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Two Worlds Alliance
Two Worlds Alliance
Two Worlds Alliance
E-book374 pagine5 ore

Two Worlds Alliance

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Info su questo ebook

E’ sempre la solita storia: nasci, cresci , ti innamori e poi... Una vita semplice, con una fine semplice, in un mondo che ai nostri occhi appare normale.Ma è davvero cosi? E se i nostri occhi non riuscissero a vedere ciò che realmente ci circonda? L’arrivo di un ragazzo misterioso cambierà la vita di Mary, rivelandole i segreti del suo passato e stravolgendo il suo futuro.C’è solo una domanda da porsi... e se tutte le nostre certezze svanissero?
LinguaItaliano
Data di uscita16 giu 2019
ISBN9788867829552
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    Two Worlds Alliance - Marialorenza Gamiddo

    Two Worlds

    Alliance

    Marialorenza Gamiddo

    Two Worlds: Alliance

    Marialorenza Gamiddo

    © Editrice GDS

    Via per Pozzo, 34

    20069 Vaprio D’Adda (MI)

    www.gdsedizioni.it

    Ogni riferimento dell’opera a cose, luoghi, persone

    e altro è da ritenersi del tutto casuale.

    Tutti i diritti sono riservati.

    "Non so cosa sia peggio: non sapere chi sei ed essere felice,

    o diventare quello che hai sempre voluto e sentirti solo."

    - Daniel Keyes

    PROLOGO

    Fermati un attimo.

    Prendi un respiro profondo.

    Inizia a contare fino a dieci: 1... 2... 3... 4... 5... 6... 7... 8... 9... 10...

    Sembra tutto così banale, così sciocco, ma già a metà i tuoi occhi sono passati alla riga successiva, il tuo cervello vuole andare oltre, vuole arrivare al punto del discorso.

    Abbiamo smesso di pensare a cosa ci sia di bello nella nostra vita, abbiamo smesso di sognare, abbiamo smesso di chiederci se valga veramente la pena per noi ciò che facciamo o se serva solamente a riempire il nostro ego.

    Non ho mai pensato veramente alla morte fino a quando non l’ho trovata davanti ai miei occhi, fino a quando le sue mani fredde non hanno toccato la mia pelle e mi hanno ricordata di quanto fossi stata stupida nella mia vita.

    Non ho mai pensato veramente alla morte perché l’ho sempre vista come un essere lontano da me, lontano da coloro che amavo, lontano dalla vita reale. Qualcosa che potesse toccare solo gli altri, qualcosa che non poteva scalfire la mia vita; un mito, una leggenda.

    Non la realtà.

    Non siamo mai preparati ad essa, non siamo preparati a quello che ci aspetta dopo, non siamo preparati all’attimo prima di esalare l’ultimo respiro.

    Non credevo in essa nonostante si fosse portata via l’uomo più importante della mia vita, non credevo in essa perché non avevo sentito il dolore straziante della sua vita strappata alla mia.

    Non avevo sentito nulla perché lui non era mai esistito.

    Fermati ancora qualche istante.

    Prendi un respiro profondo. Ancora uno.

    Pensa a tutti i tuoi progetti e a quanto poco tempo hai per realizzarli, pensa alla persona che ami e a quanto stupido sia stato non urlarglielo contro, pensa a quanto tu voglia diventare unico e a quanto impossibile e lontano da te lo trovi.

    Continui a ripeterti che non hai nulla di speciale, che non sei il migliore, che tutti potrebbero fare a meno di te, ma non è cosi.

    Sii importante, sii qualcuno, non per compiacere gli altri, ma per compiacere te stesso.

    Sii felice, sii forte, e chi se ne importa se i tuoi progetti non andranno come previsto.

    Siamo umani, la natura ci rende deboli, la natura può però cambiare.

    Anche se il mondo non si ricorderà di te, di me o di molti altri, ripeti a te stesso che essere ricordati anche da una sola persona e aver amato con tutti sé stessi vince la Morte. Sempre.

    CAPITOLO 01

    STELLE E SOGNI

    L’oscurità della sera cingeva i miei pensieri in un morbido abbraccio, le piccole stelle in cielo mi infondevano la sicurezza e la pace di cui sentivo il continuo bisogno.

