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Ripensare l'età dei diritti
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Ripensare l'età dei diritti
E-book60 pagine49 minuti

Ripensare l'età dei diritti

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L’età dei diritti è l’esito della rivoluzione copernicana che ha messo al centro della riflessione politica l’individuo, il quale non è più considerato come la parte del tutto rappresentato dalla società e dallo stato. Da un punto di vista storico, l’età dei diritti designa il periodo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale ai giorni nostri. Essa intende marcare una radicale rottura rispetto ai totalitarismi ed alle atrocità che hanno caratterizzato il periodo antecedente ed è espressione della fiducia dell’umanità nella possibilità di un reale progresso morale universale, che presuppone la condivisione di alcuni valori, il rispetto degli individui e dei loro diritti, il rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie. La fiducia e la scommessa in un futuro migliore sono, senza dubbio, la cifra dell’età dei diritti. L’esigenza di ripensare l’età dei diritti potrebbe apparire paradossale in un momento in cui il linguaggio dei diritti si è imposto come la lingua franca del discorso pubblico globale. Eppure c’è un senso in cui non è esagerato decretare addirittura la fine dell’età dei diritti. Il punto cruciale concerne il modo in cui si è evoluto il linguaggio dei diritti e le aspettative che ciascuno ripone nei diritti. L’impressione è che sia ormai molto diffusa la consapevolezza che il linguaggio dei diritti è l’idioletto attraverso il quale avanzare pretese e rivendicazioni nell’arena pubblica se si desidera che le une e le altre abbiano delle chance di essere accolte. Si può addirittura sostenere che l’uso retorico e spregiudicato del linguaggio dei diritti al fine di incrementare la forza delle proprie rivendicazioni politiche sia uno degli esiti pressoché inevitabili della costituzionalizzazione degli ordinamenti giuridici. Non c’è in definitiva alcunché di paradossale né di roboante o di retorico nel decretare la fine dell’età dei diritti in presenza di un discorso pubblico tutto incentrato sui diritti e sulla loro tutela.

ALDO SCHIAVELLO: già Dottore di Ricerca in “Filosofia analitica e teoria generale del diritto” presso l’Università degli Studi di Milano, insegna ora Filosofia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, di cui è attualmente anche Direttore. È stato coordinatore del Dottorato internazionale in “Diritti umani: evoluzione, tutela e limiti” (2010-2015) e delegato all’assistenza del Rettore ai dottorati di ricerca (2014-2015).
È attualmente componente del Senato accademico dell’Università di Palermo. Codirige con Giorgio Maniaci e Giorgio Pino la rivista Diritto & questioni pubbliche e con Vito Velluzzi la collana Filosofi e filosofie del diritto (Ets, Pisa). Fa parte del comitato scientifico o consultivo di più Riviste e Collane editoriali. Oltre a numerosi saggi e articoli ha pubblicato i seguenti volumi monografici: Diritto come integrità: incubo o nobile sogno? Saggio su Ronald Dworkin (1998); Il positivismo giuridico dopo Herbert L.A. Hart. Un’introduzione critica (2004); Perché obbedire al diritto? La risposta convenzionalista ed i suoi limiti (2010). Ha curato con Vito Velluzzi Il positivismo giuridico contemporaneo. Un’antologia (2005) e con Giorgio Pino e Vittorio Villa Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo (2013). Le sue principali linee di ricerca sono il positivismo giuridico, l’interpretazione e l’argomentazione giuridica, il neocostituzionalismo, le teorie della giustizia, la ragione pubblica, la normatività del diritto e i diritti umani.
LinguaItaliano
Data di uscita5 set 2016
ISBN9788870007213
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    Ripensare l'età dei diritti - Aldo Schiavello

    Seminari Mutinensi

    PICCOLE CONFERENZE

    Collana diretta da Aljs Vignudelli

    21

    Aldo Schiavello

    RIPENSARE L’ETÀ DEI DIRITTI

    Mucchi Editore

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    Edizione digitale: settembre 2016

