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La cucina del Veneto
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E-book655 pagine7 ore

La cucina del Veneto

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Info su questo ebook

In oltre 600 ricette

Tutti i segreti di una gastronomia varia, raffinata e originale

Raffinata e originale, la tradizione gastronomica veneta si fonda essenzialmente su quattro “pilastri”: la polenta, il baccalà, il riso e i fagioli, ai quali vanno ad aggiungersi gustosi elementi legati alle produzioni locali. Se nella fascia costiera predominano, come è ovvio, i piatti a base di pesce e crostacei, nella parte pianeggiante e collinare della regione la cucina tradizionale fa largo uso di carni, bovine e suine soprattutto, mentre la zona montana, ricca di ovini, è la patria incontestata dei formaggi (basti pensare all’Asiago, al Montasio e alle squisite ricotte). Ma la varietà della cucina veneta, oltre che alla naturale conformazione fisica del territorio, è legata anche alle influenze storiche, che hanno contribuito a delineare il profilo gastronomico di ogni singola provincia. Così nei gustosi piatti di pesce e nei delicati risotti caratteristici di Venezia si riconosce subito la raffinata eredità orientale, mentre la cucina di Verona, malgrado le tentazioni carnascialesche e le “feste dello gnocco”, mantiene l’eleganza scaligera. Una menzione particolare meritano la tradizione gastronomica del Trevigiano, forte dei funghi di Montello, dell’ottima cacciagione, delle anguille del Sile e, naturalmente, del celeberrimo radicchio, e la cucina della provincia di Belluno, dove i sapori, robusti e montanari, richiamano immediatamente alla memoria le rocce dolomitiche, gli strapiombi e il silenzio dei ghiacciai.


Emilia Valli

laureata in filosofia e insegnante, esperta gastronoma, vanta la collaborazione a diversi periodici specializzati e la pubblicazione di decine di libri di educazione alimentare e di ricettari di cucina, nei quali alla scelta degli ingredienti si abbina una nota di raffinata fantasia legata alla genuinità della tradizione italiana. Con la Newton Compton ha pubblicato, tra l’altro, 500 ricette di pasta fresca, 1000 ricette di carne rossa, 500 ricette con le verdure, 1000 ricette con la frutta, La cucina del Veneto, La cucina del Friuli e 501 ricette di biscotti e dolcetti.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854146075
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    Anteprima del libro

    La cucina del Veneto - Emilia Valli

    106

    In questa collana:

    Laura Rangoni, La cucina piemontese

    Laura Rangoni, La cucina milanese

    Emilia Valli, La cucina del Friuli

    Laura Rangoni, La cucina bolognese

    Laura Rangoni, La cucina toscana di mare

    Giuliano Malizia, La cucina romana e ebraico-romanesca

    Luciano Pignataro, La cucina napoletana di mare

    Luigi Sada, La cucina pugliese

    Alba Allotta, La cucina siciliana

    Alessandro Molinari Pradelli, La cucina sarda

    Laura Rangoni, La cucina sarda di mare

    Prima edizione ebook: agosto 2012

    © 2007 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4607-5

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Emilia Valli

    La cucina del Veneto

    Carne, pesce, formaggi, verdure... tutti i segreti di una gastronomia varia, raffinata e originale

    Introduzione

    Il Veneto vanta una delle più raffinate e gustose cucine tradizionali dell’Italia, anche grazie all’abbondanza locale dei frutti del mare e della terra. Inoltre, nel corso dei secoli, i commerci e i contatti con gli altri popoli, specialmente orientali, favoriti dalla politica dell’antica Repubblica di Venezia, hanno permesso di esportare le usanze alimentari del luogo, per assorbirne altre (come l’uso delle spezie e delle droghe) da rielaborare in modo originale a seconda delle proprie disponibilità e della propria cultura.

    Tuttavia la cucina veneziana, seppure caratterizzata da un fondo comune, data la vastità della regione differisce da zona a zona; le diversità sono riconoscibili se si risale alla conformazione geografica dei luoghi ed alla loro produzione: pesci nelle zone costiere, verdure e ortaggi nelle zone di valle, prodotti del bosco e cacciagione nei luoghi di montagna.

    Il panorama veneto è, infatti, unico nella sua struttura. I suoi confini racchiudono una gamma di paesaggi estremamente vari, senza interruzione: dalla laguna alla pianura, fino alle colline e alle montagne; dalle Dolomiti, alte e ferrose, alla calma della laguna, dai Colli Euganei alle piane di Verona. Una eccezionale molteplicità di situazioni, che con qualche ora di cammino dà il piacere di gustare i sapori delle Dolomiti, di godere il gusto dei limoni del lago di Garda e di giungere fino all’Adige e all’Adriatico. In una tale varietà, l’elemento dominante è la grazia: anche nella cucina.

    In una regione nella quale mancano i grandi agglomerati urbani, nella quale le piccole città sorgono disseminate nella morbida e fiorente pianura, riunirsi attorno ad una tavola in famiglia, a consumare le bontà di casa, è una consuetudine. Prendendo, a caso, il piatto dominante della gastronomia locale, la pasta e fagioli, si notano particolarità che non si trovano in nessun’altra regione della penisola: i fagioli di produzione locale, con una pellicola quasi inesistente, le tagliatelle fatte in casa, l’aggiunta dell’osso di prosciutto e/o delle cotenne di maiale, la parte di fagioli setacciati, che rendono la minestra densa e vellutata e, per finire, l’aggiunta a crudo dell’olio del Garda, ne fanno qualcosa di sostanzioso ed equilibrato.

