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Stato Costituzionale: Sul nuovo costituzionalismo
La dottrina dello Stato e la sua crisi: Problemi e prospettive
Diritto Costituzionale: Approccio metodologico
Serie di e-book15 titoli

Piccole Conferenze

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Info su questa serie

Anche i giuristi e i filosofi del diritto hanno da lungo tempo dimestichezza con quelle “verità artificiali” che essi sono soliti chiamare «dogmi». Il fenomeno della volontà interpretativa che forzi a considerare fatto ciò che di per sé non sarebbe empiricamente verificabile – tuttavia – si rivela presto ben più esteso e radicale di quanto possa manifestarsi nel solo àmbito giuridico. Persino l’evidenza apparentemente più indiscutibile del Pianeta – vale a dire quella del divenire delle cose, del loro venire dal e del loro andare nel nulla – potrebbe infatti rivelarsi non un’innegabile verità, bensì una semplice fede. E “follia”, frutto d’un nichilismo inconsapevole, diverrebbe allora anche la credenza – sulla quale, tra l’altro, poggia pure l’intero edificio della scienza giuridica – di poter in qualche modo cambiare il corso degli eventi, plasmandolo secondo una propria volontà demiurgica.
Gli “abitatori del tempo” vivono nella convinzione che tutto, al mondo, sia legna che brucia, la quale più o meno lentamente diventa cenere. Ed essi credono inoltre che la prova irrefutabile di tale caducità – genus di cui la mortalità dell’uomo è semplice species – possa essere (e in concreto sia) offerta, banalmente, dall’esperienza. Ma la stessa “morte”, scavando al sottosuolo del problema, è fatto o interpretazione? Questo capitolo del dialogo fra Emanuele Severino e Biagio de Giovanni – che le Piccole Conferenze si pregiano qui d’ospitare per il suo universale valore teorico – racchiude così in un’unica domanda, solo in apparenza provocatoria, l’estrema sfida lanciata a tutte le categorie filosofiche del Pensiero Occidentale.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2014
Stato Costituzionale: Sul nuovo costituzionalismo
La dottrina dello Stato e la sua crisi: Problemi e prospettive
Diritto Costituzionale: Approccio metodologico

Titoli di questa serie (15)

  • Diritto Costituzionale: Approccio metodologico

    1

    Diritto Costituzionale: Approccio metodologico
    Diritto Costituzionale: Approccio metodologico

    Il saggio si occupa delle questioni di metodo relative allo scienziato del diritto in generale e di quelle relative al diritto costituzionale in particolare. Le premesse sono che: 1) la comunicazione di enunciati e la loro comprensione, talvolta mediata dalle attività di interpretazione, sono fenomeni che intercorrono sempre e solo fra individui in carne ed ossa; 2) l’individuo è gettato nel mondo e ne conosce solo frammenti, peraltro in modo diverso, a seconda che si tratti del mondo fisico o di quello umano; 3) l’assioma sul quale si fondano gli obblighi, i divieti, le garanzie di libertà previsti dal diritto, è che vi sono innumerevoli casi rispetto ai quali l’essere umano è materialmente libero di fare o non fare per sua libera scelta. Gli elementi essenziali del “gioco del diritto” giocato dallo scienziato sono: a) la volontà di convincere anzitutto se stesso e poi convincere gli altri; b) una o più domande collegate alle quali il giurista intende rispondere secondo diritto, cosicchè le risposte possono essere giudicate corrette o scorrette; c) l’attribuzione a qualcuno del potere di chiudere autoritativamente le controversie, ferma restando la libertà di ciascuno di dissentire. Vengono infine affrontate le questioni di metodo del diritto costituzionale come terra di confine tra diritto e potere politico. Si sottolinea il ruolo della Costituzione come progetto generale ed apicale e si spiega la grande influenza dei principi nel diritto costituzionale e nella relativa argomentazione, distinguendo tra il giurista positivo e il giurista critico. Giuseppe Ugo Rescigno allievo di Carlo Esposito ha lavorato pure con Vezio Crisafulli e Aldo M. Sandulli; professore incaricato dal 1970 presso la facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Perugia ed ivi straordinario di Istituzioni di diritto pubblico dal 1972 al 1975, ordinario dal 1975 presso la facoltà di Economia e Commercio della Università di Modena, passando alla Sapienza di Roma dal 1990. Ha pubblicato le seguenti monografie: La responsabilità politica nel 1967; Le convenzioni costituzionali nel 1972; Costituzione italiana e Stato borghese nel 1975; L’atto normativo nel 1998; nel 1978 ha pubblicato un commento agli articoli da 83 ad 87 compreso della Costituzione nel Commentario della Costituzione diretto da Branca ed edito da Zanichelli e Il Foro italiano; sue voci compaiono in Enc, dir., Enc. giur., Il diritto edito da Il sole-24 ore; numerosi contributi nelle riviste Critica del diritto, Giur. cost., Dir. pubbl., Pol. dir., Rass. parl., ed altre; dalla fondazione nel 1995 al 2011 ha fatto parte della direzione della rivista Diritto pubblico, e dal 1989 ad oggi della direzione della rivista Giurisprudenza costituzionale. Oltre ad aver rivestito numerose cariche accademiche, è stato consigliere comunale ed assessore presso il Comune di Modena, membro della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge nei servizi pubblici essenziali, giudice costituzionale presso la Repubblica di S. Marino.

