Chi è che rompe?: Galateo digitale nell'era dei social
Di Diego Goso
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Quando si risponde al telefono, il gesto tipico dell'italiano al cellulare è quello di guardare il display con un’espressione tra il disgustato e lo scocciato: «Chi mi disturba?».
Per arginare il fiume di notifiche che ci arrivano spendiamo tempo per le contromisure: due numeri di telefono, profili personali e profili di lavoro, modi per silenziare quell’app o quel dispositivo.
A tavola si comunica con persone distanti, si vede cosa fanno altri a chilometri di lontananza e non ci si occupa di parlare con il vicino di piatto. In uno scompartimento sul treno urlare al telefono i propri risultati di esami medici non è decoroso, per noi e per gli altri.
Queste e altre simili situazioni sono dovute al fatto che non esiste una ancora ben definita educazione digitale: sempre più necessaria poi nella situazione che stiamo vivendo e che ci impegna tutti sulla Rete molto più di prima. Con ironia, semplicità e senza presunzione, in questo libro l’autore ci propone allora un galateo per Internet e questi tempi digitali.
Diego Goso
Sacerdote della Diocesi di Torino, è incaricato dell'Ufficio di Comunicazioni Sociali presso la Diocesi di Ventimiglia-Sanremo. Scrittore e conferenziere. In ufficio al mattino, sulla spiaggia il pomeriggio vivendo nella profonda convinzione che per essere pescatori di uomini bisogna per lo meno vivere vicino al mare. Per Effatà Editrice ha pubblicato diversi libri, tra cui ricordiamo Il manuale della perfetta catechista, Il manuale del perfetto animatore, Il manuale della perfetta perpetua e Il Vangelo secondo... i Simpson.
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Chi è che rompe? - Diego Goso
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Colophon
Chi è che rompe?
Galateo digitale nell'era dei social
Chi è causa del suo mal... non dia il suo numero in giro
La tempesta dopo la quiete: …arriva WhatsApp
Il gruppo… di chi non sopporta i gruppi
Facebo...oK! Il ritorno. Dell’educazione
Instagram. Il click del Narciso
Twitter. Il ruggito dell’uccellino azzurro
Chi è che... non rompe... ovvero… gli amici che ci seguono
Chi è che rompe... tutto? Violazione password e affini
Le Fake News. Chi è che rompe... il mondo intero?
Tutti giù per il (You)Tube. Lo Steven Spielberg che è in Te
28 consigli di
DIEGO GOSO
Effatà Editrice logoA Vittorio, Matilde e a tutti i ragazzi della generazione Millennials
Io sono una persona seriamente disturbata.
Dagli altri.
da Facebook
Internet ha riaperto i giochi ma li ha anche confusi: lo struscio elettronico consente i bluff dei vigliacchi e le bugie dei mitomani.
Massimo Gramellini
– internet
+ cabernet.
Scritta nei bagni della Facoltà di Informatica di Mestre
Il bello della convivenza sta nella possibilità di litigare senza bisogno di usare WhatsApp.
Luigi Costa
Introduzione
Quando dico: «Pronto!»
Ma non lo sono affatto
Suona il telefonino. Arriva la notifica. Umph. Vediamo chi è che «rompe»...
Quando si risponde al telefono si dice ancora: «Pronto!» (anche se tanti usano l’intonazione finale rialzata tipica del punto interrogativo come già per intendere: «Chi è?»).
Ma, prima ancora di questo, il gesto tipico dell’italiano al cellulare è quello di guardare il display con un’espressione tra il disgustato e lo scocciato: chi mi disturba, chi «rompe», appunto?
