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Una Grana millenaria Storia di un’eccellenza padana

* Fonte: Rapporto Ismea – Qualivita 2023, sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP – IGP e STG.

Che sia nato effettivamente nel 1135 in concomitanza con la fondazione dell’Abbazia di Chiaravalle nel milanese, oppure che abbia visto la luce nel lodigiano, come nei secoli (vedi box) consentì la produzione intensiva e annuale di foraggio da destinare all’alimentazione animale. Come conseguenza si ebbe un’esplosione della produzione di latte che, non potendo essere consumato subito, richiedeva di essere conservato sotto forma di formaggio e, infine, le competenze casearie dei monaci benedettini e cistercensi che permisero, attraverso la sperimentazione, la produzione di un formaggio a pasta dura, ad elevato impiego di latte (e in una forma di Grana ce ne vanno circa 550 litri…) e che durasse a lungo nel tempo. Nasce così il , il “formaggio vecchio” o, come più popolarmente conosciuto, il “Grana” così definito per via della particolare granulosità della sua pasta. Di questo straordinario prodotto a cui arrise da subito un grande successo commerciale, presto si fecero conoscere le varianti cittadine diffuse in tutta la Pianura Padana sopra e sotto il Po: nel ’500 Giulio Landi, nobile e letterato piacentino, nel suo componimento scherzoso , dedicato proprio a questo formaggio, ne enumera diverse (Cacio Piacentino, Melanese, Lodesano, Mantoano, Veneto e Parmesano). Formaggio padano, dunque e poco importa chi abbia la primogenitura. In ogni caso, il Granone Lodigiano – che è forse il prodotto da cui tutti gli altri discesero – è un formaggio, ancorché oggetto del riconoscimento di Prodotto Agroalimentare Tradizionale, oggi pressoché estinto, insieme alla sua caratteristica distintiva: quella di formare al proprio interno delle occhiature che racchiudevano delle “lacrime” di siero liquido e particolarmente sapido. Questo era ottenuto evitando di pressare la cagliata come nel caso degli altri “grana” che sono quindi a pasta compatta. Ma la magia era data da una serie di condizioni irripetibili: tra tutte, un latte con particolari caratteristiche organolettiche derivanti dall’alimentazione animale ricca di trifoglio, derivante dalle e da razze bovine meno produttive e più rustiche delle attuali (Bruna alpina invece di Frisona). Essendo un prodotto sottoposto a lunga maturazione, non tutte le forme erano idonee, quelle imperfette venivano, dopo una breve stagionatura, avviate a diventare , le sottilissime sfoglie di formaggio raschiate con un’apposita lama dalla forma aperta che ancora oggi costituiscono un antipasto irrinunciabile nel Lodigiano.

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