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La forgia del diavolo
La forgia del diavolo
La forgia del diavolo
E-book323 pagine

La forgia del diavolo

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Info su questo ebook

Nell’estate del 1979 un uomo scompare ad Alassio: inizia così una storia torbida, ricca di colpi di scena, che la misteriosa Angelica racconta via e-mail a Corrado Siniscalchi. Lui, avvocato noto per difendere elementi della malavita locale e scrittore senza più ispirazione, decide di farne la trama del suo prossimo romanzo. Capitolo dopo capitolo i due scrivono a quattro mani di un delitto efferato, vicende e personaggi che a Corrado appaiono sempre più familiari. Quando la memoria si squarcia è troppo tardi per tornare indietro. Scoprire la vera identità di Angelica diventa un imperativo categorico, l’unica chance per salvarsi dalla rovina. Tra Ponente Ligure, Marsiglia e la Corsica, una vicenda in cui passato e presente, amore e morte si intrecciano in modo inestricabile.
LinguaItaliano
Data di uscita23 ott 2012
ISBN9788875638009
La forgia del diavolo

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    Anteprima del libro

    La forgia del diavolo - Maurizio Lanteri

    Cop_12066_forgia.jpg

    I tascabili

    Il nostro indirizzo internet è:

    http://www.frillieditori.com

    info@frillieditori.com

    editing

    Nicole Pezzolo

    layout copertina

    Sara Chiara

    impaginazione

    Michela Volpe

    copyright © 2012 Fratelli Frilli Editori

    Via Priaruggia 31/1, Genova – Tel. 010.3074224; 010.3772846

    isbn 978-88-7563-800-9

    M. Lanteri - L. Luini

    La forgia del diavolo

    LogoFratelliFrilliEditori.JPG

    Fratelli Frilli Editori

    Un’innocente leggerezza.

    La chiameresti così, in quelle tue arringhe forbite che ipnotizzano giudici e giurati. Quelle che fanno assolvere ladri, spacciatori, mafiosi. Assassini.

    Invece no, avvocato.

    Di questo garbuglio non azzecchi l’uscita.

    Quando vedremo in libreria il più volte annunciato secondo romanzo di Corrado Siniscalchi, lo scrittore rivelazione che l’anno scorso ha scalato le classifiche di vendita?.

    È la rivista più letta d’Italia, a chiederselo. Se ha potuto osare tanto è perché la tua casa editrice approva e permette. Lavorate per gli stessi padroni, non lo sai?

    Stanno dubitando di te. Ti stanno... sollecitando.

    Che t’inventi adesso?

    Davvero, avvocato, l’hai fatta fuori dal vaso.

    Uno sbaglio fatale.

    E questo, lei lo sa.

    Finora ha dominato la rabbia, undici mesi e sette giorni spiando l’occasione e cercando il modo.

    Ora ha l’una e l’altro.

    Ti stana, ti inchioda, ti annienta.

    L’ha promesso a se stessa.

    E alla fine – chi lo sa – scapperà anche a lei un’innocente leggerezza... e tu morirai.

    Vedremo, avvocato.

    Non lo saprai fino a quel momento.

    Parte prima

    Il sonno della ragione genera mostri

    (Francisco Goya)

    Corrado

    Aula Tre, avvocato

    1.

    «Aula Tre, avvocato. Siamo in ritardo».

    Il cancelliere del tribunale di Albenga mi tallona lungo i corridoi, costernato. Anche il mio protetto, un algerino sui trent’anni accusato di spaccio, ha l’aria di chi già dispera. «Ci pensa tu a me avvocato?», bela infelice. «Io no, prigione. Cinque bambini aspetta me per mangiare».

    In risposta batto una mano sulle sue spalle ossute. «Oggi però tu pranzi con me, Youssef».

    Youssef distende le labbra, mostrando una chiosa di denti gialli e cariati, poi siede docile al mio fianco.

    L’orologio da parete, fra il tricolore e la foto del presidente, segna le undici e pochi minuti. Di Corrado Siniscalchi ci si può fidare, anche dopo una notte da zombie, anche se i santissimi gli girano come eliche.

    «La faccia breve, se può, avvocato».

