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Forse mi vedrai vestita di rosso
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E-book128 pagine1 ora

Forse mi vedrai vestita di rosso

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Info su questo ebook

Un giorno mi vedrai vestita di rosso: ma perché proprio di rosso?
Il rosso non è un colore qualunque, è il colore della passione ma anche della rabbia, dell’emotività, del rancore.... Negli anni del dopoguerra nascono i semi di questo nuovo racconto di Emilia Valentino, che affronta la scottante tematica delle relazioni familiari tra intrighi, gelosie, buonismo e perbenismo tipiche del tessuto sociale di quei tempi. Una suocera, una nuora, due sorelle , anzi due gemelle spinte dalla vita in un ingorgo sentimentale e utilitaristico che non risparmia nessuno. Le figure femminili spiccano in questa vicenda come scambi sul binario di un treno, e i vagoni sono le figure maschili, più o meno consciamente manovrati nel profondo... Non ci sono vincitori né vinti in questa storia a " tinte rosse" ma solo attori che si trovano sul palcoscenico talvolta amaro della vita per recitare fino all' ultimo atto la loro parte.
LinguaItaliano
Data di uscita27 apr 2021
ISBN9791220802864
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    Forse mi vedrai vestita di rosso - Emilia Valentino

    storia

    PREFAZIONE

    Un giorno mi vedrai vestita di rosso: ma perché proprio di rosso?

    Il rosso non è un colore qualunque, è il colore della passione ma anche della rabbia, dell’emotività, del rancore.... Negli anni del dopoguerra nascono i semi di questo nuovo racconto di Emilia Valentino, che affronta la scottante tematica delle relazioni familiari tra intrighi, gelosie, buonismo e perbenismo tipiche del tessuto sociale di quei tempi. Una suocera, una nuora, due sorelle , anzi due gemelle spinte dalla vita in un ingorgo sentimentale e utilitaristico che non risparmia nessuno. Le figure femminili spiccano in questa vicenda come scambi sul binario di un treno, e i vagoni sono le figure maschili, più o meno consciamente manovrati nel profondo... Non ci sono vincitori né vinti in questa storia a tinte rosse ma solo attori che si trovano sul palcoscenico talvolta amaro della vita per recitare fino all' ultimo atto la loro parte.

    Ileana Parascandolo

    CAPITOLO UNO

    Non era vero, non poteva essere vero.  Gli abitanti di San Rocco accolsero la notizia con estremo scetticismo e se la comunicavano fra loro increduli, quasi raccontassero una barzelletta.

     San Rocco era un piccolo borgo circondato da campi verdeggianti situato in un villaggio, sulla collina di Capodimonte. L’aria era salubre, anche a causa dei pochi mezzi di comunicazione che ne percorrevano le strade.  Dagli abitanti del centro della città era considerato addirittura  luogo di villeggiatura e molti vi trascorrevano le vacanze estive.

     In realtà la definizione di villaggio le veniva da quei pochi tassisti che,  le rare volte che dovevano effettuare una corsa dal centro della città a questo luogo,  pretendevano il pagamento anche della corsa di ritorno,  perché il sito era ritenuto:  fuori zona.

    I palazzi  erano solo quattro,  di due o, massimo tre piani,  intervallati da alcuni bassi,  quei monolocali  che offrivano un tetto alle famiglie più povere che, anche se numerose riuscivano a vivere in quelle anguste aree  usufruendo  della  strada come un altro spazio  utilizzabile per  le proprie  necessità.

     All’inizio della via  una villa sontuosa dall’aspetto aristocratico faceva  bella mostra  di  sé  di  fronte  al  deposito  dei  tram e ad un altro  cancello   che  immetteva  in  un  giardino privato.

    Nessun negozio, né ufficio si trovava lì. Anche la chiesa distava qualche chilometro dall’abitato ed era circondata da campi e terreni coltivati  a  orto, frutteto  o  vigneto .

    Il  centro  più  vicino era denominato Porta Piccola a causa  di una delle porte d’ingresso del Bosco di Capodimonte che era considerata piccola rispetto ad un’altra,  poco distante,  denominata Grande,  anche se,  in realtà, era  della stessa   grandezza.

    Una strada alberata, delimitata dal muro di cinta del Bosco, con un doppio filare di platani univa i due luoghi e continuava  fino al  quadrivio di Arzano.

    Era una strada larga che  si  immaginava dritta fino alla fine,  ma non era un’ immagine  esatta.

    Oltre la metà della via, una curva,  non  segnalata da alcun  cartello stradale,  era  causa frequente  di incidenti,  a volte anche mortali perché gli  autisti ignari, credendo di trovarsi di fronte ad un rettilineo, la percorrevano a velocità molto sostenuta. Per questo motivo dagli abitanti del luogo, era denominata:  la curva della morte.

    Il nome della strada era Via Miano,  ma  per  tutti  gli  abitanti era semplicemente:  Il Viale  perché,  oltre i filari di  platani,  anche  qui c’erano   soltanto   enormi  distese   di  campi   verdeggianti.

    I  pochi abitanti  del  villaggio  dovevano  percorrerlo  ogni  volta che  avevano  bisogno  di fare acquisti,  andare  in farmacia  o all’Ufficio  postale  che fungeva  anche  da banca in quanto oltre a erogare pensioni e,  in alcuni casi,  stipendi,  custodiva  i  risparmi sotto  varie  forme:  quali  libretti  postali,  nominativi,    al  portatore e  buoni  fruttiferi.

    Quando  si  diffuse  la  notizia che  nel Viale  sarebbero  stati costruiti,  dalla Società INA Casa  e  dalla  Cassa del Mezzogiorno, dei caseggiati   di abitazioni  popolari, la  notizia  fu  accolta con un notevole  scetticismo.