    Nella vita mi ero ritrovata spesso a guardare le stelle, quelle piccole luci fioche riuscivano ad aprire uno spiraglio, una speranza, in cui almeno lì, il mio papà, sarebbe potuto essere più vicino a me.

    Non l’avevo conosciuto, non sapevo nulla di lui. Uno stupido incidente lo aveva portato via da me, quando la mia docile e tenera età non riusciva ancora a conservare alcun lineamento del suo volto o alcun suono della sua voce.

    La sua morte aveva logorato la mia famiglia a causa del suo ricordo, aveva rovinato me, a causa della mancanza di attimi, abbracci o semplici sguardi.

    Udii la voce di mia madre che mi chiamava dalla piccola cucina.

    «Mary!»

    Mi voltai di scatto, tutti i pensieri svanirono come se non fossero mai appartenuti a me e decisi di rientrare in casa.

    Arrivata in cucina mia madre era in preda ai fornelli, il grembiule le accoglieva dolcemente i suoi fianchi perfetti e dal suo chignon disordinato piovevano due morbide ciocche castane. Era bellissima ma non riusciva a comprenderlo.

    Non faceva altro che lamentarsi degli anni che passavano, delle rughe che stavano iniziando ad apparire vicino ai suoi occhi color nocciola e del suo corpo che stava cambiando; ma per me lei restava la donna più magnifica e perfetta di questo banale e scialbo mondo.

    Dopo averla aiutata a lavare, cucinare e imbandire la tavola, sentii il rumore della porta d’ingresso. Un rumore di passi e un saluto più simile a un brontolio, ci fece capire che mio fratello era appena rientrato stanco da lavoro.

    Pietro era speciale. Lavorava da sempre, sentiva il peso della famiglia sulle sue spalle da quando papà era morto, ma nonostante questo dietro di sé aveva una lunga schiera di ragazze che lo circondavano, non riuscendo mai a trovare la ragazza giusta per lui.

    Era sempre troppo preso da qualcosa... qualcosa che non sono mai riuscita a comprendere fino in fondo.

    Quando la sua adolescenza (se mai l’avesse avuta!) fu ormai giunta agli sgoccioli, creò una barriera, alta più che mai, verso di me: iniziò ad essere furtivo alle domande che gli ponevo e ad avere sempre meno tempo per me.

    Ogni volta che i suoi occhi stanchi incontravano i miei, mille ricordi di noi mi inondavano facendomi riemergere le immagini di chi eravamo e di chi saremmo potuti essere. In un qualsiasi momento della giornata, se avessi incrociato il suo sguardo, sarebbero stati in grado di trasmettermi qualsiasi sentimento, tranne rabbia o tristezza. Lui era il mio eroe.

    Totalmente inerme al suo mutare, totalmente inutile per poter dare una svolta a questo suo pensieroso essere, totalmente banali i miei futili tentativi.

    Rassegnata da ciò che la vita mi stava porgendo, non potevo far altro che accettare a denti stretti, non potevo far altro che dare il mio contributo.

    Dopo aver cenato come ormai da rituale, mi diressi in camera mia e iniziai la mia tortuosa contesa destinata alla scelta di un libro di fantascienza da leggere.

    Il fortunato della serata parlava di una storia d’amore legata a cause soprannaturali come alieni e di tutte le galassie ancora sconosciute all’uomo.

    La completa assenza di logica… ecco ciò che amavo in quel genere, nulla di ciò che può realmente accadere nella tua vita improvvisamente lo è, i protagonisti di questi libri si trovano stravolti dalla loro routine, percepiscono l’adrenalina scorrere nelle loro vene e la monotonia dissolversi.

    L’ultimo anno di scuola stava per iniziare, con i suoi problemi, le sue risate e la mia continua difficoltà nell’approcciarmi nel modo giusto con le persone, continuando sempre a dire e a fare la cosa sbagliata nel momento sbagliato; ormai lo consideravo una specie di dono.

    Certo, nella mia mente era tutto perfettamente razionale, ma una volta uscito dalle mie labbra diventava immediatamente banale.

    Ero un’imbranata.