    La faccio brevissima e due ore dopo l’imputato Youssef Al Bacha, prosciolto dalle accuse per arresto illegale e mancata flagranza di reato, siede con me al ristorante Babette, intento a rimpinzarsi di frutti di mare. Prima di tornare in quella specie di casbah che è diventato il centro storico di Albenga, si offre di sdebitarsi. Bene così, lo tranquillizzo, ma il magrebino strizza l’occhio.

    «Forse tuoi amici contenti, se tu procuri polverina».

    «Ma tu non hai polverina, ricordi?».

    «Oh... Se cambia idea, chiama. Ok?».

    «Ok un bel belino».

    «Come, avvocato?».

    «Niente, vai».

    Per la stampa sono il difensore dei vu cumprà, pronto a sbattermi per rinnovare un permesso di soggiorno, impedire un rimpatrio coatto, invalidare un provvedimento d’arresto. Io non perdo occasione per dichiarare che i clandestini sono oggetto di sfruttamento e pregiudizio, privati degli elementari diritti umani. Non a caso una certa sponda politica mi fa la corte, premendo perché mi candidi nelle sue liste.

    Molti si domandano cosa renda questo piccolo cabotaggio, chi paghi per le spese legali, ma se a me sta bene così...

    Saldo il conto e a mia volta esco nel sole.

    2.

    Via Genova, trafficata e polverosa. Marciapiedi stretti, facciate incrostate dai fumi di scarico, quattro negozi rimasti uguali da prima che nascessi. Eccoli, in fila indiana. La pasticceria della domenica, che sfornava meringhe all’uscita dalla messa e focaccia calda, e torte di verdura fatte in casa. Poi gli articoli per neonati, da cui è uscita la culla in vimini di Corrado bebè. In ultimo il salone delle opere parrocchiali, dove a tredici anni raccoglievo cartone per alleviare la fame nel mondo e, in premio per la mia bontà, portavo a casa i primi baci con la lingua.

    Piazza del Popolo, palme stitiche sparate fino al cielo. Una volta la chiamavano i giardinetti e accoglieva bambini festanti e balie con il vestito della festa. Ora telecamere di videosorveglianza e lo spaccio di droga al minuto e all’ingrosso.

    Il Semaforo. Il Viale. Scritti e pronunciati così, con la maiuscola, quasi fossero unici al mondo. Dicono sia l’arroganza di noi albenganesi, ma a me piace, dà un senso d’appartenenza. Infatti il mio studio l’ho voluto lì, sul Viale Martiri. Un palazzotto a tre piani di inizio ’800, acquistato a un’asta giudiziaria e ristrutturato dalle fondamenta al tetto. Con fontanella e scala patronale, annegato tra le frasche di una fila di platani. In autunno le foglie cadono tutte assieme e scricchiolano sotto le scarpe, fitte e odorose di sottobosco come se nascondessero un vivaio di funghi.

    Sempre sognato di arrivarci, sul Viale. All’Università ero una testa calda fuori dalle righe, come dire che pensavo in proprio. Dopo la laurea, snobbando chi raccomandava un tirocinio presso qualche studio avviato, mi misi per conto mio. Le giacche obsolete degli inizi – arriva Scaramacai, si sbellicavano in Tribunale – i capelli incolti, gli occhiali dalla montatura rossa, si imposero come un segno di distinzione che ancora coltivo con un pizzico di autocompiacimento.

    Quindici anni di oscura attività forense, poi il colpo d’ala.

    Proprio nel giorno del mio quarantesimo compleanno, sorprendo tutti dando alle stampe un romanzo di rottura: I Viaggiatori oscuri. Pubblicato da un editore locale, il libro fa scalpore grazie al passaparola. Al punto che un gruppo di Milano ne rileva i diritti e spara fuori centomila copie di lancio, unite a un martellante battage pubblicitario. Tempo un anno, le copie vendute superano il milione e io cedo i diritti per la riduzione cinematografica e quelli per il romanzo successivo. Alle volte è difficile capire cosa scatti in testa alla gente, ma sul momento ero troppo occupato a contar soldi per domandarmelo.

    Tutto bene. La perfetta favola moderna.

    Tutto tranne un unico, risibile particolare, che rischia di mandare in vacca il lieto fine. Del prossimo libro ho deciso il titolo – Il Delitto Dosoli – e poco più, mentre i tempi di consegna sono agli sgoccioli.