    Passando al secondo elemento fondamentale nella cucina veneta, il riso, anche se il primato di produzione spetta al Piemonte e il piatto più famoso appartiene alla Lombardia, il Veneto offre una quantità di ricette che possono coprire l’arco di un intero anno.

    Il complesso gastronomico del Veneto è, infatti, molto ampio. E ne sono testimonianza le numerose ricette di molluschi e di pesce, marino e di acqua dolce, che dimostrano ancora oggi come la cucina veneziana sia nata sulle isole ancora poco abitate (e poco abitabili), dove i Veneti della terraferma, alla ricerca di un riparo contro l’avanzare delle orde barbariche, avevano imparato a cucinare alla griglia qualche pesce ancora guizzante, o qualche uccello incappato in una rete o qualche animale selvatico poco avveduto. Elementi ancora oggi, seppure riveduti e aggiornati, presenti nella gastronomia del paese, che consta di una serie di specialità alimentari inserite dal Ministero delle Politiche Agricole, con quasi quattrocento prodotti tipici sotto tutela.

    In linea di massima, comunque, oltre al riso, la cucina del Veneto si basa, prevalentemente, su tre elementi: la polenta, i fagioli e il baccalà.

    Il riso

    Introdotto in Europa nell’ VIII secolo dagli arabi, e arrivato in Italia attraverso la Spagna, il riso ebbe la sua valorizzazione grazie ai veneziani, i cui mercanti, nell’acquistarlo in grandi quantità, avevano anche voluto erudirsi sul modo di utilizzarlo e avevano dato un tale impulso alla sua coltivazione, che, quando nella metà del xVI secolo le coltivazioni del Veronese, a Roverchiara e a Palù, si erano ingrandite oltre misura, tutti i cuochi e le massaie si trovarono nella necessità di studiare sempre nuove ricette per utilizzarlo. È questo il periodo in cui il riso entra in Italia nei ricettari in misura mai toccata prima ad altri ingredienti.

    Poche sono, infatti, le cucine mondiali capaci di sposare il riso agli altri ingredienti, quali: le carni, il pesce, le verdure o i dolci.

    Il primo posto, noto in tutto il mondo, spetta al risi e bisi, minestra di riso e piselli, che al tempo della Serenissima serviva da apertura ai pranzi dei dogi, nel giorno della festa di San Marco. La ricetta, comunque, trova diverse modalità di esecuzione: alla veneziana, con brodo di carne; alla trevigiana, con il brodo ottenuto dalla cottura dei baccelli; alla padovana, con l’oca in onto; alla vicentina, con il sugo del castrato. Ma la preparazione del riso non si ferma qui: può essere cucinato con le luganeghe, le trippe, il sedano e il pomodoro, il latte e le uvette, la coratella, i fegatini di pollo, le patate, i fagioli, i fagioli e le cotiche, la zucca, le quaglie; con i pesci: l’anguilla, la tinca, le cape, le seppie e il loro nero, le masanete, i gamberi, gli scampi; con le verdure: la lattuga, gli spinaci, gli asparagi, i bruscandoli, i funghi, i finocchi ecc. E, poi, ci sono i risotti: alla padovana, alla sbirraglia, alla pilota, alla polesana, alla bechera, alla luganeghera, al tajo, in cavroman, in peverada ecc.

    Famoso è in Veneto il vialone nano, prodotto nella zona del Veronese, che si avvale per la sua ottima crescita di un terreno particolare e delle acque provenienti da falde calcaree.

    La polenta

    La polenta, sempre presente nell’alimentazione veneta, prende il posto del pane; va mangiata appena scodellata, oppure abbrustolita sulla piastra, sia come contorno che condita con burro e formaggio, come piatto a sé.

    La storia della polenta, quella gialla, affonda le radici in tempi assai remoti: il mais, importato da Cristoforo Colombo in Spagna nella seconda metà del xVI secolo, si diffuse in Europa immediatamente, qualche anno dopo la scoperta dell’America. Furono gli agricoltori d’origine araba, rimasti in Spagna dopo la cacciata dei loro progenitori, ad iniziarne la coltivazione nella penisola iberica, e precisamente in Andalusia. Prima ancora delle patate, nel 1525, il mais era infatti già coltivato in Spagna e in Portogallo. Qualcuno sostiene, e forse a ragione, che il mais fosse già arrivato in Europa dall’oriente (ecco il motivo per cui lo si chiama anche grano turco o granturco) in epoca precedente; tuttavia, se ciò era avvenuto, certamente in quella occasione il mais non aveva avuto presso di noi quella fortuna che, invece, ebbe in seguito, dopo la scoperta dell’America. Pervenuto finalmente in Italia, diede luogo alla polenta, un piatto tradizionale nelle regioni più settentrionali, specialmente nel Veneto, dove per secoli, e sicuramente fino al 1920 circa, è stato il piatto tradizionale dei contadini. nelle campagne del nord Italia, la farina di mais, oltre che per farne polenta, era utilizzata anche per ottenere un pane particolare, che oggi sopravvive solamente nel bergamasco e nel Veneto, ma solo come bizzarrìa gastronomica.

