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L'isola delle chiatte
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E-book191 pagine

L'isola delle chiatte

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Info su questo ebook

Anna Rouvery ha poco più di trent’anni, e la sua vita è tutta un tango. Un contratto all’Accademia e una scuola di ballo tutta sua, una mansarda sui tetti attorno a piazza della Posta Vecchia, le lunghe lettere alla madre scritte sempre alla luce di una candela. In un’anonima alba settembrina il suo cadavere viene trovato sulla piattaforma galleggiante ancorata al centro dell’antico porto di Genova. Per il commissario Elia Marcenaro il delitto dell’Isola delle Chiatte è l’occasione per un’insperata rivincita dopo l’esilio, durato anni, all’ufficio passaporti. Un riscatto dal passato di errori e travolgenti amori, dal presente di una figlia lontana e di nevrosi mal curate. Ma venire a capo dell’enigma di passione e fede nascosto tra le pagine di cinque grandi classici della letteratura non sarà affatto semplice. I vicoli della città vecchia e l’incantevole bellezza di capo Santa Chiara, l’antico convento di Santa Maria di Castello dove le indagini lo condurranno, lo strano e luccicante abbracciarsi di moli non più porto e non ancora luogo, faranno da sfondo a esistenze e storie di mondi all’apparenza lontani e impermeabili. Solo grazie alla sensibilità e all’amore per la conoscenza della bella agente Beatrice Palazzesi, Marcenaro riuscirà a comprendere il vero significato delle parole che fino ad allora aveva letto senza capire.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mag 2012
ISBN9788875637279
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    Anteprima del libro

    L'isola delle chiatte - Grillo Daniele e Valentini Valeria

    Capitolo uno

    Legno, anima. E acqua. Se ti capitasse di morire sull’isola di legno dedicata a Luciano Berio e conservassi la coscienza di ciò che accade attorno al tuo corpo, avresti l’impressione di trovarti al centro di un’ampia piroga. Membra e anima che avanzano galleggiando sull’acqua, come in uno di quei riti orientali che affidano al dio fiume l’ultimo viaggio. Vuoi per quella musica delle giunture che collegano le chiatte al pontile, vuoi per l’insieme di armonia e poesia che evoca il nome del compositore, vuoi ancora per quella posizione di prominenza nel centro dell’antico porto della città, qui sembra quasi che le braccia della Superba protese sul mare ti accompagnino. Verso un luogo, però, che non volevi ancora raggiungere.

    Il cadavere di Anna Rouvery fu trovato schiena contro un parapetto della piccola piazza sul mare del porto antico. Lo strano luogo, né mare né terra, che si affaccia al centro del golfo, ricavato su un paio di vecchie chiatte agganciate al molo dell’Acquario. Il corpo giaceva sulla sinistra della seconda piattaforma, nell’angolo che guarda verso i magazzini del cotone. Anzi, per la precisione Anna si trovava quasi seduta con le braccia alzate e le mani ancora aggrappate alle ringhiere, insanguinate in più punti. A tradire una posizione che avresti detto normale, quasi l’istantanea di un momento di relax, le gambe scomposte, innaturali, piegate in una posizione che nessuna donna assumerebbe mai. E il viso, il viso tradiva ancora di più. Gli occhi sbarrati avevano attorno alle orbite macchie scure al posto del trucco. Sulla fronte, parte destra, un largo ematoma. Rosso intenso, in netto contrasto con lo spettrale pallore di morte della pelle. Ad attraversare quel volto senza più vita un rivolo di capelli intrisi di sangue.

    – Chi l’ha trovata? – chiese il commissario con un’espressione di malcelata partecipazione.

    – Si chiama Rudy Mac Lyell ed è il fotografo di una rivista inglese. È a Genova da cinque giorni, ama venire qui all’alba per trovare la luce che serve per scattare le sue immagini. Difficile che sia stato lui, commissario. Il portiere del suo albergo sostiene che è rimasto in stanza fino alle cinque di questa mattina. E secondo il medico che ha constatato il decesso, la donna è morta prima. Aveva con sé i documenti. è italiana, ma probabilmente ha origini francesi. Si chiamava Anna Rouvery.

    – Sentite quelli della vigilanza, fatemi parlare con qualunque stronzo sia passato di qui nelle ultime dodici ore. Voglio sapere tutto di questa ragazza.

