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La Divina Sinfonia: Un messaggio Sufi sull'armonia del pensiero divino
La Divina Sinfonia: Un messaggio Sufi sull'armonia del pensiero divino
La Divina Sinfonia: Un messaggio Sufi sull'armonia del pensiero divino
E-book171 pagine2 ore

La Divina Sinfonia: Un messaggio Sufi sull'armonia del pensiero divino

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Info su questo ebook

Una preziosa raccolta di aforismi, massime, poesie e preghiere.Per Hazrat Inayat Khan l’arte è un mezzo per esprimere la concezione spirituale Sufi. Egli divenne così il musicista dell’anima. Ecco quanto dice riguardo alla sua rinuncia alla musica: “Ho rinunciato alla musica perché da essa avevo ricevuto tutto ciò che dovevo ricevere... Ora non sono più gli strumenti che voglio accordare ma le anime. Se vi è qualcosa nei miei pensieri filosofici è la legge dell’armonia; come ci si deve mettere in armonia con se stessi e con gli altri. Ho trovato che in ogni parola vi è un valore musicale, che vi è melodia in ogni pensiero, un’armonia in ogni sentimento. Suonai la Vina fino a quando il mio cuore si trasformò in questo strumento; ho offerto allora questo strumento al Musico Divino: l’Unico Musico che esiste. Da allora sono diventato il Suo flauto e quando Egli lo desidera io suono la sua musica. Le persone che mi ascoltano mi attribuiscono il merito di questa melodia; in realtà; non è dovuta a me, ma al Musico che suona”. Questo libro è composto da due opere: “Gayan” e “Vadan”; “Gayan” significa “Canto”, ed il carattere ritmico dell’opera esprime l’Armonia del Pensiero Divino di cui questi insegnamenti sono le note che si rivelano all’anima. “Vadan” ha il senso di “Sinfonia Divina”, la cui esecuzione è lo scopo della Creazione e ogni anima fa parte di questa sinfonia; tutta la natura lo manifesta, e quando il cuore si espande, quando l’anima si risveglia; la Divina Sinfonia diventa udibile.
LinguaItaliano
Data di uscita12 giu 2014
ISBN9788827225332
La Divina Sinfonia: Un messaggio Sufi sull'armonia del pensiero divino
Autore

Hazrat Inayat Khan

Nato nel 1882 a Baroda (India) da una famiglia di musicisti, fu egli stesso musicista di grande valore. Tuttavia, preferì rinunciare ad una brillante carriera in campo musicale per dedicarsi completamente alla diffusione del Messaggio Sufi in Occidente. Fu M suo maestro spirituale a dargli il compito di diffondere la saggezza del messaggio Sufi, poiché questo era il compito al quale Dio l'aveva destinato. Egli si recò quindi negli Stati Uniti nel 1910 e successivamente passò in Europa. Il Divino Messaggio fu da lui chiamato il Messaggio dell'Amore, dell'Armonia e della Bellezza. Tornato in India nel 1926, Hazrat Inayat Kahn vi morì, nel 1927, a New Delhi.

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    Anteprima del libro

    La Divina Sinfonia - Hazrat Inayat Khan

    COPERTINA

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    LA DIVINA SINFONIA

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    Un messaggio Sufi sull'Amore, l'Armonia e la Bellezza

    HAZRAT INAYAT KHAN

    Traduzione di Enrichetta Pedrazzoli Cavazzoni

    Dello stesso Autore, in questa collana:

    IN UN ROSETO D'ORIENTE

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    Copyright

    LA DIVINA SINFONIA - Un messaggio Sufi sull'Armonia del Pensiero Divino

    di HAZRAT INAYAT KHAN

    Traduzione di Enrichetta Pedrazzoli Cavazzoni

    Titolo originale dell'opera:

    THE SUFI MESSAGE OF HAZRAT INAYAT KHAN -GAYAN, VADAN © Copyright 1979 by InternationaI Headquarters Sufi Movement -Gcneva-Svizzera

    Per l'edizione italiana:

    © Copyright 1989 - 2014 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    ISBN 978-88-272-2533-2

    Prima edizione digitale 2014

    © Copyright 2014 by Edizioni Mediterranee

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

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    Introduzione

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    Il Sufìsmo e il Messaggio Sufi di Hazrat Inayat Kban

    Il termine Sufismo è collegato alla parola greca « Sofia », che significa saggezza, e alla radice araba «Saf» (purezza), che serviva anche a indicare le vesti di pura lana indossate in alcune scuole di Sufismo. Insieme questi termini indicano quindi la pura saggezza, e cioè la saggezza che sorge nella pura coscienza, allorché tutte le passioni e i problemi della vita esterna siano stati cancellati. La parola indica la saggezza del cuore, non quella dell'intelletto.

    Si tratta di una saggezza arcaica. Infatti, già nei tempi più antichi vi erano delle menti illuminate, dei « mistici» che cercavano l'unione con lo Spirito Divino e che in questo contatto arrivarono ad una comprensione più profonda dell'essere umano e della creazione. Una fonte molto antica di saggezza esoterica si trova nelle scritture ermetiche che vengono attribuite a Ermete Trismegisto, nome greco del dio egiziano Thot. Inizialmente questa saggezza venne tramandata oralmente solo ai pochi in grado di recepirla, di comprenderla e di assimilarla. Grazie a questi contatti personali si svilupparono dei rapporti tra i mistici e i filosofi indiani, greci e arabi.

    Questa saggezza svolse sempre un ruolo unificante.·

    Si indirizzava all'essenza della religione, uguale in tutte le .Brandi religioni. E così vennero fondate ogni volta delle scuole mistiche, ovvero dei circoli di discepoli attorno a un leader da cui traevano ispirazione. Queste scuole sono diventate note, nel mondo dell'Islam, soprattutto come « ordini» o « confraternite sufiche ». Vi sono stati spesso anche dei conflitti tra seguaci del sufismo e musulmani ortodossi.

    Infatti, un mistico ispirato non può legarsi a dogmi o credenze religiose del momento. La sua realizzazione interiore sovrasta le dottrine religiose espresse in parole, ciò che spesso risulta incomprensibile al credente medio. In questo modo, quindi, le scuole sufiche sono spesso state rivoluzionarie e rinnovatrici. Ed è anche per questo che fu messo a morte il grande mistico Al Hallag, che aveva dichiarato: «Io sono Dio ». Venne considerato un eretico, ma la tradizione vuole che, quando era già morto, il suo sangue scrisse proprio le stesse parole.

    Per evitare tali conflitti, per non offendere altre sensibilità, ma anche perché la verità non può mai essere espressa esattamente nella teoria, i grandi pensatori e mistici del sufismo si sono espressi in poesia, racconti e simboli. E così Farid-ud-Din Attar, Jalal-ud-Din Rumi, Sadi, Hafiz e amar Khayyam sono noti in Occidente come poeti. Hazrat Inayat Khan, che ha portato il messaggio del sufismo all'Occidente, dice delle loro opere:

    « Ebbero gran cura di non offendere le menti degli ortodossi. Perciò fu inventata una nuova terminologia nella poesia persiana; i poeti dovettero adottare parole quali vino e coppa e amato e rosa, parole che non avrebbero offeso la mente ortodossa e al tempo stesso sarebbero però servite come espressioni simboliche per spiegare la legge divina ».

    (Inayat Khan, The Su/i Message, 1964, vol. l0, 130)

    E indicò uno degli obiettivi del Movimento Sufi, da lui fondato in Occidente:

    « Rientra nel lavoro del Movimento Sufi interpretare le idee di questi poeti per esprimerle in parole che possano essere comprese dall'uomo moderno, poiché il valore di tali idee è oggi quanto mai grande ».

    (Ibidem 130-131)

    I poeti del Sufismo

    Prima di approfondire questa moderna interpretazione del Sufismo è necessario soffermarsi brevemente su uno di questi poeti del Sufismo, che forse più di ogni altro può suscitare in noi momenti di grande ispirazione: Jalal-ud-Din Rumi.

