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L'imbroglio delle riforme amministrative
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E-book76 pagine59 minuti

L'imbroglio delle riforme amministrative

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Perché le riforme amministrative sono un “imbroglio”? Perché sono utilizzate dai governi di tutti i livelli per distrarre i cittadini dagli effetti disastrosi dell’inerzia e dei “misfatti” dei vari potentati di fronte alla crisi economica attuale. Si enumerano alcune inerzie e “misfatti” che portano a concludere che o i governanti sono fermi sull’orlo di un baratro o ci stanno ballando attorno. Intanto tentano di distrarre i governati con riforme amministrative che con la crisi economica hanno ben poco a che fare. Si indicano le principali “distrazioni” riformatrici, con particolare attenzione alla situazione italiana. 
Le riforme amministrative se anche non giovano, o giovano poco, a risolvere crisi economiche hanno però il pregio di aver di nuovo attirato l’attenzione sulla “buona amministrazione” che viene identificata nell’unione tra regole giuridiche e regole delle scienze dell’economia aziendale. Poiché una ricerca sociologica, commissionata dal Governo olandese in vista della presidenza olandese del Consiglio dell’Unione Europea, ha indicato lo stato di insoddisfazione dei cittadini dei vari Stati dell’Unione nei confronti dei loro governanti, si auspica che i giuristi indichino al futuro Presidente del Consiglio dell’Unione quali sono gli interventi da sollecitare per invertire il ciclo economico e quali sono invece “le false riforme economiche”, le riforme amministrative, utili per realizzare una buona amministrazione, ma non per risolvere l’insoddisfazione dei governati.
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2017
ISBN9788870007367
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    Anteprima del libro

    L'imbroglio delle riforme amministrative - Fabio Merusi

    ss.

    1. Cattivi politici, cattivi cristiani e una indagine sociologica sulla cattiva amministrazione nei Paesi dell’Unione Europea

    Il grido politici cattivi cristiani è ritornato a percorrere l’Europa in lungo e in largo come dalla fine del ’500 a tutto il ’600¹. Così almeno sostiene uno studio sociologico commissionato dal Governo olandese ad un istituto di scienza della politica dell’Università di Berlino² in vista della prossima presidenza del Consiglio dell’Unione Europea che spetta, per turno, all’Olanda. Naturalmente la terminologia non è quella degli anti-machiavellici del ’500-’600, ma le conclusioni dell’indagine potrebbero essere riassunte con lo storico grido degli anti-machiavellici: la fiducia dei cittadini nei loro governanti è progressivamente diminuita in tutta l’Europa e, comparativamente, in tutti i Paesi che compongono l’Unione, sia pur in percentuali diverse, più a Sud che a Nord. Dovunque vengono addotti gli stessi motivi: corruzione diffusa e cattiva amministrazione. Dove per corruzione non si intendono solo i reati previsti dai codici penali, riconducibili alla nozione di corruzione anche allargata, ma, più genericamente, qualunque forma di attività amministrativa che non soddisfa le attese dei cittadini. La corruzione è una situazione etico-morale, non soltanto e non solo un comportamento vietato e come tale sanzionato dai codici penali. Il politico e gli amministratori pubblici in genere sono i cattivi cristiani dell’opinione pubblica del ’600, espressione di diffuso sentire e non solo e non tanto di un movimento dottrinale che diede ad una delle prime manifestazioni dell’opinione pubblica una giustificazione teorica. Chi mi ascolta non potrà fare a meno di pensare al manzoniano don Ferrante, avido lettore di libelli anti-machiavellici.

    Non è ovviamente dato sapere quali conclusioni trarrà il futuro presidente olandese del Consiglio dell’Unione dall’indagine sociologica che ha commissionato e se, e come, ne trarrà ispirazione per promuovere iniziative degli organi di governo dell’Unione. Possiamo peraltro approfittare dei risultati di tale indagine per chiederci perché sia progressivamente diminuita un po’ dovunque la fiducia nei propri governanti tanto da ritenerli tutti corrotti, sia pure in senso lato, o quanto meno incapaci, e se e quali iniziative si siano intraprese ai vari livelli di governo per recuperare tale fiducia, per fare degli amministratori pubblici dei buoni cristiani e per trasformare la cattiva amministrazione in buona amministrazione, come prescritto da autorevoli testi normativi: nell’Unione Europea l’art. 41 del Trattato di Nizza, e, in Italia, l’art. 97 della Costituzione. Anche se i due testi hanno pur sempre bisogno di interpreti, perché il primo prevede la «buona amministrazione» solo nel titolo dell’articolo³ e il secondo ne parla solo a proposito della organizzazione dei pubblici uffici.


    1 E che si trattasse di un vero e proprio grido di battaglia lo dice M. Stolleis in «Confessionalizzazione» o «secolarizzazione» agli albori dello Stato moderno?, ora in M. Stolleis, Stato e ragion di stato nella prima età moderna, Bologna, il Mulino, 1998, 276, sì che conviene riportarlo testualmente nella sua sintesi: «La situazione della Francia e dell’impero tedesco poggiava sulla linea generale di sviluppo che, in Europa, progrediva verso uno svuotamento della politica dai contenuti teologici; e questo sebbene in Germania sia perdurata più a lungo una politica fondata su presupposti religiosi e legata a una impostazione confessionale. Sin dal concilio di Trento, il suggerimento di Machiavelli, che consigliava ai principi di perseguire le leggi di una politica di potenza, utilizzando la religione solo a fini tattici e simulando sentimenti pii che in realtà non possedevano, fu, con un certo ritardo, interpretato come uno slogan della polemica antiecclesiastica, e come tale esso fu combattuto. Il movimento antimachiavellico che, nato in seno agli ordini gesuiti, si estendeva in tutta Europa, dimostrava allora chiaramente che l’obiettivo della polemica era in realtà una politica autonoma, divincolata dalle norme del Cristianesimo. Il grido di battaglia suonava: Un politico non è un cristiano. Questi politici seguivano il famoso – e famigerato – principio, che è poi il tema dominante del dibattito dell’epoca: la «ragion di stato» (raison d’état, statecraft, interest of state, Staatssachen, ratio status, arcana imperii). Tale espressione si colloca in un campo semantico che viene a consolidarsi dappertutto in Europa, tra il 1550 e il 1650. Essa denotava un orientamento della prassi politica che si sviluppava proprio a partire dall’oggetto stesso della politica, un superamento dei precetti morali e religiosi, una politica di potenza all’interno della sfera – ormai concepita come autonoma – delle corti e della loro diplomazia».

    Sul modo di formazione di un’opinione pubblica, e sulle sue manifestazioni, non solo all’inizio di tale epoca, esiste ormai una vasta letteratura della quale riferisce di recente E. Bonora, Aspettando l’imperatore, Torino, Einaudi, 2014, 217 ss. La reazione colta a Machiavelli è dovuta, come è noto, a Giovanni Botero, l’Autore preferito di Don Ferrante, che, forse non a caso, sta avendo una nuova stagione di successo editoriale (cfr. G. Botero, Della ragion di Stato, a cura di P. Benedittini e R. Descendre, Torino,Einaudi, 2016).

    2 Ampiamente riassunto da F. Di Mascio, Le riforme amministrative come antidoto per la corruzione: gli esiti di una indagine su fiducia e integrità delle

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