza di ‘nuove povertà affettive’, riferendosi in special modo alla solitudine e all’abbandono sociale. Attraverso il progetto Libera il futuro, al quale partecipa un gruppo di enti e di associazioni del terzo settore, la Caritas diocesana del capoluogo pontino accoglie oltre 300 mila persone che versano in condizioni di grave marginalità, alle quali offre pasti gratuiti e un’assistenza finalizzata al recupero dell’autonomia tramite il potenziamento delle competenze personali e la partecipazione ad attività laboratoriali di accoglienza e di socializzazione per il sostegno alle famiglie.

    Se si considera il Rapporto 2017 sulle politiche contro la povertà in Italia (Caritas 2017a) si scopre che in Italia esistono numerose strutture, ad essa appartenenti, che ogni giorno si preoccupano di fornire un pasto caldo alla mensa per i poveri, e moltissimi Centri di ascolto diocesani incaricati di distribuire i pacchi contenenti generi alimentari. L’incremento della povertà è sottolineato e comprovato dal fatto stesso che la Fondazione Banco alimentare, la più imponente realtà italiana che si occupa del recupero di cibo e del sostegno ai bisognosi, non è più in grado di coprire il fabbisogno giornaliero, dando a tutti coloro che fanno richiesta la possibilità di usufruire di questa agevolazione. In poche parole, le domande dei soggetti aventi diritto sono tanto numerose da far sì che diventi impossibile intervenire a favore di tutti coloro che avrebbero bisogno di ricevere assistenza.

    Solo per ciò che riguarda la situazione capitolina, occorre segnalare la presenza di oltre 16 mila persone in condizioni di disagio estremo, tra le quali aumenta il numero degli italiani, diplomati, provenienti da famiglie ascrivibili, solo fino a poco tempo fa, al ceto medio. La pesante denuncia arriva dalla Caritas di Roma che, nel rapporto annuale citato, traccia un quadro a dir poco allarmante, in cui gli anziani, i giovani disoccupati e le famiglie con bambini disabili sono le categorie più a rischio. Sono trentamila le persone che non hanno una casa e che tra occupazioni abusive, sfratti e richieste di alloggi popolari, sono da anni in lista di attesa. Un altro dato allarmante, a proposito della Capitale d’Italia, riguarda la presenza dei senza tetto: il 45% è italiano e oltre il 30% possiede un diploma di scuola superiore. Si tratta di persone – precisa il Rapporto – che fino a poco tempo fa, seppure borderlines, riuscivano a garantirsi condizioni di vita dignitose. Tra le pagine del resoconto, inoltre, viene individuata una condizione nuova che riguarda gli anziani e il fenomeno nascente del barbonismo domestico, relativo alle persone âgées che, pur disponendo di un’abitazione, vivono in totale abbandono e solitudine. Tra queste un over sessanta su tre è a rischio di povertà.

    Tra le principali cause dell’aumento della povertà, a Roma come nel resto d’Italia, ci sono la disoccupazione e le precarie condizioni abitative, anche se avere una casa e un lavoro spesso non basta. Come emerge dal Rapporto, sono sempre più numerosi i lavoratori precari che, non riuscendo ad arrivare a fine mese, si rivolgono ai Centri di ascolto e di accoglienza della Caritas per ottenere sussidi. Inoltre, mentre si assottiglia il divario tra gli stranieri e gli italiani, aumentano i casi in cui la ‘povertà cronica’ è sempre più difficile da sradicare.

    Un altro dato disarmante viene dal Rapporto 2017 su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia (Caritas 2017b), dove si evidenzia l’incremento dei nuovi poveri soprattutto nella fascia 18-34 anni, all’interno della quale la quota dei giovani in condizioni di povertà assoluta è salita dall’1,9% al 10,4% nell’ultimo decennio. La diffusione della povertà giovanile non tocca solo il nostro paese, ma tutto l’ambito europeo. Nei paesi dell’Unione il 27,3% dei ragazzi di età compresa tra i 16 e i 24 anni si trova in una condizione di povertà e di marginalità sociale, anche se l’Italia, in questo triste primato di giovani senza futuro, sfiora una percentuale più alta del 6,4% rispetto alla media europea.