    La notizia è rigorosamente top secret, ma c’è già chi ficca il naso dove non dovrebbe. La stampa, ad esempio. Marta Floresi, redattrice di cultura e spettacoli, mi dedica un servizio di due pagine sull’ultimo numero del suo magazine. Per dire che? Ho pubblicato un romanzo di successo, cosa le frega dei clan che gestiscono gli affari sporchi in riviera, dei delinquenti che entrano ed escono di galera a singhiozzo, del mio progetto di farmi eleggere deputato? Si occupa di narrativa o è una cronista di nera?

    E quando passa allo scrittore, la stilettata perfida:

    Dov’è il tante volte annunciato nuovo romanzo?

    E che ne so, stronza!

    Faccio irruzione nell’ufficio vuoto, do aria alle stanze.

    Lavoro solo, senza ausilio di soci, praticanti e segretarie. Accetto qualsiasi patrocinio, penale o civile. Nessun membro delle classi elevate si sognerebbe di rivolgersi a me e tuttavia sul mio tavolo arrivano più cause di quante ne possa sbrigare.

    Oggi pomeriggio, però, niente appuntamenti.

    Io e il computer, in intimo connubio.

    Ho voglia di scrivere come di farmi strappare le unghie. È una cosa che non si fa a comando, questo almeno l’ho imparato. Così butti via il tuo tempo. Ma nella fattispecie ho ben altro del tempo, da perdere. Il mio contratto prevede una penale. Stratosferica.

    Il computer sonnecchia polveroso, nella lama di luce della finestra. Come un vecchio e fidato cane da caccia, è sempre felice quando gli faccio visita. Accendo. Attendo. Il file del Delitto Dosoli si apre in automatico. Dovrebbe essere un noir d’atmosfera ambientato sulla riviera ligure, l’indagine su un delitto fortuito che scoperchia le mille contraddizioni della provincia. Conta, al momento, venticinque cartelle, lavoro di quasi un semestre.

    Senza rileggere, mi posiziono sulla prima riga vuota.

    Sciolgo le spalle, i polsi.

    Il cursore del mouse lampeggia... E lì resta, beffardo.

    È così tutte le volte. I personaggi mi sfuggono, i dialoghi escono banali, le descrizioni scipite... Ancora non ci sono, ecco. Teso come una molla, raggiungo la macchinetta del caffè, quando il telefono trilla imperioso. Eccheppalle.

    «Siniscalchi».

    «Disturbo, avvocato?».

    È Tati, stagista all’agenzia editoriale Brera&Associati di Milano che, senza attendere risposta, sciorina un elenco di manifestazioni cui mi avrebbe iscritto a parlare: Sporting di Montecarlo, Rotary di Venezia, un talk show sulle reti Mediaset in seconda serata.

    «Ci sarai anche tu, nel Principato?» le chiedo.

    Ha due cosce da gran premio, la Tati, snelle e nervose, ma dall’altra parte del filo risponde la voce roca del vecchio Brera in persona:

    «Tutto bene, avvocato del mio cuore? Ti ricordo che dobbiamo consegnare il manoscritto del Delitto Dosoli entro e non oltre il 30 giugno. Inutile annotare che siamo a metà maggio».

    «Patteggia un rinvio, di sicuro sai come fare».

    «Un contratto è un vincolo, non devo spiegarlo a te».

    «Mai saputo che l’arte si produca a comando».

    «Di quale arte stai parlando? Questi sono affari».

    «Concludi».

    «Nessuno ti sta puntando una pistola alla tempia», ridacchia il Brera, «ti ricordo però che la penale è a sei zeri e che il tuo editor non ha letto un capitolo che è uno».

    «Vedrà il prodotto finito. La storia viene giù bene, ma voi continuate ad ammassarmi impegni mondani. Ho uno studio legale da mandare avanti, se l’avete scordato! Quando scrivo? Non sono uno di quei debosciati intellettuali nullafacenti che...».

    «Di quanto tempo stiamo parlando, bello mio?».

    «Dopo l’estate. Durante le ferie io...».

    «30 settembre. È il massimo che posso prometterti. Stammi bene, Siniscalchi».

    Stammi bene, Delitto Dosoli. Anche oggi resti dove sei.

    Seppellito sotto l’ennesimo stravaso di bile.

    3.

    Cambio di programma. Ho tempo da vendere e nulla da fare, se non cazzeggiare su Internet con il mio pc.

