Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La Caverna
La Caverna
La Caverna
E-book467 pagine6 ore

La Caverna

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Scott, e un ragazzo molto solo e insicuro. La colpa e forse dettata dal suo animo, ma anche dalle cose che ha passato. Le brutte esperienze coi suoi professori, arrabbiati con lui perché sembra non s'impegna abbastanza nello studio, o nei compiti ha casa. Stessa cosa che ribadiscono i suoi genitori, con metodi piuttosto discutibili.

Quello che Scott non ha mai avuto, ne provato, lo proverà con l'arrivo nella sua vita di Sophie. con se la ragazzina vivace e intelligente, riesce ha trascinare con se la combriccola celeberrima di Rupert e i suoi amici, assieme questi sei ragazzi, divengono col tempo amici inseparabili. E, tutto ciò che gli unisce e un bosco attorno alla città, ripieno di scoiattoli, di alberi, una caverna, e un covo di contrabbandieri. Scott imparerà ad affrontare i suoi problemi, che sono reali, e non come dicevano tutti, ch'erano soltanto svogliatezza. I sei ragazzi, si fanno una promessa alla fine, si rivedranno dopo molti anni, e si ritroveranno tutti poco cambiati.
LinguaItaliano
EditoreTp Naori
Data di uscita25 set 2014
ISBN9786050323658
La Caverna

Correlato a La Caverna

Ebook correlati

Amore e romanticismo per bambini per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La Caverna

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La Caverna - Tp Naori

    stava.

    Capitolo 1;

    I miei nuovi amici;

    Dolci, ampie vallate piene di ruscelli, e alberi millenari. E lì che mi perdevo, fra i rami, e il profumo di pino. S’innalzava fra le frasche di quegli aghi, foglie colme di clorofilla. Scoiattoli dalla coda pomposa, colorata di grigio e bianco. Si lanciavano, fra un ramo e l’altro, come dei proiettili pelosi, saltando per poi atterrare lontano.

    In quell’aria pulita, i miei passi erano l’unico rumore presente, in quel silenzio ovattato, di foglie e rami. La luce solare, filtrava creando fasci di luce, dove la polvere si riuniva in contro luce. Ballando la sua danza, un sali e scendi continuo.

    La non c’erano affatto sentieri sterrati, si seguiva il terreno, assecondare ogni ostacolo, da un albero caduto o una semplice buca. Mi fermai stanco e sudato, le mie camminate erano epiche in quel bosco attorno casa.

    Esploravo semplicemente, concedendomi a quella gioia della scoperta continua, passo dopo passo annotavo il cambiamento del panorama, seguivo quei scoiattoli da terra, li guardavo volare attorno a me. Nella curiosità infinita di un dodicenne, questo può essere tutto. Un  bosco attorno casa, la fantasia immaginaria, che si rinnovava ogni giorno.

    Cercai il mio albero, quello che scalavo ogni pomeriggio. La conformazione dei rami, l’imperfezioni del tronco aiutavano in quella salita. Abile scalatore che non ero altro, sembravo uno scoiattolo appollaiato, su quei rami nodosi. Guardavo l’orizzonte, da quel posto privilegiato in’attesa della prossima avventura. Chissà cosa la mia mente creerà, draghi volanti, maghi sinistri coi cappelli neri, supereroi col mantello e maschera. Tutto era plausibile, perche non vedevo quel panorama in quei momenti. Al posto del fiume riarso, delle praterie gialle e vive. Vedevo al di là dell’orizzonte castelli incantati, draghi sputa fuoco che volavano oltre le nuvole. E la lunga staccionata di Sam, assomigliava ha quei bassi muri del medioevo. Dove guerrieri bardati, col le loro spade pattugliavano la contea alla ricerca del bandito.

    Ed era già tempo di tornare a casa; il pomeriggio s’inoltrava verso sera. Altre miglia, stavolta di corsa. Questi erano i miei pomeriggi, dopo scuola.

    Sebbene fossi un ragazzo come tanti, di certo non mi si poteva definirmi normale. Non avevo il benché minimo di autostima.

    I suoi occhi infatti, continuavano ha cercare un posto dove poter piangere liberamente. Lontano dagli altri, lontano dalle pene inutili altrui. Una sorta di rifugio, dove potevano sentirsi al sicuro. Andava alla ricerca di qualsiasi cosa, che l’abbracciasse col giusto calore e trasporto. Il solo rincuorare, gli bastava, perche dentro si sentiva inutile, e voleva piangere, voleva ancora disperarsi della sua inutile esistenza. Di questo non si dovrebbe preoccupare, la sua esistenza non era ancora iniziata. Visto che aveva appena dodici anni. Eppure lo faceva, senza amici con i suoi pensieri, con la sua bassa autostima. Era cresciuto più mentalmente, degli altri ragazzi della sua stessa età. 

    Era più maturo sotto questo aspetto, sapeva benissimo cosa gli bastasse per andare avanti. Solo per un giorno, le sue più paure erano queste. Come resistere un altro giorno?. Come fare ad andare avanti, semplice; la totale assenza di illusioni di sogni, lo aiutavano ha volare basso.