  • Stato Costituzionale: Sul nuovo costituzionalismo

    4

    Stato Costituzionale: Sul nuovo costituzionalismo
    Stato Costituzionale: Sul nuovo costituzionalismo

    È ormai diffusa l’idea che, dopo gli anni difficili dello Stato legislativo e della democrazia parlamentare, siamo entrati – noi europei, noi occidentali, forse addirittura noi umani – nell’età dello Stato o della democrazia costituzionali. Vi sono peraltro differenze fra questa e le tante retoriche dell’inaudito che affollano la comunicazione contemporanea. Intanto, è vero che, dopo il Secolo breve, nessuno crede più allo Stato o alla democrazia senz’altra qualifica: e la qualifica ‘costituzionale’ è forse la meno enfatica e la più realistica fra le tante a disposizione. Poi, è anche vero che la cultura costituzionalistica delle regole, dei controlli e dei limiti rappresenta una delle ideologie meno usurate fra quelle influenti sulla classe politica e fra gli operatori del diritto. Infine, si tratta d’idea ormai condivisa anche internazionalmente: una sorta di senso comune minimo per le élite del mondo globalizzato. Questo lavoro esamina appunto le implicazioni giuridiche, politiche ed etiche dell’idea di Stato costituzionale: il neocostituzionalismo, che si candida a teoria del diritto più adeguata al costituzionalismo globale; la democrazia costituzionale, come superamento più che completamento della democrazia parlamentare; il pluralismo dei valori, come metaetica più idonea ad arbitrare il conflitto fra valori, principi e diritti costituzionali

  • La dottrina dello Stato e la sua crisi: Problemi e prospettive

    12

    La dottrina dello Stato e la sua crisi: Problemi e prospettive
    La dottrina dello Stato e la sua crisi: Problemi e prospettive