    Toh! Il sito web di Corrado Siniscalchi è stato aggiornato dall’ultima volta. Sempre più interattivo, tecnologico, commerciale. La Rete è manna per noi scrittori, ma ha i suoi inconvenienti. Per dirne una, ti lascia in balia di mitomani, illusi e dilettanti allo sbaraglio. Una fiumana di persone, arciconvinte che i loro temini delle elementari abbiano soltanto bisogno di una spinta, per entrare nella lista dei bestseller.

    Mi tocca rispondere, purtroppo. Alla grafica e ai contenuti del sito provvede la casa editrice, ma la posta elettronica è affar mio. Un patto di correttezza verso i lettori...

    Beh, sembrava che la sentissi arrivare, l’ennesima rottura. Postata al mio indirizzo pubblico mi aspetta una mail.

    Prime righe di prammatica. Il tizio in questione ha deciso di scrivere a un personaggio famoso perché io, Corrado Siniscalchi, rappresento il suo ideale di scrittore. Uno venuto su dal nulla, capace di imporsi con la sola forza della sua scrittura cruda e coraggiosa, senza mezze tinte e compromessi. Troppo buono, troppo buono.

    Uno che deve averne piene le scatole di sentirsi dire dal prossimo: ‘sai che anch’io scrivo?’. Infatti, infatti. Ma, a sorpresa, lui non scrive, non ancora, si corregge. Addirittura, comincia a temere che quel momento catartico non arriverà mai... Mi prende per lo strizzacervelli della mutua?

    Il finale è una salva di fuochi artificiali, che si accendono e si consumano nella notte della mia mente provata.

    Ho una storia. Una trama forte, potente.

    Un noir, con tutti gli ingredienti che vanno per la maggiore.

    Mi accompagna da anni, ma resta dov’è: nella mia testa.

    Mi sveglio e mi addormento costruendo scene e dialoghi, ma poi non riesco a mettere nulla su carta.

    Riderai, ma a bloccarmi non è il timore di fallire, di non riuscire a venirne a capo. No. Mi atterrisce il pensiero che quando l’opera sarà terminata, conclusa, mi mancherà... e altre storie non verranno mai.

    Anche tu hai paranoie di questo tipo? Quando hai scritto la parola fine in fondo al tuo romanzo, e ancor più stringendo fra le mani la prima copia fragrante di stampa, non ti sei sentito... prosciugato? Come il genitore che mette al mondo un figlio, lo osserva diventare grande, andarsene, e contempla infine la casa vuota?

    Per te mi firmo

    Angelica

    Una donna, belin. Acida e sfrontata, ma simpatica.

    E ha una storia, lei.

    Non mi sono snebbiato del tutto dai cocktail di ieri sera, se prima di cacciarmi sul divano per un sonnellino fuori ordinanza salvo la mail nella corrispondenza da evadere.

    4.

    Safiya, prostituta nigeriana, sorride triste attraverso la specchiera del comò. Anche ora che si è rivestita di lustrini, tette e culo le schizzano fuori da tutte le parti.

    Avrà vent’anni, e batte sul rettilineo fra Albenga e Ceriale, dove l’ho caricata quattro ore fa senza neppure chiedere il prezzo. Durante il tragitto verso casa ha mostrato qualche segno di nervosismo, ma poi il parco, la villa, le mille luci della costa l’hanno tranquillizzata. C’è profumo di soldi, qui sulle colline di Alassio. Uscita gocciolante dalla doccia, ha onorato il contratto con apprezzabile zelo, fra un bicchierino e l’altro di tequila offerta da me.

    Fa duecento euro azzarda circospetta, spostando il peso da un tacco all’altro delle sue zeppe bianche. Ci si può stare. Meno di una cena più localino con la sgallettata di turno, che avrebbe preteso parole dolci e preliminari a non finire.

    La riaccompagno, chiuso in un silenzio di cui mi è grata. Per un momento sono tentato di farmi raccontare la sua storia – fame, violenze, barconi della speranza – ma a chi interessano le lamentazioni di una puttana? La vedo scendere, allontanarsi ancheggiando, attenta ai grani di sale grosso che separano i territori di competenza del sesso a pagamento: qui le nigeriane, là le albanesi, più giù i viados sudamericani...

