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MARCO AMBROSINO

SOSTENIBILITÀ. Ma anche "resilienza" invece di "resistenza", "storytelling" invece di "narrazione". Concetti giustissimi ma parole abusate per cui, secondo Marco Ambrosino, andrebbero trovate delle alternative (senza svuotare di significato anche quelle).

Che per lo chef procidano di 28 Posti – il ristorante milanese sui Navigli di cui guida la cucina dal 2014 – le parole abbiano un peso fondamentale lo si capisce seguendone i canali social: versione contemporanea di un taccuino di viaggio, o un diario di bordo, vi annota le sue riflessioni su ingredienti, tecniche e piatti con dialettica e spirito d’indagine insoliti per un cuoco, anche oggi che la comunicazione tende spesso a prendere il sopravvento sulla cucina. Nel suo caso è il contrario, o meglio l’una è in funzione dell’altra: le parole, e prima ancora i ragionamenti, servono a dare ancoraggio ai piatti, le tecniche devono tradurre quei pensieri in cibo squisito, senza sprecare nulla. «Un piatto non sarà buono solo perché viene raccontato bene, naturalmente. Io lo faccio soprattutto perché mi piace, anche se richiede tempo e cura. Creare una storia invece di limitarsi a

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