    Introdotta nelle Facoltà di Scienze Politiche in epoca fascista, la Dottrina dello Stato ha poi subito l’affronto di essere definita una disciplina politicamente segnata. In realtà, le sue origini riportano alla statistica del Settecento e, specialmente, al dibattito che nella Germania bismarckiana esplose dopo la fondazione dell’Impero. Cosa è ‘Stato’ nel momento in cui gli antichi regni cedono il passo alla Prussia che si fa Impero? Può esistere uno Stato senza sovranità? E qual è il rapporto tra Stato e diritto? Subisce anche lo Stato gli effetti delle trasformazioni sociali in un’epoca di conflitti di classe? Come influisce la tecnica sui rapporti di potere tradizionali? La centralità di questi interrogativi è evidente; non è un caso che tra le più significative dottrine dello Stato debbano essere ricordate quelle di tre tra i più importanti giuristi della Germania tra Kaiserreich e Weimarer Reichsverfassung: Jellinek, Kelsen, Heller. Ma la dottrina dello Stato richiamava due altre tematiche, quella del rapporto tra centro e periferie (così nella concezione municipalista di Preuß, seguace liberale di Gierke) e quella della costituzione e del suo significato, tanto che non a caso, talvolta, essa poteva apparire nelle vesti di una ‘dottrina della costituzione’, come nel caso di Schmitt, Fraenkel, Smend, Leibholz, Thoma. Su quest’orizzonte, la Dottrina dello Stato è centrale. Lo è anche oggi, nell’epoca della ‘morte dello Stato’, della globalizzazione, delle unioni sovranazionali? Questo saggio vuol accennare una risposta, rappresentando al tempo stesso un pladoyer per la disciplina. Lo Stato non solo non è morto, pur dovendosene rivisitare le funzioni, ma non è morta nemmeno la sovranità, se interpretata come relativa e non assoluta. Ancor più: solo uno Stato ‘forte’ (ed un conseguente senso dello Stato) può garantire una vita democratica non effimera, una libertà non astratta e una garanzia concreta dei diritti dei singoli.

  • Teoria del diritto: Approccio metodologico

    3

    Teoria del diritto: Approccio metodologico
    Teoria del diritto: Approccio metodologico

    L'identità disciplinare della teoria (generale) del diritto non è controversa tra quanti la coltivano. Tuttavia, non è facile tracciarne concettualmente i confini: per un verso, con la filosofia del diritto; per un altro verso, con la "giurisprudenza" (intesa come prudentia juris). Il saggio si atricola in quattro parti. Nella prima si esplorano alcune immagini della teoria del diritto (e dei suoi confini) presenti in letteratura. La seconda parte è un interludio metodologico, nel quale vengono (sommariamente) messi a punto i principali strumenti di lavoro propri dell’analisi logica del linguaggio. La terza parte contiene una duplice proposta di configurazione della teoria del diritto: la teoria del diritto come analisi e critica della giurisprudenza e, rispettivamente, la teoria del diritto come laboratorio in cui si costruiscono concetti atti alla descrizione del diritto vigente. La quarta parte, infine, illustra la duplice proposta precedente mediante un esercizio di analisi meta-giurisprudenziale (la varietà di operazioni intellettuali che si nascondono sotto il termine generico “interpretazione”) ed un esercizio di costruzione concettuale (la varietà di relazioni tra norme che si nascondono sotto la generica nozione di “gerarchia normativa”).

  • Diritto Costituzionale Comparato: Approccio metodologico

    2

    Diritto Costituzionale Comparato:  Approccio metodologico
    Diritto Costituzionale Comparato:  Approccio metodologico

    Il diritto costituzionale comparato studia le costituzioni degli stati contemporanei, analizzandole nei loro distinti contenuti e mettendole poi a confronto al fine di rilevarne somiglianze e differenze e di formare, in base ai risultati del confronto, “modelli” o “ideal-tipi”, prospettanti i valori comuni ai quali tendenzialmente partecipano, le varie fattispecie esaminate. Si deve alle sue indagini la corretta individuazione, dei modelli dello stato liberale e dello stato sociale. È una disciplina di carattere cognitivo-storico, ma grandi sono le utilizzazioni pratiche delle conoscenze che essa mette a disposizione. In particolare, è strumento ausiliario essenziale per migliorare le interpretazioni a fini di applicazione che giurisprudenza e dottrina compiono delle singole Costituzioni nazionali. Il saggio prospetta le sue tesi metodologiche muovendo da una concezione radicalmente realistica del diritto e delle norme giuridiche.