    Due battelli indugiavano attorno a quel francobollo di legno ondeggiante, mentre un poliziotto si sbracciava per intimare ai curiosi di allontanarsi. La bella cartolina del golfo guadagnava una magica profondità grazie alla linea dei magazzini, dopo la rivoluzione delle Colombiane, passati da depositi di comuni batuffoli a contenitori per ricchi congressi. Il mare correva in mezzo ai moli increspandosi lievemente in corrispondenza delle correnti. L’intuizione di Renzo Piano di dare a quello spazio anche un’altezza, disegnando la piovra rovesciata del Bigo, da molti genovesi venne considerata folle, aliena, brutta. Ma ormai i grassi e metallici bracci bianchi svettavano da diversi anni nello scenario del porto antico. Erano entrati nelle immagini dei turisti, nei loro ricordi. Per gli autoctoni continuavano a non significare molto. Poco importa. Questo distretto sul mare era, e sarebbe rimasto, qualcosa di profondamente diverso dalla città, dalla sua storia. Dalla sua anima.

    Elia Marcenaro era arrivato tardi come sempre, sul luogo del delitto. D’altra parte voleva essere sempre sicuro che gli uomini della Scientifica avessero compiuto i loro rilievi, per lo meno quelli iniziali, e sapeva che prima di un paio d’ore il pigro pm di turno non avrebbe fatto capolino. Ripeteva sempre ai suoi più stretti collaboratori che troppa scienza aveva rovinato il sapore antico dell’indagare e, assieme al sapore, i risultati. Le giunture dell’isola delle chiatte, mai oliate come impose l’archistar genovese che la disegnò, urlavano e gracchiavano mentre le due grandi piattaforme di legno che la sostenevano continuavano a ballare, corteggiate dal movimento delle onde.

    Il commissario aveva visto diversi morti nella sua vita. Ma una donna così bella, così piena di vita, così elegante, per fortuna, non l’aveva mai incontrata a trapasso avvenuto. Anna, esile e leggera come solo le ballerine sanno essere, portava un vestito nero, semplice e raffinato allo stesso tempo. L’abito raggiungeva l’altezza delle ginocchia, l’ideale per un caldo inizio settembre come quello in cui trovò la morte. Un coprispalle di cotone completava il tutto. Ma di esso era rimasto poco: mezzo strappato pendeva tra il collo della donna e il parapetto, lasciando le braccia del cadavere nude. Doveva essersi truccata e non solo attorno agli occhi, per quell’ultimo appuntamento. Il risultato non era volgare, piuttosto manteneva una certa sobrietà. Il suo volto era per metà insanguinato, tuttavia Marcenaro si accorse che oltre all’ematoma, un taglio di media profondità spuntava da sotto i capelli. Rimanevano alcuni brillantini a far risaltare gli splendidi occhi. I capelli lisci e scuri erano disordinati e in parte le coprivano l’occhio sinistro. Chissà quanti sguardi di uomini dovevano aver attirato quelle gambe. Ora il loro chiarore e lo smalto rosso sulle unghie dei piedi spiccavano come in una fotografia d’autore sul pavimento scuro dell’isola. Le scarpe si trovavano a qualche metro di distanza. Ma la donna con ogni probabilità non le aveva perse durante una colluttazione con l’assassino, ed era anche assai improbabile che in quella posizione perfetta fossero rimaste dopo un tuffo spontaneo dal parapetto. I due sandali di vernice nera erano, composti e paralleli, ai piedi di una delle panchine sulle quali gli innamorati, la sera, sono soliti scambiarsi effusioni. Lucentezza intatta, le scarpe puntavano in direzione della legittima proprietaria che non le avrebbe più indossate. Sulla panchina, semiaperta, una borsetta da sera di paillettes nere. Dentro un paio di chiavi, probabilmente di casa, un pacchetto di fazzoletti, un portadocumenti rosa e nient’altro.

    Le chiatte alla base dell’isola di Berio continuavano a seguire il moto elastico delle onde, cullando il corpo di Anna in una danza straziante. Il cigolio delle catene arrugginite accompagnava quella scena spettrale. La ragazza pareva ancora sospesa tra la vita e la morte, trattenuta alla terraferma da quelle funi metalliche, ma allo stesso tempo invitata a prendere la via del mare dalla spinta della risacca. Un nugolo di turisti affollava da qualche minuto lo spazio al di là delle passerelle che congiungono la piazza galleggiante al molo. Tutto il resto era uguale a sempre. L’ascensore del Bigo correva su e giù mostrando ai visitatori la città dall’alto, i battelli sfrecciavano incuranti accanto ai pontili, all’Acquario si accumulava la solita ressa di appassionati e non. Qualcosa a ponte Parodi, con i primi lavori e l’arrivo dei pontoni, gigantesche ruspe del mare, stava iniziando a cambiare. Di fronte, la Lanterna scrutava tutto dalla sua posizione defilata. L’antico faro, ormai, serviva solo a rischiarare la rotta dei vacanzieri diretti alle isole e dei passeggeri un po’ snob delle navi da crociera. Gente che non avrebbe assaporato che un millesimo, dell’anima della città. Ma che quel golfo e quella Lanterna, no, non l’avrebbero dimenticati.

