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Il moleta, artigiano per le vie del mondo

«». Fino agli anni ’60 del secolo scorso, queste parole risuonavano spesso tra gli stretti e sdrucciolosi vicoli dei piccoli borghi della Val Rendena, in Trentino. «Donne, è arrivato l’arrotino», un richiamo che, ancora oggi, si sente ogni tanto nell’aria anche delle grandi città, gridato al vento dall’altoparlante di un camioncino che passa. Il suono di una voce che evocava un lavoro – gli arrotini della Val Rendena – è una storia particolare. Nasce, come spesso è avvenuto per molti altri mestieri artigiani, da quel bisogno che è stato sempre motore di grandi idee nella storia dell’umanità. La necessità di sopravvivere in contesti ambientali difficili, come erano un tempo le alte, strette e scoscese valli alpine. Perché gli arrotini trentini iniziarono un viaggio che li porterà in Europa e fino agli Stati Uniti, proprio in Val Rendena, e in particolare nel paese di Spiazzo, non è certo. Forse, tutto è partito dall’intuizione di una persona; di certo, la presenza di boscaioli e soprattutto salumai nei dintorni può essere stato un buon motivo, per qualcuno, nel decidere di offrire un servizio di manutenzione costante delle lame di asce e coltelli. Nell’800 l’attività del era legata a un macchinario particolare chiamato . Una carriola di legno spinta a mano dal , provvista di una mola di pietra arenaria e un pedale che, muovendo una cinghia di cuoio, la faceva girare. Di questi singolari “mezzi” da lavoro, a Spiazzo ne esistono ancora alcuni, perfettamente funzionanti. Il attraversava i viottoli del paese, lanciava il suo inconfondibile richiamo, si fermava in un angolo della piazza, o magari sotto un portico se era fortunato, e aspettava le lame da dover affilare. Spesso, dormiva dove capitava. E qualche volta erano proprio le famiglie del paese a invitare in casa il per offrirgli il calore di un camino acceso e un piatto di minestra. Un lavoro che all’inizio si sviluppò soprattutto d’inverno, quando l’agricoltura non dava da mangiare e c’era poco da fare per sostenere la famiglia. Poi, con il passare del tempo, questo artigianato ambulante divenne un vero lavoro, grazie anche a un’altra intuizione. Il aveva ormai la sua clientela di fiducia e, così, cominciò a portare con sé set di coltelli o forbici “di cortesia”, che lasciava a chi gli portava le proprie lame da affilare. In questo modo, il cliente non rimaneva mai senza strumenti di lavoro e il poteva iniziare a svolgere la sua attività senza dover continuamente andare in giro spingendo la sua . Bastava mandare qualcuno, magari un figlio giovane apprendista a cui avrebbe tramandato il mestiere, a ritirare le lame da arrotare. Poteva così fermarsi in un luogo riparato a far girare la piccola mola. E col tempo aprire anche una piccola bottega. Quella dei è anche una storia di emigrazione. In questo caso spesso erano familiari già residenti all’estero che spingevano gli arrotini della valle a raggiungerli. E, così, alcuni presero la via prima della Mitteleuropa, altri andarono al Londra, molti altri negli Stati Uniti, New York e Chicago, soprattutto. All’estero i ebbero più fortuna che in Italia, alcuni svilupparono la propria attività in modo imprenditoriale, di questi, molti fecero abbastanza soldi per poter tornare da “pensionati” nei paesi natii. In Val Rendena oggi c’è un’associazione che, dal 1955, riunisce gli arrotini della valle e i loro discendenti che, ogni anno, giungono da tutto il mondo per riunirsi.

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