    -           Come era possibile?  –  si chiedevano  un po’  tutti.

    Il Viale sarebbe stato profanato al punto da dover ospitare degli appartamenti?

     Non poteva essere vero.   La notizia  era  infondata,  si disse.

    Forse  qualche  buontempone  in vena  di  scherzi  aveva  messo  in giro  questa  fandonia.

    Con  il  passare  dei  giorni,  invece,  tutti  potettero  verificare  che  la notizia  era  vera.

    I  platani  non  furono  abbattuti,  ma  buona parte dei campi circostanti,  fu recintata e poi,  a poco, a poco  si  videro  le  scavatrici che cominciarono a far posto  alle  fondamenta  di quei  fabbricati  che venivano  indicati,  semplicemente,    come:  Le palazzine.

    Andare a  seguire l’evoluzione dei  lavori  di  costruzione  delle  palazzine,  divenne un  passatempo  per gli  abitanti di  Porta Piccola  e  San Rocco, era quasi  un  rito nei  pomeriggi  dei  giorni  festivi  poter osservare  da lontano  le  sagome  dei  palazzi  nascenti.

    Poi,  si  cominciarono  a  vedere  le strade.  I  nomi ancora  non c’erano,   però   si   distinguevano  le  prime  vie, l’arteria  centrale dove  si  indovinavano  anche  i  negozi  che  sarebbero  stati  aperti.

    Fu  proprio  accanto  a  quella  che  sarebbe  diventata  una  tabaccheria  che,  una  domenica  pomeriggio,  s’incontrarono:  Palma e  Norina.

    Ormai  era  primavera  inoltrata,  un  tiepido  sole  inondava  spesso  la strada  dove  parecchi  curiosi  si  intrattenevano  osservando  da  un lato,  le  costruzioni  nascenti  e  dall’altro  i  glicini  in  fiore  che coprivano  il  muro  di cinta  di Villa Meuricoffre. Oggi Villa Capriccio. 

    Una villa costruita  nel  settecento  e  ristrutturata nella  prima  metà dell’ottocento  da Oscar  Meuricoffre  discendente  dell’antica famiglia  Morikhofer  che,  da  mercanti  di  seta  divennero  banchieri e,  come  l’attività  lavorativa,  e  lo  stato  di  residenza,  cambiarono anche  il  cognome.

    La villa, originariamente, si  componeva  di  due  piani:  il  primo era  per  la  servitù  e  quindi conteneva  anche  tutti  i  servizi,  e  il  secondo era  per  l’abitazione  dei  nobili   proprietari. Le stanze erano ampie e un grande salone ospitava dame e cavalieri per le feste che i padroni di casa, soventemente, organizzavano. Con la morte del capostipite lo splendore ebbe fine.

    Per  molti  anni, la villa,  rimase  abbandonata  e  il  degrado  regnò  ovunque, finché il nuovo proprietario, oltre a farla ristrutturare,   vi   fece  aggiungere  un altro  piano e le fece riacquistare l’antico splendore, pur  conservando  l’iniziale  impianto settecentesco.

    Tutto  intorno  al  caseggiato  c’erano  campi coltivati a orto, a giardino  e  a vigneti.  Dalla strada, però, si  intravedevano  appena questi  alberi  perché  erano  nascosti  da  un  alto muro  di cinta.

    La strada non era asfaltata, ed era percorsa, quasi esclusivamente da carretti trainati da cavalli che trasportavano principalmente ortaggi e altri prodotti delle vicine campagne. Asfaltata   lo divenne, per necessità, quando iniziarono  i  lavori  di  costruzione  delle  palazzine.

    CAPITOLO DUE

    Si guardarono incredule per qualche attimo, le due signore. E… poi, furono subito una nelle braccia dell’altra.

    -           Ma sei proprio tu?  –  Non ci posso credere - disse Palma.

    -           Come mai ti trovi qui?  Abiti sempre a Via Chiaia?  E le tue figlie? E Franko? Leandro, tuo marito è sempre a Pescara?

    Si scambiarono una ridda di domande e dalle risposte che si incrociavano ognuna apprese i trascorsi dell’altra.

    Leandro era morto qualche anno prima e le figlie, che  erano fittuarie di  case  di  proprietà  della  Prefettura di Napoli, in  via  Riviera  di  Chiaia,  essendo  venuto  a  mancare  l’avente diritto, avevano dovuto abbandonare quelle abitazioni ed erano diventate assegnatarie, di un appartamento per ciascuna nelle palazzine edificate  con  i  fondi  della  Cassa  del  Mezzogiorno.

    Palma abitava nella zona da quando si era sposata e aveva due figlie, una sposata, madre di una bambina, che abitava poco distante dalla casa paterna e l’altra in procinto di farlo.

    Palma e Norina si erano conosciute da ragazze in una di quelle feste che si svolgevano nelle famiglie nobili, con cadenza settimanale e che venivano denominate: periodiche.

    Nei sontuosi saloni si ballava, si cantava, e i fine dicitori recitavano poesie, brani letterari, e anche macchiette.  Scopo principale e, non sempre celato di queste riunioni, però era, per le ragazze che vi prendevano parte, cercare   un   marito.  Ogni festa necessitava di un pianista o di una pianista che trascorreva la sua serata inchiodata al sediolino del pianoforte, suonando, senza sosta, per divertire gli ospiti.

    Ovviamente le occasioni di socializzazione di queste persone erano molto limitate in confronto degli altri convenuti.

    Norina era di qualche anno

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