Le cento migliori ricette di polenta
Di Emilia Valli
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Emilia Valli
insegnante, è da molti anni un’esperta gastronoma. Collabora a diversi periodici specializzati e ha pubblicato decine di libri di cucina e di educazione alimentare. Con la Newton Compton ha pubblicato, tra l’altro, 1000 ricette di antipasti, 500 ricette di pasta fresca, 1000 ricette di carne rossa, 500 ricette con le verdure, 1000 ricette con la frutta, La cucina del Veneto, La cucina del Friuli e 501 ricette di biscotti e dolcetti.
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Anteprima del libro
Le cento migliori ricette di polenta - Emilia Valli
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Emilia Valli
Le cento migliori ricette di polenta
Collana diretta da Maria Grazia Avanzini
Prima edizione ebook: gennaio 2013
© 1996 Finedim s.r.l., Compagnia del Buongustaio
© 2012 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 9788854145436
www.newtoncompton.com
Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli
Immagini di copertina della collana: © iStockphoto / © Stockfood / © Neubauten studio
INTRODUZIONE
Tocca forse ai Fenici il titolo di progenitori della polenta. La loro polenta, che i Romani chiamavano, con nome assai simile al nostro, pultem, era fatta, però, di un cereale affine al frumento, il farro, che, macinato e cotto, dava una farinata molle, da condire con formaggio, carni e salse varie o, più spesso, con formaggio, uova e miele, in un accostamento che doveva risultare squisito. In epoche ancora più remote, tuttavia, è certo che l’uomo si alimentò di polente
realizzate con diverse specie di cereali: farro, miglio, sorgo, grano saraceno e panico, cucinati con metodiche e ingredienti che raggiungevano soluzioni non inferiori alle odierne. Fu solo dopo che Cristoforo Colombo, sbarcato ad Hispaniola, ebbe trovato quei grani d’oro, che chiamò, come aveva udito chiamarli, mahiz, che ebbe inizio la storia della polenta. Ma la storia del mais ha radici più antiche: non va dimenticato, infatti, che grani di questo cereale sono stati rinvenuti a Tebe, in una tomba egizia.
Il mais fu introdotto ufficialmente in Europa qualche anno dopo la scoperta dell’America e nei primi anni del 1500 si iniziò a coltivarlo anche in Spagna e in Portogallo. Ma qualcuno sostiene, e forse a ragione, che esso fosse già pervenuto in Europa dall’Oriente. Ciò è, in un certo senso, avvalorato dall’abitudine altrimenti inspiegabile, di chiamarlo grano turco
. Tuttavia, se ciò è avvenuto, certamente in questa ipotetica occasione il mais non aveva avuto presso di noi la fortuna che ebbe poi in seguito, dopo la scoperta delle Americhe.
Ai tempi di Colombo, nelle zone centrali del continente americano il mais era coltivato dai Maya in larga scala e veniva adoperato nelle più inconsuete occasioni. La sua coltivazione in quelle zone, a ogni modo, risaliva a un paio di millenni addietro e aveva scopi, oltre che alimentari, anche sociali ed economici, e perfino religiosi: al mais i Maya dedicavano il culto di Xiloti, una delle loro principali divinità. Ancora oggi nell’America centro-meridionale il mais è coltivato ampiamente e costituisce una ingente fonte di benessere economico e di potere.
In Europa, pur essendo coltivato all’origine esclusivamente per l’alimentazione animale ed essendo entrato nella dieta umana molto più tardi, assunse poi subito una tale importanza da occupare nella gastronomia europea un posto indiscutibilmente rilevante, fino ai nostri giorni. Attualmente, nelle zone d’Italia ove l’agricoltura dedica ampio spazio alla coltivazione del mais, è in piena attuazione un programma di rilancio di tecniche agricole che perseguano un ritorno alle colture naturali. Si cerca così di ottenere farine da polenta più genuine e saporite. È, infatti, fuor di dubbio che la polenta sia un cibo da tornare a valorizzare, essendo un alimento di tutto rispetto: recenti scoperte in campo medico hanno tra l’altro confermato che l’uso normale del mais in alimentazione allontani lo spauracchio dell’arteriosclerosi.
Dei cereali, si sa, il più usato è il grano; ma il mais rientra sicuramente tra le principali fonti alimentari dell’uomo. Malgrado ciò, pur mantenendosi alto e costante, il suo consumo in Italia è circoscritto a zone particolari. Questa limitazione, nata forse dalla convinzione che il mais sia un alimento povero dal punto di vista nutritivo, va corretta, perché oggi è accertato che il granturco, come tutti i cereali, può fornire un buon apporto di proteine. Si tratta, in verità, di proteine minori, che hanno bisogno di essere integrate per assicurare il giusto contributo nutritivo; ma ciò non è un problema, perché la più povera delle polente diventa un cibo completo quando a essa vengono aggiunti i soliti semplici condimenti: salsiccia e fagioli e una buona spolverata di formaggio grattugiato; proprio quei condimenti che la vecchia saggezza contadina usava, e usa ancora, per realizzare un piatto che, accontentando il palato, fornisce un sufficiente apporto di proteine, carboidrati, grassi, sali minerali e vitamine.
Il mais (secco) consta di: fecola, zuccheri, mucillagini, albumina, crusca e acqua. Un etto di esso sviluppa, in genere, 355 calorie e contiene esattamente 9,5 g di proteine, 3,5 di grassi, 72 di carboidrati e 12 di acqua; e inoltre: 2,4 mg di ferro, 14 di calcio e 250 di fosforo; 2,4 mg di vitamina A, 0,36 di B1, 0,20 di B2 e 1,5 mg di PP. Della vitamina PP del mais (quella, cioè, la cui carenza provocava, nei tempi passati, la noiosa pellagra
) va detto che, in effetti, la sua presenza nel mais è da considerarsi del tutto inesistente. Oltre tutto, questo cereale contiene delle sostanze che ne inibiscono l’assorbimento.
Con impagabile intuizione, gli indigeni messicani, per l’allestimento delle tortillas, usavano una volta sbollentare i chicchi di mais in acqua e calce. Questo accorgimento, non si sa fino a che punto consapevole, li preservava dalla pellagra.
LA PREPARAZIONE DELLA POLENTA
La preparazione della polenta richiederebbe una cottura nel camino. Oggi la si deve allestire sul fornello a gas e, come dicono le nonne, non è la stessa cosa.
Per allestirla, comunque, occorre procurarsi lo stretto indispensabile: la pentola di rame dal lungo manico, utile per tenere fermo il tegame mentre si rimesta e la polenta si va facendo, via via, più soda, e il lungo bastone (quello di Arlecchino) per rimestare. Il fuoco dovrà essere deciso, meglio se di legna vigoroso: ma non eccessivo (la polenta, altrimenti, prenderebbe odore di fumo), robusto, ma non esagerato (perché si formerebbero grumi di farina mal cotta).
Nella pentola andrà messo un litro di acqua per ogni tre etti (o tre etti e mezzo) di farina: la quantità dipenderà dalla consistenza che si vorrà ottenere, oltre che dalla grossezza e dalla stagionatura della farina.
Per quanto riguarda la sfarinatura del mais, anche qui è questione di gusti e di abitudini: talvolta si preferiscono farine più grosse che diano una polenta che si senta sotto i denti
; in altri casi vanno scelte farine più sottili, che danno