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I segreti dei giardini Hanbury
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E-book148 pagine

I segreti dei giardini Hanbury

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Info su questo ebook

Ventimiglia, marzo 1882. Sua Maestà la Regina Vittoria si sta recando in visita ai giardini di sir Hanbury in Italia. Il giardino è stato progettato da un eccentrico parvenu inglese, realizzato da un prussiano repubblicano e gestito da un capo giardiniere garibaldino. Due pericolosi ribelli irlandesi sono nascosti nella zona. Come se non bastasse, sul giardino stanno circolando strane e inquietanti voci su presunte misteriose guarigioni. Sua Maestà è in evidente pericolo. Un giornalista del “The Times” viene inviato in avanscoperta per valutare i possibili rischi per l’incolumità della Regina.
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2013
ISBN9788875638429
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    Anteprima del libro

    I segreti dei giardini Hanbury - Andrea Becca

    Capitolo 1

    Daniel e Thomas: che cos’è il paradiso

    Pace. Il vento tra gli ulivi si è calmato. Il sole si è sciolto nel mare fondendo tutti i colori del rosso tra l’azzurro del cielo e il blu del mare. La luna si delinea timidamente su un primo fondale di stelle opache.

    Pace e silenzio. Silenzio scandito dalle onde lente del mare. Silenzio contrappuntato dal canto di un grillo lontano. Silenzio composto dallo stridìo degli ultimi uccelli che tornano al nido. Silenzio tra le foglie degli oleandri, tra i rami dei cipressi.

    Ovunque si diffonde il profumo della terra riscaldata, del fieno appena tagliato, delle rose appassite. Il giardino sta trovando la sua quiete.

    «In questo momento Dio sta ammirando la sua opera».

    «Hai ragione Daniel, in questo momento ci si sente vicini a Lui».

    «Già. Mi sono sempre domandato perché».

    «Forse per il fatto che tutto ciò che compone un giardino – la luce, l’acqua, le piante – risveglia accordi profondi nell’animo umano. Un albero vive, cresce e muore come un uomo».

    «O forse perché noi uomini siamo proprio questo. Il giardino è lo specchio del nostro essere, della nostra essenza. Ritroviamo in questo modo l’armonia che la nostra coscienza perde nella sua quotidianità».

    Thomas Hanbury sorseggiò un po’ di vino rosso e, lentamente, riaccese la sua pipa. Nel silenzio di quella sera di marzo si poteva sentire il rumore del tabacco che ardeva.

    Thomas lo respirò a fondo, con piacere, mentre una leggera brezza scomponeva le nuvole di fumo.

    «Daniel spiegami. Cos’è il paradiso?».

    «Il significato di questa parola è antico. In persiano – pairi-daiza – voleva dire giardino cinto da muri. Per i greci e i latini il termine paràdeisos indicava semplicemente il giardino. In altre parole Thomas, tu sei in paradiso!»

    «Ah, allora devo solo fare attenzione a Eva e ai suoi serpenti!» rise Thomas.

    «Il mito del paradiso è presente ovunque ci sia un uomo...».

    «Cavolo, Daniel, sei sempre così maledettamente serio».

    «Ascolta è interessante. I libri sacri dell’India e il Mahabbarata celebrano il monte Meru da cui sgorgano quattro fiumi. Gli Egizi si tramandavano il ricordo di un’età felicissima vissuta dagli uomini sotto la dominazione di Ra, antico dio solare.

    L’Airyana vaegiah, che sorgeva sull’Hara-berezaiti degl’Irani, fu un vero paradiso terrestre. I Cinesi parlano del Keun-lun, un paradiso dove vivono alberi meravigliosi rinfrescati da acque miracolose. Romani e Latini favoleggiavano dei tempi di Crono e delle terre beate. Assiri e Caldei avevano storie simili a quelle raccontate nella Bibbia».

    «Già, la Bibbia» disse Thomas «questo è un passo della Genesi che ricordo anch’io:

    Poi il Signore piantò un giardino in Eden, a Oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi da lì si divideva e formava quattro corsi».

