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Broken (Versione italiana)
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E-book548 pagine12 ore

Broken (Versione italiana)

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Info su questo ebook

Don Winslow, maestro del crime internazionale, ci regala sei storie che parlano di corruzione e vendetta, perdita e tradimento, colpa e redenzione.


“Con Broken, Don Winslow si conferma un purosangue, in grado di dare al lettore intrattenimento allo stato puro senza lesinare sulla commedia sociale, pigiando sull’acceleratore quando si tratta di cogliere e far risaltare i risvolti quotidiani dell'inefficienza nella guerra alla droga… Broken introduce nuovi personaggi e ne richiama in azione alcuni molto amati: un titolo imperdibile per i suoi appassionati”
- Francesco Musolino, Il Messaggero

“Sei storie straordinarie. Una ha il miglior incipit di sempre: Nessuno sa come ha fatto lo scimpanzé a prendere la pistola.”
- Stephen King

“Winslow si conferma ancora una volta uno dei maestri del thriller. E dimostra di avere mordente. Tutti dovrebbero imparare da lui.”
- New York Times

“Non è importante come entri in questo mondo, comunque tu ci entri, ne uscirai spezzato”. In sei intensi e tormentati romanzi brevi, Don Winslow ritorna ai temi cardine della sua narrazione e ad alcuni dei suoi personaggi più amati, per esplorare la ferocia ma anche la nobiltà che definiscono la condizione umana.

Broken. Eva McNabb è una centralinista della polizia. Rispondendo a una chiamata scopre che un agente è stato ucciso da una gang di spacciatori di droga. È il suo stesso figlio, Danny. E allora è lei a fare una telefonata. All'altro figlio, Jimmy. Vendica tuo fratello. Uccidili tutti.

Rapina sulla 101. Una serie di furti di gioielli sulla Highway 101 è rimasta irrisolta per anni, perché il ladro si attiene scrupolosamente a un ferreo codice di comportamento. La polizia attribuisce i crimini al cartello colombiano. Ma l'istinto del detective Lou Lubesnick gli dice che è il lavoro di un solo uomo. E per stanarlo lui è disposto a infrangere ogni regola.

Lo zoo di San Diego. Chris Shea deve risolvere uno strano caso, uno scimpanzé fuggitivo armato di pistola. Solo se ci riuscirà, la sua reputazione sarà salva. E forse avrà anche conquistato una ragazza.

Sunset. Quando Terry Maddux, leggenda del surf e criminale incallito, non si presenta all’udienza fissata dal giudice e fa perdere le proprie tracce, il re dei garanti per le cauzioni di San Diego, Duke Kasmajian, decide che per catturare un surfista ci vuole un altro asso del surf. E ingaggia l’investigatore privato Boone Daniels...

Paradise. Ben, Chon e O, migliori amici e coltivatori di marijuana, sono in vacanza alle Hawaii, ma non per questo dimenticano gli affari. Vorrebbero estendere il loro giro anche alle isole, ma la mala locale non vede di buon occhio l’intrusione. E di colpo il paradiso si trasforma in un campo di battaglia…

L’ultima cavalcata. Calvin Strickland è un agente di frontiera che ogni giorno pattuglia il confine tra Messico e Stati Uniti. Per lui i migranti che tentano di oltrepassare il confine sono solo una massa di senza nome che deve essere respinta. Finché non vede una ragazzina rinchiusa in una gabbia… E questo cambia tutto.

Sei storie crude e sconvolgenti, adrenaliniche ma al tempo stesso capaci di spezzare il cuore, che con il loro mix di umanità, umorismo e azione tratteggiano un mondo di ladri inafferrabili e spregevoli truffatori, poliziotti che lottano contro la vita dentro e fuori dal lavoro, detective privati, spacciatori, cacciatori di taglie e fuggitivi... anime perdute che guidano a fari spenti nella notte sull’autostrada del crimine. Con il suo stile inimitabile, Don Winslow, maestro del crime internazionale, ci regala sei storie che parlano di corruzione e vendetta, perdita e tradimento, colpa e redenzione, destinate a diventare dei classici.
LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2020
ISBN9788830514720
Broken (Versione italiana)
Autore

Don Winslow

Don Winslow. Ex investigatore privato, esperto di antiterrorismo e consulente giuridico, è l’autore di ventitré romanzi che sono diventati bestseller mondiali vincendo innumerevoli premi. Tra le sue opere spiccano Corruzione, Il cartello, Il potere del cane, L’inverno di Frankie Machine e Le belve, da cui il premio Oscar Oliver Stone ha tratto l’omonimo film. Dalla trilogia con protagonista Art Keller (Il potere del cane, Il cartello e Il confine) sarà tratta un’importante serie tv, mentre il bestseller Corruzione sarà adattato per il grande schermo da 20th Century Studios. Vive tra la California e il Rhode Island. Con HarperCollins ha pubblicato Broken, La lingua del fuoco, Morte e vita di Bobby Z, Città in fiamme e Città di sogni.

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    Broken (Versione italiana) - Don Winslow

    BROKEN

    Il mondo fa tutti a pezzi, e molti, anche se a pezzi, si rivelano forti.

    Ernest Hemingway, Addio alle armi

    Inutile dire a Eva che il mondo è a pezzi.

    Eva McNabb lavora la notte, smista le chiamate che arrivano alla sala operativa del Pronto intervento di New Orleans, sente la disperazione umana per otto ore buone, cinque giorni a settimana, e ancora di più quando fa i doppi turni. Sente di incidenti automobilistici, rapine, sparatorie, omicidi, mutilazioni, morti. Sente la paura, il panico, la rabbia, la furia, il caos, ed è lei che manda uomini in soccorso, a fronteggiare tutto questo.

    Be’, soprattutto uomini – nel reparto ci sono sempre più donne –, ma Eva li considera come i suoi ragazzi. Li manda in quel mondo a pezzi e prega che tornino tutti interi.