  • Il diritto penale come etica pubblica: Considerazioni sul politico quale “tipo d'autore”

    14

    Il diritto penale come etica pubblica: Considerazioni sul politico quale “tipo d'autore”
    Il diritto penale come etica pubblica: Considerazioni sul politico quale “tipo d'autore”

    L’idea che l’etica pubblica sia oggi circoscritta al diritto penale può sembrare una provocazione che risente di una deformazione professionale nel punto di osservazione. Nondimeno, la permanente messa sotto accusa della classe politica, insieme a quella imprenditoriale, da parte della magistratura non è solo segno di una crisi della politica, ma anche espressione del controllo della sua moralità. In un contesto culturale dove ogni etica tradizionale (cattolici, laici, comunisti, socialisti, liberali eccetera) è ormai declassata a morale privata, e dove il pluralismo e il multiculturalismo impongono che solo il diritto, mediando tra stranieri morali, sia espressione di un’etica pubblica, che pure, finché giuridica, non obbliga in coscienza, il comando più autoritario ed espressivo di un prohibiting non riducibile a onere o a tassa, è quello penale. Senza nulla concedere al pensiero che se una condotta è penalmente irreprensibile sia politicamente corretta, occorre peraltro recuperare le virtù repubblicane senza le quali ogni legge è inerme, come regola senza costume. Tali virtù non sono l’effetto di una macchina giudiziaria dove tutti sono sottoponibili a un controllo di “moralità pubblica” attraverso un processo penale. Questo stato delle cose ha invece prodotto l’effetto di un uso strumentale del processo penale, e dunque una sorta di indiretta privatizzazione della giustizia, usata via via da vari protagonisti come strumento di lotta politica. Se non è detto che la ragione pubblica si esprima solo attraverso una qualche Corte suprema, certo sarebbe grave se l’etica pubblica fosse riconosciuta e praticata solo per effetto dei processi penali che la sanciscono.

  • Interpretazione e crisi delle fonti

    13

    Interpretazione e crisi delle fonti
    Interpretazione e crisi delle fonti

    L’ordine delle fonti del diritto è uno strumento essenziale per l’attività degli interpreti: determina quali materiali, e con quale ordine di priorità, dovranno essere utilizzati nel processo di applicazione del diritto. Mentre la modernità giuridica ci ha consegnato, quasi come una sua “mitologia”, l’aspirazione ad una razionalità verticale, gerarchica, nelle fonti del diritto, presieduta dalla legge, oggi i mutevoli rapporti di forza tra gli attori politici in una democrazia pluralista, il fluire incessante e incontrollabile delle relazioni di mercato nell’era della globalizzazione, il pluralismo e la complessità delle società contemporanee sembrano disgregare inesorabilmente l’ordine delle fonti del diritto. Così, alla tradizionale rappresentazione ordinata e monolitica del sistema delle fonti, compendiata nella familiare figura della piramide, si sostituiscono ora figure più complesse e disarmoniche, come la rete, l’arcipelago, o l’edificio barocco. Questo lavoro utilizza tale ultima rappresentazione, affatto dominante, del panorama delle fonti come punto di partenza per difendere l’idea che i rapporti tra le norme e le fonti all’interno di un ordinamento siano essenzialmente regolati da meccanismi di tipo gerarchico – l’idea, cioè, che abbia (ancora) senso parlare di gerarchia delle fonti del diritto e di gerarchia delle norme giuridiche. A condizione però di definire accuratamente la nozione rilevante di gerarchia normativa, depurandola da fuorvianti metafore di tipo “spaziale”, e di cogliere adeguatamente l’inesorabile componente interpretativa insita nell’attività di individuazione delle fonti e delle loro gerarchie.