    Il mio Porsche Targa inverte a U sulla doppia linea continua, accelera sotto la galleria di Vadino e sulle curve della Carretera come un siluro rosso fuoco. E un petardo mi attraversa la testa.

    Ho una storia.

    Così dice la mail di... Angelica?

    Dichiarazione categorica. Insolente, quasi.

    Il flash viene e passa. Non c’è nessuna storia. È lei stessa ad ammetterlo con finto candore.

    Resta dov’è: nella mia testa.

    Stia lì a marcire.

    Però, Angelica. Se mi va bene è pure fica.

    Una gran fica con una gran storia.

    Che però non riesce a scrivere.

    Puzza di bufala lontano un miglio. Se mi dice male, è una casalinga di mezz’età che sogna la grande avventura trasgressiva, ma non sa tenere una penna in mano.

    Se mi dice bene...

    Eccolo, il fremito che ben conosco. Lo stesso di quando confuto un teste ostile, inchiodo un giudice a precedenti inattaccabili... o sto per trombarne un’altra. Storia o non storia, sporcacciona o romanziera in bozzo, cosa ho da perdere?

    5.

    Gentile scrittrice esordiente,

    come tu sai io sono un autore naïf, o part-time, se preferisci. Questo vuol dire che sto fuori dai cenacoli che contano, e di sicuro non ho la stoffa del talent scout.

    Tutto quel che posso dirti è: prendila per le corna, questa storia che credi di avere in testa. Butta giù tre o quattro cartelle, da cui si capiscano le linee portanti della vicenda e il carattere dei personaggi.

    Se ti riesce, inviamele, e potrò dirti cosa ne penso.

    Non aspettarti però nulla più di un parere e qualche modesto consiglio. Come ripeto non sono un pigmalione, ma avere uno scopo a volte è importante per superare i cosiddetti blocchi creativi.

    Permettimi poi di sorridere della tua sindrome della casa vuota e di rassicurarti sul mio conto: in testa mi frullano nuove idee a getto continuo. Continua a seguirmi, e vedrai!

    A proposito! Ti ho inserito nella mailing list del sito. Riceverai ogni mese il calendario aggiornato delle mie presentazioni. Se ti va, vienimi a trovare: potremmo discutere della nostra comune passione davanti a un drink.

    Corrado Siniscalchi

    Angelica

    Il caffè l’ho bevuto

    1.

    Il caffè l’ho bevuto da un pezzo, ma resto appoggiata alla ringhiera, la tazzina ancora tiepida tra le mani. Laggiù, sette piani più in basso, la vita del quartiere scorre solita. L’uomo del labrador nero, con il giornale sottobraccio. La fiumana pigra degli studenti diretti alla metropolitana. Ogni giorno la stessa commedia umana, con tempi talmente precisi che potrei regolarci l’orologio.

    Vista da qui, Milano non ha inizio né fine. Non ha neppure un tratto distintivo. Potrebbe essere una qualunque anonima periferia, con la sua sfilza di palazzi grandi e orrendi. Eppure chi dice che qui il cielo è sempre bianco, che la nebbia nasconde ogni cosa, non conosce questa città.

    Capitano anche mattinate limpide e verniciate d’azzurro. Magari dopo giorni e giorni di pioggia. Così, a sorpresa.

    Sorpresa.

    Non l’unica che mi aspettava oggi al risveglio.

    Da mezz’ora mi impongo di pensare, riflettere, razionalizzare... ma non riesco. Ho in circolo tanta adrenalina da scalare una montagna, ma non so se definirla euforia o paura.

    «Sei contenta?», chiosa Alberto dalla cucina.

    «Puoi scommetterci!», mi esce roco, come se avessi della polvere in gola.

    Sono contenta? Devo esserlo. Siniscalchi ha abboccato al mio amo. Sono mesi che lavoro per questo. L’idea di avvicinarlo nei panni di un’aspirante scrittrice è stata un’intuizione improvvisa, uno di quei momenti in cui la mente si dilata e ti fa vedere al di là della ragione: lei, l’idea giusta.

    Ovviamente mio fratello la bollò come inverosimile, irrealizzabile, ma avrebbe rifiutato qualunque alternativa. È fatto così. Gli riesce difficile passare dal pensiero all’azione.

    E a me?

    Mio fratello. Torno dentro a passo di marcia e gli pizzico una gota.

    «C’è poco da fare l’indifferente. Non risponderà, non risponderà... Hai visto?».