    Del resto, tra la polenta di oggi e quella del passato le differenze non sono poche. oggi la polenta è piuttosto raffinata e la si mangia soprattutto come contorno; un tempo, invece, la si preparava quasi dovunque con farine integrali ed era un cibo quotidiano e piatto unico, soprattutto nel Veneto, nella Lombardia, nel Piemonte e fino alla Toscana: queste le regioni in testa, allora come oggi, per quantità di prodotto coltivato e per consumo.

    In effetti, nella penisola, le contese regionali per rivendicare la paternità della polenta non mancano: veneti e lombardi, in testa. I veneti vantano, infatti, alcune documentazioni attestanti la presenza del mais nella regione fin dalla metà del Cinquecento, ma i lombardi obiettano che la presenza del mais non include il fatto che fosse in uso anche la polenta, che invece faceva parte dell’alimentazione delle popolazioni del bergamasco nel medesimo periodo.

    In verità pare siano stati i Procuratori della Repubblica di Venezia a dare incarico ai botanici di curare la pianta e provarne l’eventuale utilizzazione. E pare sia stato proprio in seguito a tali ricerche che già nel 1554 sia comparsa sulle mense veneziane la prima polenta tutta veneta, fatta con granturco prodotto nel territorio polesano. Del resto, già da tempo i veneziani erano formidabili consumatori di polenta, che preparavano con ogni sorta di legume e cereale.

    Qualunque sia stata la storia della polenta nei primi tempi del suo ingresso in Italia, è certo che all’inizio del xx secolo, nel Veneto, la polenta era uno fra i cibi più diffusi: il consumo era di circa 33 kg di farina di mais pro capite all’anno.

    Per la caratteristica consuetudine dei veneziani di dare il nome di turco a tutto ciò che proveniva da lontano, il mais, che turco non era, fu chiamato granturco.

    I fagioli

    L’origine dei fagioli affonda le radici in tempi assai remoti: vasi contenenti semi di fagiolo sono, infatti, stati ritrovati in Perú, in tombe risalenti al periodo preinca. Ed esistono documenti che, accennando all’abitudine egizia di offrire fagioli alle divinità, confermano come questo legume fosse tanto diffuso e apprezzato presso questa antichissima popolazione nilotica da essere considerato addirittura degno degli dèi.

    Quindi, prima che Cristoforo Colombo scoprisse i fagioli del nuovo Mondo (Phaseolus vulgaris) nel suo secondo viaggio a Cuba, nell’area mediterranea i fagioli erano conosciuti; in occidente ne era nota solamente una varietà: quella della Vigna sinensis o unguiculata, un fagiolo proveniente dall’Asia e dall’Africa subsahariana. Questo fagiolo, molto gradito sicuramente ai Romani, agli Etruschi e a quanti altri abitavano la fascia mediterranea in quel periodo, era il fagiolo dolico, dal piccolo seme, dotato di una minuscola macchia nera all’altezza del funicolo embrionale. Si trattava di un fagiolo che è coltivato ancora oggi ed è ai più noto come fagiolo dall’occhio (Dolichos melanoftalmus), assai indicato soprattutto per la preparazione della zuppa di farro.

    Nel Medioevo, questa varietà di fagiolo, bandita dalla tavola dei ricchi, che preferivano cibarsi di carne e cacciagione, rimase appannaggio esclusivo delle mense più povere dei popolani e dei contadini. non mancava, però, nella dieta dei seduttori dell’epoca, convinti, come la maggior parte dei giovani amatori, che i semi del fagiolo fossero afrodisiaci e generassero «seme virile, specialmente se mangiati con pepe lungo, zuccaro e latte vaccino», come più tardi ebbe a dire Castore Durante.

    I fagioli provenienti dal nuovo Continente, coltivati in Messico e nel Guatemala già 7000 anni fa, ebbero diffusione in occidente solo nel xVI secolo, quando un ignoto viaggiatore, reduce dalle Indie occidentali, nella prima metà del Cinquecento, ebbe la felice idea di portarne in dono un sacchetto a papa Clemente VII . Il papa, trovandoli interessanti, ne fornì una certa quantità al canonico Pietro Valeriano (nome accademico di Giovan Pietro Dalle Fosse, studioso di botanica e funzionario papale), perché ne facesse oggetto di studio. Dopo averli ampiamente sperimentati, il canonico li riportò al papa, lodandone la qualità ed esponendone le diverse modalità d’uso. Ed il papa, dopo averli a sua volta provati, fu tanto convinto della loro bontà da farne dono di un certo quantitativo alla nipote Caterina de’ Medici, quando questa andò sposa a Enrico II di Francia. È di Pietro Valeriano il primo testo europeo dedicato al fagiolo. Si tratta del poemetto didascalico De Milacis Cultura, nel quale l’autore fa una approfondita analisi della pianta e della sua coltivazione, prendendo ad esempio le opere illustri di Virgilio, orazio e Lucrezio.

    Intanto le coltivazioni del canonico Valeriano prosperavano nel Bellunese, diffondendosi nel Feltrino e, soprattutto, nell’altopiano di Lamon, grazie al fatto che questa pianta, consentendo la consociazione con altre verdure, permetteva una più ricca produzione.

    Ben presto ci si rese conto che si trattava di una pianta pregevole e produttiva, e che i fagioli che se ne ricavavano erano differenti da quelli conosciuti sino ad allora: questi erano di «optimo et dilectevole sapore», come ebbe a dire Giovanni da Verrazzano (1524). Fagioli che un poeta d’allora definì «pietre preziose affidate alla Terra» e che un pittore famoso, Annibale Carracci, avrebbe immortalato nel magnifico dipinto Mangiatore di fagioli.

