La geografia della speranza: Viaggio nell’Italia che resiste
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La geografia della speranza racconta alcune di queste esperienze. Di persone che organizzano mercati locali a chilometro zero, che combattono gli sprechi, che partecipano alla rigenerazione di aree dismesse e al ripristino di spazi urbani. Che aprono servizi di accoglienza e riconvertono fabbriche fallite. Che promuovono doposcuola popolari, servizi di cura, azioni di prossimità e molto altro ancora.
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Anteprima del libro
La geografia della speranza - Martina Di Pirro
instagram.com/edizionigruppoabele
Il libro
L’incremento della povertà e delle disuguaglianze, continuo dal 2008, ha avuto un’ulteriore drammatica impennata con l’epidemia da Covid-19, e probabilmente aumenterà ancora. In parallelo si sono affermate politiche economiche e sicuritarie che hanno inasprito le guerre contro e tra i poveri. In questo clima è nata, nel 2017, la Rete dei Numeri Pari: un insieme di centinaia di realtà impegnate a realizzare e diffondere nei territori relazioni e modelli economici fondati su solidarietà e integrazione.
La geografia della speranza racconta alcune di queste esperienze. Di persone che organizzano mercati locali a chilometro zero, che combattono gli sprechi, che partecipano alla rigenerazione di aree dismesse e al ripristino di spazi urbani. Che aprono servizi di accoglienza e riconvertono fabbriche fallite. Che promuovono doposcuola popolari, servizi di cura, azioni di prossimità e molto altro ancora.
L’autrice
Martina Di Pirro è autrice e giornalista. Esperta di Africa orientale, Europa e diritti umani, collabora con testate nazionali e internazionali. Si occupa di comunicazione politica ed elaborazione di strategie digitali. Nel 2020 ha ricevuto il Premio per il giornalismo investigativo e sociale dell’Associazione Mani Tese, realizzato con il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics).
Indice
Prefazione. L’ingiustizia e la speranza
di Giuseppe De Marzo
Introduzione. Non è un Paese per poveri
La pandemia della povertà
intervista a Misha Maslennikov
Palermo
Agire contro le ingiustizie
Marsala
La terra degli uomini volanti
Crotone
Il viaggio di un camper
Bari
Pane e pomodoro
Napoli
Un proiettile a forma di fiore
Roma
La capitale delle diseguaglianze
Trezzano sul Naviglio
Vita oltre il profitto
Castelfranco Veneto
Tracce di un’esperienza
Torino
Quella tenda in piazza Solferino
Postfazione. Fare politica dal basso
di Marco Revelli
Le tappe del viaggio
Bibliografia e sitografia
Ringraziamenti
A Giampaolo Pilleri
e a quanti fanno la propria parte
nel piccolo di ogni giorno
Prefazione
L’ingiustizia e la speranza
di Giuseppe De Marzo
1. Questo libro di Martina Di Pirro aiuta, anzitutto, a riflettere sulle cause che hanno ridotto in povertà ed escluso dal contesto sociale un terzo della popolazione del nostro Paese, scaraventandoci nella peggiore crisi della storia della Repubblica. Ha il merito di raccontare quanto la realtà fosse già drammatica prima dell’arrivo della pandemia da Covid-19, mettendoci in guardia e invitandoci ad agire in fretta, offrendo alternative a partire da esperienze pratiche che raccontano un futuro possibile e migliore rispetto a quello che ci attende se non invertiamo la rotta. La diffusione del coronavirus ha infatti messo a nudo le fragilità di un Paese in cui manca una proposta politica capace di rispondere alle nostre ansie, alle nostre paure, alle nostre speranze, offrendoci una visione del futuro e un modello di sviluppo capaci di rimettere insieme il diritto al lavoro con il diritto alla salute, garantendo allo stesso tempo la partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni sociali, come quelle descritte in questo libro.
Martina Di Pirro racconta come sono cambiate le condizioni materiali ed esistenziali in contesti geografici diversi, ma che subiscono una crisi che ha la stessa origine. E, poi, dà voce ad alcune delle infinite possibilità che ingegno, passione e creatività umana mettono in campo per combattere condizioni economiche precarie e opportunità assenti. Introduce una riflessione politica profonda sull’importanza del mutualismo solidale ed ecologico come strumento in grado non solo di rispondere a problemi concreti, ma anche di ricostruire comunità e rifondare valori condivisi. Fotografa e diffonde un linguaggio nuovo che, a partire dalla crisi, espande il catalogo delle relazioni, delle alternative e delle potenzialità.