    Per lo più tornano interi, ma a volte no, e lei continua a mandare altri suoi uomini, altri suoi ragazzi, in quel mondo a pezzi.

    A volte sono letteralmente i suoi uomini, i suoi ragazzi, perché suo marito era un poliziotto, e adesso lo sono anche i suoi due figli.

    Quindi Eva conosce quella vita.

    Conosce quel mondo.

    Sa che puoi uscirne, ma comunque ne uscirai sempre a pezzi.

    Persino al chiaro di luna il fiume appare lurido.

    A Jimmy McNabb va bene così, lui ama quel fiume lurido e quella lurida città.

    New Orleans.

    È cresciuto e vive ancora nel quartiere dell’Irish Channel, a pochi isolati da dove si trova adesso, dietro un’auto civetta nel parcheggio del molo di First Street.

    Lui, Angelo e il resto della squadra si stanno preparando: indossano i giubbotti antiproiettile e i caschi, afferrano i fucili, le granate stordenti. Come una Squadra d’assalto, solo che Jimmy si è dimenticato di invitarla alla sua festa. Così come si è dimenticato di invitare la polizia portuale o altri, a parte i suoi ragazzi, quelli della Squadra narcotici dell’Unità investigativa speciale.

    Questa è una festa privata.

    La festa di Jimmy.

    «Quelli della Portuale s’incazzeranno» commenta Angelo, mentre indossa il giubbotto.

    «Li chiameremo quando ci sarà da sgombrare il campo» replica Jimmy.

    «Non gli piace fare gli spazzini» ribatte Angelo. Stringe il velcro del suo giubbotto. «Mi sento ridicolo con questa merda addosso.»

    «E lo sei» gli dice Jimmy. Con quel dannato giubbotto il suo collega assomiglia all’omino Michelin. Di corporatura esile, Angelo si era sottoposto a una drastica dieta a base di banane e frullati per rientrare nei parametri fisici richiesti dal dipartimento di polizia e non era più riuscito a mettere su neanche un chilo. Magro, con dei baffetti sottili che secondo lui lo fanno assomigliare a Billy Dee, anche se non è così, Angelo Carter ha la pelle color caramello, i lineamenti marcati ed è cresciuto nel Ninth Ward, che più nero non si può.

    A Jimmy il giubbotto va stretto.

    È un omone, alto un metro e novantatré, col torace ampio e le spalle larghe dei suoi progenitori irlandesi, che arrivarono a New Orleans per scavare le chiuse con pale e picconi. Gli è capitato di rado di rimanere invischiato in una rissa durante i pattugliamenti delle strade – persino nel Quartiere francese – perché la sua mole e l’aspetto imponente intimidivano e inducevano a più miti consigli anche l’ubriaco più attaccabrighe.

    Ma quando c’era da intervenire, Jimmy si portava dietro tutta la squadra a dargli una mano. Una volta aveva sbaragliato – letteralmente – un’intera gang di balordi giunti da Baton Rouge, che stavano facendo un po’ troppo casino allo Sweeny’s, il bar del quartiere di Jimmy. Erano entrati starnazzanti e sulle loro gambe, e ne erano usciti muti e in posizione orizzontale.

    Jimmy McNabb era un poliziotto cazzuto, come lo era stato suo padre.

    Quell’omone di John McNabb era una leggenda.

    I suoi due figli maschi non avrebbero potuto fare che i poliziotti, e non che volessero fare altro.

    Jimmy osserva i suoi ragazzi. Gli sembrano tesi ma non troppo, sono nervosi al punto giusto.

    C’è bisogno di quel mordente.

    Jimmy lo sente, l’adrenalina comincia a scorrere nel sangue.

    Gli piace.

    Sua madre Eva dice che al figlio è sempre piaciuta quella carica – che sia adrenalina, birra, whisky, una corsa di cavalli a Jefferson Downs o il momento dell’ultimo inning di una partita di baseball del campionato della polizia: «A Jimmy piace quella carica».

    E Jimmy sa che ha ragione.

    Come al solito.

    E lo pensa anche lei.

    Jimmy e il suo fratellino avevano coniato un modo di dire, in proposito: L’ultima volta che Eva ha sbagliato.

    Tipo: «L’ultima volta che Eva ha sbagliato è stato al tempo dei dinosauri». Oppure: «L’ultima volta che Eva ha sbagliato è stato quando Dio si è riposato il settimo giorno». O ancora, quello preferito da Danny: «L’ultima volta che Eva ha sbagliato, Jimmy aveva una ragazza fissa».

    Il che era, tipo, be’, in terza media.

    «Jimmy è un lanciatore» aveva detto una volta Eva, «ma preferisce giocare a tutto campo.»

    Bella questa, Eva, pensa Jimmy.

    Sei uno spasso.

    Lui e Danny tra loro chiamano la madre Eva. Cioè, quando ne parlano tra loro, mai in sua presenza. Proprio come chiamano John il padre. Era cominciato quando Jimmy aveva sui sette anni: lui e Danny erano stati puniti e chiusi in una stanza per qualche marachella che aveva a che fare col baseball e una finestra rotta, e Jimmy aveva detto: «Cavolo, Eva era proprio incazzata», e la cosa aveva preso piede.

    Jimmy osserva Wilmer per capire come sta. Suazo sembra esagitato, ma l’honduregno spesso è un po’ su di giri. Jimmy lo chiama honduregno, ma anche Wilmer è cresciuto nel quartiere dell’Irish Channel, nel piccolo circondario periferico di Barrio Lempira, che esisteva da prima che Jimmy nascesse.

    Basso e tarchiato come un frigorifero, Wilmer è un ragazzo della zona est di New Orleans, uno Yat come tutti loro, ed è bene avere un ispanico nella squadra, specialmente di questi tempi, con tutti quegli honduregni e messicani arrivati dopo l’uragano Katrina per ricostruire la città, a cui nessuno chiedeva se avessero la carta verde.