    Poi, pian piano, la diffusione dei nuovi fagioli fu rapidissima, tanto da giungere a soppiantare del tutto il prodotto proveniente dall’Africa. nei secoli successivi, un po’ dappertutto, in Europa, nel giro di pochi anni si poté riscontrare un notevole fiorire di coltivazioni del nuovo legume, soprattutto in Italia, a Lamon, nel Veneto. In questa regione, per nostra fortuna, i fagioli sono stati riconosciuti come ingredienti di piatti di pregio. I fagioli, infatti, sono un piatto molto importante in Italia; ma nel Veneto sono un motivo di abilità e magia. Con la pasta o con il riso, con altri ingredienti di accompagnamento, i fagioli tengono sempre banco nella cucina veneta, dalle Alpi all’Adriatico.

    Il baccalà

    Il termine baccalà indica il merluzzo che, appena pescato, dopo essere stato liberato delle interiora e della testa, aperto a libro, viene conservato sotto sale. nel Veneto, però, questo termine viene riferito al pesce essiccato, cioè a quello che comunemente si chiama stoccafisso. Quindi, quando in questa regione si parla di baccalà si intende sempre (erroneamente) il merluzzo secco. In genere in Italia, per tradizione, mentre nel Meridione si preferisce il merluzzo salato, nelle regioni del nord va per la maggiore lo stoccafisso. In entrambi i casi, sia salato che essiccato all’aria, il merluzzo conservato permette la preparazione di svariate ricette.

    Per quanto largamente presente sulle tavole veneziane e venete, il merluzzo è, in effetti, un pesce dei mari freddi. In origine si tratta di un pesce bruno, dal ventre biancastro, che pesa dai 200 o 300 g fino ai 50 kg; magro e allungato, lungo fino ad 1,50 m, ha bocca larga dotata di denti robusti e ammirevole tendenza alla prolificità: una femmina, infatti, riesce a deporre fino a 5 milioni di uova alla volta. Essiccato, ha un contenuto energetico maggiore di quello fresco; ed è per questo che è molto apprezzato. Ma soprattutto è tenuto in grande considerazione perché dà la possibilità di conservarlo e utilizzarlo nel momento del bisogno (specialmente in passato, in caso di carestie o di assedi); inoltre suggerisce il modo con cui poter affrontare la cucina dei giorni di magro.

    Obbedendo a queste necessità, le città di mare, e Venezia in testa, hanno avuto un ruolo importante nella commercializzazione dello stoccafisso, e si sono sbizzarrite nella ricerca delle migliori ricette con cui trovare delle soluzioni allettanti: affogato o semplicemente lessato, da condire con vinaigrette, lemonnette, senape o maionese, o da servire in insalata con le patate e altri ortaggi; o, caldo, con salse grasse, in frittelle, in crocchette, o cotto nel pomodoro con altri ingredienti e droghe.

    Un viaggio gastronomico

    La presenza di questi quattro elementi, tuttavia, varia leggermente man mano che ci si sposta nella regione, dalla costa ai monti. Esistono, come detto, tre fasce geograficamente diverse, in cui, a parte il fattore costante della polenta, sono evidenti sfumature gastronomiche differenti.

    La cucina della fascia costiera e lagunare, inclusa Venezia, si basa ovviamente sul pesce: seppie, gransèole, mitili, canocchie e svariati altri pesci.

    La zona di pianura, fino alle colline, cioè quella pianeggiante o collinare (la parte più vasta), è dominata dalla presenza delle carni, sia bovine e suine che da cortile (galline, tacchini ecc.). Qui le grandi estensioni hanno permesso un’agricoltura che ha fatto della regione una delle zone più produttive e ricche della nazione. Vi si coltivano in modo estensivo: granturco, legumi, mele, fagioli e ciliegie.

    La zona montana, che occupa tutta la parte settentrionale della regione, comprende le Prealpi e le Alpi, catterizzate dalla particolare formazione geologica, ricca di guglie, campanili, bastioni e picchi, dovuti alla giovane età delle montagne, sottoposte per periodi minori alla corrosione degli agenti atmosferici, è ricca di ovini e, quindi, di formaggi (Asiago, Montasio, Vezzena e ricotte). L’alimentazione, per motivi di conservabilità, è caratterizzata dalla prevalenza del baccalà (si intenda: stoccafisso).

    I fiumi veneti, l’Adige, il Piave, il Brenta e il Livenza, si gettano nell’Adriatico; ma la zona compresa a nord del Po è la sede di una agricoltura talmente ricca e perfezionata da collocare il Veneto tra le regioni più produttive d’Italia. Vi si produce: granturco, mele, fagioli, ciliegie, piselli. L’allevamento, dal canto suo, permette una produzione di bestiame pari ad un decimo di quella dell’Italia intera.

    Partendo da quel romantico ponte sul Brenta, che ispirò una delle più popolari canzoni alpine, tra le molte attrattive storiche e artistiche, è possibile venire a contatto con una realtà gastronomica ricca e florida. Una delle particolarità sono gli asparagi di Bassano, delicati e gustosi, protagonisti di svariate ricette. nei boschi circostanti, poi, è possibile trovare numerosi funghi, dai cantarelli ai gallinacci, ai porcini, ai chiodini, per citare solo i più ricercati. Dagli oliveti immediatamente oltre i boschi, poi, proviene un olio dal profumo molto delicato e dal sapore fruttato, ma leggero. nelle fattorie, poi, si producono i formaggi: dall’asiago al latteria, la cui storia si lega a quella delle latterie turnarie fiorenti nel secolo scorso. Altro prodotto tipicamente bassanese è la grappa.