    E cosi non soffrire per inutili speranze, perche ogni cosa che egli voleva fare, era destinata al fallimento.

    Come poteva sentirsi dentro un ragazzino di dodici anni, una merda, nulla, un fantasma, un inutilità che tutti evitavano.

    Ricordo la mia infanzia, come un luogo parecchio movimentato. Una hall di un Hotel piena, con i soliti uomini coi vestiti gessati e cappotti lunghi, di donne splendenti con opali alle orecchie, e di profumi costosi. Ed io la in un angolo di quella hall, l’angolo più scuro, più abbandonato, più solo nella pesante vita tutt’attorno.

    Ero impossibilitato ad uscire da quella hall, ovviamente un modo c’era. La morte; sembrava troppo tragica perfino per pensarci su.

    Fin da quando i maestri vedendomi nello stato di sfiducia che mi animava. Non facevano nulla per almeno compatirmi, anzi, rendevano tutto difficile con commenti poco carini sui miei confronti. Tale odio nasceva, per piccole mio omissioni nelle verifiche o interrogazioni.

    Non lo facevo apposta, era semplicemente che i termini mi sfuggivano via dalla testa. Pensavo molto, immaginavo cose fantastiche, e sono sicuro ancora oggi che Sophie molte volte volle venirci dentro ad una di queste fantasie. Ma mai me lo disse, o ebbe il coraggio per farlo.

    Urtai mia padre, quando filai dalla porta d’ingresso sin alla mia stanza. I polmoni bruciavano, per l’uso accelerato dell’aria fra le sue pareti.

    attento ragazzo! sbraito ha denti stretti, brandendo il fantomatico pugno destro chiuso.

    Filai in camera mia, mi attendevano i compiti per il giorno dopo. La sulla scrivania rozza, e molto vecchia. Le tarme già iniziavano ha mangiarsi alcuni angoli.

    Quei quaderni, i miei pieni di errori col la matita rossa, o di x tracciate in fondo ad ogni tema consegnato al classico maestro di Italiano, di Storia, e Letteratura.

    Per me quei quaderni, erano per lo più noia, erano dei avversi, nemici tosti. Le lettere sopra di essi, ballavano continuamente.

    La fatica aumenta, quando si deve far si che i tuoi occhi tengano in qualche modo fermi le lettere A, o B, e C.

    Comunque fu un sollievo, quando mia madre mi chiamo per le scale:

    e pronta la cena, sbrigati e lavati le mani abbaio, era uno strano comportamento il mio quello di avere sempre e comunque delle mani poco pulite.

    Non che amassi sporcarmi, no, semplicemente erano le mia avventure all’aria aperta a far si che le mie mani fossero cosi sporche. E siccome le mie avventure all’aria aperta, si susseguivano ogni giorno. Era verosimile che avessi ogni giorno mani sporche.

    Prima di arrivare in cucina, filai in bagno ove mi lavai le mani non capendo quello che stavo facendo. Per via di quella piccola farfalla, poggiata sulla finestrella sopra il water. Le ali di un giallo acceso,  molto di più del sole, con piccoli pallini nell’esatto centro di colore nero.

    Dei colori affascinati, quant’era vero che quei colori si potevano vedere soltanto per quel giorno. Avvicinandomi alla finestrella, fini col stare in piedi sulla tazza del water abbassata. Cosi perso, nell’immergermi in quei colori forti e decisi. Stavo li, ha chiedermi come mai quella farfalla avesse quei colori sulle ali.

    Quando le voci dei miei genitori, irruppero dalla cucina per infrangersi verso il bagno. Volevo rimanere li con quella farfalla ma quella, alle grida dei miei era scappata via, librandosi leggera per la campagna.

    Scesi dal water, cos’altro potevo fare la in piedi sopra di esso. Nulla, potevo però raggiungere i miei genitori già in tavola, e già essi avevano quasi svuotato i loro piatti.

    I loro volti, per tutta la cena rimasero piantati sui loro piatti. Visto che di tv, potevamo permettercene una soltanto. E che questa era in camera dei miei genitori.

    Tutto ciò che sapevo dei cartoni animati, più in voga in quei anni. Lo sapevo grazie, alle voci sentite fra i corridoi o dai miei compagni di scuola. Ed era ben poco, questo fra l’altro s’aggiungeva agli altri modi per deridermi.

    dove vivi, in una grotta? ahahaha le classiche risate di accompagnamento a quella frase, ed ad altre frasi simili.

    Mangiai la mia cena, senza proferir parola. Ne i miei me la rivolsero, sembravano essere più sereni a parlare fra di loro che con me.

    Consumata quella cena, sparecchiai la tavola velocemente. I compiti attendevano ancora d’essere svolti.

    Mi adoperai al meglio per riuscirci, ma quell’intento mi era molto faticoso. Fini col perdermi come sempre, nella mia immaginazione.

