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Siddhartha - tradotto in italiano: Romanzo breve
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Siddhartha - tradotto in italiano: Romanzo breve
E-book137 pagine2 ore

Siddhartha - tradotto in italiano: Romanzo breve

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Info su questo ebook

Chi è Siddharta?È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta, che ripete il "costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l'aveva visto centinaia di volte con venerazione". Siddharta è senz'altro l'opera di Hesse più universalmente nota.Questo breve romanzo di ambiente indiano, pubblicato per la prima volta nel 1922, ha avuto infatti in questi ultimi anni una strepitosa fortuna. Prima in America, poi in ogni parte del mondo, i giovani lo hanno riscoperto come un loro testo, dove non trovavano solo un grande scrittore moderno ma un sottile e delicato saggio, capace di dare, attraverso questa parabola romanzesca, un insegnamento sulla vita che evidentemente i suoi lettori non incontravano altrove.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2023
ISBN9791222601014
Siddhartha - tradotto in italiano: Romanzo breve
Autore

Hermann Hesse

Hermann Hesse was a highly acclaimed German author. He was known most famously for his novels Steppenwolfand Siddhartha and his novel The Glass Bead Game earned Hesse a Nobel prize in Literature in 1946. Many of his works explore topics pertaining to self-prescribed societal ostracization. Hesse was fascinated with ways in which one could break the molds of traditional society in an effort to dig deeper into the conventions of selfhood. His fascination with personal awareness earned himself something of a following in the later part of his career. Perceived thus as a sort of “cult-figure” for many young English readers, Hesse’s works were a gateway into their expanding understanding of eastern mysticism and spirituality. Despite Hesse’s personal fame, Siddhartha, was not an immediate success. It was only later that his works received noticeable recognition, largely with audiences internationally. The Glass Bead Game was Hermann Hesse’s final novel, though he continued to express his beliefs through varying forms of art including essays, poems, and even watercolor paintings.

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    Anteprima del libro

    Siddhartha - tradotto in italiano - Hermann Hesse

    Contenuti

    PRIMA PARTE

    Il figlio del Brahman

    Con i Samana

    Gotama

    Risveglio

    SECONDA PARTE

    Kamala

    Con le persone infantili

    Sansara

    In riva al fiume

    Il traghettatore

    Il figlio

    Om

    Govinda

    Siddharta

    Herman Hesse

    PRIMA PARTE

    Il figlio del Brahman

    All'ombra della casa, al sole della riva del fiume vicino alle barche, all'ombra della foresta di Sal, all'ombra del fico è cresciuto Siddharta, il bel figlio del brahmano, il giovane falco, insieme al suo amico Govinda, figlio di un brahmano. Il sole abbronzava le sue spalle chiare sulle rive del fiume quando faceva il bagno, compiendo le sacre abluzioni, le sacre offerte. Nel boschetto di mango, l'ombra si riversava nei suoi occhi neri, quando giocava da bambino, quando sua madre cantava, quando venivano fatte le offerte sacre, quando suo padre, lo studioso, gli insegnava, quando i saggi parlavano. Da molto tempo Siddharta partecipava alle discussioni dei saggi, esercitandosi nel dibattito con Govinda, praticando con Govinda l'arte della riflessione, il servizio della meditazione. Sapeva già come pronunciare l'Om in silenzio, la parola delle parole, pronunciarlo in silenzio dentro di sé durante l'inspirazione, pronunciarlo in silenzio fuori di sé durante l'espirazione, con tutta la concentrazione della sua anima, la fronte circondata dal bagliore dello spirito chiaro. Sapeva già di sentire l'Atman nel profondo del suo essere, indistruttibile, uno con l'universo.

    Il cuore del padre sussultò di gioia per il figlio che era veloce nell'apprendere, assetato di conoscenza; lo vide crescere e diventare un grande saggio e sacerdote, un principe tra i Brahmani.

    La beatitudine balzò nel petto di sua madre quando lo vide, quando lo vide camminare, quando lo vide sedersi e alzarsi, Siddharta, forte, bello, lui che camminava su gambe snelle, salutandola con perfetto rispetto.

    L'amore ha toccato i cuori delle giovani figlie dei Brahmani quando Siddharta ha camminato per i vicoli della città con la fronte luminosa, con l'occhio di un re, con i suoi fianchi sottili.