    Riportato lo sguardo sul cadavere, il commissario Marcenaro infilò una mano in tasca, e ne estrasse un fazzoletto col quale si asciugò il labbro. Era il suo modo per dirsi che come osservazione sul posto poteva bastare. Ora si trattava di dare un verso a quella storia. Iniziando a costruirla attraverso le parole di chi aveva condiviso l’ultimo tratto della strada di quella donna. Si sentì un po’ meno lieto di essere ritornato alla Squadra Mobile. Non era luogo da baruffe tra tossici o regolamenti di conti tra persone di malaffare, quello. Aperitivi, turisti, localini in e qualche scapestrato senza un posto dove stare. Questo era diventato il porto antico da qualche anno. Comprese subito di dover sperare, vista anche l’avvenenza della vittima, nel più classico dei delitti passionali.

    – Commissario – irruppe uno dei suoi – dal tribunale dicono che il pm sarà qui tra un’ora.

    – Mi faccia indovinare: Stazzeri.

    – Sì, è lui di turno.

    La solita anonima giacca nera su una camicia a righe bianca e blu, Elia Marcenaro, cinquantaquattro anni compiuti da una settimana appena, sembrava ancor più magro di quel che era sempre stato. Nessun vizio se non quello di una puntigliosità maniacale, il dottor Ravera aveva sempre spiegato la straordinaria asciuttezza del suo fisico come il risultato di nevrosi mai curate. Non era mai stato un bell’uomo e pochissime donne avevano trovato in quella figura altissima e un po’ ricurva, in quel carattere spigoloso e in quell’umorismo un po’ bastardo qualcosa che valesse la pena di essere amato. Il dolore per il doppio addio della sua Nives, la solitudine che imbruttisce e la polvere del tempo che macchia irrimediabilmente i capelli avevano fatto il resto. Anna Rouvery continuava a ballare assieme alla superficie che ne ospitava il corpo senza vita. Il campanile di Santa Maria di Castello che spuntava, a monte, in mezzo alle costruzioni del centro storico, segnò il tempo con nove rintocchi.

    Mentre lasciava i moli di pietra con i loro anelloni incastonati, il commissario si lasciò avvolgere da quel luogo. Alcuni ragazzini, impazienti e ignari di ciò che era avvenuto poco più in là, scherzavano tirandosi le maniglie degli zaini mentre attendevano di entrare all’Acquario. Sullo sfondo, le sagome bianche dei pesciolini della gigantesca insegna spiccavano sull’azzurro intenso dell’esterno di quella che doveva essere la prima vasca. Lo stuolo degli abusivi che aveva conquistato ormai da mesi l’area del Galeone – senza che la polizia riuscisse a farci granché – iniziava a riprendere possesso del fronte mare accanto al gigante che fu la location di un famoso film di Roman Polanski. Marcenaro lasciò alla sua sinistra le figure dei senegalesi pieni di mercanzie contraffatte, e proseguì verso la seicentesca palazzina del Millo, oggi una scatola dalla vocazione piuttosto indefinita, tra musei, bar e un grande magazzino dei cibi di qualità. Il gracchiare degli altoparlanti dei battellieri iniziava a scandire inviti per questa o quella escursione. Quant’era bella, quella ragazza, tornò a pensare tra sé e sé. E quanto lontani, la sua bellezza e il suo calore, dallo scenario che se l’era inghiottita. Un anziano usciva sorridendo dalla libreria della palazzina gialla. Sembrava soddisfatto dell’acquisto, infilato senza carta da regalo in un sacchetto di plastica. Una bambina gli sorrise e allungò il capo verso il poliziotto. Lui ricambiò e proseguì oltre. Passò davanti all’asilo e ai giochi senza più pensare a nulla. Un agente lo attendeva a bordo della volante. Più indietro, l’ascensorista del Bigo rimuginava le solite parole senza senso. Sguardo assente e perle di sudore sulle tempie, tentava di fissare qualche argomento su un foglio di carta stropicciato. Gli occhi erano lucidi, la penna immobile. Fu come destato da una famiglia di inglesi che chiedeva il biglietto. Nervosamente staccò il tagliando e tornò a concentrarsi sul suo lavoro. La cabina salì, aprendo ai visitatori uno spettacolo magnifico.