    Ed è bene averlo qui anche stanotte.

    Visto che l’obiettivo è un honduregno.

    Jimmy gli fa l’occhiolino. «Tranquilo, ’mano

    Calmo, fratello.

    Wilmer gli fa un cenno d’intesa.

    Invece Harold – e non chiamatelo Harry – non è mai su di giri.

    A volte Jimmy si chiede se a Gustafson il cuore batta, flemmatico com’è. Una volta, prima di un blitz in cui poteva lasciarci la pelle, s’era addormentato come un ciocco sul sedile posteriore. A Jimmy ricorda un frullato alla vaniglia: delicato, buono e bianco come il latte. Con i capelli biondi e gli occhi celesti, sembra proprio un diacono.

    Persino Wilmer modera il linguaggio davanti a Harold, e sì che quando parla sembra una fogna a cielo aperto. Ma in sua presenza Wilmer impreca in spagnolo, giustamente convinto che Gustafson non capisca una parola.

    McNabb è grande e grosso, ma Gustafson lo è ancora di più.

    «Non c’è bisogno di costruire un muro di confine» aveva detto una volta Jimmy, «basta che Harold si stenda a terra.»

    Un giorno per scommessa (non tra Jimmy e Harold, perché Harold non scommette), Gustafson aveva sollevato Jimmy stando supino.

    Dieci volte.

    A Jimmy era costato cinquanta bigliettoni, ma era valsa la pena di assistere a quello spettacolo.

    Ho una bella squadra, pensa Jimmy.

    Tipi svegli, coraggiosi (ma non spericolati, non avere paura è da stupidi), una combinazione perfetta di forza, punti deboli e qualità. Jimmy riesce a tenerli insieme da cinque anni, e ognuno conosce l’altro alla perfezione.

    E questa notte hanno bisogno di tutto ciò.

    Non hanno mai assalito un’imbarcazione prima d’ora.

    Raffinerie multipiano di eroina, covi di tossici, ritrovi di motociclisti, territori di bande: quello l’hanno fatto, infinite volte.

    Ma un cargo?

    È la prima volta.

    Ma è proprio quello con cui Oscar Diaz sta sbarcando il suo enorme carico di metanfetamine, perciò proprio quello è il loro obiettivo.

    Sono mesi che tengono sott’occhio l’honduregno.

    Ma lo hanno lasciato agire.

    Hanno lasciato passare le stronzatine, in attesa che Oscar facesse il colpo grosso.

    Ed è arrivato il momento.

    «Okay, diamoci da fare» dice Jimmy. Tira fuori dalla macchina il suo vecchio e consunto guantone da baseball Rawlings, che risale ai tempi del liceo, con dentro una palla consumata.

    Anche gli altri tirano fuori i loro guantoni, si sistemano a pochi metri l’uno dall’altro e cominciano a lanciarsi la palla, come giocatori che si allenano nel diamante. È una scena quasi comica, con addosso quei giubbotti e i caschi, ma è un rituale, e McNabb rispetta i rituali.

    Quando si lanciano la palla prima di un’operazione non perdono mai nessuno, e lui adesso non intende perdere nessuno.

    C’è un monito implicito in quel rituale: non far cadere mai la palla.

    Fanno qualche giro, poi Jimmy si toglie il guantone e dice: «Laissez les bons temps rouler».

    Diamo inizio alle danze.

    Eva McNabb ascolta la voce del bambino al telefono.

    È una VD, una chiamata per violenza domestica.

    Il bambino è terrorizzato.

    Sposata con quell’omone di John McNabb da quasi quarant’anni, Eva – alta un metro e sessanta, contro il metro e novantatré di lui – non è nuova alla violenza tra le pareti di casa. John non la picchia più, ma quando è ubriaco diventa cattivo e iroso, e da quando ha appeso il distintivo è quasi sempre sbronzo. Adesso scaglia bicchieri e bottiglie e prende a pugni i muri.

    Quindi Eva di violenza domestica se ne intende.

    Ma questa chiamata è diversa.

    Sono tutte brutte, ma questa lo è davvero.

    Lo capisce dalla voce del bambino, dalle urla in sottofondo, le grida, il cupo rimbombo delle botte che le giunge dalla cornetta. Quella faccenda è cominciata male, e l’unica cosa che può fare è cercare di assicurarsi che non finisca peggio.

    «Tesoro» dice dolcemente al telefono, «mi senti? Riesci a sentirmi, caro?»

    «Sì» risponde il bambino con voce tremante.

    «Bene» lo rassicura Eva. «Come ti chiami?»

    «Jason.»

    «Jason, io sono Eva» gli dice. Dare il proprio nome è una violazione del protocollo, ma al diavolo il protocollo, pensa Eva. «Allora, Jason, la polizia sta arrivando, saranno lì tra pochissimo, ma prima che vengano… a casa avete un’asciugatrice, cher

    «Sì.»

    «Bene» dice Eva. «Allora, Jason, fai come ti dico, nasconditi dentro l’asciugatrice, okay? Mi fai questo piacere, tesoro?»

    «Sì.»

    «Bene. Fallo subito. Io rimango al telefono.»

    Eva sente il bambino muoversi. Le giungono altre grida, altre urla, altre imprecazioni. Poi chiede: «Sei entrato nell’asciugatrice, Jason?».

    «Sì.»

    «Bravo» dice. «Adesso devi chiudere lo sportello. Ci riesci? Non avere paura, tesoro. Ci sono qui io.»

    «L’ho chiuso.»

    «Bravo» lo rassicura Eva. «Adesso rimani lì dentro e mentre arriva la polizia ci facciamo una bella chiacchierata. Okay?»

    «Okay.»

    «Scommetto che ti piacciono i videogiochi» dice Eva. «Quali preferisci?»