    «E ancora i boschi sacri dei Celti. Senza contare che poeti come Tertulliano, Proba Faltonia, Draconzio, Claudio Mario Vittore e Alcimo Avito hanno descritto le meraviglie del paradiso, mentre l’impero romano si stava sfaldando. Quanto più difficile diventava la vita nei secoli bui del medioevo e tanto più i poeti, i cantastorie, gli scrittori di opere ascetiche esaltavano le meraviglie di quel primo giardino. Per arrivare fino all’organizzatissima struttura di Dante che lo poneva alla fine del monte Purgatorio, diametralmente opposto alla città di Gerusalemme».

    «Dunque tutte le civiltà avevano un’idea chiara della felicità».

    «Direi piuttosto che in tutte le culture dell’uomo si è sentito il bisogno di progettare ed elaborare un paradiso. In ogni caso, si trattava di un mito che si basava sul culto della natura. L’albero della vita è l’orgine del nutrimento, l’albero della scienza è quello che permette di avere tutte le risposte. Così, indipendentemente dalla loro storia, gli uomini sono sempre stati portati a immaginare un tipo di vita più felice di quello che stavano vivendo. In secondo luogo, hanno sempre collocato questa condizione in uno spazio remoto, in un tempo dimenticato».

    «A tuo avviso, noi uomini moderni siamo ancora capaci di progettare il nostro paradiso? Sappiamo immaginare uno stato di primitiva innocenza e riconoscerci?».

    «Thomas, a nostro modo, noi ci abbiamo provato. Il tuo giardino è oggi una presenza viva e – al suo interno – ora sappiamo che si conservano segreti antichi dell’anima e della storia dell’uomo. Misteri che non possiamo capire, ma che abbiamo imparato a rispettare. L’importante, e tu lo sai bene, è che questi saperi occulti vengano preservati a tutti i costi».

    Capitolo 2

    James Vincent: il paradiso è la Riviera?

    Niente di peggio che farsi due ore su questa carrozza sporca, rumorosa e senza molleggio.

    L’aria è rischiarata con puntuale ritmicità dagli sputi densi di tabacco del suo conducente. Così debbo chiudere il finestrino nonostante il caldo di questa giornata di marzo.

    In questo modo sento un po’ meno i gorgheggi del suo compare, il quale non smette di cantare una canzone riferita a una donna di facili costumi. Una magra consolazione.

    I due si passano e si ripassano una bottiglia di vino, mentre frustano i cavalli per questi tornanti montani sospesi sul mare. Se mi avessero detto in redazione a Londra che questa sarebbe stata la mia missione nel seguire la Regina in Costa Azzurra, non avrei accettato con tanto entusiasmo.

    Mi slaccio il colletto rigido. Così questa sarebbe la meravigliosa Riviera!

    Improvvisamente sbucano da una nuvola di polvere due gendarmi. Siamo sulla nuova frontiera italiana. Da qui in poi entriamo nel Regno Sabaudo. L’ultima volta che ho visto Umberto II si stava tenendo i pantaloni proprio davanti alla camera della bella Edvige a Monaco. Non riesco a non pensare a come fossero scompigliati i suoi bei baffoni.

    I due sgherri dalle facce bruciate dal sole hanno anche l’ardore di chiedere i documenti: pagateli e facciamola finita.

    Pochi spiccioli per vedere tutta la loro arroganza trasformarsi in servilismo. Nuove nazioni, il solito schifo.

    Ai cancelli del paradiso, nello sgargiante scenario della Riviera italiana, ecco stagliarsi all’orizzonte il ridente ingresso dei celebri giardini di sir Thomas Hanbury. Avvolto nella soffusa luce di un fresco mattino di primavera, il paese di La Mortola risplende della sua genuina semplicità. L’Italia – paese di navigatori, poeti e artisti – apre le sue porte al mio cocchio. La corsa dei miei cavalli bianchi spicca verso la patria della cultura, verso la culla della nostra civiltà. Roma – nello splendore della sua millenaria storia – incombe su questa terra: non a caso stiamo viaggiando sull’antica via Aurelia. Una mirabile impresa costruttiva che permetteva ai cittadini dell’Urbe di raggiungere i lontani territori della Gallia e dell’Iberia.

