“Ex ovo omnia” : così scriveva nel 1651 sul
frontespizio della sua opera Exercitationes de generatione animalium il medico inglese William Harvey, riferendosi alla genesi comune di ogni specie da un uovo o ovulo. Grazie alla sua capacità di creare e conservare la vita, da sempre l’uovo è un simbolo di nascita e rinascita, di perfezione e completezza: racchiudendo il mistero dell’origine — “un miniaturizzato laboratorio di biologia molecolare”, l’ha definito il biologo Carlo Alberto Redi — la cellula dell’uovo contiene in sé maschile e femminile, come ribadisce la duplice declinazione al singolare e al plurale. Con un po’ di audacia, il motto di carattere scientifico e metafisico potrebbe essere traslato alla cucina: salse, creme, sfoglie, soufflé e impasti vari difficilmente possono prescindere da questo ingrediente, per non parlare dei grandi classici del breakfast internazionale, delle frittate salva-pranzo e del piatto essenziale per antonomasia: l’uovo al tegamino. Eppure, proprio per la sua onnipresenza culinaria e per la facilità d’utilizzo, spesso lo si considera un ingrediente scontato, badando poco alla sua provenienza. Non ne facciamo solo una questione (giustamente) etica, e di salute, ma anche di riuscita gastronomica: avete mai provato a preparare due uova strapazzate utilizzando da un lato un prodotto standard e dall’altro uno di alta qualità? La differenza è eclatante, a partire dall’aspetto (e dalla quantità che vi ritroverete nel piatto) fino al sapore e alla consistenza, legata al contenuto proteico. Mentre riguardo al colore, che dipende principalmente dall’alimentazione delle galline, se un tuorlo troppo pallido potrebbe indicare carenze alimentari, uno che vira verso l’arancio potrebbe segnalare la preponderanza di mais, e ancora il giusto mix di erbe ricche di carotenoidi e altri nutrienti presenti nei pascoli naturali dà un giallo intenso e caldo.
Qualità, benessere e salute
Ma cosa vuol dire, oggi, un uovo di qualità? Sono passati – o quasi – i tempi del pollaio del vicino da cui acquistare le uova appena deposte, senza alcun controllo. E si spera che prima o poi si metta la parola fine anche agli allevamenti super intensivi, in cui le galline ovaiole vengono tenute in gabbie dalle dimensioni ristrettissime (i dati diffusi da Animal Equality Italia parlano di sei animali per gabbia con uno spazio pari quello di un foglio A4 ciascuno) senza mai vedere la luce del sole, spesso private del becco per evitare sfoghi di aggressività e cannibalismo e imbottite di antibiotici per prevenire le malattie causate dalla promiscuità. Gli allevamenti all’aperto, invece, improntati alle cinque libertà alla base del benessere animale (da fame e sete, dal disagio, dal dolore e dalla paura, nonché la libertà di esprimere un comportamento corrispondente alla natura dell’animale: in questo caso, svolazzare e razzolare) o a una condotta biologica autentica, garantiscono non solo galline più felici ma anche uova decisamente più buone, per il gusto e per la salute: prive del rischio di residui antibiotici, hanno un maggior contenuto di vitamine, sali minerali e soprattutto proteine e grassi nobili (Omega 3 e 6) che aiutano a contrastare il colesterolo “cattivo”, sfatando uno dei miti più diffusi dell’alimentazione: a lungo considerate pericolose per il sistema cardiocircolatorio — pur senza dati scientifici a riguardo — nel 1973 l’American Heart Association ne limitò il consumo massimo a tre alla settimana, invitando in generale a ridurre l’assunzione di grassi e spostando così di fatto l’ago della bilancia verso zuccheri e carboidrati, che non si sarebbero certo rivelati più salutari nel lungo periodo. È stato solo negli ultimi due decenni che seri studi clinici ne hanno confermato il valore nutrizionale e l’assenza di rischi per la