    Tutti i miei compagni non aspettavano altro che finire la scuola per scappare da questo piccolo paesino siciliano bellissimo, ma senza prospettive lavorative.

    Io invece restavo qui, rimanendo per sempre e solo la piccola Mary, con tanti sogni, tanta paura e poca forza per combatterli e farli avverare.

    Non avrei mai lasciato mia madre e Pietro soli, loro avevano bisogno di me ed io di loro. Era stato sempre così e sarebbe continuato ad esserlo.

    Infondo i miei erano solo sogni, come studiare in America, vivere in un appartamento tutto mio, crearmi la mia identità, e per quanto fortemente avessi voluto il loro avverarsi, sarebbero sempre rimasti tali.

    Sarebbero stati per sempre i sogni di una diciassettenne con tanta fantasia e il naso su delle storielle. In fondo non sarei stata di certo l’unica adolescente ad avere avuto grandi prospettive per il futuro, che poi in realtà non avrebbero mai dato nessun frutto nella vita.

    «Uff…» dissi sprofondando nel mio cuscino, emisi un lungo sospiro che sembrava non finisse mai e chiusi il libro con uno strano senso di angoscia aggrovigliato nello stomaco, a causa di tutti quei pensieri che affollavano la mia mente.

    * * *

    Vedo il mondo dall’alto, le luci di ogni singola città, ogni strada. Non capisco dove mi trovo e come riesco a vedere tutto questo.

    Nessun’anima calpesta questa terra. Alzo gli occhi sopra di me e vedo il cielo cosparso di mille colori.

    Il mio cuore inizia a battere forte e un dolore mi trafigge lo stomaco, un senso di paura mi travolge. Non esiste più nessuno sulla Terra, tranne me. Sono rimasta da sola.

    Inizio ad urlare. Nessuno mi sente.

    * * *

    Mi svegliai di scatto grondante di sudore e con il battito cardiaco accelerato. Ero quasi certa di star entrando in iperventilazione e questo non andava per nulla bene. La paura continuava ad ardere come un fuoco dentro di me, sembrava proprio che l’Etna avesse deciso di traslocare sul mio stomaco.

    Non ricordavo più nemmeno l’ultima volta che avevo sognato qualcosa dall’apparenza così reale.

    Iniziai a farmi forza da sola ricordandomi che era solo un sogno, che ero cresciuta e che non sarei dovuta scappare tra le lenzuola della mamma.

    Ritornata a letto, i miei occhi rimasero attenti ad osservare il tetto per diversi minuti finché decisi di girarmi a causa del nervosismo, fino a quando non venni avvolta da un sonno senza sogni.

    CAPITOLO 02

    L’UOMO MISTERIOSO

    Dopo quel sogno così strano non accadde più nulla (che novità!), i giorni passavano con la stessa monotonia di tutti gli altri e il conto alla rovescia per l’inizio della scuola andò sempre più ad accorciarsi.

    Mi alzai come ogni singolo giorno stropicciando gli occhi per riuscire ad abituarmi ai raggi che filtravano dalla mia finestra, era una lotta contro il Sole. Lui vinceva, ovviamente.

    Erano appena le otto e mezzo del mattino ed il mio primo pensiero era di godermi quelle ultime giornate di libertà prima dell’inizio della scuola.

    Dopo essere andata in bagno ed aver indossato dei semplici jeans con la mia maglietta preferita, afferrai la prima borsa che trovai davanti a me, riempiendola di libri e snack, pronta per trascorrere uno di quei semplici e monotoni pomeriggi che tanto adoravo.

    Ah… io amavo le patatine al pomodoro.

    Avrei vissuto solo di quelle schifezze salate ma poi mi sarei sicuramente ritrovata su una barella in ospedale pronta ad essere operata di urgenza. No, meglio non rischiare.

    «Mamma!» urlai con vocina stridula dal piccolo corridoio «vado al parco, ritorno tra un paio d’ore!»

    «Cosa? Mary non ti sento, vieni qui!» sbuffai e mi diressi in cucina, non c’era mai una volta che quella donna sentisse qualcosa.