    Ma più di tutti gli altri fu amato da Govinda, il suo amico, figlio di un brahmana. Amava l'occhio e la voce dolce di Siddharta, amava la sua camminata e la perfetta decenza dei suoi movimenti, amava tutto ciò che Siddharta faceva e diceva e ciò che amava di più era il suo spirito, i suoi pensieri trascendenti e ardenti, la sua volontà ardente, la sua alta vocazione. Govinda lo sapeva: non sarebbe diventato un brahmano comune, non un pigro funzionario addetto alle offerte, non un avido mercante di incantesimi, non un oratore vanitoso e vacuo, non un sacerdote meschino e ingannevole, e nemmeno una pecora dignitosa e stupida nel gregge dei molti. No, e anche lui, Govinda, non voleva diventare uno di quelli, non uno di quelle decine di migliaia di brahmani. Voleva seguire Siddharta, l'amato, lo splendido. E nei giorni a venire, quando Siddharta sarebbe diventato un dio, quando si sarebbe unito ai gloriosi, allora Govinda voleva seguirlo come suo amico, compagno, servitore, portatore di lancia, ombra.

    Siddharta era quindi amato da tutti. Era una fonte di gioia per tutti, era una delizia per tutti.

    Ma lui, Siddharta, non era una fonte di gioia per se stesso, non trovava piacere in se stesso. Camminando per i rosei sentieri del giardino dei fichi, sedendo all'ombra bluastra del boschetto della contemplazione, lavando quotidianamente le sue membra nel bagno del pentimento, sacrificando all'ombra fioca della foresta di mango, i suoi gesti di perfetta decenza, l'amore e la gioia di tutti, gli mancava ancora ogni gioia nel cuore. Sogni e pensieri inquieti si affacciavano alla sua mente, scorrendo dall'acqua del fiume, scintillando dalle stelle della notte, fondendosi con i raggi del sole, i sogni gli si presentavano e un'inquietudine dell'anima, fumando dai sacrifici, respirando dai versi del Rig-Veda, venendo infusi in lui, goccia a goccia, dagli insegnamenti dei vecchi brahmani.

    Siddharta aveva iniziato a nutrire malcontento in se stesso, aveva iniziato a sentire che l'amore di suo padre e di sua madre, e anche l'amore del suo amico Govinda, non gli avrebbe portato gioia per sempre, non lo avrebbe nutrito, sfamato, soddisfatto. Aveva cominciato a sospettare che il suo venerabile padre e gli altri suoi maestri, che i saggi brahmani gli avessero già rivelato il massimo e il meglio della loro saggezza, che avessero già riempito il suo vaso in attesa con la loro ricchezza, e il vaso non era pieno, lo spirito non era contento, l'anima non era calma, il cuore non era soddisfatto. Le abluzioni erano buone, ma erano acqua, non lavavano il peccato, non curavano la sete dello spirito, non alleviavano la paura del suo cuore. I sacrifici e l'invocazione degli dei erano eccellenti, ma era tutto qui? I sacrifici davano una fortuna felice? E gli dei? Era davvero Prajapati ad aver creato il mondo? Non era forse l'Atman, Lui, l'unico, il singolare? Gli dèi non erano creazioni, creati come me e voi, soggetti al tempo, mortali? Era quindi buono, giusto, significativo e la più alta occupazione fare offerte agli dei? Per chi altro si dovevano fare offerte, chi altro si doveva adorare se non Lui, l'unico, l'Atman? E dove si trovava l'Atman, dove risiedeva, dove batteva il suo cuore eterno, dove se non nel proprio io, nella sua parte più intima, nella sua parte indistruttibile, che ognuno aveva in sé? Ma dove, dove si trovava questo io, questa parte più intima, questa parte ultima? Non era carne e ossa, non era né pensiero né coscienza, così insegnavano i più saggi. Quindi, dove, dove si trovava? Per raggiungere questo luogo, il sé, me stesso, l'Atman, c'era un'altra strada, che valeva la pena cercare? Ahimè, e nessuno mostrava questa via, nessuno la conosceva, né il padre, né i maestri e i saggi, né i sacri canti sacrificali! Sapevano tutto, i brahmani e i loro libri sacri, sapevano tutto, si erano occupati di tutto e di più di tutto, della creazione del mondo, dell'origine della parola, del cibo, dell'inspirazione, dell'espirazione, della disposizione dei sensi, degli atti degli dèi, sapevano infinitamente tanto, ma valeva la pena di sapere tutto questo, senza conoscere quell'unica cosa, la cosa più importante, l'unica cosa importante?