  • Dell'eguaglianza

    16

    Dell'eguaglianza
    Dell'eguaglianza

    L’idea di fondo è che il principio di eguaglianza, alla base di ogni sistema democratico, definisce la posizione del cittadino al suo interno assegnando ad ognuno il medesimo valore. Il divieto di privilegi favorevoli od odiosi e di leggi personali costituisce lo zoccolo duro del principio caratterizzante la stessa forma di Stato. Accanto ad esso la giurisprudenza pone in luce il divieto di distinzioni o di equiparazioni irragionevoli, da cui essa trae un autonomo principio di ragionevolezza dalle disposizioni legislative e di razionalità dell’intero ordinamento. Ma la ragionevolezza va coniugata, si chiarisce nel saggio, con i valori costituzionali espressi o impliciti nel sistema, alla stregua dei quali le distinzioni e le equiparazioni devono essere misurate. Tra questi valori il primo è il lavoro, che la costituzione italiana pone a fondamento della repubblica, l’altro è la pari dignità sociale che qualifica lo stesso principio di eguaglianza, il terzo è l’eguaglianza sostanziale, che impone al legislatore la rimozione degli ostacoli di fatto alla piena libertà ed eguaglianza dei cittadini, al fine della loro massima partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese. L’inserimento dell’Italia all’interno del processo d’integrazione politica europea e nella comunità internazionale solleva però problemi che superano lo stretto ambito del diritto costituzionale interno e suscitano in particolare l’esigenza di ricondurre le distinzioni poste dalla legislazione nazionale ad una ragionevolezza sopranazionale e globale. Di fonte ad essi lo studioso del diritto interno può solo auspicare la realizzazione di un’eguaglianza universale affidata a norme e ad istituzioni internazionali idonee a coordinare e a limitare in nome di essa la legislazione interna dei vari Stati.

  • Il Presidente della Repubblica fra evoluzione e trasformazione

    17

    Il Presidente della Repubblica fra evoluzione e trasformazione
    Il Presidente della Repubblica fra evoluzione e trasformazione

    Fra tutte le istituzioni repubblicane, il Presidente della Repubblica è quella che offre la resistenza maggiore all’inquadramento e alla sistemazione teorica secondo i metodi propri dell’analisi giuridica. Questa difficoltà deriva dal carattere lacunoso della normativa costituzionale e dall’ambiguità di significato della funzione di rappresentanza dell’unità nazionale, che l’Autore ricostruisce come rappresentanza di tipo “magistratuale”, negando che essa possa fungere da fondamento di poteri informali, spazi di iniziativa politica e prerogative presidenziali sprovvisti di un ancoraggio normativo certo. In presenza di un quadro frammentato a livello dottrinale e non stabilizzato in sede giurisprudenziale (neppure dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2013, di cui sono evidenziati nel saggio i profili di ambiguità), la costante espansione di ruolo politico del capo dello Stato sta immettendo nella forma di governo parlamentare logiche di funzionamento proprie di modelli dualisti, che la sottopongono a un’interna tensione

  • Pragmatica giuridica

    20

    Pragmatica giuridica
    Pragmatica giuridica

    Questo studio parla di pragmatica, lo studio del linguaggio dal punto di vista degli utenti e dei contesti alla luce di ciò a cui il linguaggio serve, ciò che si fa con il linguaggio. Sostiene la pragmatica sia necessaria per capire come funziona il linguaggio giuridico e che per compiere uno studio pragmatico soddisfacente del diritto occorre discutere due tesi molto generali. Una prima tesi è che la pragmatica (giuridica) non sia solo lo studio dei contesti particolari, peraltro utilissimo. Oltre a tale micro-pragmatica occorre occuparsi anche di cosa ciascun linguaggio serve a fare nel suo complesso. È proprio questa macro-pragmatica che ci permette di distinguere tipi di linguaggio, di dare un senso alla distinzione tra linguaggio della scienza, ordinario, tecnico, linguaggi artificiali. Sono linguaggi diversi perché servono a scopi diversi e si pongono in modo diverso verso i loro utenti. Questo spiega anche differenze semantiche e sintattiche che altrimenti rimangono misteriose, prima di tutte come mai alcuni linguaggi sono “difficili”. La seconda tesi è che sul piano macropragmatico il linguaggio giuridico non è né linguaggio ordinario (da cui pure trae “in prestito” quasi tutti i suoi elementi semiotici) né un linguaggio tecnico come quello delle scienze (al cui rigore pure aspira). È un linguaggio amministrato, intimamente legato alla funzione normativa, al fatto che il diritto riguarda la gestione organizzata della forza e gestito nella interazione tra autorità, esperti e gente comune. MARIO JORI è professore ordinario di Filosofia del diritto presso il Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università di Milano. Allievo di Uberto Scarpelli, si è occupato di vari temi di filosofia e di teoria del diritto, quali, per esempio: le concezioni del diritto, il metodo giuridico, la teoria della norma e dell’ordinamento, le definizioni, i diritti fondamentali e il ragionamento giuridico. Coordina i Quaderni di filosofia analitica del diritto (editi da Giuffrè) ed è condirettore della collana Jura. Temi e problemi del diritto (pubblicata da Ets). Ha pubblicato un cospicuo numero di saggi in volumi collettanei e su riviste nazionali e internazionali; tra i suoi lavori monografici si ricordano: Il metodo giuridico tra scienza e politica, Giuffrè, Milano, 1976; Il formalismo giuridico, Giuffrè, Milano, 1980; Il giuspositivismo analitico italiano prima e dopo la crisi, Giuffrè, Milano, 1987; Del diritto inesistente. Saggio di metagiurisprudenza descrittiva, Ets, Pisa, 2010. È autore, assieme ad Anna Pintore, del manuale Introduzione alla filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2014, giunto alla terza edizione.