    Jalal-ud-Din Rumi, figlio di un dotto teologo, iniziò ben presto il suo studio del Sufismo e divenne un teologo di gran fama. Ma ebbe l'illuminazione interiore incontrando Shams-i Tabriz, un derviscio che si comportava in modo strambo, in cui, però, Rumi vide l'immagine perfetta di chi ama Dio. Furono inseparabili per anni. Shams-i Tabriz distolse Rumi dallo studio sui testi. La leggenda narra che gettò via il manoscritto, al quale Rumi aveva lavorato per molto tempo. In questo modo lo portò alla luce interiore, all’amore spirituale. E Rumi divenne un poeta ispirato che cantò in molte forme, con simboli e racconti, il suo ardente desiderio per il divino amore. Esprimeva la sua ispirazione mistica anche in una particolare danza vorticosa, che venne ballata anche dalla sua confraternita sufica (Mevlevi): una danza mistica che viene praticata ancora oggi. Spesso Rumi scrisse le sue poesie in eterna fonte di ispirazione, anche se spesso non sono facilmente comprensibili. Bisogna ascoltarle con l'orecchio interiore. Alcune citazioni dalla sua opera possono forse darci una giusta idea dell’atmosfera magica della poesia di Rumi. La sua opera famosa, il Masnavi, inizia con la nota parabola del flauto di canna:

    « Ascolta il flauto di canna, il suo racconto, come si lamenta della separazione e dice: Dal momento in cui fui diviso dal canneto, il mio lamento fa piangere uomini e donne...

    Chiunque rimane lontano dalla sua radice non brama che il momento in cui si riunirà di nuovo ad essa ...

    Il fuoco dell'amore è nel flauto di canna. L'ardore dell'amore è nel vino. Il flauto è compagno di chiunque sia diviso dall'amico: il suo suono penetra i nostri cuori ».

    (Rumi, Masnavi, prologo)

    Hazrat Inayat Khan ci dice a proposito di questa parabola: « Con flauto intende l'anima; l'anima che è stata recisa dalla sua origine, dal canneto, il canneto che èDio. E l'anelito costante dell’anima che essa lo sappia o no è di poter ritrovare il canneto da cui è stata recisa ».

    (Inayat Khan, 1964, vol. l0, 141)

    Altrove Rumi indica la sublimità di questo desiderio: « Oh dolce zufolio di flauto, nel tuo suono è un sapore di zucchero, il tuo suono mi porta giorno e notte il profumo della fedeltà. Comincia di nuovo, suona ancora queste melodie; oh sole, di soave presenza, gloria di tutti gli amorosi! Taci, non rompere il velo; vuota la coppa e taci: sii piuttosto guardiano della soglia, abbandonati alla clemenza di Dio ».

    (Rumi, Mystical Poems, Chicago, 1968, 11)

    Quest'ultimo verso tocca altri due aspetti importanti: il silenzio, il calice di coloro che tacciono, dal quale dobbiamo bere; silenzio col quale dobbiamo velare il mistero divino. Un altro aspetto del velo è la clemenza di Dio, pronto a perdonare le nostre debolezze.

    Anche i seguenti versi parlano del silenzio del cuore: « Se quel che desideri dalla fede è la sicurezza cercala nell'isolamento.

    Qual è il luogo d'isolamento? La casa del cuore; abituati a soggiornare nel cuore; nella casa del cuore viene offerto· il calice del vino salutare ed eterno.

    Taci e allenati nell'arte del silenzio; abbandona ogni artificiosa vanagloria; perché il cuore è il luogo della fede, tieni nel tuo cuore, ben ferma, Una fede sincera ».

    (Ibidem, 19)

    Ma esiste una via da percorrere, un'altura da raggiungere, per poter toccare le sfere celesti. Che cosa ci vuole per farlo? «Dicevo: -fammi vedere la scala, così che possa andare fino al cielo! -Rispondeva: La tua testa è la scala, metti la testa giù, sotto i piedi. Mettendo i piedi sulla testa, li appoggerai sulla testa delle stelle; per aprirti una strada in cielo, appoggia i piedi sul cielo, così, e vieni!