    Pagai quel conto la mattina, subito dopo. Quando fui a scuola, accadde quando stavo per prendere posto al mio solito banco. Quello più in fondo, e in disparte della classe.

    hai fatto i compiti di storia, no..allora sei spacciato disse voltandosi verso di me, un mio compagno di classe. Che rise di malizia, alla mia sventura.

    sei spacciato si aggiunsero in coro, gli altri membri della classe. Evidentemente avevano capito tutti, non so come. Che quei compiti, proprio non gli avevo svolti.

    Ripiegai lo sguardo sul mio banco, adoperando il mio scarso intelletto. Come poteva far fronte ha quella situazione? Chiedere aiuto, forse.. See chi mai, mi avrebbe aiutato. No, si sarebbero tutti rotolati dalle risate quando il maestro mi avrebbe sgridato, e sbattuto fuori dall’aula.

    Pensai, pensai ma non riuscì a tirar nessun ragno dal buco. Cosi frettolosamente, apri lo zaino, tirai fuori il libro con gli esercizi di Storia. L’apri a pagina ventiquattro, costatai che quei esercizi proseguivano sin ad altre due pagine. Di certo non c’e l’avrei fatta.

    Mancavano pochi minuti all’inizio della lezione, mi rimaneva solo una cosa da fare rispondere a casaccio alle domande di quei esercizi.

    Scrissi il più velocemente possibile, sperando di almeno indovinare una risposta su una ventina. Riuscì a scrivere l’ultima risposta, quando filo dentro l’aula il maestro.

    Portava ha tracolla la sua classica borsa in pelle chiara, era slanciato con abbastanza gel fra i capelli neri.

    buongiorno disse alla classe, la sua severità la si notava perfino nel tono della voce.

    Era forse l’unico, ha tenere la classe in silenzio senza dover minacciare, o comportarsi in modo spietato. O per lo meno, non con tutti.

    Sembrava aver sviluppato un certo interesse spasmodico nei miei confronti, mi aveva sicuramente preso a male. Fin dal primo giorno, per fortuna che mancavano due settimane alla fine dell’anno scolastico.

    buongiorno signor maestro risposero tutti in coro, io mossi solamente la bocca.

    bene, iniziamo ha correggere i compiti per oggi. Poi, continueremo col la rivoluzione francese esordì il maestro, stringendosi le mani, come per scaldarle.

    Quando ebbe preso posto, dietro alla sua grande scrivania. Prese il registro di classe.

    quando vi chiamo, vi avvicinate coi compiti e io li correggo informo prima di chiamare, il primo in ordine alfabetico dal registro.

    Io ero il secondo, il primo in ordine alfabetico era un ragazzo dai capelli marroncini che rispondeva al nome di Arthur.

    Egli faceva parte di una combriccola tutta sua, e fuori dalle cerchia sociali di quella scuola. Essi non sembravano attratti dall’essere famosi, sembrava bramassero altre cose. E li vedevi nel giardino dietro scuola, starsene da soli su delle panchine disposte a cerchio. Semplicemente a parlare fra loro, divertendosi un mondo.

    Non ho mai avuto amici, come quelli, non ho mai avuto la possibilità di ridere con qualcuno, o di parlare dei fatti miei. E dio se ero geloso di quei tre.

    Assieme a Arthur, c’erano John un ragazzino molto alto, poi Rupert il biondo ricco della combriccola, poi veniva Frank un talento nato per la scienza, dotato di un gran intelletto.

    Quei quattro assieme si completavano, più di quanto essi non vogliono ammettere. Era una cosa inevitabile, quando si è cresciuti nella stessa città.

    Quando il maestro chiamo il mio nome, qualcuno busso allo stipite della porta. Voltai lo sguardo, come fecero tutti, verso chi aveva interrotto il maestro.

    Era una ragazzina dai capelli biondi, molto carina, dal suo viso dai lineamenti intelligenti e paffuto col naso all’insù.

    sono Sophie esordi Sophie, e la sua voce non tradì nessuna emozione.

    ah quella nuova, prendi un posto libero e stai attenta alla lezione rispose il maestro, indicando l’unico banco libero.

    Ch’era ovviamente quello affianco al mio, visto che nessuno amava starmi affianco.

    Quando Sophie, senza fare una piega si trascino affianco al mio banco, e si sedette. Il maestro poté continuare le sue correzioni. Ero quasi arrivato alla cattedra, quando Sophie aveva interrotto il mio avanzare.

    Raggiunsi la cattedra, dopo pochi secondi. Il Maestro guardo prima me con i suoi occhi neri e vuoti:

    vediamo se il nostro Scott, ci ha sorpreso stavolta disse, la sua voce non aveva proprio il tono dello scherzo giocoso. Era terribilmente seria, già capì cosa mi attendeva.

    Andare fuori dall’aula, nell’inutilità del mio essere.

    Sbagliai la previsione, un momento prima, quando chinai il capo alle parole del maestro. Lo stesso volse il suo sguardo sul quaderno aperto, poi su me, sfoglio le due pagine.

    Era chiaro, che avevo risposto a casaccio. Lessi nel suo viso, non la delusione, bensì la rabbia.