    Salendo da Bassano verso Asiago, tra le mille testimonianze della prima guerra mondiale (trincee, camminamenti e fortezze), tra frutti di bosco, funghi e fragoline, avendo la possibilità di gustare i formaggi freschi della zona, primo fra tutti l’asiago, giovane e vecchio, fatto con il latte profumato delle erbe aromatiche di questi immacolati pascoli montani, si giunge ad Asiago, patria dell’omonimo formaggio e di un inimitabile miele, preparato con molte varietà di fiori, e di svariati liquori: lo sciroppo di lampone, il liquore di ginepro o quello di cumino.

    Proseguendo verso Arsiero, in provincia di Vicenza, si potrà avere il piacere di gustare le famose trotelle dell’Astico, oggi assai rare, e la inimitabile soppressa veneta, che si produce in questa zona, fino a Schio, patria di altri salumi rinomati, quali i cotechini e le salsicce.

    Partendo da Vittorio Veneto, con un percorso che attraversa le Prealpi, si raggiunge il Bellunese e si scende verso Valdobbiadene, all’ombra del grande spettacolo della natura offerto dalle Prealpi, una zona ricca di rinomati salumi, quali la soppressa, morbida e dolce, i salami e tante varietà di pancette, di funghi e di frutti del bosco, specialmente quelli di Pieve d’Alpago, famosa anche per i latticini: formaggi, burro e cao de lat (capo di latte), una delizia che sta tra il mascarpone e la giuncata, nonché per i fasoi pagoti, varietà di fagioli tipica dell’Alpago.

    Belluno è il punto di ritrovo per chi voglia gustare l’orzo migliore e le farine di mais: la gialla, nelle diverse macinature, e la bianca, tanto amata dai veneti. Tra i funghi, sono frequenti le spugnole; tra i formaggi, oltre ai classici, non va trascurata la puina, ricotta affumicata, ottima per condire le minestre; tra i salumi, lo speck. Rinomata in questa zona è la pendola, pezzi di carne essiccata e affumicata che prendono il nome dal fatto che per essiccarla la carne viene appesa al soffitto. La zona, comunque, è un posto d’obbligo per chi voglia assaporare i migliori legumi secchi: i fagioli di Lamon e quelli di Feltre. Feltre, in bella posizione, con la parte moderna in pianura e quella antica sul monte, offre, infatti, in riscontro a quelli di Lamon, i fagioli scritti di Feltre, che unitamente alle grappe, aromatizzate con varie erbe, sono il vanto del piccolo centro. Rilevante è la produzione di barbabietole da zucchero di Rovigo.

    Dovunque, in ogni caso, la caratteristica della cucina veneta è di essere, tra le italiane, la più delicata.

    Di piatto in piatto

    Quali i piatti da ricordare?

    Tra le minestre:

    – la panada,

    – la panonta,

    – le zuppe di pollo (broeto), di pesce, di cotechino, di tartarughe e di rane.

    Tra i primi piatti:

    – i subioti (maccheroni),

    – i rufioi,

    – i macaroni (gnocchi di patate),

    – i casunzièi, ravioli ripieni di zucca o spinaci, insaporiti con cannella,

    – i bigoli con l’anara, grossi spaghetti cotti in brodo di anatra e serviti con una salsetta di rigaglie di anatra,

    – la sopa coada, una minestra preparata con brodo di piccione e fette di pane tostato,

    – il riso e peoci e le altre centinaia di piatti di riso.

    Tra i piatti di riso più famosi:

    risi e bisi,

    – risotto alla sbirraglia, cucinato con brodo e pezzetti di pollo,

    – riso in brodo di pesce, della zona di Rovigo, che si prepara con brodo di branzino e con risotto all’aglio,

    – risotto polesano, preparato nel Polesine, con una base di tre pesci (cefalo, branzino, anguilla) tagliati a tranci e rosolati con un battuto di cipolla,

    – risotto al baccalà, di Vicenza.

    La pesca, copiosa e abbondante nei centri di Chioggia e Rialto, pone il pesce e i frutti di mare tra i prodotti più rilevanti della gastronomia veneta della costa:

    – la grancevola, da servire in salsa di olio, sale, aglio e prezzemolo,

    – il pesce in saòr, fritto e ricoperto con una salsa di cipolle fritte, uvetta e pinoli, aceto e zucchero,

    – lo storione del Po,

    – la bottarga,

    – il baccalà (mantecato, alla vicentina, alla trevigiana, alla montelliana ecc.),

    – le moleche,

    – i filetti di sogliola affogati,

    – i tranci di grongo saltati al burro,

    – le seppie, usate per il risotto nero o preparate in tecia,

    – i peoci (mitili),

    – i garusoli (murici)

    – i cannolicchi,

    – le canoce (canocchie) ecc.

    Nella pianura veneta si allevano bovini, suini, animali da cortile. Famosi sono:

    – il fegato alla veneziana,

    – la faraona in tecia,

    – la pastizzada, stufato di manzo o di cavallo, cotto nel vino rosso con aromi,

    – il pollo alla padovana, cucinato in fricassea con burro e cipolle,

    – i bovoloni alla vicentina, chiocciole cotte in umido con olio, burro, aglio, prezzemolo e vino bianco,

    – i torresani allo spiedo, specialità della cittadina di Breganze, che prevede che i piccioni siano avvolti in fette di lardo infilzati allo spedo e cotti su brace,

    – la sopa coada di piccioni,

    – la paeta alla vicentina, tacchina arrostita con semi di melograno,

    – il fegato in sbrodega o alla veneta, con cipolle,

    – il capretto di Gambellara.