Siamo nell’epoca della più ampia comunicazione, eppure mentre ci iscriviamo a social, newsletter, autorizziamo — di solito senza leggere cosa autorizziamo — il trattamento dei nostri dati e vogliamo poter far parte di ogni aggregazione digitale che ci interessa, siamo di contro stressati da notifiche, scocciatori insistenti che disturbano oltremodo, persone non desiderate che ci commentano o invadono le nostre pagine. E per arginare tutto questo spendiamo, cioè sprechiamo, tempo per le contromisure: due numeri di telefono, profili personali e profili di lavoro, modi per silenziare quell’app o quel dispositivo... voglia saltuaria di chiudere tutto e togliersi dalla mischia che si alterna al bisogno opposto dato dal piacere di condividere e di sapere cosa vivono le persone che ci interessano.
La drammatica situazione pandemica del 2020 ha convertito al digitale anche i più scettici. I nonni che prima fissavano perplessi i nipotini giocare per ore sul loro tablet adesso hanno scoperto che possono pagarci le bollette e farsi portare la spesa a casa senza rischio di esposizioni per loro più pericolose che per altri negli ambienti pubblici.
Realtà sociali che hanno visto bloccati i loro momenti di incontro si sono riorganizzate portando avanti il proprio lavoro e le proprie passioni in alcuni casi beneficiando in termini di tempo e soldi grazie all’apporto della tecnologia.
In generale chiunque abbia dovuto subire il lockdown si è ritrovato a dover riempire ore di vuoto seduto sul proprio divano. E allora vai di Netflix e Prime Video per maratone interminabili di serie tv. E poi di corsa alla scoperta di siti di ricette, hobby casalinghi, finanche riscoprendo la bellezza della lettura di libri e quotidiani in versione digitale.
E infine anche chi era sopravvissuto al gran circo dei social network ha ceduto alla tentazione di un post, di un tweet, di un selfie: parolacce temute fin poco prima della pandemia e ora gergo storpiato e parlato anche da anziani e scopritori dell’ultima ora delle meraviglie della Rete.
L’aumento di utenti e servizi non è sempre stato accompagnato da una progressiva qualità di comportamenti corretti e contenuti prodotti con onestà e rispetto. L’umanità ha dimostrato di sapersi rispecchiare in bene e in male anche nel mondo digitale, portando le luce e le ombre che già ci accompagnano nelle nostre relazioni sul piano fisico.
Questo è dovuto al fatto che non esiste una ancora ben definita educazione digitale.
Una volta, telefonare dopo le nove di sera a casa era una cosa proibita (dovrebbe esserlo ancora, secondo me). E in ogni caso — al di fuori delle sfere familiari e degli amici stretti — contattare qualcuno sul numero privato era riservato solo a motivi importanti. Così come nella corrispondenza venivano insegnate ai bimbi a scuola (maestra Daniela... vede che ancora ricordo le sue lezioni!) alcuni importanti accorgimenti per la corretta compilazione di busta e lettera e finanche di una cartolina. Era l’educazione alla buona comunicazione.
Quello che in queste pagine mi permetto di suggerire, sulla base dell’esperienza personale e degli accorgimenti che le stesse imprese comunicative consigliano ai propri utenti, sono alcune indicazioni per rendere l’aspetto digitale della nostra vita un piacevole arricchimento, grazie alle potenzialità della Rete, per non arrivare a patirlo come uno strumento di censura e una barriera che inasprisca le nostre relazioni al posto di favorirle.
Come in ogni ambito della vita, si tratta di imparare cosa si può e si deve fare, evitando invece quello che non è opportuno.
Perché la ricchezza della comunicazione è una delle forme più alte dell’identità umana. Per questo è triste vedere che sia stata ridotta a produrre filmati di «rutti» da mostrare su YouTube.