  • Interpretazione e tributi: Argomenti, analogia, abuso del diritto

    19

    Interpretazione e tributi: Argomenti, analogia, abuso del diritto
    Interpretazione e tributi: Argomenti, analogia, abuso del diritto

    Lo studio dell’interpretazione nel campo tributario riveste un notevole interesse, sia perché si associa all’origine e allo sviluppo del diritto tributario, almeno così come lo conosciamo in epoca contemporanea, sia perché la questione dell’interpretazione delle disposizioni normative tributarie si inserisce nel più ampio spettro del rapporto tra fisco e cittadino. Lo scopo di questo scritto consiste nel condurre un’indagine di metagiurisprudenza in grado di cogliere i riflessi che il diverso modo di intendere il rapporto tra potere di imposizione e individuo ha sulle tecniche dell’interpretazione, sulla preferenza di alcune a scapito di altre, sull’inibizione dell’uso di talune di esse o sulla maniera di caratterizzare una o più tecniche.

  • L'imbroglio delle riforme amministrative

    23

    L'imbroglio delle riforme amministrative
    L'imbroglio delle riforme amministrative

    Perché le riforme amministrative sono un “imbroglio”? Perché sono utilizzate dai governi di tutti i livelli per distrarre i cittadini dagli effetti disastrosi dell’inerzia e dei “misfatti” dei vari potentati di fronte alla crisi economica attuale. Si enumerano alcune inerzie e “misfatti” che portano a concludere che o i governanti sono fermi sull’orlo di un baratro o ci stanno ballando attorno. Intanto tentano di distrarre i governati con riforme amministrative che con la crisi economica hanno ben poco a che fare. Si indicano le principali “distrazioni” riformatrici, con particolare attenzione alla situazione italiana.  Le riforme amministrative se anche non giovano, o giovano poco, a risolvere crisi economiche hanno però il pregio di aver di nuovo attirato l’attenzione sulla “buona amministrazione” che viene identificata nell’unione tra regole giuridiche e regole delle scienze dell’economia aziendale. Poiché una ricerca sociologica, commissionata dal Governo olandese in vista della presidenza olandese del Consiglio dell’Unione Europea, ha indicato lo stato di insoddisfazione dei cittadini dei vari Stati dell’Unione nei confronti dei loro governanti, si auspica che i giuristi indichino al futuro Presidente del Consiglio dell’Unione quali sono gli interventi da sollecitare per invertire il ciclo economico e quali sono invece “le false riforme economiche”, le riforme amministrative, utili per realizzare una buona amministrazione, ma non per risolvere l’insoddisfazione dei governati.  