    Tra i salumi:

    – la lingua salmistrata di maiale, tenera e gustosa, da consumare appena bollita,

    – il salame bellunese, prodotto con carni di suino e bovino (soltanto nell’Agordino si preparano ancora salumi con l’aggiunta di carne di cavallo) finemente tritati, sale, pepe, aglio e vino rosso (il salame, di media lipidità, è lungo circa 30-35 cm ed ha un diametro di circa 10 cm),

    – lo speck affumicato di Sappada,

    – la bondola affumicata, insaccato di carne di maiale tritata insaccata nel gozzo del tacchino con sale, pepe e vino rosso;

    – le salsicce, le luganeghe, così varie nel ripieno da essere dolci e piccanti nello stesso tempo,

    – i musetti,

    – i salami,

    – gli ossocolli,

    – le pancette,

    – le soppresse trevigiane, insaccate a forma di arco, ricche di una polpa concentrata e pastosa dal gusto particolarmente stimolante, e quelle bellunesi,

    – i salami di capriolo e di camoscio.

    Tra i formaggi:

    – il monte veronese (DOP), un formaggio semigrasso di latte vaccino a pasta semicotta, prodotto con latte scremato proveniente da mucche pezzate nere. Ha pasta bianca e compatta se prodotto d’inverno, giallo paglierino se prodotto in estate. Il sapore è dolce, tendente al piccante con la stagionatura. Si distingue in:

    1) monte veronese fresco da latte intero, a pasta bianca e paglierina,

    2) monte veronese d’allevo, da latte parzialmente scremato con occhiatura evidente e gusto più piccante;

    – l’asiago, formaggio di latte vaccino a pasta dura o semidura, da tavola e da grattugia. Prodotto nelle malghe dell’omonimo altopiano e nelle latterie di tutta la zona delle Prealpi vicentine, è sottoposto ad una stagionatura particolarmente curata. La pasta paglierina, con occhiatura sparsa, piccola e media, semidura e compatta nel tipo giovane, diventa dura e granulosa nel tipo vecchio e stravecchio, ottima per la grattugia. Il sapore, dolce all’inizio, si fa sempre più sapido e fragrante, con l’invecchiamento.

    È tra i più noti e commercializzati formaggi d’Italia, nelle sue due versioni:

    1) asiago d’allevo (che, a sua volta, si distingue in mezzano, vecchio e stravecchio), semigrasso; ha occhiatura sparsa di piccola o media grandezza, colore paglierino, sapore dolce o appena piccante se stagionato,

    2) asiago pressato, fresco, semigrasso o grasso, presenta occhiatura frastagliata e uniformemente distribuita, sapore fresco e dolce.

    In genere si fa risalire l’origine di questo formaggio all’anno Mille. Da questa data, i mercanti veneziani iniziarono a farne commercio con i diversi paesi del Mediterraneo orientale,

    – il montasio,

    – il vezzena,

    – lo spess, le ricotte affumicate,

    – la tosela, formaggella vaccina di latte intero, da consumare fresca (da questa consuetudine deriva il nome derivato dalla parola tosa, che vuol dire ragazza. Questa formaggella va tagliata a fette, fritta nel burro cospargendola di panna e servita con polenta abbrustolita,

    – il formaio embriago: formaggio ubriaco, la cui fattura risale al tempo in cui il costo dell’olio con cui umettare la crosta dei formaggi era tanto alto che i contadini erano costretti a ricorrere alle vinacce e al mosto. Per attuare questa ubriacatura, si usavano le vinacce del raboso, del merlot e del cabernet. nel Veneto, di solito si ubriacano formaggi sia di latte vaccino che ovino: tome di montagna e formaggi di latteria,

    – lo ziger, il cui nome in tedesco vuol dire capra, si produce in Val Pusteria e nelle Dolomiti bellunesi. Si tratta di un formaggio tenero, di colore bianco sporco, ricoperto da una patina rosa, che oggi si ricava anche dal latte di vacca. Alla pasta, nella lavorazione, viene aggiunta erba cipollina, sale e pepe. Il formaggio, ottimo anche da fresco, può essere stagionato per un paio di mesi,

    – lo schiz, detto anche tosella, è un formaggio tipico dell’Agordino. Il suo nome è stato dato al prodotto perché, quando lo si frigge, schizza gocce di siero. Si tratta di un formaggio dal sapore delicato, dal profumo di latte fresco,

    – la casatella, un formaggio cremoso di Treviso, dal colore del latte e dal sapore leggermente acidulo.

    Tra le verdure:

    – i fagioli di Lamon (IGP), presenti nelle quattro varietà:

    1) lo spagnolit, il migliore dal punto di vista organolettico, è ovale con striature rosse,

    2) lo spagnolo, più raro del precedente, si distingue per le striature vinose,

    3) il colonega, dalla forma schiacciata, ottimo per minestre,

    4) il canalino, dalle striature rosso cupo, il baccello coriaceo e la buccia consistente,

    – il radicchio di Treviso, esistente nelle due varietà:

    1) radicchio tardivo, di sapore amarognolo, con foglie rosso a costola bianca, che si raccoglie dopo le prime gelate,

    2) radicchio precoce, che si raccoglie a ottobre, più grande, con venature più estese,

    – il riso vialone nano veronese (DOP), che cresce su terreno alcalino, irrorato da acqua di risorgive e sottoposto all’avvicendamento, senza interventi chimici. Ottimo per il risi e bisi e per il risi e figadini,

    – i tartufi bianchi di Padova (Este) del Polesine.