    Feci un gran sospiro ricordando a me stessa di mantenere la calma e che dall’altra parte della casa si trovava mia madre. Non ero assolutamente una tipa con cui intrattenere un’allegra conversazione mattutina, e tanto meno non ero bella da guardare, odiavo perfino condividere la stessa strada con un altro essere umano. Ok, era meglio evitarmi la mattina.

    Camminavo lentamente verso la cucina, sembravo un mammut vestito. Ecco perché era meglio non parlarmi la mattina, che razza di paragoni faccio?

    La luce delicata del mattino percorreva la piccola cucina rustica attraverso le tende di un semplice color panna, sembrava danzare sul profilo di mia madre creandole delle ombre ad ogni suo movimento.

    «Sto andando al parco. Torno tra un paio d’ore, ok?» le ripetei poggiandomi sullo stipite della porta.

    «Sì, va bene» concluse lei.

    Mi sorrise iniziando a guardarmi dalla testa ai piedi come un poliziotto, soffermandosi sulla mia borsa e i jeans strappati. Adoravo la mia borsa, era un po’ malandata ma ormai c’ero affezionata. Non ne aumentava il valore storico il fatto che l’avessi da tanti anni?

    Una tracolla capiente grigia, con alcune toppe colorate cucite sopra e usurata dal peso e dal tempo.

    «Di nuovo a leggere libri, eh? Viene pure Annie?»

    «Può darsi» risposi scoccandole un rapido bacio sulla guancia.

    Mia mamma odorava di buono, un misto di ammorbidente e margherite. Bastava abbracciarla e sentire il suo odore per sentirsi a casa.

    Presi una mela rossa e scappai velocemente sorridendole fuori di casa.

    Probabilmente se mi fossi fermata un po’ di più avrebbe iniziato con una delle sue lunghissime prediche sul mio abbigliamento o su qualcosa che mi aveva detto di fare e che sicuramente avevo dimenticato o omesso accidentalmente per noia.

    Quella che si presentava ai miei occhi era una giornata perfetta per andare al parco, stare sul prato con l’aria che ti accarezza la pelle e un bel libro da leggere.

    Una volta arrivata, dopo aver steso la coperta sul prato, mi immersi subito nella lettura di un nuovo libro: un ragazzo che uccideva demoni e di una ragazza che improvvisamente si ritrovava catapultata in un mondo di cui non sapeva nemmeno l’esistenza.

    Mi immedesimavo sempre in prima persona in questo genere di situazioni, sarebbe stato bellissimo potersi ritrovare al suo posto (magari con qualche differenza).

    I libri che più avevo amato erano quelli di Harry Potter e dove nel bene o nel male mi sarei voluta ritrovare. Magari al posto della bella e intelligente Hermione Granger.

    Dopo circa un’ora in cui la mia mente si trovava felicemente lontana dalla realtà, in un mondo che apparteneva solo a me e a cui non era permesso a nessuno l’accesso, decisi di alzare gli occhi a causa dei lamenti provenienti da una voce conosciuta. Prendo un lungo respiro e osservai la mia migliore amica venire affannosamente verso di me.

    Lei rappresentava l’emblema della classica ragazza perfetta, con i suoi lunghissimi capelli biondi ricci, occhi azzurri, pelle chiara... una BARBIE!

    Il parco aveva sempre stonato con lei e tutto ciò mi faceva venire un gran ridere, soprattutto per colpa delle sue scarpe color rosa evidenziatore che, a suo dire, erano all’ultima moda.

    Scoppiai in una fragorosa risata, ma che però ricevette l’effetto opposto.

    «Giuro che non riesco a capire perché ti ostini a venire in questo parco per leggere dei libri!» esclamò ed una piccola vena iniziò a pulsare sulla sua fronte.

    Succedeva sempre quando si arrabbiava e probabilmente perché in quel momento si stava rovinando le sue bellissime scarpe.

    Molte volte mi domandavo come io ed Annie potessimo essere amiche, appartenevamo a due mondi totalmente diversi.

    Nonostante gli anni ricordavo ancora perfettamente il nostro primo incontro, lei con la lunga treccia fino al seno e io con i miei grandi occhialoni che mi coprivano il viso. Era il primo giorno di scuola per entrambe, io mi ero seduta al terzo banco in attesa dell’arrivo del professore e lei era entrata sfoggiando un gran sorriso.