    Produzione digitale: Mucchi Editore

    ISBN: 9788870007213

    Indice sommario

    1. Premessa

    2. Che cos’è l’età dei diritti

    3. La fiducia nei diritti umani e la questione del fondamento

    4. Ragione pubblica

    5. Minimalismo dei diritti

    6. I limiti del minimalismo dei diritti

    7. Osservazioni conclusive

    1. Premessa

    In questo primo scorcio di terzo millennio una riflessione sui diritti umani si impone con prepotenza. Il primo settembre duemilauno ha segnato un punto di non ritorno anche per la cultura dei diritti umani. In un breve saggio che va dritto al cuore delle questioni, David Foster Wallace si chiede cosa si debba essere disposti a fare per salvare quella che egli chiama idea americana e che coincide quasi del tutto con lo stile di vita occidentale e con una concezione della giustizia liberale e democratica¹. Ci sono due strade percorribili.

    La prima consiste nel rifiutare un drastico ridimensionamento della libertà individuale, ben sapendo che questo atteggiamento produrrà un certo numero di «sacrifici sull’altare della libertà». Scrive Foster Wallace: «[…] se decidessimo che una certa vulnerabilità minima di base agli attacchi terroristici rientra nel prezzo dell’idea americana? Che la nostra è una generazione di americani chiamati a fare sacrifici per preservare il nostro stile di vita – non solo dei nostri soldati e dei nostri soldi sul suolo straniero, ma il sacrificio della nostra sicurezza e delle nostre comodità personali? Magari anche della vita di altri civili?». Argomenti contro l’opportunità di operare un bilanciamento emergenziale tra esigenze legate alla sicurezza e esigenze legate alla libertà sono state avanzate, tra gli altri, da Jeremy Waldron in un fortunato libro del 2010².

    La seconda strada impone il sacrificio di pezzi importanti della nostra libertà e del nostro stile di vita a vantaggio (si spera) della sicurezza. Si domanda sempre Foster Wallace: «Quali sono gli effetti sull’idea americana di cose come Guantánamo, Abu Ghraib, Patriot Act I e II, sorveglianza senza garanzie […], ecc. ecc.? Ipotizziamo per un istante che alcune di queste cose abbiano contribuito davvero a rendere la nostra persona e le nostre proprietà più sicure – ne vale la pena? Dove e quando si è tenuto il dibattito pubblico sul fatto che ne valga la pena? […] Siamo diventati così egoisti e spaventati da non volerci porre nemmeno il dubbio che certe cose abbiano la meglio sulla sicurezza?». Guardano ad esempio con favore a cospicui sacrifici della libertà sull’altare della sicurezza, sia pure con sfumature e accenti diversi, tra gli altri, John Yoo, Jay Bybee e Alan Dershowitz, tutti giuristi ampiamente criticati da Waldron.

    In ogni caso, e comunque la si pensi, è un fatto significativo che, dopo l’undici settembre, temi come la tortura, il ticking bomb e similari hanno acquisito uno spazio nel dibattito pubblico del tutto inusuale nei decenni precedenti. Già solo discutere sull’ammissibilità della tortura in determinate circostanze implica un ripensamento della cultura dei diritti. Tale ripensamento, peraltro, è di ampia portata, e interseca alcune delle nozioni chiave del dibattito pubblico contemporaneo a partire da quella, ormai non più proprio à la page, di fine della storia, per continuare con globalizzazione, scontro di civiltà ed altre analoghe.

    Nelle pagine che seguono non mi occupo direttamente di queste sfide alla cultura dei diritti, ma cerco di compiere un percorso à rebours al fine di valutare se la narrazione mainstream sui diritti umani che si è sviluppata a partire dalla seconda metà del XX secolo non possa essere affiancata da una ricostruzione almeno parzialmente diversa, che magari aiuti a comprendere meglio la crisi dei diritti umani che caratterizza il mondo contemporaneo.

    Una riflessione di questo tipo potrebbe servire anche per evitare di commettere l’errore di considerare i diritti umani come una panacea contro tutti i mali. Mi limito ad un esempio significativo. Jan Assmann notoriamente collega la violenza religiosa, la violenza che

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