    I dolci:

    – i pandoli di Schio,

    – i baicoli,

    – lo zalet,

    – i forti, biscotti dal colore scuro, piacevolmente croccanti, che si gustano intingendoli nella panna o nella cioccolata calda,

    – i caramei, lunghi spiedi contenenti noci, fichi secchi, prugne secche, albicocche secche calati nel caramello,

    – la fugazza padovana, di farina, lievito, zucchero, molte uova, buccia di arancia grattugiata, radice di ireos, chiodi di garofano, zenzero,

    – il pandoro di Verona, soffice e fresco,

    – la pinza di Padova, con semi di finocchio, uvetta, fichi secchi e bucce d’arancia,

    – la veneziana,

    – la treccia d’oro di Thiene, un pane dolce con canditi e uva passa, inventato dai pasticcieri Signorini e oggi diventato una autentica specialità locale,

    – i baci di Lionora, dolcetti di Marostica.

    Di città in città

    Occorre precisare che, come accade per quasi tutte le cucine regionali, nella gastronomia del Veneto ciascuna ricetta è suscettibile di interpretazioni diverse, che variano talora da zona a zona (se non da rione a rione). Comunque, dando uno sguardo di insieme al profilo gastronomico di ciascuna provincia, è facile constatare che, come detto, la cucina veneta della fascia costiera, con Venezia al centro, si basa su piatti di pesce. nella fascia della pianura, fino alle Prealpi, sono rinomati i piatti a base di carni (bovini, suini, pollame). La zona montana, invece, è ricca di ovini, quindi è famosa per i formaggi e, ovviamente, per la selvaggina di pelo.

    Belluno

    Situata in alto, su uno sperone che si protende sul Piave, difesa a nord e a sud dalle vette alpine, Belluno è una città di montagna che conserva i tesori di antiche tradizioni. Puntando l’attenzione sul panorama che la circonda, si scopre un territorio dalle vivaci tradizioni agresti, caratterizzato da una cucina robusta e montanara, come le rocce dolomitiche, infrante dagli strapiombi e dal silenzio dei ghiacciai.

    Il territorio della Val Belluna offre numerosi aspetti, naturalistici e culturali, nei quali la gastronomia si rispecchia con la genuinità dei prodotti, frutto di una terra lavorata con fatica.

    Tra i piatti abbondano i minestroni ricchi, i fagioli e l’orzo; gli spezzatini, le polente pasticciate, la selvaggina, sia di piuma che di pelo, e le carni selvadeghe di fagiani, galli cedroni, lepri, camosci e caprioli, cui affiancare i pesci d’acqua dolce, le trote salmonate di Misurina, i marsoni del Piave (fritti con la polenta) o la torta di mandorle, i conseghi, la grappa di vinaccia e i distillati di camomilla, di passiflora e di genziana.

    A tavola, in un’atmosfera familiare e composta, si possono assaggiare:

    – i casunzièi con ripieno di rape rosse coperti di semi di papavero,

    – le taiadele con i porcini,

    – le crespelle di erbe di campo e ricotta fresca,

    – gli gnocchi di zucca con ricotta affumicata,

    – il minestrone di orzo e fagioli,

    – la polenta con il formaggio fresco schiz,

    – il pastin di manzo e vitello alla griglia,

    – il minestrone d’orzo,

    – il brodo fritto (farina saltata in padella con del grasso, poi bollita in acqua),

    – i pistarici,

    la zufa,

    la polenta e osei,

    l’arrosto di camoscio,

    – i galli di montagna in casseruola,

    – le pernici in salmì,

    – l’arrosto di maiale,

    i fagioli di Feltre,

    – il mosto di sambuco.

    Padova

    La cucina padovana, famosa per le sue lasagne, le minestre di riso (con i bisi, con i rovinazzi, con le luganeghe), le polente e i dolci (in particolare i zaleti), va ricordata soprattutto per la polenta di Cittadella, dolce famoso che di dolce ha solo il nome; e, inoltre, per:

    risi e bisi,

    – riso e fegatini,

    – riso e trippa,

    – riso e asparagi,

    – riso e tagliatelle,

    paste conze,

    – zuppa di trippa,

    – gratini in brodo,

    maneghi (bocconcini di pane, uova, latte, pasta di mandorle, uva passa, lessati e serviti con burro e formaggio),

    – cappone lesso,

    – pollastre padovane arrosto,

    – faraone allo spiedo,

    – anitre ripiene,

    – oca in onto,

    – pollo alla padovana,

    – stufato di maiale,

    – stufato di cavallo,

    morete (salsicce di frattaglie drogate),

    – lucci e tinche fritte,

    bovoli co’ l’oio e aio (chiocciole all’aglio e all’olio),

    polenta brustolada,

    menafanti,

    – schizoti,

    – bizigole,

    – bruscandoli (cime di luppolo in teglia),

    ciopète (grano turco abbrustolito),

    – smegiazza,

    – manègho (gnocchetti di pane biscottato),

    fritole,

    – sugoli,

    – saore (marmellata di mosto con pere e mele),

    – cotognate,

    – persicate,

    – focacce,

    broadini,

    pandoli,

    sigalini.