    Eva si passa la mano tra i corti capelli neri, unico segno di nervosismo, e ascolta il bambino che le parla di Fortnite, Overwatch e Black Ops III. Fissa lo schermo che ha davanti, osserva le lucine lampeggianti che indicano la volante diretta a casa del bambino, nel quartiere di Algiers.

    Danny si trova in una volante lì nel 4º Distretto di polizia, ma non in quella.

    Eva è sollevata.

    È protettiva verso i suoi due figli, ma Danny è il più piccolo, quello sensibile (Jimmy è sensibile come un tirapugni), quello più delicato, e lei non vuole che veda ciò che probabilmente vedrà l’agente che entrerà in quella casa.

    La volante adesso è più vicina, ad appena un isolato di distanza, seguita da altre due unità, nessuna delle quali è quella di Danny. Eva le ha mandate avvertendo che lì ci sono dei bambini.

    Ogni poliziotto del distretto sa che se Eva McNabb dice di correre, faranno bene a correre. Altrimenti dovranno risponderne a lei, cosa che nessuno desidera fare.

    Eva sente le sirene al telefono.

    Poi lo sparo.

    Il proiettile colpisce la paratia di metallo molto viciiino alla testa di Jimmy e rimbalza intorno mentre Angelo si getta a terra sul ponte dell’imbarcazione.

    Per un attimo, Jimmy teme che il collega sia stato colpito, ma Angelo rotola contro la paratia e gli fa segno col pollice alzato.

    Comunque, non è una buona notizia che gli honduregni stiano vendendo cara la pelle, che le pallottole risuonino sull’acciaio con un sibilo inquietante, rimbalzando come le palline di un flipper, mentre Jimmy e i suoi sono inchiodati a terra in uno stretto passaggio.

    Forse avrei fatto bene a portare quelli della Squadra d’assalto, pensa Jimmy.

    I colpi provengono da un boccaporto aperto a una decina di metri da loro. Qualcuno dovrà entrare da quel portello, riflette, altrimenti dovremo sgusciare via da questa barca con la coda tra le gambe.

    E quel qualcuno sarò io, pensa. Sgancia una granata stordente dalla cintura e la scaglia nel boccaporto. Non un lancio sporco, con l’effetto, ma un lancio secco e dritto verso il centro dell’apertura.

    La granata esplode, Jimmy spera che il bagliore abbia accecato gli uomini che gli stanno sparando addosso.

    Balza in avanti, sparando.

    Quelli rispondono agli spari, ma Jimmy sente rumore di passi che si allontanano sul ponte d’acciaio.

    «Polizia di New Orleans! Gettate le armi!» grida all’indirizzo di quel comitato di accoglienza.

    Adesso sente risuonare dei passi anche alle sue spalle e non ha bisogno di voltarsi per capire che Angelo, Wilmer e Harold lo stanno seguendo. Davanti a sé vede un uomo, è un attimo, scompare subito, e Jimmy si rende conto che è sceso da una scala.

    Si fionda sulla sommità della scaletta giusto in tempo per vedere l’uomo che si precipita giù per i pioli, ma non lo segue. Si puntella sul parapetto, lo scavalca con un balzo e atterra proprio davanti all’uomo.

    Quello prova a puntare la pistola, ma Jimmy è più rapido e con un gancio sinistro lo manda al tappeto, privo di sensi. Quindi gli pianta un piede sulla faccia, per precauzione, ma anche a mo’ di lezione: ecco cosa succede a chi punta un’arma contro un poliziotto della Narcotici.

    Poi calano le tenebre.

    Danny McNabb ha il turno di notte.

    Non gli importa, di notte c’è più azione, e un agente con soli due anni di anzianità ha bisogno di farsi le ossa, se vuole fare carriera. È contento di essere stato assegnato al 4º Distretto – Algiers – perché Algiers, pur essendo tecnicamente parte di New Orleans, è un mondo a sé.

    Il selvaggio est, lo chiamano.

    Chi è di ronda lì non si annoia di certo, e a Danny annoiarsi non piace. Adesso, però, seduto da ore in quella macchina, le gambe cominciano a dolergli per i crampi.

    Se suo fratello Jimmy è un toro, lui è uno stallone purosangue.

    Alto, snello e allampanato.

    Ricorda ancora il giorno in cui superò Jimmy in altezza: sua madre segnava con un pennarello la loro statura sulla porta dell’armadio nella loro stanza; Jimmy s’era incazzato, voleva battersi («Sarai pure più alto, ma non più forte»). Ma Eva non glielo aveva permesso.

    Erano andati al campo da baseball per una partita in notturna, e mentre camminavano Jimmy gli aveva detto, tutto serio: «Sarai pure più alto, ma sei ancora il mio fratellino. E lo sarai sempre. Capito?».

    «Capito» aveva replicato Danny. «Ma sono più bello.»

    «Vero» aveva ammesso Jimmy. «Peccato però per quel cazzetto che ti ritrovi.»

    «Vuoi misurare anche quello?»

    «Mi manca solo un fratello finocchio» aveva ribattuto Jimmy.

    Quando Danny aveva raccontato quella storia a Roxanne, aveva cambiato finocchio in gay. Non faceva altrettanto ridere, ma Roxanne era gay e lui sapeva che quella parola, finocchio, non le sarebbe piaciuta. Però sapeva che per Jimmy non era offensiva. Jimmy non ce l’ha con i gay, ce l’ha con tutti.

    Una volta Danny glielo aveva chiesto, dopo che Jimmy si era lanciato in uno dei suoi sproloqui. «Ma tu ce l’hai con tutti

    «Fammici pensare» aveva risposto Jimmy. «Gay, lesbiche, etero, neri, ispanici, bianchi… asiatici, per quei pochi che ci sono… Sì, direi che mi stanno tutti sulle palle. E capiterà anche a te, dopo qualche anno di lavoro.»