Attraverso la presa di parola diretta dei soggetti che subiscono la crisi e che, in assenza di risposte istituzionali, si organizzano sul campo, il libro aiuta a capire come sia cambiata oggi la povertà e come le disuguaglianze colpiscano ormai la maggior parte della nostra popolazione, anche se con intensità e modalità diverse. Allo stesso tempo, esso documenta l’assenza della politica dai luoghi dove maggiori sono le sofferenze e le disuguaglianze. Un’assenza enorme, figlia in larga misura di una resa incondizionata al modello economico che ha determinato la crisi strutturale e sistemica in cui versano non solo il nostro Paese, ma il continente e l’intero pianeta. Una crisi sociale ed ecologica senza precedenti, in cui emergono le nostre fragilità e l’interdipendenza con il resto della vita intorno a noi. Interdipendenza e reciprocità che il modello economico liberista non riconosce, violando i limiti della Terra, estraendo risorse a un ritmo maggiore rispetto alle capacità di rigenerazione e autorganizzazione della nostra casa comune. È questo il motivo della crisi. Non a caso il coronavirus, come altri virus, non è altro che la conseguenza della crisi ecologica, e del collasso climatico in particolar modo. Un virus che aumenta i suoi effetti letali a causa dell’inquinamento dell’aria e della riduzione della biodiversità, che minacciano la nostra salute. In buona sostanza, anche la crisi sanitaria provocata da Covid-19 è figlia di uno sviluppo insostenibile al quale proprio le nuove soggettività raccontate in questo libro cercano con il loro agire concreto e le loro modalità di decisione e intervento di dare risposte.
Tutte le esperienze raccontate dal libro condividono, infatti, la necessità di uscire dalle politiche di austerità e dal modello liberista che sono la causa dei tagli ai servizi sociali e alla sanità, come purtroppo abbiamo constatato sulla pelle degli italiani durante la pandemia da Covid-19. Una sanità pubblica cannibalizzata dagli interessi privati e deprivata di circa 36 miliardi di euro di tagli negli ultimi dieci anni. Un vero e proprio attacco alla nostra civiltà nata dopo la barbarie della grande guerra e della Shoà, fondata per questo sull’intangibilità della dignità umana e sulla garanzia dei diritti sociali. Come se non fosse più priorità e compito della politica rimuovere le disuguaglianze e garantire l’intangibilità della dignità umana.
Tra le conseguenze dell’istituzionalizzazione della povertà vi sono il darwinismo sociale
e la criminalizzazione della solidarietà. Il darwinismo sociale capovolge le responsabilità della povertà che vengono scaricate sul soggetto più debole, indicato come colpevole della sua condizione. La criminalizzazione della solidarietà, a sua volta, è la naturale conseguenza sociale e giuridica di una idea di civiltà che rimuove il principio di uguaglianza e di solidarietà indicati dalla nostra Carta, e che non riconosce la comunità o la società
, bensì solo l’individuo in competizione con altri individui. Come diceva Margaret Thatcher, l’ex primo ministro inglese portavoce di quel sistema di interessi, la società non esiste, esistono solo gli individui. Da qui la famosa espressione con cui indicava l’assenza di qualsiasi sistema alternativo al capitalismo: Tina, There is no alternative.
È tutto questo che ha determinato l’esplosione delle disuguaglianze e della povertà come mai nel nostro Paese. Dopo dodici anni di crisi, a essere profondamente cambiata non è solo la società; sono cambiate anche la politica e la percezione che ne hanno i cittadini, come se questa non fosse più lo strumento attraverso il quale migliorare la propria condizione materiale. Conseguenza di questa accettazione
è anche la rimozione del conflitto sociale come elemento costitutivo della democrazia. Una politica sempre più dematerializzata, espressione di un sistema che non ammette alternative, rimuove il principio di uguaglianze e solidarietà dalla propria idea di civiltà e, soprattutto, non tollera il conflitto da parte dei poveri e degli esclusi, ai quali concede forme di carità e bonus che sostituiscono i diritti sociali, fomentando così la guerra tra poveri. Questa è la situazione che abbiamo davanti ai nostri occhi nel Paese reale. La maggior parte degli eletti e dei dirigenti della politica si è adeguata a questa idea, considerata una sorta di destino inevitabile, e ha di fatto rinunciato alla propria missione, all’obbligo
di solidarietà proclamato nell’art. 2 della Costituzione (unico richiamato per la Repubblica) e all’impegno a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’uguaglianza dei cittadini, come scritto all’art. 3 della Carta.