    Di fronte a un simile scenario, è doveroso porsi alcune domande sulle possibili politiche sociali che si intendono realizzare nel futuro, anche in considerazione di alcune esperienze locali. Nel caso di Como, ad esempio, il sindaco ha approvato un’ordinanza a favore del decoro urbano, accogliendo le proteste di alcuni cittadini, tra cui soprattutto gli esercenti, che si lamentavano per la presenza di gruppi di clochards nelle vie del centro. L’emanazione di questo provvedimento, che si concretizza in una multa per coloro che offrono cibo e coperte ai senza tetto, ha comportato l’intervento della polizia affinché fosse impedito ai volontari di portare, come fanno da sette anni a questa parte, latte caldo e biscotti ai vagabondi che sostano sotto i portici della ex chiesa di San Francesco. Ora, al di là del colore politico di ognuno, resta da chiedersi se l’ordinanza anti-degrado, attuata e rimasta in vigore, per giunta, proprio durante il periodo natalizio, sia una misura idonea in un contesto che risulta già gravemente compromesso per ciò che attiene ai rapporti solidaristici tra le persone, dal momento che va a impoverire ulteriormente il sistema delle relazioni laterali del quale parleremo approfonditamente più avanti. Per il momento basti sapere che, come testimonia il Rapporto Censis (2017), in risposta alla crisi economica, il paese «ha continuato a seguire processi a bassa interferenza reciproca, di disarticolazione delle giunture che uniscono le varie componenti sociali, lasciando spazio a una liquefazione che rafforza contenitori isolati e a forte tenuta interna, ma ne riduce la capacità di correlazione esterna» (p. 1). In poche parole, ciò che è risultata ridotta e accorciata è la catena di relazioni sulla quale si fonda l’intelaiatura del tessuto connettivo, condiviso e robusto, intorno al quale si forma la società. Come l’Italia vede svanire il fattore propulsivo e il collante che aveva reso forte e dinamica la sua economia, così si verifica, dal punto di vista sociale e culturale, la rottura dei legami a catena tra le persone, sempre più sparpagliate e scomposte, oltre che impegnate nel tentativo di risolvere la propria difficile condizione. Di segno diametralmente opposto alla precedente esperienza narrata appare l’iniziativa congiunta, che vede il Comune di Chioggia, la Caritas locale e la cooperativa Rem attivamente impegnati nel progetto Housing First, la casa prima di tutto, grazie al quale il municipio offre ai soggetti emarginati e senza fissa dimora una decina di appartamenti presi in affitto, in modo da dare loro un’opportunità per ripartire con decoro e dignità. Come dichiara il direttore della Caritas di Chioggia, don Marino Callegari, la casa, lungi dal costituire un premio, deve venire prima di ogni altra cosa e rappresentare una «piattaforma iniziale» grazie alla quale recuperare le disuguaglianze di base.

    Per venire ora a un altro grande paradosso del ‘sistema alimentare’, vale la pena ricordare che il 14 settembre 2016 è stata approvata una legge contro gli sprechi, con la quale si è voluto dare una risposta concreta alla quantità enorme di cibo che ogni anno viene sistematicamente gettata nei rifiuti. È stato calcolato, infatti, che la misura degli avanzi nel paese ammonta a 1,3 tonnellate di cibo sprecato che non arriva nemmeno sulle tavole degli italiani (food losses), o perché va a male durante la produzione, o perché si perde durante la distribuzione, oppure perché viene buttato dai negozi al dettaglio, dai ristoranti e dalle cucine delle mense e delle tavole calde (food waste). Si tratta di una cifra pari a quattro volte il quantitativo necessario a sfamare gli 800 milioni circa di persone in stato di denutrizione delle quali si è parlato.