  • Ripensare l'età dei diritti

    21

    Ripensare l'età dei diritti
    Ripensare l'età dei diritti

    L’età dei diritti è l’esito della rivoluzione copernicana che ha messo al centro della riflessione politica l’individuo, il quale non è più considerato come la parte del tutto rappresentato dalla società e dallo stato. Da un punto di vista storico, l’età dei diritti designa il periodo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale ai giorni nostri. Essa intende marcare una radicale rottura rispetto ai totalitarismi ed alle atrocità che hanno caratterizzato il periodo antecedente ed è espressione della fiducia dell’umanità nella possibilità di un reale progresso morale universale, che presuppone la condivisione di alcuni valori, il rispetto degli individui e dei loro diritti, il rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie. La fiducia e la scommessa in un futuro migliore sono, senza dubbio, la cifra dell’età dei diritti. L’esigenza di ripensare l’età dei diritti potrebbe apparire paradossale in un momento in cui il linguaggio dei diritti si è imposto come la lingua franca del discorso pubblico globale. Eppure c’è un senso in cui non è esagerato decretare addirittura la fine dell’età dei diritti. Il punto cruciale concerne il modo in cui si è evoluto il linguaggio dei diritti e le aspettative che ciascuno ripone nei diritti. L’impressione è che sia ormai molto diffusa la consapevolezza che il linguaggio dei diritti è l’idioletto attraverso il quale avanzare pretese e rivendicazioni nell’arena pubblica se si desidera che le une e le altre abbiano delle chance di essere accolte. Si può addirittura sostenere che l’uso retorico e spregiudicato del linguaggio dei diritti al fine di incrementare la forza delle proprie rivendicazioni politiche sia uno degli esiti pressoché inevitabili della costituzionalizzazione degli ordinamenti giuridici. Non c’è in definitiva alcunché di paradossale né di roboante o di retorico nel decretare la fine dell’età dei diritti in presenza di un discorso pubblico tutto incentrato sui diritti e sulla loro tutela. ALDO SCHIAVELLO: già Dottore di Ricerca in “Filosofia analitica e teoria generale del diritto” presso l’Università degli Studi di Milano, insegna ora Filosofia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, di cui è attualmente anche Direttore. È stato coordinatore del Dottorato internazionale in “Diritti umani: evoluzione, tutela e limiti” (2010-2015) e delegato all’assistenza del Rettore ai dottorati di ricerca (2014-2015). È attualmente componente del Senato accademico dell’Università di Palermo. Codirige con Giorgio Maniaci e Giorgio Pino la rivista Diritto & questioni pubbliche e con Vito Velluzzi la collana Filosofi e filosofie del diritto (Ets, Pisa). Fa parte del comitato scientifico o consultivo di più Riviste e Collane editoriali. Oltre a numerosi saggi e articoli ha pubblicato i seguenti volumi monografici: Diritto come integrità: incubo o nobile sogno? Saggio su Ronald Dworkin (1998); Il positivismo giuridico dopo Herbert L.A. Hart. Un’introduzione critica (2004); Perché obbedire al diritto? La risposta convenzionalista ed i suoi limiti (2010). Ha curato con Vito Velluzzi Il positivismo giuridico contemporaneo. Un’antologia (2005) e con Giorgio Pino e Vittorio Villa Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo (2013). Le sue principali linee di ricerca sono il positivismo giuridico, l’interpretazione e l’argomentazione giuridica, il neocostituzionalismo, le teorie della giustizia, la ragione pubblica, la normatività del diritto e i diritti umani.