    Sua madre e suo padre gli avevano detto la stessa cosa. Che il lato più negativo del mestiere di poliziotto è che arrivi a detestare tutti eccetto i tuoi colleghi. Ma Danny non la pensa così. Lui è convinto che un poliziotto tenda a giudicare la gente in base alla sua esperienza. Vede troppo male, e dimentica che c’è anche il bene.

    Eva non voleva che facesse il poliziotto.

    «Tuo marito è un poliziotto» le aveva detto lui. «E anche l’altro tuo figlio.»

    «Tu sei diverso da loro» aveva replicato lei.

    «Diverso in che senso?»

    «In senso buono» aveva risposto Eva. «Non voglio che tu finisca come tuo padre.»

    Iroso, inasprito, alcolizzato.

    Per colpa del lavoro, secondo lui.

    Ma mio padre è così, pensava Danny. Io no.

    Io non sarò mai così.

    Danny è soddisfatto della sua vita.

    Ha un buon lavoro, un bell’appartamentino nel Channel, una fidanzata che ama. Jolene fa l’infermiera, lavora di notte al Policlinico Touro, quindi anche i loro turni combaciano. Ed è un tesoro, una ragazza con lunghi capelli neri, occhi azzurri e uno spiccato senso dell’umorismo.

    La vita è bella.

    La volante staziona su Verret Street nei pressi del McDonough Park, di fronte alla chiesa del Santo Nome di Maria, poiché il parroco si è lamentato con il capitano del distretto di certi pervertiti che di notte bighellonano nel parco.

    Come se proprio i preti potessero lamentarsi dei pervertiti, pensa Danny.

    Eva l’aveva costretto ad andare a messa sino ai tredici anni, anche se lei non ci andava mai. Lui e Jimmy avevano frequentato scuole cattoliche, fino all’istituto superiore Arcivescovo Rummel, e Jimmy era solito dire che c’erano due tipi di alunni nelle scuole cattoliche: gli svegli e gli inculati.

    Jimmy e Danny erano tra gli svegli.

    Comunque, è una fottuta settimana che lui e Roxanne se ne stanno parcheggiati lì per far contento quel prete, non hanno visto neanche l’ombra di un pervertito e Danny è annoiato a morte.

    Seduto lì al buio.

    Qualcuno ha spento le luci.

    Jimmy vede solo dei bagliori rossi che solcano la notte come in uno stupido laser game, solo che qui è tutto vero, i proiettili sono veri, e si muore sul serio.

    Un raggio rosso gli colpisce il petto e Jimmy si butta a terra.

    «Giù! Giù! Tutti giù!» grida.

    Sente i suoi ragazzi che cadono.

    Il raggio rosso scandaglia tutt’intorno, alla loro ricerca.

    Jimmy tira fuori la torcia, l’accende e la fa rotolare alla sua sinistra, come esca. Poi vede il bagliore della bocca di una pistola e fa fuoco in quella direzione. Angelo e Wilmer fanno lo stesso, e Jimmy sente il boato del fucile di Harold.

    Poi sente un grugnito e un gemito di dolore.

    «Non costringeteci a sparare!» urla Jimmy. «Buttate le armi! Diglielo, Wilmer!»

    Wilmer grida il messaggio in spagnolo.

    Per tutta risposta arriva una gragnuola di colpi.

    Cazzo, pensa Jimmy.

    Siamo nella merda.

    Poi sente accendersi un motore.

    Cosa ca…

    Si accendono delle luci.

    Dei fari.

    Alla sua sinistra, Jimmy vede Harold che si dirige verso di loro alla guida di un muletto. Sulle forche ci sono due solide cassette, Harold le solleva a mo’ di scudo e grida: «Saltate su!».

    Gli altri della squadra balzano come soldati su un carro armato, facendo fuoco all’impazzata mentre Harold guida il muletto verso gli uomini che gli stanno sparando addosso, illuminandoli coi fari. Quelli rinculano contro la paratia, intrappolati.

    Sono in quattro.

    Oltre ai due feriti, che cercano di strisciare lontano dal muletto che li sta incalzando.

    Che si fottano, pensa Jimmy.

    Se ce la fanno, buon per loro.

    E se non ce la fanno… oh, be’.

    Sono solo scarafaggi.

    Jimmy si sporge e vede uno di quei farabutti ritrarsi e sollevare un Kalashnikov, come se fosse indeciso sul da farsi.

    Harold decide per lui. Gli punta il muletto addosso e lo schiaccia contro la paratia. Gli altri tre gettano le armi a terra e alzano le mani.

    Jimmy salta giù dal muletto e assesta un ceffone a uno di loro. «Dovevate farlo venti minuti fa, ci saremmo risparmiati un mucchio di seccature.»

    Angelo trova un interruttore e accende le luci.

    «Allora, vediamo» dice Jimmy.

    Davanti agli occhi ha cristalli di anfetamina.

    Cataste rettangolari ammucchiate sino al soffitto, avvolte in plastica nera.

    «Saranno tre tonnellate» valuta Angelo.

    Probabile, pensa Jimmy.

    Una perdita di un paio di milioni di dollari per Oscar Diaz. Non c’è da meravigliarsi che i suoi uomini abbiano venduto cara la pelle.

    Oscar non la prenderà bene.

    Wilmer e Angelo legano i trafficanti con delle fascette di plastica. Harold tiene ancora Mister Kalashnikov, un ragazzo, inchiodato al muro, anche se quello ha mollato il fucile, che è finito in terra con un gran frastuono.

    Jimmy gli si avvicina. «Ti sei messo in un bel casino, eh?»

    Mister Kalashnikov si dimena.

    «Che ne facciamo di te?» lo pungola Jimmy. «Hai mai visto come si schiaccia una zecca? Hai presente quando schiacci quelle zecche piene di sangue e fanno ciac? Se dico a Harold di premere sull’acceleratore… ciac

    «No, ti prego.»

    «No, ti prego?» gli fa il verso Jimmy. «Volevi ammazzarmi, amico.»