    Rovigo

    Le pietanze della zona di Rovigo possono chiamarsi di uso locale; sono, infatti, semplici, proprio come gli abitanti del Polesine. Tra questi:

    – risotto di branzino,

    – risotto con i tartufi,

    sbirri intabarrati (polenta coi fagioli) del Polesine,

    – tagliatelle trifolate, specialità di Corbola,

    – storione arrosto,

    – caviale di storione, che si confeziona a Rovigo,

    – anguilla arrosto,

    bagodi con aglio e cipolle (chiocciole),

    – faraona in tecia, al tegame, in olio e burro con cipolla e altri aromi,

    – la zuppa con la folaga del Polesine (con i fagioli),

    – la zuppa con la bondola polesana, insaccato di manzo e suino e lingua,

    – il melazzo.

    Treviso

    La cucina trevigiana e quella che dal mare sale alla fascia collinare e montana, terra di vecchi transiti stranieri, si fa forte dei buoni funghi del Montello, della cacciagione e delle anguille del Sile; senza perdere di vista il radicchio ormai storico, le salsicce, vera specialità trevigiana, adoperata in molte preparazioni, le paperele fatte senza uova, e le altre ricette, quali:

    polenta e osei,

    risi e luganeghe, minestra di riso con salsicce,

    risoto de bisato, con le anguille del Sile,

    – pasta e oca,

    – oca arrosto, con insalata di sedani (piatto speciale della Fiera di San Luca),

    – trote al vino bianco,

    livero in tegia (lepre),

    – zuppa di trippe, in brodo di manzo e aromi,

    – tacchino arrosto,

    – tacchino ripieno,

    – asparagi di Montebelluna,

    brisole (funghi),

    – anguille del Seve arrostite con salvia,

    – zuppa di fagioli con insalata di radicchio.

    Venezia

    La cucina di Venezia, erede delle raffinatezze orientali e ricca di piatti di pesce, di caccia e di risotti, è in ogni sua sfaccettatura elaborata e raffinata. I suoi famosi risotti, ottenuti con l’unione di verdure e frutti di mare, i suoi pesci, cucinati in mille maniere, le sue saporitissime verdure, sono piatti ormai famosi. Sono meno diffusi i piatti di carne, prevalentemente basati su pollame, carni bianche e capretto per il quale è famoso il centro di Gambellara; tuttavia non mancano all’appello notevoli piatti di stufato (pastizzade), stracotti, bollito misto.

    La laguna veneta è un mare ricco. Tra gli isolotti sparsi tra le acque lucenti, sfilano pesci in abbondanza: dalle sponde di Venezia alle valli di Comacchio si pescano sogliole e sarde, pronte ai mille modi veneti di cucinarle, anguille che nessuno sa cucinare come i cuochi veneziani, frutti di mare, cappelunghe e capesante, tenere e dolci come aragoste.

    Il litorale costiero del Veneto, delineato da ampie spiagge, basse e sabbiose, che hanno incentivato l’eccezionale sviluppo turistico, è forse più caratteristico per l’eccezionale aspetto degli ambienti lagunari, risultato di un incessante afflusso di acque marine sulle acque dolci provenienti dai fiumi Piave, Sile, Brenta e Adige.

    Le specialità più importanti:

    – agnello alla veneziana, coscia di agnello unta di burro e latte, lardata e arrostita,

    broeto, zuppa di pesce,

    – bottarga, specie di caviale fatto con le uova di cefalo,

    – fegato alla veneziana, soffritto con cipolle tritate e prezzemolo,

    – lingua alla veneziana, lessata e tenuta in salamoia,

    risi e bisi con l’oca in onto,

    – riso e quaglie,

    risi in sbiraglia, minestra di riso con regaglie di pollo,

    risi in peverada, cotto in forno con fegatini di pollo e acciughe,

    risi in cavroman (con carne di montone),

    risotto alla bechera, con listarelle di carne aderenti alle vertebre dei vaccini,

    riso e peoci, con pidocchi di mare,

    sguazeto alla buchera, zuppa di trippe con erbe aromatiche,

    – bigoli in salsa,

    zuppa panada,

    – zuppa di tartaruga,

    – zuppa di peoci (cozze),

    – zuppa di caparossi (vongole veraci),

    pan onto,

    guazeto alla bechera, stufato di trippa, polmone, zampetti e frattaglie,

    asià (palombo in umido),

    bisato in umido (anguilla),

    bosega lessa,

    – code di rospo arrosto,

    – triglie, spigole, orate, storione,

    – sogliole fritte,

    – passerini fritti,

    – filetto di sanpietro fritto,

    – baccalà mantecato,

    bisato su’ l’ara,

    sfogie in saòr,

    – scampi dorati e fritti,

    – gamberetti lessi o fritti,

    gransèole (granchi di mare),

    bovoleti con l’agio,

    – zuppa di rane,

    – fegato alla veneziana,

    fongadina (coratella di vitello),

    castradino (castrato secco e affumicato),

    – arrosto di gallina,

    – anitra ripiena,

    – carne pastizzada (umido di carne di manzo macerata nel vino bianco),

    masori,

    – becanoti,

    luganeghe,

    – museti,

    – soppresse,

    – bondiole,

    – zuca baruca,

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