    Un gruppetto di ragazze l’avevano chiamata per presentarsi ma lei era venuta da me... l’unica sfigata del gruppo. Aveva straparlato sin dal primo momento e non aveva ancora smesso di farlo, non l’ho mai ringraziata per quel suo gesto.

    Un piccolo urlo strozzato mi fece tornare al presente, Annie aveva il viso inorridito e gli occhi strapazzati sul suo piede sinistro che si trovava proprio su un ricordino di un bel cagnolone.

    Stava per uccidermi, lo leggevo nei suoi occhi.

    «Sei tu quella che si ostina a vestirsi come un evidenziatore per venire al parco!» e adesso sì che avrebbe iniziato una delle sue filippiche sul mio modo di vestirmi, truccarmi, parlare, ridere, ecc, del tutto sbagliato.

    «Non ci siamo signorinella! Sei tu quella che non dovrebbe stare qui in mezzo» si voltò a guardare il parco con aria disgustata come se fosse circondata da fango e muffa, o pupù.

    Sì, beh, quella c’era sul serio e lei ci stava letteralmente sopra.

    «Come pensi che un ragazzo possa guardarti se tu continui a mettere delle semplici scarpe da tennis e una maglietta assurda?» disse soffermandosi sulla t-shirt con disappunto.

    «No ai film mentali. Sì ai libri mentali e questa da dove è uscita?» completò stringendo il viso per il disgusto.

    In tutto ciò, il suo disgusto continuò ad estendersi nel suo viso mentre cercava di allontanare il suo piede e ripulirlo da tutta quella fortuna.

    «A me piace, è divertente! E poi chi ti dice che mi interessa piacere a qualche ragazzo?» l’avevo acquistata qualche settimana prima in un mercatino e mi aveva da subito conquistata.

    Iniziò ad agitare le mani come un’anatra impazzita e scoppiai a ridere nuovamente.

    «Senza parlare di questi occhialoni che hai…» continuava a straparlare, mi sfilò gli occhiali dal naso iniziando a girarseli tra le mani come se fossero qualcosa di radioattivo e finendo però con l’addolcire un po’ il tono di voce «hai un viso bellissimo, sei bellissima. Non puoi vivere in un mondo fatto di fantasia, non devi attaccarti a delle storie inesistenti. Crea la TUA storia. Devi farlo» e così dicendo mi fece un enorme sorriso, si accovacciò accanto a me proprio come era suo solito fare «lo devi a te stessa» mi appoggiai sulla sua spalla come per ricambiare ciò che mi aveva detto, e in un certo senso per ringraziarla di essere così con me.

    Probabilmente non aveva tutti i torti sul fatto di dover creare la mia storia, ma io vivevo bene così e non avevo bisogno di nient’altro. La cosa più importante di tutto questo era che non sarei mai cambiata per nessuno, perché chi ti ama ti accetta per quello che sei e non per quello che potresti essere.

    Lei era talmente perfetta da farmi sentire ancora più scialba, nessun lineamento o colore mi esaltava il viso e le forme, nulla che mi contraddistinguesse dal resto del mondo, se non fosse stato per una stupida voglia dietro l’orecchio che avrei preferito non avere.

    «Come ti ho sempre detto potrei truccarti io, cambiare il tuo guardaroba. Per prima cosa butterei quelle orribili scarpe da tennis che indossi... per non parlare di quella borsa e quella stupida maglietta» indicando il tutto con una smorfia.

    «Lascia in pace la mia maglietta» le dissi divertita, dandole una pacca sul braccio.

    Ed eccola di nuovo all’attacco, era sempre stato così. Lei non capiva la parte di me così legata ai libri, lei non amava per niente leggere, ma ci conoscevamo da tutta una vita e teneva a me ed io a lei come sorelle.

    «Per prima cosa ritornami subito i miei occhiali» risposi strappandoglieli dalle mani e fingendo di essermi offesa «il mio look non è poi così male e non mi interessa essere sempre perfetta, non sarei io! Ma ti ringrazio, se dovessi cambiare idea ti farò sapere» e così concludendo cercai di fare uno sguardo arrabbiato che finì per essere una grande risata.