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Vincere una guerra
...già persa
Ho un amico che ha smesso di organizzare le cene in famiglia. A malincuore, perché è una cosa che davvero gli dava soddisfazione: tra l’altro è molto bravo in cucina e quelle occasioni erano per questo anche molto desiderate dai suoi ospiti. «Ma una volta», mi dice, «si stava insieme, si parlava e ci si divertiva. L’altra sera invece io cucinavo e loro erano tutti con il proprio cellulare in mano a fare altro con altri. Comunicavano con persone distanti, vedevano cosa facevano altri a chilometri di lontananza da qui e non si occupavano di parlare o osservare cosa combinava il vicino di piatto». Allora il mio amico si è arrabbiato e ha detto: «Questa è l’ultima volta». Cucinare perché gli invitati si riducano a trascorrere la serata di compagnia e famiglia isolati nella propria campana digitale non gli va affatto a genio.
«Sempre con quel dannato smartphone in mano!» urla il padre ai figli in un’altra casa. Un attimo prima di prendere in mano a sua volta il proprio telefono e chiudersi nel suo guscio di notifiche. Gli adulti che hanno «fatto la guerra» ai giovani che vivevano dentro Facebook si sono poi impadroniti del posto dei loro ragazzi, migrati intanto altrove perché appunto il social è stato invaso da genitori, zii e nonni.
Si moltiplicano ovunque gli incontri dove si parla dei «pericoli della Rete». Mai nome fu più appropriato per designare il nuovo «mostro» contro cui scuotere la testa preoccupati, indignati e anche un poco sprezzanti verso le nuove generazioni che si fanno assorbire così tanto dalla vita digitale. Fa parte dell’umano contesto trovare un nemico comune contro cui coalizzarsi per sostenere il crollare dei tempi. Ma mai battaglia risulta in questo caso essere più inutile e controproducente.
Quando sono invitato nelle scuole a parlare di educazione e internet a genitori ed insegnanti metto subito questo punto fermo: se desiderate uno di quegli incontri che suonano la musica del «dove andremo a finire» avete sbagliato posto. E per voi, aggiungo, avete sbagliato libro.
Perché io amo la Rete. Amo tutte le sue possibilità e tutte le forme di relazione che mi offre. Credo che sia la scoperta più incredibile, dopo il cibo, il calore e la scrittura, della storia umana.
E non sono affatto d’accordo con chi vuole combattere Internet o vivere senza di essa. Rispetto costoro, ma li vedo come bimbi rassegnati davanti a un gioco che non sanno comprendere e che per questo buttano via. Io invece amo giocare, e farlo anche on line. Con lo stupore di un bambino, appunto, che è la sensazione che ancora tante volte la Rete mi regala.
E credo che il senso stia nel saper vivere con la connessione perpetua e la vita digitale che completa quella al di fuori dello schermo. Di saperla regolamentare con intelligenza, semplicità e fantasia per farla essere quello che deve: uno strumento meraviglioso per perfezionare la vita senza trasformarsi nel padrone della stessa.
E aggiungo che chi oggi ancora pensa che l’umanità un giorno si sveglierà da questa esperienza, considerandola una bolla, è un dinosauro che non si è accorto dell’estinzione della sua specie di pensiero. La strada della Rete è definitiva e sarà sempre più determinante nella nostra esistenza. E credo che questa notizia sia da accogliere con ottimismo, cominciando ad attrezzarci per usare tutto quello che ci servirà ad essere persone migliori anche grazie ad essa.
Imparare il galateo della rete ci impedirà di venirne risucchiati. Di trasformarci in mostri sputasentenze dietro una tastiera. Di perdere il gusto dell’incontro personale desiderato dopo quello on line. Di trascurare la nostra reputazione digitale e di lasciar calpestare le idee che ci sono care.
Anche la Chiesa ha compreso, a causa della pandemia, che la Rete non è per forza solo un rischio educativo da controllare ma è anche una risorsa da sviluppare in prima linea per una buona evangelizzazione. E che quella che sembrava solo un’opzione, prima del Coronavirus, ora ha marcato in maniera definitiva il suo confine facendo scoprire anche agli anziani, anche alla vecchina devota che accende il suo cero quotidiano ogni mattina, che la vita può diventare più facile e persino più bella, fosse solo per il gusto di riallacciare contatti persi o di poter vedere i suoi nipoti qualche