    «Tenevo semplicemente un profilo basso», risponde con l’aplomb di sempre. Ha imparato da nostra madre: aspettarsi sempre il peggio, proclamarlo ai quattro venti, nella superstizione che così il peggio non capiti.

    «Ora che farai?», mi chiede.

    «Che farò? Andrò avanti con il piano. Lo lascerò bollire un paio di settimane e poi gli invierò il primo capitolo. È già pronto, nella memoria del mio pc. Altro che traccia, avvocato!».

    Alberto teme che Siniscalchi si accorga che non so scrivere e butti tutto nel cestino, rompendo subito il contatto. Lo temevo anch’io, fino a stamattina, fino alla mail che ha fugato ogni dubbio. Gli serve una storia, è lampante. Gli serve a tutti i costi e si è ingolosito della mia.

    «Tranquillo. La qualità del mio stile è l’ultimo dei suoi pensieri».

    «Meno male», ironizza e a me verrebbe da strozzarlo. Ha qualche ragione, ma io ho davvero la storia giusta per i lettori di Siniscalchi, storia di sesso-sangue-delitti-menzogne che cela un segreto inviolabile. Segreto... d’avvocato.

    Alle otto e venti, in perfetto orario, butto in spalla la tracolla, gli deposito un bacio tra i capelli e mi avvio.

    Chiudo la porta, e non devo più fingere tranquillità.

    L’impresa è folle e io lo so bene.

    Nell’ascensore c’è uno specchio ossidato dal tempo. Di solito gli giro le spalle, ma oggi no. Oggi rimango a fissarmi, e lascio che la rabbia, il disprezzo, l’odio riemergano lenti, inesorabili.

    Sono la mia arma numero uno.

    La mia faccia, il mio corpo, sono quella di riserva.

    La userò. Eccome, se la userò.

    2.

    Undici fermate di metropolitana, Piazza Duomo, un centinaio di metri a piedi nel cuore della città. È il mio percorso quotidiano da otto anni, da quando ho sbaragliato duecento candidate per il posto di receptionist in un hotel di lusso. Non ho di che vantarmi: vinsi perché ero bella, molto più bella delle mie avversarie. Appena mi videro, la mia preparazione professionale, le mie referenze persero ogni importanza. Una fortuna. Ho sempre avuto grande facilità con le lingue – adesso potrei telefonare in inglese, scrivere in tedesco e dare contemporaneamente informazioni in francese – ma all’epoca non ero così sciolta.

    E soprattutto mi sentivo un pesce fuor d’acqua.

    Non è facile. Varchi l’ingresso e ti trovi catapultata su un altro pianeta. Ragazzi in livrea, set di valigie Louis Vuitton, lampadari di cristallo, composizioni floreali, marmi da belle époque. A farti paura, però, è la normalità con cui viene vissuta la ricchezza. Quel mostrare senza ostentare, quell’apparire senza pavoneggiarsi. Cose che s’imparano in culla oppure mai più.

    Il primo giorno, pensai semplicemente che non ce l’avrei fatta. In capo a una settimana si sarebbero accorti di quanto fossi una provinciale zotica e mi avrebbero cacciata.

    Non è andata così.

    Il pesce-Angelica ha imparato a nuotare, o magari nuotava da sempre, nell’ombra, in quella melma in cui Alberto e io siamo cresciuti. Il resto del miracolo l’ha compiuto l’effetto-calamita che sembro avere sul prossimo. Uomini e donne di ogni età mi vedono, sorridono e si rivolgono a me. I bambini mi tendono le braccia.

    La bellezza, alla fin fine, ancora lei, ma non solo.

    «Uh, Angie. Sei già qui, meno male!».

    Allo Starhotel Rosa ero attesa con ansia. La hall è invasa da un discreto numero di americani con in testa cappellini di foggia vietnamita. Il mondo globale?

    «No, un gadget del tour operator», mi aggiorna Viviana. Allucinanti, di plastica colorata come i bicchieri da giardino. Non ne indosserei uno neppure se pagassero. Falso, se pagassero lo metterei. Quando facevo la modella per i cataloghi postali ho sfoggiato di peggio.

    Due minuti ed eccomi operativa.

    Appoggiata morbida al telefono della mia postazione, c’è una rosa gialla. Varietà Tequila

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