    Ti vendono rivelate cento strade verso il cielo; voli ad ogni alba verso il cielo, come una preghiera ».

    (Ibidem, 9, l0)

    Dobbiamo chinare la testa, lasciare da parte la ragione e, in questo abbandono, potremo librarci in alto. Il cuore deve essere aperto, e così risulterà che siamo uno, che io sono te! «Ascolta, perché sono davanti alla porta! Apri la porta; sbarrare la porta non è segno di gran desiderio.

    Nel cuore di ogni atomo vi è uno spazio; ma se non togli sbarramenti, rimarrà nascosto. Tu sei Colui che spalanca l'Alba; il Signore dell'Alba del Giorno; Tu apri centinaia di porte e dici: Entra!. Non sono io davanti alla tua porta, sei tu; fammi entrare, apri la porta a Te stesso ».

    (Ibidem, 31)

    Questi pochi esempi, tratti dalla ricca produzione di Rumi, possono darci una prima impressione del calore e della fiamma di questo antico misticismo del Sufismo.

    Un altro aspetto importante del Sufismo emerge dall'opera di Muslih-Ud-Din Saadi. I suoi semplici racconti e le sue allegorie ci parlano delle virtù spirituali, che possono essere sviluppate nella vita quotidiana. Sadi pone l'accento sullo sviluppo della personalità. Paragona il cuore a un fiore, che irradia ed emana il suo profumo nella bellezza. Due note opere di Saadi sono il Gulistan, che significa « roseto », e il Bustan, « luogo di profumi ». La gratitudine, la fiducia in Dio e l'abbandono a Dio, sono i concetti chiave. E Saadi si rivolge in questo modo al re e ai governanti:

    « O re, non vestire abiti regali, quando vieni a pregare: prega come un derviscio e di: Oh Dio! Sei potente e forte. Non sono un monarca, ma un mendicante, alla Tua corte. Che cosa potrebbe uscire dalla mia mano, se tu non mi aiutassi e sostenessi? Aiutami e dammi i mezzi della virtù; se no, come potrò fare del bene al mio popolo! ».

    « Se governate di giorno, pregate ardentemente di notte. I grandi tra i vostri servitori vi servono alla porta; così dovreste servire voi, a testa china, in adorazione, sulla soglia della porta di Dio ».

    (Saadi, The Bustan, 1911, 23)

    Questo dovrebbe essere il comportamento ideale di chiunque svolga un ruolo di responsabilità.

    Hazrat Inayat Khan

    Dopo aver assaporato un po’della ricchezza dell'antico Sufismo -e in questo breve articolo non poteva che essere un breve assaggio-passiamo al Messaggio Sufi di Hazrat Inayat Khan.

    Hazrat Inayat Khan era un grande mistico indiano dell'inizio di questo secolo. Già in giovane età meritò una grande ammirazione come musicista alle corti dei maragià indiani. Proveniva, tra l'altro, da una famiglia di grande tradizione musicale e spirituale. Suo nonno Maulabakhsh aveva dato un nuovo impulso alla musica classica indiana nell'accademia musicale di Baroda (il Hayanshala). La musica di Inayat Khan era di tipo meditativo: ispirava l'anima a librarsi sino alle sottili melodie meditative delle sfere ultraterrene. Ben presto il suo desiderio crebbe talmente che si cercò un maestro spirituale. Vide questo maestro per la prima volta in una visione, per poi incontrarlo nella persona di Mohammed Hashim Madani, un grande maestro spirituale e mistico della Confraternita sufica Chistia. Inayat Khan ebbe un profondo contatto spirituale con lui e senti una grande devozione e rispetto per il suo murshid. La morte di quest'ultimo fu per lui una tale perdita che abbandonò la sua posizione di prestigio alla corte del nizam di Hyderabad per viaggiare attraverso l'India e incontrare i santi asceti indiani.

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