    Evidentemente sembrava prendere i miei fallimenti, come una cosa personale. Se ero stupido, era tutta colpa sua. E ciò poteva discriminare molto, la sua carriera di gran maestro.

    Fu cosi che afferro il mio quaderno, da parte a parte. E semplicemente, lo strappo davanti alla classe. Non si limito ha straccialo, lo lancio perfino nel cestino dei rifiuti.

    Mi sentivo cosi umiliato, mentre mormorava: torna a posto, razza di asino.

    Altri sogghigni riempirono l’aula, sprofondai a terra quando raggiunsi il mio banco. Incontrai gli occhi di Sophie, ch’erano sul punto di piangere per me. Prima di sprofondare, in un silenzio assente nella lezione.

    Dovevo essere forte, potevo reggere ancora per un’po. Lo sapevo, dovevo farlo, un asino può trovare il modo di non deludere i proprio genitori?.

    Stavo li a pensare, al come non far uscire nemmeno una lacrima dal mio senso d’abbattimento. Perche offrigli altri spunti per deridermi? No, non potevo.

    Perche sapevo che tutti questi accorgimenti, come il non avvicinarsi troppo a persone sconosciute, non prima d’aver saputo quante queste potessero farmi soffrire, o l’ignorare gli sguardi di disgusto di quel maestro, di starmene da solo tutto il tempo a prendermi cura di me. Pensavo mi avrebbero salvato, dal buio baratro della pazzia o depressione.

    Ero talmente terrorizzato di diventarlo, che mi adoperavo per resistere al non cadere da anni oramai.

    perche l’ha fatto? domando Sophie, sporgendosi verso il mio banco senza essere notata.

    Non risposi alla sua domanda, quanto questa Sophie poteva farmi del male? Era questa la prima domanda che mi feci sul suo conto.

    Per fortuna mia, Sophie non insistette molto con le sue domande. Lascio perdere, ma seppi in qualche modo che nell’arco della lezione, non riuscì ha togliermi gli occhi di dosso.

    L’incrociai solamente, quando suono il cambio dell’ora. Alzandomi dal mio posto, raggiunsi il cestino dove stava il mio quaderno. E fra le risate di scherno dei miei compagni, mi chinai a raccoglierlo.

    Tornando a posto, incrociai quei occhi di un blu simile al colore del cielo la mattina presto, cosi chiaro e privo d’imperfezioni. Quei occhi, provavano solo pena per me.

    Nell’accorgermene diventai più addolorato di prima, fantastico e appena arrivata e già prova pena per me. Le mie sventure non hanno fine, non le avranno mai.

    Con metà quaderno, e l’altra metà li affianco. Mi preparai a seguire le lezioni seguenti, sino all’intervallo quando tutti schizzarono dai loro banchi. Per uscire nel giardino sul retro della scuola. Rimasi in classe, la testa china sul banco, i pensieri turbinati mi minacciavano di spedirmi in quel baratro di vuoto assoluto. Dove sapevo, di non aver più la forza di rialzarmi una volta entrato nel vuoto.

    Guardandomi i palmi delle mani,  gli occhi mi andarono sul quaderno stracciato ha metà.

    Dovevo trovare il modo di ripararlo, prima che i miei lo vedessero, almeno evitavo altre parole da parte loro, e i loro sguardi sconfitti coi sentori di non poter  far niente per quel loro figlio che sempre gli aveva delusi.

    Tentai col lo scotch dentro l’astuccio, afferrai una estremità, l’attaccai all’altra e col l’unica mano libera afferrai le forbici anche queste nell’astuccio e tagliai quel piccolo nastro appiccicoso. Incollai bene quelle estremità tagliate, tentando di nascondere fin quanto mi era possibile l’esistenza di quello scotch.

    Quando fini, alzai il quaderno appena al di sopra della mia testa. Lo scotch sembrava non reggere il peso di quel quaderno, perche nell’angolo più in basso già s’era spezzato. Rivelando uno spazio fra quelle due estremità.

    prova a farci un giro dall’altra parte, col lo scotch aggiunse Sophie, evidentemente mi aveva osservato per tutto quel tempo. Mentre stavo riparando il quaderno spezzato.

    La guardai vacuo, dopo gli mormorai un grazie appena udibile.

    Segui i suoi consigli, si rilevarono utili il quaderno non sembrava più spezzato. Le sorrisi in un modo spento, al momento era il massimo che potevo offrirli.

    mi vuoi dire perche, ti ha trattato cosi? domando ancora, alzai appena lo sguardo verso ella.

    Guardai quei suoi occhi celesti, prima di riabbassare lo sguardo. Tentando di nascondere, quel senso di vuoto dentro opprimente. Ella non doveva provare altra pena per me, ero inutile, ed era meglio che mi lasciasse stare.

    Decisi di non rispondergli, concentrandomi sul compensato del mio banco.

    non ne vuoi parlare, d’accordo disse Sophie, senti indistintamente il rumore di una sedia spostata, ed il rumore dei suoi passi, si stavano allontanando da me.