    Secondo i dati del Food Sustainability Index, voluto dalla Fondazione Barilla per dare una visione del cibo su basi diverse da quelle che si conoscono, ossia non fondate più soltanto sul gusto, ma anche sul valore complessivo che il cibo richiede per essere prodotto, l’Italia appare tra le realtà che stanno compiendo significativi balzi in avanti in questa direzione. Nel corso della «Giornata Nazionale contro lo spreco alimentare», che si celebra il 5 febbraio, il Center for Food and Nutrition della fondazione ha specificato che il paese occupa il nono posto in termini di Cibo perso e sprecato. L’Italia ha reagito bene, dunque, rispetto al provvedimento normativo, testimoniando, con la sua esperienza, che può porsi come modello di riferimento per gli altri paesi europei, i quali hanno puntato, come nel caso della Francia, sulla penalizzazione più che sull’incentivazione delle best practices e sullo snellimento delle procedure burocratiche.

    Della possibilità di recuperare il cibo in modo da offrirlo a chi non lo ha se ne parla già da tempo, tanto da realizzare un progetto che anticipa, anche se di poco, l’esperienza legiferativa del 2016, con il quale si è voluto fare della Caritas di Milano un luogo in cui offrire ai bisognosi, accolti nelle strutture del centro, ricette da gran gourmets, realizzate da oltre trenta chef stellati, grazie al recupero degli avanzi provenienti dal salone dell’Expo 2015. Un’esperienza che, a dire il vero, sembra confermare l’idea che l’ipotetica connessione individuata tra la qualità del cibo, il lusso, la ricchezza e il prestigio sia molto più che una sensazione. Un nesso che appare rafforzato ancor di più dalla scelta di Davide Oldani, chef stellato che decide di avviare la sua attività di ristorazione nella periferia milanese, sì da rammendare il centro e le aree extra urbane, trovando nella qualità del cibo un punto di unione tra le due realtà e un motivo in più per convincere i milanesi a compiere una gita fuori porta.

    Nel frattempo, mentre continua ad aumentare il numero delle associazioni che si occupano del recupero degli avanzi, cresce l’elenco delle persone che tendono a riciclare le rimanenze dei giorni di festa. In ossequio a una tradizione popolare ben radicata nel paese prima del boom degli anni ’70 e nel rispetto di una sensibilità ogni giorno più in voga, due famiglie su tre riscoprono, dopo il veglione di San Silvestro, le ricette del dopoguerra utilizzando Internet. A mettere in evidenza la nuova tendenza è la Associazione nazionale pensionati - Confederazione italiana agricoltori, che ha pubblicato un volume sul tema de La cucina degli avanzi attraverso le ricette contadine (Vacirca 2017), in cui si fa notare come sia la civiltà dell’abbondanza, unita a una mancanza della cultura del rispetto per il cibo, a produrre il fenomeno degli sprechi (p. 7). Per gli autori del testo ricordare come si mangiava e come veniva assicurata l’alimentazione in famiglia non dipende da una visione romantica della realtà, ma è il frutto di un impegno politico e culturale dovuto alla necessità di «ritrovare uno stile di vita più appropriato nel rapporto con il cibo non soltanto in relazione alla qualità e all’alimentazione corretta, ma soprattutto ad un utilizzo più razionale delle materie prime e di contrasto al fenomeno dello spreco che oggi ha assunto proporzioni economicamente e moralmente inaccettabili» (Del Carlo 2017, p. 5).

    D’altronde, come fa notare Massimo Montanari, nelle società tradizionali gettare il cibo era impensabile, perché bisognava fare tesoro delle proprie risorse, valorizzandole fino in fondo, dal momento che occorreva confrontarsi con lo spettro della fame, più temibile della fame stessa. Nelle civiltà agricole era necessario fare quadrare risorse e bisogni, attivando strategie di conservazione e di stoccaggio degli alimenti, di recupero e di riutilizzo degli avanzi. Non si buttava via niente (Vacirca 2017, p. 9). E se in epoca tradizionale gli avanzi finivano, in ultima istanza, nelle fauci degli animali domestici, rientrando così a pieno titolo nella catena alimentare contadina, analogo processo di smaltimento razionale delle risorse toccava pure l’ambito cittadino. Il tema dell’economia domestica e del risparmio era

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