Ma questo libro dice anche altro. Dice che non tutti si sono adeguati e che, anzi, dal vuoto lasciato dalla politica sono nate tante nuove soggettività e nuovi leader di comunità che stanno ridefinendo l’immaginario attraverso azioni, analisi, proposte e linguaggi che rappresentano una concreta speranza per tutti e tutte. Sono questi i soggetti che stanno costruendo la speranza, fuori dai social e dalle facili semplificazioni, ricordando a tutti che solo se rimettiamo al centro la lotta per la giustizia sociale e ambientale e ci sporchiamo davvero le mani per tornare a essere una comunità riusciremo a garantire i diritti sociali e sconfiggere la crisi. Perché le disuguaglianze e la povertà non sono un destino ineluttabile, sono figlie non del caso, ma – come ci ricorda Martina Di Pirro – di scelte politiche precise.
2. Com’è stato possibile che a partire dal 2008 l’Italia si sia trasformata in uno dei Paesi europei più impoveriti, diseguali, con i più alti indici di dispersione scolastica, precarietà lavorativa, povertà culturale e analfabetismo di ritorno? È avvenuto non casualmente, ma per il concorso di più fattori. Quello che possiamo affermare è che le priorità politiche di chi ha governato il Paese negli ultimi vent’anni non sono state dettate né dalla Costituzione, né tantomeno dagli interessi collettivi.
Gli studi, i dati, le ricerche e le analisi del 2019, pre-Covid, denunciano la più grave crisi dal dopoguerra a oggi. Una situazione così drammatica non l’abbiamo mai affrontata: oltre 18 milioni di persone a rischio esclusione sociale, 5 milioni in povertà assoluta, quasi 9 milioni in povertà relativa, 11 milioni non si possono più curare e un terzo di quelli che lo fanno deve fare debiti per riuscirci, 4 milioni di lavoratori rimangono poveri nonostante lavorino, la generazione di giovani più impoverita della storia repubblicana, il 97 per cento delle famiglie è impoverito dalla crisi (a fronte dell’81 per cento in Usa, del 63 per cento in Francia, del 20 per cento in Svezia). L’ascensore sociale si è definitivamente bloccato.
Le domande sono due: cosa ha provocato questo terremoto e quali politiche mettere in campo per contrastare ed eliminare disuguaglianze e povertà?
Il libro, a partire dalle storie di chi l’ha subita, ci aiuta anzitutto a capire quali sono le cause che hanno prodotto una crisi senza precedenti, che tocca un italiano su tre. Sono diversi i fattori che hanno contribuito all’aumento delle disuguaglianze: le politiche fiscali regressive che hanno colpito ceti popolari e ceti medi, mentre hanno favorito i più ricchi, e una enorme evasione fiscale (siamo il Paese che evade di più in Europa: la cifra al ribasso è di 120 miliardi annui, che da sola basterebbe a eliminare la povertà, fare le bonifiche ambientali e garantire a tutti i servizi sociali); i tagli oltre il 90 per cento al Fnps (Fondo nazionale politiche sociali); la mancanza di una riforma del welfare, che è sottofinanziato e a macchia di leopardo sul territorio italiano, e che ancora scarica il peso della cura unicamente sulle donne; il pareggio di bilancio inserito in Costituzione con la modifica dell’art. 81 attraverso la legge 243 del 2012, che secondo i dati Ifel taglia decine di miliardi di trasferimenti ai Comuni e modifica le priorità della politica, impegnata ad assecondare prima le richieste e gli interessi di banche e agenzie di rating che quelli dei propri cittadini e dei corpi sociali intermedi; le riforme che hanno reso sempre più precario e povero il lavoro, come il Jobs act; l’assenza di una vera misura di sostegno al reddito come prevista dai social pillar europei (la proposta del reddito di dignità
sottoscritta da 100.000 persone, da giuristi e da centinaia di realtà sociali della Rete dei Numeri Pari non è stata mai realmente perseguita nemmeno dai partiti – come il M5S – che l’avevano sostenuta, ma che, una volta al Governo, hanno introdotto la ben diversa misura impropriamente chiamata reddito di cittadinanza
, che sfrutta e rende occupabili
i poveri senza renderli autonomi, e che non garantisce loro dignità o lavoro dignitoso); la mancanza di misure volte a realizzare il diritto all’abitare, mentre sempre di più sono le persone sotto sfratto o che perdono la casa perché non più in grado di pagare l’affitto o il mutuo avendo perso il lavoro o avendo visto il proprio reddito evaporare a seguito di spese impreviste; il taglio alla sanità pubblica, che ha messo in discussione il diritto alla salute; il peggioramento delle condizioni delle scuole; il taglio degli investimenti nella ricerca e sull’istruzione; l’assenza di misure per mitigare i cambiamenti climatici e consentire di adattarsi al relativo impatto (il decreto clima
dell’attuale Governo è una scatola vuota che conferma invece 19 miliardi di sussidi a imprese e fonti inquinanti); l’assenza delle bonifiche ambientali previste da decenni e mai compiute; il peggioramento dei servizi basici e la privatizzazione dei beni comuni.
Tutto questo ci ha trasformato in un