    Rimasi fermo in classe, da solo. Altre lacrime minacciavano di scendermi dagli occhi, ma io molto fermamente le trascinai dentro di me. Avevo il terrore anche di questo, se iniziavo ha piangere quando mi sarei fermato?. Non potevo rischiare, no, non potevo.

    Hai tempi, controllavo ogni mia emozione. Valutandola attentamente, se ne valeva la pena ad esempio d’essere vissuta. O cosa mi sarebbe costato nel viverla, la felicità ad esempio la trovavo nelle piccole cose, come le scoperte che facevo nel bosco attorno casa. La tristezza, andava semplicemente calmata in qualche modo. Bloccata se vogliamo, prima che partisse. Magari calmandomi, o mormorandomi fra me e me parole di conforto. Cose come ad esempio:

    io ci sono per te, e so che sei forte. Vedrai ce la farai, ancora un altro giorno, un’altra ora..

    Nella mia mente, mi immaginavo mentre mi dicevo queste parole. Di abbracciarmi, e tenermi stretto fra le mie mani.

    Mia madre non mi ha mai accarezzato, o mostrato in modo equivoco di volermi bene. Ed io di quella mancanza, la cercavo in me. Non potendo cercarla negli altri. Ero un tipetto, piuttosto autosufficiente. Sapevo cosa mi bastava, e cosa no. Come i sogni, la speranza erano solo altri modi per cadere in quel baratro. E comunque, che sogni può avere un ragazzo come me di dodici anni e poco più?.

    Minacciavano le mie emozioni, di uscire dal mio guscio protettivo. E non potevo permetterlo, quella umiliazione davanti a tutti. Mi aveva un’po destato.

    Il meglio da fare, in queste situazioni e farsi una passeggiata nel giardino dietro la scuola.

    Segui poco tempo dopo Sophie, ella era già fuori all’aria aperta.

    Il giardino dietro la scuola, era un posto pieno di spazi aperti. Pochi alberi nel mezzo di quel giardino erano stati piantati, ed a parte quelle panchine disposte ha cerchio verso il limitare. Non c’era nient’altro, solo alberi secolari, betulle e perfino due platani.

    Tutti gli studenti, si aggiravano fra quei alberi, calpestando il soffice manto erboso che ne ricopriva tutta quella superficie. Solo, camminandoci continuamente sopra, in alcuni punti s’erano creati dei veri e propri sentieri dove l’erba non cresceva. Quei sentieri, dividevano in modo tortuoso il giardino in piccole parti.

    Ragazzi e ragazze si rincorrevano fra quei sentieri, giocosi e tentando di acchiapparsi. Altri invece, i più grandi camminavano o semplicemente, si distendevano sull’erba per godersi il calore del sole.

    Gli unici lontani da tutto e da tutti, era la combriccola di Rupert, Arthur, Frank e John. Parlavano animatamente dei fatti loro, sorridevano sereni preparando la prossima avventura.

    Sophie tentava di far amicizia, con qualche ragazze della sua stessa età. Ed era ha buon punto, quando  mi indico, e chiese perche fossi cosi disagiato e solo:

    quello e Scott, lo sfigato dell’intera scuola rispose una piena ragazza, dalle braccia vistosamente grasse.

    si, io ti ho chiesto il perche viene trattato cosi aggiunse Sophie, in tono molto garbato.

    ma ha te che t’interessa, e un asino lascialo perdere. Fidati, lui sta bene da solo. Non ha bisogno di te aggiunse un’altra ragazza, dal viso cavallino e il collo molto più grande della sua amica.

    voglio solo sapere il perche rispose Sophie, con fare impaziente.

    Le due la guardarono a bocca aperta, decisero comunque di non dire altro. Allontanandosi da quella ragazza, che oramai gli era divenuta antipatica.

    La scena, mi fu chiara sin dall’inizio. Sophie aveva chiesto di me, ha Amy ed alla sua amica Emily. Forse le più miglior amiche, dell’intera scuola. Non c’era posto in cui le vedevi sole, perfino dentro hai bagni si chiudevano da sole.

    Scrollai la testa, forse non ero l’unico ad non avere amici. E di sicuro, è molto difficile farseli dei nuovi in un posto dove non conosci nessuno.

    Ma Sophie, non era un tipetto molto arrendevole. No, perspicacemente andò verso la combriccola di Rupert, Arthur, Frank e John. Quei quattro accolsero ha braccia aperte Sophie, nella loro combriccola.

    Anche li Sophie chiese di quello Scott.

    Parlo per prima Rupert:

    in realtà non si sa molto di lui, abita vicino al bosco. I miei genitori, dicono che nella sua famiglia sono tutti ottimi lavoratori.

    si bhè, solo suo padre s’aggiunse Frank.

    figlio unico, proprio come me..e non l’invidio, ora che so quello che ha fatto tua sorella..e John? parlo Arthur, sembrava il più sovraeccitato dei quattro.

    oh ma piantala Arthur. mormoro imbarazzato John, distogliendo lo sguardo dall’intero gruppo.

    hey John..dico se vuoi, possiamo fargli saltare in aria qualche bambola..dico no?! disse Arthur, evidentemente lo disse per tirar su il suo amico.