    Questo è quello che si berranno i miei lettori sul The Times di domani. Guardo la mia penna con ammirazione. Se dovesse descrivere proprio tutto, dovrebbe anche raccontare che il villaggio chiamato La Mortola – dove si trovano i giardini – forse deve il suo lugubre nome al fatto che fosse una zona sulla quale sorgeva un antico cimitero.

    I suoi cenciosi abitanti stanno da tempo combattendo contro le febbri tifoidi vista la qualità dell’acqua che si riducono a bere. Per non parlare dei territori che sono costretti a coltivare: stretti balconi di terra su cui si aggrappano gli ulivi e le viti, ma dove un campo di grano non potrebbe proprio trovare posto.

    E la strada romana… meglio non descrivere questo interminabile sentiero adatto solo per un carro bestiame!

    Dio che orrore. Se solo potessi rilasciare un’intervista ora. Se solo potessi scrivere quello che penso. Un’intervista a me stesso, non potrebbe che cominciare con la più classica delle domande.

    «Signor James, qual è stata la sua prima impressione della costa italiana?».

    «Pensare? Ma come si può pensare dopo un viaggio di tre giorni su un treno scomodissimo, senza riscaldamento e senza ristorante. Un treno che alla velocità di 30 chilometri all’ora percorre una Francia infinitamente noiosa. Senza contare il tragitto che da Mentone mi ha condotto qui! Una strada infame. Si tratta dell’ennesima stramberia della nobiltà inglese, ecco cos’è! I primi bislacchi aristocratici hanno cominciato ad andare a Brighton o a Portmouth dove si è cominciato a fare il bagno in mare. Oggi si preferisce qualcosa di più esotico, di più selvaggio. Allora perché non scegliere il sud della Francia? O, peggio, la Riviera Ligure?».

    «Forse dimentica quanto sia umido il clima britannico».

    «Andiamo. Nulla giustifica un viaggio simile. Una spesa simile! Credo che la Regina si sia fatta mal consigliare. Una sovrana così attenta alle buone maniere, così integerrima nello spirito e nel portamento. Sono certo che rimarrà disgustata da tutta questa selvaggia realtà».

    «Tuttavia lei è stato inviato qui anche per un motivo preciso: capire quanto fondamento abbia una storia che circola sulla costa. Di cosa si tratta? Ce ne può parlare?»

    «No, si tratta di qualcosa di riservato. Come ogni buon giornalista devo mantenere un certo riserbo. Tuttavia la storia è sulla bocca di tutti. Insomma, ti posso dare giusto qualche ragguaglio. Un paio di settimane fa un giardiniere ha accoltellato un suo compagno proprio nei giardini botanici di proprietà di un nobile inglese chiamato sir Thomas Hanbury.

    Giardino, così lo chiamano, ma deve trattarsi di un orribile ammasso di piante costruito sulla frontiera italo/francese dall’ennesimo eccentrico britannico all’estero.

    Quanto alla lite... beh, sono cose che succedono tra personaggi di questo tipo. Un po’ contrabbandieri, un po’ banditi, questi italiani non sono affidabili. Tanto più poveri sono, quanto meno affidabili diventano».

    «Dunque non è questo il fatto strano».

    «La curiosità è che il ferito sembrava morto, ma lo stesso Hanbury – il proprietario - è intervenuto portandolo via. Lo ha nascosto con la complicità del suo capo giardiniere – tale Winter – in un padiglione che è stato chiuso a chiave. Qui l’uomo è stato ricoverato per un giorno e una notte intera. Poi il moribondo è ritornato al lavoro come se nulla fosse stato. Sembra addirittura che non abbia sul corpo alcuna traccia di ferita da arma da taglio!».

    «Per quale ragione ti interessi di un fatto di cronaca tanto irrilevante?».

    «Sì è disgustoso. Devo ammettere che il direttore del The Times sta tirando molto la corda. Il

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