    «Vuoi che chiami i soccorsi?» chiede Angelo. «Questi rischiano di morire dissanguati.»

    «Solo un minuto» risponde Jimmy.

    *

    Lui e Harold portano Mister Kalashnikov sul ponte.

    Il fiume è sempre limaccioso.

    Però scorre rapido.

    «Come ti chiami?» chiede Jimmy a Mister Kalashnikov.

    «Carlos.»

    «Sai nuotare, Carlos?»

    «Un po’.»

    «Lo spero» dice Jimmy. Solleva Carlos sul parapetto. «Porta a Oscar Diaz i saluti di Jimmy McNabb.»

    E lo scaraventa nel fiume.

    «Adesso possiamo chiamarli» dice Jimmy.

    Mezz’ora dopo, la barca è inondata da un minestrone di lettere dell’alfabeto.

    NOPD, SWAT, DEA, HP, le EMT, arriva persino la Polizia di stato della Louisiana: vogliono tutti partecipare a quella che potrebbe rivelarsi la più grande retata di droga nella storia di New Orleans.

    Di certo la più grande di anfetamine.

    Sulla banchina, i giornalisti smaniano per salire a bordo.

    Jimmy accende una sigaretta per sé e una per Angelo.

    Angelo tira una profonda boccata, poi chiede: «Che ha detto il capo?».

    «Titoloni, seguiranno dettagli, nessun ferito» risponde Jimmy. «Cosa potrebbe dire Landreau? Congratulazioni.»

    «Ma è incazzato.»

    Landreau è incazzato, pensa Jimmy, quelli della Squadra d’assalto sono incazzati, quelli dell’Antidroga sono incazzati, la polizia portuale è incazzata; a Jimmy non frega niente, perché sa che…

    Oscar Diaz è molto incazzato.

    *

    Lo è, e non perché un sorcio bagnato gli sta insudiciando il pavimento.

    L’appartamento sorge al di là del fiume, nel quartiere di Algiers Point. Oscar occupa un attico con terrazza con vista sul Mississippi e, oltre, il centro di New Orleans, dal Quartiere francese a Marigny, fino a Bywater. Oscar non sta pensando a questo, ma a quel suo uomo, Carlos, che gli è costato più di quell’appartamento.

    Gli è costato ben di più.

    Gli è costato ben più che solo dei soldi.

    Quello doveva essere il colpo grosso di Oscar, per salire dai ranghi intermedi della manovalanza della droga al livello più alto. Era la sua grande occasione: portare quel carico lungo il fiume fino a St Louis e a Chicago. Provare che New Orleans, Louisiana, può diventare un polo per lo smistamento della droga, usare il fiume e il porto per far entrare la roba, metterla su dei camion e trasportarla sulle autostrade. Se Oscar ce l’avesse fatta, quelli di Sinaloa l’avrebbero agganciato e rifornito di roba a palate, abbastanza anfetamina per mettersi a smerciarla a Los Angeles e a New York.

    Ora invece quelli di Sinaloa penseranno che è un pezzo di merda. Che New Orleans è troppo pericolosa. Gli toccherà prendere il telefono e dirgli che ha perso la loro droga, e sa che quella sarà l’ultima chiamata a cui risponderanno.

    E così ha perso la droga, i soldi e l’occasione. Dovrà passare almeno altri cinque anni a vendere merda a quei bifolchi del Sud.

    Rientra nel soggiorno e si ferma davanti al suo acquario, un Red Sea Reefer da 350 litri, che contiene i suoi amati pesci: una splendida cernia gialla (costatagli sei bigliettoni), il piccolo Bladefin Basslet rosso e argenteo (dieci bigliettoni), il Clarion Angelfish dorato con striature blu elettrico (che non gli è costato niente, è un regalo del Cartello), e il suo ultimo acquisto, quello di cui va più fiero, il Queen Angelfish blu da trentamila dollari, pesce dalla bellezza mozzafiato, che costa così tanto poiché vive in profonde grotte sottomarine.

    In quel suo acquario pieno di splendidi e costosi coralli, Oscar ha investito un sacco di tempo, di denaro, di cure e di amore. Solleva il coperchio e butta dentro alcuni fiocchi di mangime secco, poi apre un contenitore di plastica con dei pezzi di molluschi crudi e getta anche quelli.

    «Stai stressando i miei pesci» dice a Carlos. «Sono molto sensibili allo stress e tu glielo stai trasmettendo.»

    «Mi spiace.»

    «Rilassati» gli dice Oscar. «Allora, chi è che mi ha mandato i suoi saluti?»

    «Ha detto di chiamarsi Jimmy McNabb» risponde Carlos.

    «Della DEA?»

    «Un poliziotto di New Orleans. Della Narcotici» specifica Carlos.

    «E ti ha scaraventato giù dalla barca per recapitarmi un messaggio.»

    «Sì.»

    Oscar si volta verso Rico. «Portalo via e ammazzalo.»

    Carlos impallidisce.

    «Ti sto pigliando per il culo» dice Oscar scoppiando a ridere. Si volta di nuovo verso Rico. «Fagli fare una doccia calda e procuragli dei vestiti puliti. Quel dannato fiume è lurido. Entiendes, Rico?»

    Rico ha capito. Portalo via e ammazzalo.

    Una volta usciti, Oscar torna sul terrazzo e contempla la città.

    Jimmy McNabb.

    Be’, Jimmy McNabb, ne hai fatto una faccenda personale.

    Ne hai fatto una faccenda personale e mi hai portato via qualcosa.

    E io porterò via qualcosa a te.

    Qualcosa a cui tieni molto.

    L’agente che ha preso la chiamata per violenza domestica va da Eva per riferire.

    Lei ha sentito tutto per radio, ma per lui riferire è una forma di rispetto. «È andata esattamente come avevi previsto. Il tizio ha sparato alla moglie e poi si è ammazzato.»

    «E il bambino?»

    «Lo abbiamo trovato nell’asciugatrice» risponde l’agente. «Sta bene.»

