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Calze di seta
Calze di seta
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E-book110 pagine1 ora

Calze di seta

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Info su questo ebook

Pubblicata per la prima volta a Milano nel 1920, "Calze di seta" è una raccolta di tredici novelle che incarnano a pieno la sensibilità e lo stile del grande scrittore bolognese Giuseppe Lipparini. Partendo dai primi racconti, incentrati sulla figura affascinante di Mimì Soriano, si passa poi ad altri personaggi, altri luoghi e altre vicissitudini: tutte narrate col solito piglio sornione, con la medesima arguzia con cui Lipparini ha sempre saputo dare forma alle sue storie. Amori fra uomini di mezza età e giovani ragazze emancipate e modernissime, discussioni famigliari e un rapporto complicato con le convenzioni sociali e religiose: tutto questo (e molto altro!) lo si può trovare solo in "Calze di seta" ...-
LinguaItaliano
Data di uscita13 dic 2022
ISBN9788728468043
Calze di seta

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    Anteprima del libro

    Calze di seta - Giuseppe Lipparini

    Calze di seta

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1920, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728468043

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Off - Side

    Mimì Soriani ha collocato la madre e la sorellina nei due ultimi posti numerati rimasti liberi; poi, avendomi scorto poco più su in una delle panche comuni, è salita agilmente e mi prega di farle posto accanto a me.

    La cosa non è agevole, perchè siamo già stretti e pigiati come i fogli di un libro chiuso. Ma Mimì è provocante e carina, e allora i miei vicini ed io facciamo il miracolo di stringerci ancora e di trovare un posticino anche per lei. Così ella siede sorridendo fra me e un giovanotto biondo, e le sue curve leggere si schiacciano un po’ contro di me, un po’ contro di lui.

    Mi pare ch’egli ne sia estremamente lusingato, e che manovri in modo da restringere ancora quel terzo posto in cui è riuscita ad entrare la snella ed esile Mimì.

    — Grazie! — mi dice porgendomi la mano. — Se non era Lei, rimanevo in piedi. Ma ho ballato tutta la notte, e le confesso che mi sento un poco stanca.

    Non le domando i particolari del ballo. So benissimo come è di moda che finiscano queste cose. Piuttosto, mi meraviglio che il suo volto non sia segnato dallo stravizio notturno; è fresca e rosea; i suoi occhioni grigi brillano sotto l’ala del cappellone nero. E’ inguainata in un abito di velluto che le arriva sopra i polpacci. Se a tratti allarga un po’ la martora che le gira sotto il mento, la veste appare scollata fino al principio dei seni.

    E’ Soriana di nome e di pelo. I suoi capelli crespi hanno il colore caldo, vivo, rossastro di certi gatti. La sua pelle bianchissima è sparsa di efelidi leggere. Le unghie rosee, lunghe, acute sembrano pronte a graffiare, così come i suoi dentini bianchi e un poco radi debbono mordere deliziosamente. Studiandola, si pensa con un brivido a quello che, secondo gli sconci vecchi scrittori, l’onestà vieta di nominare.

    E’ una creatura nuova e modernissima. E’ la « signorina » tipo; la ragazza che non si crede meno donna delle altre solamente perchè ha un requisito fisiologico di più. La ragazza che ha ripudiato solennemente la modestia e la pudicizia, virtù troppo antiquate, e coltiva alacremente la propria « personalità ».

    Comunque, Mimì è una deliziosa bambina, ed io invidio quelli che indugiano sulla porta con lei. Ma ecco che i giocatori entrano nel campo.

    Mi ero dimenticato di dirvi che dovevamo assistere a un incontro di foot-ball dei più importanti, di quelli che decidono della superiorità non di una squadra ma di una regione. La folla immensa era accorsa anche dalle città vicine e gremiva le tribune e il prato verde attorno allo steccato. Ma la grande maggioranza degli spettatori era del luogo, e trepidava augurandosi la vittoria dei favoriti.

    Gli altri sono entrati per i primi, tutti insieme allineati, con il capitano in testa. Un applauso cortese li saluta. Sono undici atleti vigorosissimi, col busto chiuso in una maglia fiammeggiante; dai calzoncini bianchi cortissimi escono le gambe poderose. Dànno una impressione di forza irresistibile ma tranquilla. Mimì li contempla con gli occhioni sbarrati.