    Che speranzoso alzo lo sguardo, indugio su uno ad uno dei suoi compagni.

    dio Arthur, cose che ancora non hai fatto saltare in aria? apostrofo Rupert, sogghignando sereno.

    non lo so ancora, ma so che ci sono altre cose da far saltar in aria rispose Arthur, prendendola sul ridere.

    sei sempre aperto ha nuove idee, diciamo disse Sophie, guardando quei ragazzi uno ad uno.

    diciamo di si rispose Arthur, l’aria da bambino incolpevole.  

    Trattenne ha stento qualche altra risata. Che poi s’alzo nell’aria, contagiando tutti.

    oh dio, Arthur..sempre cosi innocente disse John, inclinando il capo verso lo stesso Arthur.

    mia madre dice la stessa identica cosa! spalanco gli occhi Arthur, come se credesse impossibile, di due persone, che ha mala pena si conoscono possono dire entrambi la stessa frase.

    comunque quel Scott e sempre stato solo, non credo abbia amici concluse Rupert, i suoi occhi indugiarono su quello Scott, s’aggirava per quel giardino completamente solo.

    e voi non vi siete mai chiesti, che magari non è una sua scelta. Forse e cosi timido, perche quel maestro lo tratta cosi..

    lo tratta cosi da sempre interruppe Frank.

    Al quale si subì un’occhiata di rimprovero di Sophie.

    tanto peggio, e un ragazzo come voi.. Se accadesse tutto a voi? Che farete? domando Sophie, quel ragazzino li faceva tanta tenerezza.

    Rupert che ancora indugio su Scott, penso, forse valeva la pena di farlo entrare nella loro combriccola. Un anima un’po quieta, fra quei quattro poteva essere l’ago della bilancia.

    Visto che nel gruppo, escludendo Arthur ch’era troppo eccitato. C’era solo Rupert ch’era un attimo quieto. John era piuttosto superstizioso, ad ogni corsa campestre al quale partecipava perche dotato di gran gambe. Faceva le stesse identiche cose, quando vinse la prima sua corsa. Come mettersi sempre seduto, nel bagagliaio della macchina del padre. O l’usare le stesse scarpe, consunte e spaiate ad ogni gara. Frank era intraprendente col suo intelletto, non c’era giorno che non passassero i quattro nello scantinato di casa sua ha costruire razzi per Arthur. Non che gli altri, erano d’aiuto. Ma ha lui, piaceva la loro compagnia.

    d’accordo che proponi esordi Rupert, ed in un attimo era come se il gruppo avesse deciso all’unisono.

    Egli vedevano in Rupert il loro leader, mai l’avrebbero tradito, anzi, l’avrebbero seguito in capo al mondo. Tanta era la loro fiducia riposta in quel Rupert.

    non lo so, di farcelo amico..farlo uscire piano dal suo guscio rispose Sophie, se fosse sorpresa dall’accettazione di quel Rupert e la sua banda. Non lo diede ha vedere.

    Si limito ancora ha fissare, curiosa quel Arthur che non la finiva di non star fermo su quella panchina. Seppur egli fosse seduto, le sue minute gambe continuavano ha oscillare in avanti ed indietro. Sembrasse non vedeva l’ora di fare qualcosa, ed era facile pensare cosa.

    Nel suo zainetto c’erano i nuovi petardi, arrivati all’armeria giù in città. Arthur aveva dato fondo, sin all’ultimo centesimo della sua paghetta per assicurarsene una gran bella scorta.

    credo sia meglio, farlo dopo la scuola intervenne Frank, affianco ha lui John annui vistosamente.

    cosi e deciso fini Rupert, guardandosi l’orologio notando che l’intervallo da li ha poco stava per finire. Si alzo da quella panchina, come fecero tutti gli altri del resto.

    I quattro s’incamminarono verso la scuola, prima che la campanella suonasse. E cosi magicamente richiamasse, quei ragazzi che tanto volevano stare all’aria aperta.

    Chi non lo voleva, con quel giorno stupendo, quel cielo blu prometteva la più dolce delle avventure, quel calore t’invitava ha stenderti su qualsiasi cosa e chiudere gli occhi.

    Quella giornata per Scott, passo rapida come quando cambi velocità sul tappeto magnetico. E non riesci a fermarti, non trovi una fine al di là dell’orizzonte..

    Mi ritrovai senza il sapere come, sulla via di casa. Non prendevo il pullman, trasportava tutti gli studenti verso casa. Visto che abitavo molto vicino alla scuola, un edificio interamente fatto in mattoni vecchio stile. Faceva un gran caldo, su per quelle vie quando sfilai il negozio del panettiere, e il ferramenta.

    Passai oltre al centro, ripieno di belle ville coloniali, con dei prati sul davanti da farti venire le lacrime agli occhi da tanta bellezza. Quelle rose, quei fiori tropicali, quelle palme. Era proprio ingiusto, da li ha pochi passi c’era miseria. Una diseguaglianza, che vedevo allarmante ed ingiusta.