    Sì, pensa Eva, bene come può stare un bimbo che ha appena sentito il padre ammazzare la madre a colpi di pistola.

    «Ha fatto bene a spararsi» commenta Eva. «Ci risparmia la fatica del processo.»

    «Proprio così.»

    «E il bambino andrà in affidamento» prosegue Eva.

    Le viene da piangere.

    Ma Eva non piange.

    Comunque, non davanti a un poliziotto.

    *

    Rico ascolta attentamente Oscar, poi scuote il capo e dice: «Non si può toccare un poliziotto».

    Oscar ci riflette su. Poi ribatte: «Chi lo dice?».

    Danny e Roxanne sono ancora davanti al parco, seduti in macchina: è la terza notte che aspettano che il pervertito si faccia vivo.

    «Okay» dice Danny, dopo averci pensato su a lungo, «mi scopo Rachel, sposo Monica e tolgo di mezzo Phoebe.»

    «Povera Rachel» commenta Roxanne. «Se la scopano tutti, ma nessuno se la sposa.»

    «No, lei e Ross si sono sposati a Las Vegas, ricordi?»

    «Sì, ma erano ubriachi.»

    «Però vale» le fa notare Danny. «E tu?»

    «Tolgo di mezzo Monica, sposo Rachel e mi scopo Phoebe» risponde Roxanne.

    «Non ci hai pensato un attimo.»

    «Ci ho riflettuto un sacco» spiega Roxanne. «Ho sempre desiderato farmi Phoebe. Da subito.»

    «Gesù, quanto avevi, sette anni?»

    «Sono stata una lesbica precoce» dice Roxanne. «Giocavo con le Barbie.»

    «Tutte le bambine giocavano con le Barbie.»

    «No, Danny» fa lei, «io con le Barbie facevo dei giochetti

    «Oh.»

    Sangue e materia cerebrale di Roxanne schizzano sul viso di Danny.

    Avviene tutto in un attimo.

    Una mano l’afferra per i capelli corti e la strattona fuori.

    Il finestrino di Danny va in frantumi.

    Danny fa per prendere la pistola, ma si ritrova con un pezzo di stoffa sulla bocca e sul naso. Scalcia, tentando di divincolarsi, ma è troppo tardi.

    Quando lo trascinano fuori dall’auto, è privo di sensi.

    Le sirene ululano come segugi.

    Prima una, poi un’altra, quindi quattro, cinque, una dozzina di volanti sopraggiungono a McDonough Park. Arrivano da varie zone di Algiers, poi dalla centrale del 4º Distretto, quindi anche dall’8º, al di là del fiume.

    Mobilitate dal codice 10-13.

    Agente ha bisogno di aiuto.

    Il frastuono è tremendo.

    Un coro d’allarme.

    Che echeggia per tutta Algiers.

    La festa si tiene allo Sweeny’s, naturalmente.

    Dove altro? Jimmy ci va da quando era un ragazzino. Aveva appena undici, dodici anni quando entrava in quel bar per recuperare il suo vecchio.

    O almeno, recuperare quel che restava del suo stipendio prima che se lo bevesse tutto.

    Adesso è il bar di Jimmy, e il suo vecchio si sbronza a casa.

    Quindi la sera dopo la grande retata è normale che lui e i suoi colleghi si riuniscano allo Sweeny’s per festeggiare.

    C’è tutta la squadra, ovviamente – Angelo, Wilmer, Harold – e gli altri ragazzi e ragazze della Narcotici, una mezza dozzina della Scientifica, e un misto di agenti e detective del 4º, dell’8º e del 6º Distretto, quello dove si trova il bar.

    Landreau si è fermato per un brindisi simbolico. Hanno fatto un salto persino un paio di alti magistrati federali e del Comune, e due ragazzi della DEA con cappello da cowboy sono passati per una bicchierata: «Siamo come l’uccello di McNabb: non portiamo rancore».

    Ma la maggior parte è andata via presto, e adesso sono rimasti solo quelli della squadra, alcuni agenti della Narcotici e qualche collega che ha lavorato con loro in passato. I pochi civili presenti sanno bene che devono farsi gli affari loro e godersi in silenzio le storie che sentono raccontare.

    «Insomma, me ne stavo spiaccicato a terra» sta dicendo Jimmy, «facendomela sotto, pensavo Siamo fottuti, quando Harold… ecco Harold che arriva rombando su un muletto…»

    Parte un coro: «Ha-rold! Ha-rold! Ha-rold!».

    Sul piccolo palco con un microfono in mano, Harold cerca di improvvisare un numero. «Allora, vado dal mio proctologo. Dà un’occhiata al mio ano e fa: Jimmy McNabb?

    «Ti amo, Harold» gli dice Jimmy, un po’ su di giri. «In senso molto eterosessuale, virile, cristiano…»

    «Ha-rold! Ha-rold! Ha-rold!»

    Harold batte un dito sul microfono. «È acceso questo affare?»

    «… come Gesù amava…»

    «Giuda» suggerisce Wilmer.

    «No, quell’altro.»

    «Pietro.»

    «Pietro, o Paolo… o vattelappesca» continua Jimmy. «Comunque… che stavo dicendo?»

    «Tutti i poliziotti desiderano un capo che sia un modello di integrità, coraggio e onore» sta dicendo Harold. «Ma noi abbiamo Jimmy McNabb, e io dico: Senza infamia e senza lode

    Angelo si alza in piedi, malfermo sulle gambe, e sbatte la mano sul tavolino. «Angelo vuole fare sesso! Chi vuole fare sesso con Angelo?!»

    «Jimmy» dice Wilmer.

    Lucy Wilmette, una veterana dell’8º Distretto in borghese, alza la mano. «Io voglio fare sesso con Angelo.»

    «Bene, facciamo progressi» commenta Angelo. «E poi chi altro?»

    «Chi altro?» si stupisce Lucy. «Gesù, Angelo.»