    La città si ritrovò catapultata in un misto surreale di orrore e circo. Sangue e festa. Una ragazza bella e conosciuta era stata appena trovata morta nel cuore del porto turistico. La voce iniziava a girare, e nei bar di Sottoripa il fatto era diventato da qualche ora l’argomento principe, capace per una volta di scalzare le ultime gesta di Genoa e Samp. Nelle stesse ore la terza Notte bianca della Superba iniziava ad allestire i suoi baccanali, i mercatini colorati, i giganteschi palloni gonfi d’aria per far saltare i bambini. Ovunque si preparava il trionfo dello struscio, dei concertini di piazza, della birra spillata a fiumi. Di questo, parlavano i ragazzini, in via San Lorenzo. Ascoltò le loro voci, mentre passava con l’auto della polizia a passo d’uomo, come si conviene nelle strade pedonali del centro. Notte bianca, esplosione di gioia vera, di vita. O forse ostentazione di un’anima che la provincia più schiva del mondo ha sempre soffocato? Mondanità. Macché mondanità. Non è la voglia di far baccano, che trascina a vivere una città del genere di notte. è la sensazione di diverso, di speranza, il sogno di spiccare il volo. La volontà di allontanare la delusione generata dalla consapevolezza di abitare un luogo che non cresce. Anzi, si ripiega su se stesso, muore ogni giorno un po’ di più. L’ottimismo non faceva parte dei pregi del commissario. Al tempo stesso odiava il mugugno e se ne asteneva con cura. Ma il rigetto verso ogni tipo di manifestazione sopra le righe ne aveva sempre marcato i pensieri, le opinioni. Tutto sommato, però, si sentì risollevare un po’ il cuore dalla presenza di tanti ragazzi e ragazze. Perditempo o no, quei volti sorridenti, quelle gonne corte e quelle felpe abbondanti davano un tocco di colore diverso alla monotonia del sempre uguale. E allora vada per la Notte bianca. Peccato per quel piccolo problema. Anna Rouvery, 32 anni, non avrebbe mai vissuto quella notte.

    Capitolo due

    – Conti, le posso offrire un caffè o un amaro?

    – Commissario lasci perdere, sono ancora sconvolto. Io e Anna avremmo dovuto avere la solita lezione, stasera. Tra qualche giorno invece era in programma la nostra esibizione. Da mesi la preparavamo. E lei era così leggera…

    Marcenaro non amava sentire sospettati e testimoni in una grigia stanza della questura. Per questo convocò Marco Conti, partner di ballo di Anna, sulle scalinate che costeggiano le aiuole delle Caravelle, lo stesso luogo dove di solito incontrava i suoi informatori per le indagini di droga o mafia. Con sé, in questi momenti, il commissario riteneva proficuo portare Beatrice Palazzesi, uno degli ultimi acquisti della polizia genovese. Perché è sveglia, rispondeva a chi gli chiedeva per quale motivo la preferisse ad altri agenti. Perché se la vuole fare, insinuavano le malelingue. Perché mi ricorda mia figlia, diceva a se stesso. Sta di fatto che lei prendeva appunti, azzardava ipotesi, qualche volta metteva il commissario sulla buona strada. E comunque una donna molto spesso rasserena chi deve raccontare qualcosa a un ufficiale di polizia. O meglio, una presenza femminile solitamente aiuta gli uomini a impegnarsi di più nelle deposizioni, le testimoni più avvenenti a sentirsi un po’ meno padrone della scena. In entrambi i casi, ciò che serve per portare a casa un buon interrogatorio. Beatrice era alta e bella, ammantata di quel fascino che non ama mettersi troppo in mostra. Portava la divisa come un cadetto, senza un solo sgarro alla regola da manuale, i capelli rossi raccolti da un mollettone dello stesso colore. Poliziotti e teste si incontrarono in cima all’ultima scalinata della scenografica aiuola di piazza della Vittoria. Una sorta di dipinto in diagonale tracciato con erba e fiori. La Pinta, la Niña e la Santa Maria, magnifico sfondo della piazza più grande della

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