  • Disaccordi interpretativi profondi

    22

    Disaccordi interpretativi profondi
    Disaccordi interpretativi profondi

    I disaccordi interpretativi profondi sono divergenze particolarmente radicali nelle interpretazioni giudiziali e dottrinali aventi come oggetto termini e locuzioni di carattere etico-politico (“persona”, “dignità”, “vita”, “autodeterminazione”, “famiglia”, ecc.), che ricorrono in disposizioni giuridiche che incorporano principi (soprattutto di rango costituzionale). Essi sono un aspetto strutturale importante dei nostri stati di diritto costituzionali; ci fanno capire, ad esempio, come si atteggia, in tali organizzazioni, il rapporto fra diritto e morale (un rapporto fluido). La tesi principale del saggio, corroborata dalla ricostruzione di un caso concreto, è che questi disaccordi vanno caratterizzati come genuini, senza colpa e irrisolvibili. Il saggio discute anche la possibilità di inserire i disaccordi interpretativi senza colpa nella categoria generale dei disaccordi faultless, così come sono teorizzati dalla filosofia del linguaggio contemporanea, dove suscitano da tempo accese discussioni. Lo studio si articola nei seguenti brevi capitoli: a un capitolo introduttivo segue quello dedicato alla definizione e alla classificazione di questi disaccordi; v’è poi spazio per un capitolo che si occupa dell’analisi semantica delle espressioni (indeterminate) oggetto di disaccordo, cui fa seguito la presentazione della tesi principale di cui sopra, che cerca di spiegare il modo in cui vanno intese le pretese di correttezza che tali disaccordi incorporano; infine, un breve spazio è dedicato alla ricostruzione del “caso Englaro”, visto come esempio paradigmatico di disaccordo interpretativo profondo. VITTORIO VILLA è stato professore ordinario di Filosofia del diritto presso l’Università di Palermo e Direttore del Dipartimento di “studi su politica, diritto e società” presso la stessa Università. È stato borsista CNR (Giugno-Novembre 1983) presso il Department of Jurisprudence dell’Università di Edinburgo ed è stato anche visiting professor presso la stessa Università (Luglio 1996). Ha partecipato, come relatore, a svariati congressi nazionali e internazionali. Oltre a una numerosa serie di saggi di teoria del diritto, metaetica, epistemologia giuridica, è autore dei volumi Teorie della scienza giuridica e teorie delle scienze naturali. Modelli e analogie (Giuffrè, 1984), di cui esiste una traduzione in francese (La science du droit, LGDJ, 1990); Costruttivismo e teorie del diritto (Giappichelli, 1999), di cui esiste una traduzione in castigliano (Constructivismo y teorias del derecho, Universidad Autonoma del Mèxico, 2011); Storia della filosofia del diritto analitica (Il Mulino, 2003); Il positivismo giuridico. Metodi, teorie e giudizi di valore (Giappichelli, 2004); Una teoria pragmaticamente orientata dell’interpretazione giuridica (Giappichelli, 2012). Ha curato, insieme a G. Maniaci, G. Pino, A. Schiavello, il volume Il relativismo. Temi e prospettive (Aracne, 2010), che raccoglie gli atti del convegno internazionale “Il relativismo: temi e prospettive”, da lui organizzato (Agrigento, 23-24 Aprile 2009). Ha anche curato, insieme a Giorgio Pino, il volume Rule of Law. L’ideale della legalità (il Mulino, 2016).

  • Sul Divenire: Dialogo con Biagio de Giovanni

    Sul Divenire: Dialogo con Biagio de Giovanni
    Sul Divenire: Dialogo con Biagio de Giovanni

    Anche i giuristi e i filosofi del diritto hanno da lungo tempo dimestichezza con quelle “verità artificiali” che essi sono soliti chiamare «dogmi». Il fenomeno della volontà interpretativa che forzi a considerare fatto ciò che di per sé non sarebbe empiricamente verificabile – tuttavia – si rivela presto ben più esteso e radicale di quanto possa manifestarsi nel solo àmbito giuridico. Persino l’evidenza apparentemente più indiscutibile del Pianeta – vale a dire quella del divenire delle cose, del loro venire dal e del loro andare nel nulla – potrebbe infatti rivelarsi non un’innegabile verità, bensì una semplice fede. E “follia”, frutto d’un nichilismo inconsapevole, diverrebbe allora anche la credenza – sulla quale, tra l’altro, poggia pure l’intero edificio della scienza giuridica – di poter in qualche modo cambiare il corso degli eventi, plasmandolo secondo una propria volontà demiurgica. Gli “abitatori del tempo” vivono nella convinzione che tutto, al mondo, sia legna che brucia, la quale più o meno lentamente diventa cenere. Ed essi credono inoltre che la prova irrefutabile di tale caducità – genus di cui la mortalità dell’uomo è semplice species – possa essere (e in concreto sia) offerta, banalmente, dall’esperienza. Ma la stessa “morte”, scavando al sottosuolo del problema, è fatto o interpretazione? Questo capitolo del dialogo fra Emanuele Severino e Biagio de Giovanni – che le Piccole Conferenze si pregiano qui d’ospitare per il suo universale valore teorico – racchiude così in un’unica domanda, solo in apparenza provocatoria, l’estrema sfida lanciata a tutte le categorie filosofiche del Pensiero Occidentale.

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