    Il pomeriggio con Annie passò tranquillamente, parlando del più e del meno, con i suoi progetti per l’inizio della scuola, la sua lunga lista di cose da comprare e i vari appuntamenti, che purtroppo avrebbero incluso anche me per lo shopping.

    Si era fatto tardi e così iniziammo a sistemarci per ritornare a casa.

    «Mary lo hai visto?!» sentii Annie darmi una gomitata.

    «Ahi! Chi dovrei aver visto?» risposi alterata alzando un sopracciglio e massaggiandomi il braccio dolorante.

    «Quello lì, stupida! Alla tua sinistra con gli occhiali da sole»

    Alzo gli occhi annoiata trattenendo uno sbuffo che però si tramuta in un ‘oohh’.

    Era un ragazzo alto almeno un metro e ottanta. Avete presente fisico perfetto, capelli scuri ricci e vestito completamente di nero come quelli dei film d’azione? Esatto, era davanti a me in tutta la sua bellezza.

    Era immobile, con lo sguardo fisso su di noi e un’espressione imperscrutabile da far venire i brividi.

    Eccola lì con la mandibola staccata, sapevo già a cosa stava pensando ‘una cosa buona in questo posto infestato da animaletti orripilanti’ e io non posso far altro che farmi scappare un risolino.

    L’attenzione di quel ragazzo misterioso sembrava rivolta a noi. Aveva le spalle poggiate sull’albero e il sole in viso. Sembrava un modello in posa per un set fotografico. Posso farti da fotografa?

    Buttai gli occhi indietro, quello era di sicuro un pallone gonfiato. Carino. Molto carino, ma dovevo darmi una calmata.

    Mi girai a guardare la mia amica che mi osservava nello stesso modo sconvolto. Presi i libri e la coperta e infilai tutto in borsa a casaccio, la presi per un braccio e mi ritrovai a trascinarla via da li e da quella brutta sensazione che quel ragazzo sembrava trasmettermi semplicemente con uno sguardo.

    Per tutto il tragitto, Annie non fece altro che parlare di lui, insistendo che lo sguardo di quell’uomo era rivolto verso di me.

    Sì certo come no, con una ragazza bellissima come lei al mio fianco o come chiunque altra in quel parco, avrebbe guardato me?

    La risposta era di certo: no.

    In ogni caso un ragazzo come lui non avrebbe mai guardato una come me, con le scarpe da tennis sporche e imbrattate di terra, vestita come una bambina di dieci anni.

    Lui era di sicuro il classico rubacuori, senza considerare il fatto che sembrava uscito da un telefilm. Un misto tra Damon Salvatore di The Vampire Diaries e Daniel Sharman di Teen Wolf.

    Forse quella era la prima volta in cui avevo notato davvero il mio abbigliamento, così scialbo e senza carattere. Ma questo non importava, non avrei mai cambiato il mio ‘look’ solo per compiacere qualcuno, in particolar modo un ragazzo, o per farmi notare.

    Quando arrivammo a casa, Annie iniziò a parlare così tanto che smisi pure di ascoltarla, finché alcune sue parole non attirarono la mia attenzione.

    «Sai…» iniziò, crollando su letto «penso che tu voglia nasconderti... che tu non voglia metterti in gioco.»

    Rimasi in silenzio, non era la prima volta che pronunciava qualcosa del genere, ma ogni volta che lo faceva accendeva in me delle sensazioni differenti.

    La guardo cercando di decifrare ogni sua parola nel modo corretto. «Io mi metto in gioco! Solo che non ho ancora incontrato la persona giusta.»

    Il mio sguardo calò sulle mie mani che giocherellavano con un filo che usciva dai jeans. Cercavo di pensare a tutt’altro di quello di cui invece stavamo parlando.

    «Lo sai pure tu che non è cosi! Non dai alle persone nemmeno la possibilità di conoscerti e non capisco il perché di questo tuo comportamento. C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?» il suo tono di voce era più calmo, serio e profondo del solito, mentre il suo sguardo era molto più saldo rispetto al mio.

    Avevo sempre avuto la tendenza a scappare da tutto ciò che mi spaventava e da quello di cui poter uscirne delusa. La realtà era che aveva ragione Annie, io non mi mettevo in gioco. Non lo facevo mai per nulla e per nessuno.