    — Ti ricordi, — le domando, — quando a scuola ti parlavo dei giuochi olimpici, della passione dei Greci per la bella vita fisica, per i begli atleti ignudi…

    — Sì; e mi ricordo anche le lotte nel Circo, e i gladiatori amati dalle belle Messaline…

    Un fremito le corre sotto l’epidermide di velluto.

    — Questo, veramente, non te l’ho insegnato io. L’avrai trovato in qualche vecchio libro…

    Ma ella si immerge di nuovo avidamente nella contemplazione degli atleti. Non voglio procurarle una delusione, avvertendola che quei giovani, quando si preparano alla lotta, si votano per lungo tempo a una rigorosa castità.

    Ora, ecco levarsi un clamore che sembra un tuono. La folla è in piedi e agita i bastoni e i cappelli. Qualcuno dall’estremo della tribuna intona a gran voce: Hip, hip, hip, hurrah! La moltitudine frenetica lo accompagna con tre urrah formidabili che fanno tremare l’aria. I nostri entrano di corsa in disordine, serrati nelle maglie a strisce rosse e blù. Sono meno quadrati degli altri, ma incomparabilmente più snelli. Mi dànno l’idea di una folata di un vento giovane di primavera.

    Sono ventidue giovinezze stupende, risolute a vincere cortesemente, ma ad ogni costo, il bellissimo gioco.

    — E come mai, — chiedo alla mia giovane amica, — non ti sei fatta accompagnare da nessuno dei tuoi ammiratori?

    — Non credevo di venerei, oggi. Pensavo di dormire fino alle sei. E poi, questi giovani moderni sono troppo sciocchi. Si figuri che ce ne sono ancora di quelli che sognano il flirt innocente e rispettoso e vengono a passeggiare sotto le finestre, e non hanno coraggio di osare!

    — E’ una cosa naturale, — osservo io. — Quando le donne osano troppo, gli uomini assumono essi la ritrosia e la pudicizia delle fanciulle. Una volta, era l’uomo che andava a caccia; oggi, le ragazze sono altrettante Diane cacciatrici, e non è meraviglia se gli uomini si fanno timidi, o dormono come Endimione.

    — Sono imbecilli! — esclama Mimì. — Io penso spesso con terrore che la vita è breve e la gioventù sfiorisce. E’ così poco il tempo che ci resta per godere! E il piacere è la sola cosa per cui la vita meriti di essere vissuta.

    — Sei cinica! — esclamo alla mia volta.

    — Sono sincera. Le altre lo fanno e non lo dicono. Io lo faccio e lo dico. E sostengo che non c’è nulla di male se una ragazza ha un amante.

    — Purchè…

    — S’intende. Ogni cosa al mondo ha un limite che non è prudenza infrangere.

    — Ma allora, tu che sei bella e ricca, perchè non pensi piuttosto a prendere marito?

    Mimì si fa seria. I suoi occhioni si riempiono d’ombra.

    — Perchè quello che amo è già d’un’altra. Quando l’avrò dimenticato…

    — Quello che ami?!. Ma allora, gli altri?

    — Gli altri sono giocattoli, sono passatempi, sono il piacere. L’amore è un’altra cosa.

    — Forse, — mi mormora all’orecchio con voce tremante, — finirò col fare la cocotte.

    — Non dire sciocchezze! Piuttosto, fa presto, e innamorati di un altro.

    E’ strano come le ragazze moderne invidino le cocottes.

    Discutiamo a bassa voce, col volto contro il volto. Vi confesso che anche la mia imperturbabilità di uomo quasi maturo comincia ad essere scossa. I nostri vicini discutono e gridano infervorati, e non si curano di noi. Mimì ha il fiato odoroso di gelsomino, e dalla sua scollatura sale un alito caldo e sano.

    Un gran silenzio. La gente si raccoglie e si siede. La gara incomincia.

    I due capitani s’incontrano, si stringono la mano, lanciano uno dopo l’altrol’urrah alla squadra avversaria. Poi l’arbitro lancia in aria una moneta. I nostri hanno vinto, e vanno a prendere posto con il dorso al sole. Qualche giocatore s’indugia ancora a palleggiare davanti alla porta; il fischio impaziente dell’arbitro lo richiama.

    Ora i ventidue sono tutti a posto: i due portieri davanti alla loro rete, pronti ad afferrare e a respingere il pallone con agilità felina. Occorre un colpo d’occhio sicuro e prontissimo, una decisione assoluta e infallibile nel gettarsi a terra, nel balzare in alto a braccia tese, nell’accogliere contro il torace e serrare con le braccia il proiettile, nel respingerlo

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