    Guardai sognante quelle ville con piscina, faceva cosi caldo, fini in maniche corte e comunque sudavo ancora. Sarebbe stato un gran bel sogno, tornare a casa e tuffarsi in una piscina olimpionica tutta mia. Con l’acqua cosi fresca, da farti crogiolare in quel liquido per ore e ore.

    Non mi accorsi che qualcuno mi stava seguendo, una ragazzina dai capelli biondi. Seguiva i miei passi, come un’ombra. Ed io ero, francamente troppo assorto per accorgermene.

    Col viso rivolto per terra, il solito ritornello triste suonato col piano. Accompagnava ogni mio passo in avanti, mentre lentamente sfilava tutt’attorno la città.

    Le stradine con belle ville, lasciarono spazio alle grandi aperture della pianura tutt’attorno. I prati col solito colorito giallo bruciato, ove l’erba cullata dall’alito di vento caldo, creavano giochi di ombre sul manto. In alto come al solito, imperversava il sole, alto, di un rosso intenso.

    Seguivo la strada, che appena fuori città divenne tutta curve.

    Il limitare del bosco, si fece avanti verso quella strada. Grondavo letteralmente di sudore, quando mi guardai sulla mia destra.

    Quei alberi, fornivano un’po di ombra. Soppesai ancora lo sguardo verso quel bosco, cosi assorto, cosi fresco nei suoi colori forti. Scavalcai quel piccolo fosso, subito dopo il manto stradale. E m’immersi in un nuovo mondo; la sotto le fronde di quei pini il calore non filtrava.

    Si stava cosi bene, quella frescura mi investi, mi fece provare un forte senso di sollievo.

    Afferrai da una tasca dei pantaloni, un fazzoletto di seta per asciugarmi il viso dal sudore.

    M’ero fermato affianco ad un pino secolare, quando udì dei passi alle mie spalle. Pensai fossero le solite coppiette di innamorati, alla ricerca di un riparo.

    Fu per questo che mi nascosi, arrampicandomi sull’unico appiglio che trovai. Quel pino secolare.

    Saltai verso un ramo basso, le braccia come lunghe propaggini, afferrarono quel legno vivo misto a resina. Issandomi con la sola forza delle braccia, inizia veloce la mia scalata.

    Dovevo salire di qualche metro, cosi per essere sicuro di non essere visto. Riuscì a fatica, ad issarmi ancora per qualche ramo abbastanza grosso da reggere il mio peso esile.

    Quando per poco non cadì al suolo, nel notare che non era una coppietta in cerca di riparo. No, era Sophie con il suo zaino sulle spalle. S’aggirava col lo sguardo, che si spostava in ogni direzione. Stava evidentemente cercando qualcuno. Possibile mai sia io quel qualcuno?.

    Rimasi appollaiato su quel  ramo, guardando dal basso quella ragazzina dai capelli biondi. Voltarsi a destra e a sinistra, poi lentamente alzo lo sguardo verso quei alberi tutt’attorno.

    Sbiancai, al solo pensiero che mi individuasse lassù, ha pochi metri da lei. Tentai di cercare una via di fuga, ma non mi fu facile. Non c’erano altri rami affianco a quell’albero, abbastanza grandi da potermi reggere.

    Ahimè ero bloccato, su di un ramo come un cretino. Comunque il mio disperarmi, duro pochi secondi.

    Bastarono questi ha Sophie, per individuarmi. Ed il suo sguardo era dei più sorpresi.

    che fai lassù appollaiato, come un gufo? domando, la sua voce riecheggio nel bosco, svegliando qualche uccellino, svolazzo via urlando il suo lamento.

    sentivo dei passi dietro di me, ho pensato fossero due fidanzatini in cerca di un posto intimo spiegai, prima che la mia mente ebbe il tempo di pensare a ciò che stavo per dire.

    Alzo le sopracciglia Sophie.

    questo posto..e molto frequentato..da..ragazzi più grandi.. risposi in modo eloquente, scendendo da quel pino senza far fatica.

    Un ultimo balzo prima di toccar terra, quando mi assali un dubbio.

    ma tu..mi stavi seguendo? le chiesi, timoroso.

    Sorrise Sophie, era evidente. Non dovevo nemmeno chiederlo.

    se vuoi chiedermi ancora..di quel maestro..non ho nulla da dire risposi ignorando deliberatamente il suo viso.

    volevo solo conoscerti disse Sophie, era sincera quando incrociai i suoi occhi blu, più splendenti in quel bosco. Visto la totale inesistenza del cielo.

    io?! domandai incredulo, indicandomi il petto.

    si, scemo tu rispose in tono scherzoso Sophie.

    Sorrisi senza volerlo.

    come mai sei venuta alla mia scuola, quasi ha fine anno? le chiesi, era perfino strano per me.

