Il Presidente della Repubblica fra evoluzione e trasformazione
Di Gino Scaccia
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In presenza di un quadro frammentato a livello dottrinale e non stabilizzato in sede giurisprudenziale (neppure dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2013, di cui sono evidenziati nel saggio i profili di ambiguità), la costante espansione di ruolo politico del capo dello Stato sta immettendo nella forma di governo parlamentare logiche di funzionamento proprie di modelli dualisti, che la sottopongono a un’interna tensione
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Anteprima del libro
Il Presidente della Repubblica fra evoluzione e trasformazione - Gino Scaccia
nonna
1. Difficoltà di inquadramento e di sistemazione teorica della figura presidenziale
Fra tutte le istituzioni repubblicane, il Presidente della Repubblica è quella che offre la resistenza maggiore all’inquadramento e alla sistemazione teorica secondo le metodologie proprie dell’analisi costituzionalistica. Questo disagio traspare nel frequente rifugio della dottrina in formule definitorie (magistrato di influenza e di persuasione, potere neutro e intermediario, grande regolatore del gioco democratico, capo spirituale della Repubblica¹) che ne descrivono il ruolo quale soggetto politico, ma non sono altrettanto utili a fissarne con precisione i limiti di intervento quale potere dello Stato. Né ciò sorprende, perché la disciplina costituzionale, peraltro assai laconica e ambigua nella descrizione dei poteri presidenziali – come appresso si mostrerà – manifesta un’irrisolta duplicità di ispirazione che rende incerta l’interpretazione della figura presidenziale e ardua la ricerca di una ratio unificante alla quale ricondurre le molteplici attribuzioni dell’organo.
Neppure l’elemento storico-genetico, ossia l’esame dei lavori preparatori, è in questo caso di grande utilità. Il dibattito in Assemblea Costituente oscillò in effetti senza trovare un chiaro punto di sintesi fra la volontà di discostarsi dal modello del monarca ornamentale
invalso nella tradizione parlamentare inglese e il timore di ascrivere al capo dello Stato funzioni di guida dell’esecutivo, così da riprodurre nei rapporti fra gli organi politici lo schema dualista
operante nel periodo statutario².
Ne deriva un quadro sfocato, nel quale problemi legati alla traslazione nell’assetto repubblicano di prerogative storicamente regie che i Costituenti ritennero di conservare o riadattare (l’irresponsabilità politica, il potere di grazia, il comando delle Forze armate, la nomina dei senatori, limitata a quelli vitalizi), si sommano a questioni interpretative inedite, connesse alle attribuzioni nuove (dalla Presidenza del CSM e del Consiglio supremo di difesa alla nomina dei giudici costituzionali fino al potere di rinvio delle leggi) che fanno del Presidente della Repubblica italiana un unicum nel panorama dei capi di Stato delle democrazie parlamentari per qualità e quantità dei poteri esercitati.
Sono in particolare afflitte da un’interna ambiguità proprio le due disposizioni costituzionali che dovrebbero delineare i contorni essenziali della figura presidenziale, in quanto rivolte a definire la forma giuridica degli atti del Presidente e il fondamento (oltre che il limite) della sua autorità politica: gli art. 89 e 87, primo comma, Cost.
Dalla previsione che ogni atto presidenziale richiede, a pena di invalidità, la controfirma del «Ministro proponente, che ne assume la responsabilità», si desume che il capo dello Stato è politicamente irresponsabile per quegli atti, ma non che essi debbano essere necessariamente preceduti da una proposta ministeriale, con la quale il Governo esprime il potere sostanziale di determinarne il contenuto. Una simile lettura sarebbe in effetti incoerente con l’attribuzione al Presidente della Repubblica di alcuni fondamentali poteri di garanzia, come quello di nomina dei giudici costituzionali o di rinvio delle leggi alle Camere, che non corrisponderebbero alla loro funzione propria di equilibrio e di controllo se fossero proposti e determinati nel loro contenuto dal potere esecutivo. Ne consegue che vi sono atti presidenziali senza iniziativa
(o presidenziali in senso stretto), nei quali il rapporto fra potere decisorio e responsabilità si inverte; atti strettamente governativi, come pure atti duali
o misti, nei quali le due volontà del Governo e del Presidente si equivalgono e concorrono entrambe a determinare il contenuto dell’atto. Il valore della sottoscrizione presidenziale varia insomma a seconda dei casi, almeno secondo la tesi – dominante in dottrina – della polifunzionalità della controfirma³, e ciò determina incertezze sul ruolo rispettivo da riconoscere a Presidente della Repubblica e Governo in relazione ai diversi atti che assumono la forma del d.P.R. In particolare sugli atti di più elevato contenuto politico, quelli attinenti alla nomina del Governo e allo scioglimento delle Camere, nei quali il potere di decisione si è spostato, nella prassi, in corrispondenza con il mutare dei rapporti di forza fra capo dello