Il Cammino di San Giacomo
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Sono oramai trascorsi alcuni mesi dal nostro rientro dalla Spagna ma ancor oggi quando incontriamo amici che non sentiamo da tempo o veniamo presentati a persone che non conosciamo, il riferimento al fatto che abbiamo percorso il Cammino di San Giacomo è costante e subito ci vengono poste una molteplicità di domande: … quanti giorni abbiamo impiegato, … quanto è stato faticoso, … quale itinerario abbiamo percorso, … che tempo abbiamo trovato, … quali città abbiamo visitato, … per quanti km abbiamo pedalato ogni giorno e cosi via.
Ora è evidente che questa è la dimensione turistico sportiva, per così dire, percepita come preponderante del Cammino, quella che peraltro è trattata ampiamente, seppur con molte inesattezze ma anche dovizia di dettagli, nelle numerose guide turistiche che parlano del percorso del Cammino di San Giacomo.
Esistono però altre due importanti dimensioni dello stesso che mi preme evidenziare anzitempo all’amico lettore di questo breve scritto senza pretese, prima che si addentri nella lettura delle prossime pagine. Pagine dove certamente troverà il cosiddetto diario di viaggio, ovvero la descrizione di come abbiamo impegnato il tempo giornata per giornata, ma anche numerosi spunti di altra natura sui quali vorrei che riflettesse, proprio perché il vero valore del Cammino non è nell’averlo percorso ma in ciò che il percorrerlo ti ha lasciato dentro e in quanto di tutto questo potrà essere reso ad altri in termini di valore ed anche di stimolo a voler, perché no, affrontare il medesimo impegno.
Ecco quindi alcuni spunti su quella che mi piace definire la seconda dimensione del Cammino, quella interiore che risiede primariamente nel rapporto tra il pellegrino e il contesto esclusivo che lo circonda per l’intero periodo di quello che sarà il suo Cammino. Un contesto fatto di natura, di clima, di sentieri, di persone, di luoghi dove i confini non esistono e dove l’individualità del singolo perde di ogni significato per fondersi nell’intero e per contribuirne al suo costante e mutevole divenire. Così in questa dimensione albergano i pensieri sul tuo presente e sul tuo passato che prendono corpo e ti accompagnano, mentre pedali con fluidità sui bianchi e interminabili sterrati degli altopiani, o ti lasci scorrere lievemente lungo le discese dopo aver sudato sette camice per guadagnare la cima di quella collina così ventosa da farti cercare un masso dove poterti riparare … sei chiamato se lo vuoi ad una sorta di continua autoanalisi che la vita frenetica di ogni giorno scandita da impegni, telefonate, incontri e quant’altro non ti permette di affrontare …
… e poi come dicevo c’è una terza dimensione del Cammino, quella della comunanza, resa in evidenza dal prete che ha officiato la messa del pellegrino, che quotidianamente alle ore 12,00 viene celebrata nella cattedrale di Santiago, a cui Alberto ed io abbiamo partecipato l’ultimo giorno prima della partenza per il rientro in Italia. La predica di quel giorno, in spagnolo ovviamente ma comunque comprensibile, è stata centrata sulla corrispondenza tra il Cammino di San Giacomo e il cammino della vita. La fatica dei giorni passati, l’impegno per arrivare alla propria meta, la meraviglia del bello che si è incontrato, lo stupore dell’inatteso come il dolore o la rabbia di un incidente, il freddo del mattino o il sole cocente, le piaghe ai piedi o altri dolori fisici, il sorriso di chi hai aiutato quando era in difficoltà o il sostenersi reciproco nei momenti di grande fatica, le persone che hai conosciuto, perso e poi ritrovate, l’abbraccio di un amico che non vedevi da anni, il cibo condiviso … tutto può essere letto come si leggono gli accadimenti belli e brutti di una vita, dove il messaggio forte sta nell’insegnamento che viene da quella moltitudine di pellegrini che insieme tra loro, da secoli ogni giorno, intraprendono il Cammino con la convinzione di poter affrontare ogni difficoltà perché è nell’insieme da millenni che risiede la forza per superare le asperità che il Cammino o la vita ti riservano.
Per Alberto come per me queste tre dimensioni del Cammino di San Giacomo, prese singolarmente ma soprattutto unitariamente, rappresentano il valore significativo ed indiscutibile che abbiamo avuto l’opportunità di conoscere, vivere e fare nostro, un valore che non solo è incommensurabilmente superiore al prezzo economico, o di impegno, o di tempo, o di fatica che abbiamo investito, ma soprattutto rappresenta qualcosa di tangibile che per tutta la vita non potremo mai scordare e che con questo breve scritto abbiamo il desiderio e il piacere di condividere con tutti i nostri amici.
Alberto e Diego
Sulla cima della collina di Castrillo Matajudios
Un paese di 58 abitanti che nel 2014 ha avviato il progetto di cambiare il proprio nome da Matajudios (degli Ebrei ammazzati) in Motajudios ovvero della collina degli Ebrei
Introduzione
Correva l’anno 2004 ed era un periodo piuttosto complicato della mia vita professionale e familiare. Il lavoro da due anni mi aveva portato lontano da casa e vivevo come un pendolare che il venerdì sera tornava in famiglia per poi ripartirne il lunedì mattino.
Le settimane scorrevano faticosamente tra riunioni, telefonate, pranzi, cene, clienti, viaggi, numeri, consigli, report, pochi gli svaghi o i divertimenti e questo acuiva un senso di frustrazione che il mio animo visionario e fantasioso faticava ad accettare.
L’idea originaria nacque a seguito di una iniziativa aziendale. Avevamo sviluppato con un piccolo e storico produttore di biciclette italiano, una mountain bike tecnicamente all’avanguardia che, con una bella livrea dai colori aziendali e con il marchio in buona evidenza, sarebbe stata prodotta in un limitato numero di esemplari per essere proposta ad alcuni piloti di F1 e rally che, conoscendone le esigenze, avevamo scoperto allenarsi anche con questo strumento. Salire e scendere sentieri sterrati o pietraie richiede capacita fisica, senso dell’equilibrio, sensibilità all’aderenza al terreno, colpo d’occhio e rapidità di decisione… tutte caratteristiche che non possono mancare a chi svolge la professione del pilota.
Di quelle biciclette ne acquistai personalmente due, una per me e una per un caro amico della montagna, Alberto. Non mi era ancora chiaro cosa ne avrei fatto ma di certo lo strumento era di stimolo alla mia fantasia che già mi proiettava lontano dal quotidiano, apriva la porta ad una dimensione dove la fatica riceveva in premio la purezza dell’aria, i colori della natura, il calore del sole, il piacere del freddo del mattino e la fresca acqua della fonte … tutte sensazioni intense e profonde che mi mancavano da tempo.
Alberto, già mountain biker provetto, fu immediatamente entusiasta della bicicletta, bella esteticamente quanto tecnologicamente. Uno strumento che rispondeva docilmente e con rapidità alle necessità di chi la guidava, quindi il desiderio di metterla alla prova divenne subito comune ed immediato e ci accordammo per spendere