    Sicuramente molti versi dei libri sacri, in particolare nelle Upanishades di Samaveda, parlavano di questa cosa più intima e ultima, versi meravigliosi. Vi era scritto: La tua anima è il mondo intero, e vi era scritto che l'uomo nel sonno, nel sonno profondo, avrebbe incontrato la sua parte più intima e avrebbe risieduto nell'Atman. In questi versi c'era una meravigliosa saggezza, tutta la conoscenza dei più saggi era stata raccolta qui in parole magiche, pure come il miele raccolto dalle api. Ma dov'erano i brahmani, dove i sacerdoti, dove i saggi o i penitenti che erano riusciti non solo a conoscere la più profonda di tutte le conoscenze, ma anche a viverla? Dov'era il sapiente che tesseva il suo incantesimo per portare la sua familiarità con l'Atman fuori dal sonno, nello stato di veglia, nella vita, in ogni passo del cammino, nelle parole e nelle azioni? Siddharta conobbe molti venerabili brahmani, soprattutto suo padre, il puro, lo studioso, il più venerabile. Suo padre era da ammirare, tranquilli e nobili erano i suoi modi, pura la sua vita, sagge le sue parole, delicati e nobili i pensieri che vivevano dietro la sua fronte - ma anche lui, che sapeva così tanto, viveva forse in beatitudine, aveva pace, non era forse anche lui solo un uomo in ricerca, un uomo assetato? Non doveva forse bere continuamente da fonti sacre, come un assetato, dalle offerte, dai libri, dalle dispute dei brahmani? Perché lui, l'irreprensibile, doveva lavarsi dai peccati ogni giorno, sforzarsi di purificarsi ogni giorno, più e più volte al giorno? L'Atman non era forse in lui, la fonte incontaminata non sgorgava forse dal suo cuore? Bisognava trovarla, la fonte incontaminata nel proprio io, bisognava possederla! Tutto il resto era ricerca, era una deviazione, era perdersi.

    Questi erano i pensieri di Siddharta, questa la sua sete, questa la sua sofferenza.

    Spesso pronunciava a se stesso le parole di una Chandogya-Upanishad: In verità, il nome del Brahman è satyam - in verità, chi conosce questa cosa, entrerà ogni giorno nel mondo celeste. Spesso gli sembrava vicino, il mondo celeste, ma non lo aveva mai raggiunto completamente, non aveva mai placato la sete finale. E tra tutti i saggi e le saggezze che conosceva e di cui aveva ricevuto le istruzioni, tra tutti loro non c'era nessuno che avesse raggiunto completamente, il mondo celeste, che avesse placato completamente, la sete eterna.

    Govinda, disse Siddharta all'amico, Govinda, mio caro, vieni con me sotto l'albero di Banyan, pratichiamo la meditazione.

    Si recarono all'albero di Banyan, si sedettero, Siddharta proprio qui, Govinda a venti passi di distanza. Mentre si metteva a terra, pronto a pronunciare l'Om, Siddharta ripeté mormorando il verso:

    Om è l'arco, la freccia è l'anima, il Brahman è il bersaglio della freccia, che si dovrebbe colpire incessantemente.

    Trascorso il tempo consueto dell'esercizio di meditazione, Govinda si alzò. Era giunta la sera, era il momento di fare l'abluzione serale. Chiamò il nome di Siddharta. Siddharta non rispose. Siddharta sedeva lì, perso nei suoi pensieri, con gli occhi rigidamente puntati verso un obiettivo molto lontano, la punta della lingua che sporgeva un po' tra i denti, sembrava non respirare. Così sedeva, avvolto nella contemplazione, pensando all'Om, con l'anima che inseguiva il Brahman come una freccia.

    Un tempo, i Samana avevano attraversato la città di Siddharta, asceti in pellegrinaggio, tre uomini magri e avvizziti, né vecchi né giovani, con le spalle polverose e insanguinate, quasi nudi, arsi dal sole, circondati dalla solitudine, estranei e nemici del mondo, stranieri e sciacalli allampanati nel regno degli umani. Dietro di loro soffiava un caldo profumo di passione silenziosa, di servizio distruttivo, di spietata abnegazione.

    La sera, dopo l'ora di contemplazione, Siddharta parlò a Govinda: Domani mattina presto, amico mio, Siddharta andrà dai Samana. Diventerà un Samana.

    Govinda impallidì, quando udì queste parole e lesse la decisione nel volto immobile dell'amico, inarrestabile come la freccia scoccata dall'arco. Presto e con il primo sguardo, Govinda capì: Ora sta iniziando, ora Siddharta sta prendendo la sua strada, ora il suo destino sta iniziando a germogliare, e con il suo, il mio. E impallidì come una buccia di banana secca.

    O Siddharta, esclamò, tuo padre ti permetterà di farlo?.

    Siddharta si voltò come se si fosse appena svegliato. Con una freccia veloce lesse nell'anima di Govinda, lesse la paura, lesse la sottomissione.

    O Govinda, disse a bassa voce, non sprechiamo parole. Domani, all'alba, inizierò la vita dei Samana. Non parlarne più.

    Siddharta entrò nella camera dove il padre era seduto su una stuoia di bastoni, si mise dietro al padre e rimase lì in piedi, finché il padre non sentì che qualcuno stava dietro di lui. Il Brahman disse: Sei tu, Siddharta? Allora di' quello che sei venuto a dire.

    Siddharta disse: "Con il tuo permesso, padre mio. Sono venuto a dirti che desidero

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