    Eva osserva le lucine lampeggianti sullo schermo.

    Come api che sciamano verso l’alveare.

    Ascolta le chiamate delle radio.

    Agente a terra… Agente steso per strada… Mandate un’ambulanza… Confermo, mandate un’ambulanza… Agente rispondete… Agente rispondete… Agente rispondete… Unità 240 D… Dov’è l’altro agente?… Perché non risponde?… Uditi dei colpi d’arma da fuoco… Testimone sulla scena… Cristo, è un bambino… Gesù Cristo, dov’è l’ambulanza… È in un bagno di sangue… Non sento il cuore… Sean, è andata… Dov’è il suo collega?… Dannazione, dov’è il suo collega?!

    Unità 240 D.

    La volante di Danny.

    Con la mano sinistra telefona a Jimmy usando il tasto di selezione rapida.

    Scatta la segreteria telefonica.

    Jimmy è alla festa.

    Da Sweeny’s.

    Jimmy, rispondi!

    È tuo fratello.

    «Questo sarebbe uno degli sbirri che non si può toccare?» chiede Oscar.

    Danny è ammanettato a una sedia metallica imbullonata al pavimento di cemento in un magazzino nei pressi del molo di Algiers Point. Anche le caviglie sono ammanettate, alle gambe della seggiola.

    «Sveglialo» ordina Oscar.

    Rico schiaffeggia Danny sino a farlo rinvenire.

    «Il fratellino di Jimmy McNabb» dice Oscar.

    Danny sbatte le palpebre, poi vede un viso tondo dai tratti ispanici in piedi davanti a lui. «Chi sei?»

    «Sono quello che ti farà tanto male» risponde Oscar.

    Accende la fiamma ossidrica.

    La fiamma diventa blu.

    Jimmy alza un boccale. «Un brindisi. Gli facciamo un culo così!»

    Ingolla la birra d’un fiato.

    «Jim-my! Jim-my! Jim-my!»

    Jimmy posa il boccale vuoto, si asciuga la bocca col dorso della mano e dice: «Sul serio…».

    «Sul serio» gli fa eco Wilmer.

    «… siamo qua per ripulire le strade dalla droga, i quartieri dalle armi, per togliere i delinquenti di torno. Cavolo, siamo il miglior gruppo di poliziotti al mondo. Vi voglio bene. A tutti. Siete i miei fratelli e le mie sorelle, vi amo.»

    Ripiomba sulla sedia.

    «Però, che carino quel Jimmy McNabb» commenta Lucy.

    «Parla così per l’alcol» sentenzia Wilmer.

    Gibson, un sergente del 4º Distretto, entra da Sweeny’s e si rende conto che la festa è nel pieno. Scrutando tra la folla scorge Jimmy McNabb sul palco, che si esibisce in un’orrenda versione al karaoke di Thunder Road.

    Cerca Angelo Carter e lo trova al bar.

    «Permetti una parola?» gli dice. «Andiamo fuori.»

    «Gesù» dice Angelo. «Danny?»

    La notizia gli fa passare all’istante la sbronza. Conosce Danny da quando era un ragazzino, il fratellino rompicoglioni che stava sempre tra i piedi, che idolatrava Jimmy, che voleva unirsi al dipartimento.

    E adesso è morto?

    «Brutta storia» spiega Gibson. «Abbiamo trovato il corpo giù alle banchine di Algiers Point. È stato torturato.»

    Bruciato.

    Gli hanno spezzato tutte le ossa.

    Poi Gibson dice: «Bisogna dirlo a Jimmy».

    «Darà di matto» dice Angelo.

    Jimmy McNabb al mondo ama soltanto i suoi colleghi e la sua famiglia. Quando saprà che Danny è morto, reagirà con violenza.

    Sfascerà il locale.

    Farà del male agli altri e a se stesso.

    Cazzo, non sarà facile gestire tutto questo.

    «Faremo così» propone Angelo.

    *

    Angelo entra per primo.

    Seguito da Wilmer, Harold, Gibson, tre degli agenti più robusti che è riuscito a trovare al 6º Distretto e Sondra D, che ha sfruttato la sua notevole somiglianza con Marilyn Monroe per crearsi una lucrosa carriera di squillo da mille dollari a chiamata. Quando Angelo le aveva telefonato, era in procinto di portarsi al Roosevelt Hotel un pezzo da novanta.

    Nel bar tutto si ferma.

    Succede sempre così, quando Sondra fa il suo ingresso in una stanza.

    Indossa un abito con dei lustrini argentati.

    Capelli biondo platino.

    «Jimmy!» grida Angelo. «Guarda chi è venuto a trovarti.»

    Jimmy guarda giù dal palco e fa un gran sorriso.

    Sondra lo fissa e gli dice: «Sono il sergente Sondra, degli… Affari interni…».

    Tutti scoppiano a ridere.

    Anche Jimmy.

    «Ti sei comportato molto maaale, agente» dice Sondra con la sua miglior voce alla Marilyn Monroe. Tira fuori un paio di manette dal suo décolleté e le fa penzolare con la mano destra. «Sei in arresto.»

    Harold e Wilmer salgono sul palco, prendono Jimmy per i gomiti e lo scortano giù da Sondra.

    «Voltati» gli fa Sondra. «Metti le mani dietro la schiena.»

    «Mi vuoi ammanettare?» le chiede Jimmy.

    «Tanto per cominciare.»

    «Fa’ come dice la signora» interviene Angelo.

    «Lungi da me…» replica Jimmy con una scrollata di spalle.

    Si volta, mette le mani dietro la schiena e Sondra lo ammanetta.

    Angelo verifica che le manette siano chiuse e ben strette, quindi fa chinare gentilmente Jimmy sul bancone del bar, gli si accosta e gli dice: «Jimmy, devo dirti una cosa».

    In seguito, gli agenti in servizio avrebbero detto che le urla

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