    Detestavo l’idea di ritrovarmi spezzata da una persona a cui avevo donato il mio cuore, a cui avevo confidato i miei sogni e i miei segreti. Avevo paura di dover ricucire il mio cuore spezzato in mille parti, a causa di qualcuno a cui non era importato nulla di me.

    I miei polmoni mi permisero un piccolo sospiro di tristezza, i miei occhi non riuscirono a mantenere un contatto visivo socchiudendosi in piccoli spiragli di rammarico.

    «Non riesco ad approcciarmi nel giusto modo con le persone, lo sai anche tu.»

    Annie mi guardò con aria triste, non capiva che io in realtà stavo bene così, ormai mi ero rassegnata al mio modo di essere o almeno così credevo.

    Avevo lei, la mia famiglia, persone che mi amavano per quella che ero realmente, non avevo bisogno di un ragazzo o di altre amiche.

    «Ti aiuterò io. Fallo per me! Questo anno sarà l’ultimo di liceo. Tutto potrebbe cambiare! Ti farò diventare la ragazza più amata della scuola!» e concluse con un sorriso a trentadue denti.

    La guardai inizialmente un po’ confusa, ma poco dopo iniziai a ridere. Mi abbracciò e la serata passò per il meglio.

    Dopo aver mangiato insieme e guardato un film, Annie mi salutò e mi costrinse (insieme a mia mamma, la collega della traditrice!) ad accettare di uscire domani per comprare il materiale per la scuola e dei vestiti.

    Poco dopo essersene andata e aver dato la buonanotte a mia mamma e a Pietro, mi buttai sul letto esaminando il soffitto cercando di svuotare la mente, ma per la seconda volta in un giorno il ricordo di quello sguardo così penetrante dedicatomi da un estraneo si faceva spazio dentro di me, trasmettendomi la stessa sensazione.

    * * *

    Mi sento sospesa in aria, riesco a vedere il mondo dall’alto. Sembra tutto così bello da quassù, alzo gli occhi e vedo dei colori mai visti prima.

    C’è qualcosa dietro quei meravigliosi colori, ma i miei occhi non riescono a mettere a fuoco l’immagine. Stringo gli occhi.

    Sono al limite ma non ottengo nessun risultato, provo ad avvicinarmi ma le mie gambe non si muovono. Mi sento incatenata, come se ci fossero le sabbie mobili a stingermi e a risucchiarmi al loro interno.

    Chiedo aiuto – Per favore! Qualcuno mi aiuti! -

    Alle mie spalle avverto una presenza.

    Mi volto. Non c’è nessuno.

    * * *

    Spalancai gli occhi ancora stordita, come se avessi appena finito di combattere una partita di pugilato e fossi finita KO. I miei incubi iniziarono a farsi sempre più frequenti e la mia testa non smetteva di pulsare per colpa della pressione.

    La strana sensazione provata durante quel sogno non cessò di farsi spazio dentro di me, come un lupo famelico che nella notte si addentrava nel bosco in cerca della sua preda.

    Wow, era perfetto! Stavo impazzendo a diciassette anni! Annie e mia madre avevano proprio ragione a dire che leggevo troppi libri e che mi stavano facendo il lavaggio del cervello.

    Passai una mano tra i miei capelli lisci sperando di tranquillizzarmi (cosa poco efficace) …dei semplici incubi mi avevano fatta ammattire. Non credevo si trattasse dell’incubo in sé, non era nulla di così spaventoso, più che altro temevo ciò che non capivo di quei sogni e la loro ripetitività.

    Mi sedetti con il viso trapelante di sudore e delle palpitazioni alle quali non mi ero ancora abituata, passarono una bella manciata di minuti prima che decidessi di alzarmi; mi ero appena svegliata ma mi sentivo come se non fossi mai stata più stanca.

    Andai in cucina per bere un po’ d’acqua, ma continuavo a percepire una strana sensazione che non mi era per niente familiare, quella mattina nulla di tutto ciò che vedevo sembrava avvicinarsi alla normalità a cui ero abituata e che stranamente non mi mancava, il

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