    Indugio col lo sguardo Sophie, appena sopra la mia spalla. Cercava cosa dirmi, evidentemente.

    bhè, i miei hanno sempre fatto cosi. Fin da quando ho ricordo rispose Sophie, tornando ha fissarmi negli occhi.

    Deviai quello sguardo per aria, ricordandomi di quanta pena quei stessi occhi avevano provato per me.

    hai tuoi cosa racconterai, su quel libro? domando Sophie, sembrava aver indovinato il motivo del mio turbamento. In un modo del tutto inverso.

    Alzai le spalle, guardandomi attorno.

    fammi vedere cosa c’e di bello in questo bosco mi sbalordì ciò che disse Sophie, quella sua richiesta cosi venuta dal nulla.

    E poi come faceva ha sapere, che conoscevo questo posto come le mie tasche?.

    Sembro leggermi ancora i miei pensieri Sophie, perche aggiunse:

    ho andiamo, ti sei arrampicato come se lo facessi da anni.

    molto perspicace apostrofai sbalordito.

    oh non è stato nulla, osservo e basta rispose Sophie, quella fu la prima volta in cui la vidi arrossire, e non di rabbia.

    c’e un posto, ma e diroccato e non lo miglioro più da un sacco di quel tempo.. sarà una catapecchia oramai dissi, mollando lo zaino dietro quel pino.

    Gesto che sorprendentemente Sophie segui, senza dire niente tranne:

    fammi vedere.

    Ci allontanammo da quel pino, certi di trovare i nostri zaini ancora li dove gli avevamo lasciati. Camminammo in direzione Ovest, il posto non era molto lontano. Saranno stati pochi metri, ma in quei metri Sophie era decisa ha spiegarmi la storia della sua vita.

    sono nata in un piccolo paesino di montagna, i miei nonni avevano una baita completamente in legno. Sai quelle che si vedono nelle pubblicità del cioccolato..ecco, quelle li. Passai più o meno cinque anni della mia vita, in quella baita. Poi abbiamo comprato una casa sulla spiaggia, la ci siamo rimasti per tre anni..fu proprio la che vidi per la prima volta un delfino in carne e ossa saltare fra le onde. Da quella casa, abbiamo girato quasi tutto il paese spiego Sophie, la sua voce era cosi solare.

    ma perche? Cioè non ha senso, cambiare cosi tante case ogni anno risposi, quello non era un comportamento normale.

    i miei sono fatti cosi, non amano stare fermi. Ha loro piace muoversi, conoscere posti nuovi. E affascinante conoscere tante cose nuove, panorami, culture differenti rispose Sophie, sembrava non ci fosse niente di più bello per Sophie, che seguirmi fra quei alberi e guardarsi attorno stupefatta.

    e tu? domando infine Sophie, quando calo il silenzio fra di noi.

    io..bhè.. incespicai con le parole sono nato qui aggiunsi.

    E non era niente ha confronto, di tutte le cose fantastiche che Sophie aveva fatto. Come andare in catamarano, alla ricerca delle balene. O scalare una montagna, o semplicemente visitare musei e mostre d’arte.

    tutto qui sembro dirmi Sophie, ch’era troppo poco.

    Annui, non sapendo cosa dirle.

    un’po limitato non trovi? domando più all’aria che a me Sophie.

    questa è la mia vita risposi nello stesso identico modo.

    Mi guardo Sophie, senti chiaramente che tentava di entrarmi nei miei pensieri. Perche quei suoi occhi, sembravano trapassarmi da parte a parte.

    Sotto quelle fronde fitte, ci allontanammo dalla lunga striscia d’asfalto, la stessa collegava intere Nazioni, Paesi e in alcuni casi Stati.

    Stavo portando Sophie, verso una vecchia e fatiscente casa sull’albero. L’intero tetto era crollato, e stato rimosso da me. Mi c’erano voluti tre giorni, per togliere quelle assi marce. Ora la casa, assomigliava ad una terrazza senza parapetto. Visto la maggior parte delle pareti, erano crollate col tetto.

    Per qualche strano motivo logico, o per magia quella terrazza sembrava reggere alle intemperie del tempo. Che in Inverno, da queste parti e molto duro da sopportare.

    Sophie spalanco gli occhi, il profondo stupore provato da ella. Coinvolse anche me, sorridevo senza rendermene conto. Mentre la stessa, girava attorno alla terrazza sopra la sua testa, ha pochi metri.

    l’hai costruita tu? domando, quando furono passati minuti.

    no, è molto fatiscente per essere di questi anni risposi risoluto, il legno in più parti era marcio come se avrebbe assorbito piogge per dieci anni o poco più. Era improbabile, molto improbabile che l’avessi costruita io all’età di un anno.

    Sembro dello stesso parere Sophie, perche non aggiunse nulla. Si limito ad annuire alla mia risposta, come se si stesse aspettando proprio questo da me.

    ci reggerà? chiese Sophie, adocchiando una piccola corda, penzolava giù da un foro quadrato nel terrazzo, abbastanza grande da far passare sia me e Sophie.

    credo di si risposi, dubbioso "meglio che vada primo io, se crolla

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1