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Smettere di lavorare: Cambiare vita – Guadagnare risparmiando – Far fruttare le proprie passioni - Vivere bene con poco – Trasferirsi all’estero
Smettere di lavorare: Cambiare vita – Guadagnare risparmiando – Far fruttare le proprie passioni - Vivere bene con poco – Trasferirsi all’estero
Smettere di lavorare: Cambiare vita – Guadagnare risparmiando – Far fruttare le proprie passioni - Vivere bene con poco – Trasferirsi all’estero
E-book279 pagine3 ore

Smettere di lavorare: Cambiare vita – Guadagnare risparmiando – Far fruttare le proprie passioni - Vivere bene con poco – Trasferirsi all’estero

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Info su questo ebook

Un manuale concreto e ricco di spunti, frutto dell’esperienza diretta di Francesco Narmenni, che un giorno ha deciso di trasformarsi da impiegato a padrone della propria vita, adottando passo dopo passo tutta una serie di accorgimenti che gli hanno permesso di vivere bene senza il tanto ambito “posto fisso”.

Smettere di lavorare ti insegna come fare per cambiare radicalmente la tua vita e riuscire a liberarti dalla schiavitù del lavoro. Contiene esempi concreti da applicare al quotidiano, conteggi precisi e una tabella di marcia da seguire.

È arrivato il momento di dare una scossa alla tua esistenza, di dire addio ai mal di testa da lunedì mattina, al traffico dell’ora di punta, allo stress onnipresente, alle vacanze forzate nella settimana di Ferragosto, ai capi incompetenti che guadagnano alle tue spalle e scaricano su di te le loro responsabilità.

Puoi uscire da questo folle meccanismo, tornare a essere libero, sfruttare a pieno il tuo tempo… e vivere senza lavorare. Il risultato è straordinario: vivere felici con meno di cinquecento euro al mese! Provare per credere.

Come smettere di acquistare il superfluo

Strategie per risparmiare

Autoprodursi il necessario

Raggiungere l’indipendenza energetica

Investire i propri risparmi

Vivere delle proprie passioni

La riscoperta del baratto

Opportunità di vita all’estero
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2020
ISBN9788868202446
Smettere di lavorare: Cambiare vita – Guadagnare risparmiando – Far fruttare le proprie passioni - Vivere bene con poco – Trasferirsi all’estero

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    Anteprima del libro

    Smettere di lavorare - Francesco Narmenni

    consumista

    1.

    OGNI MALEDETTA MATTINA

    1.1 Tutto comincia da qui

    Hai mai veramente riflettuto sul fatto che per tutta la vita ti alzerai stanco, guiderai in mezzo al traffico in uno stato di nervosismo perenne, lavorerai finché ci sarà luce e poi tornerai a casa più stanco di prima a sprecare le poche ore del giorno piantato davanti alla televisione? Hai mai veramente pensato che finisci inevitabilmente per passare il tuo tempo libero chiuso in un centro commerciale, spendendo i soldi che hai duramente guadagnato a comprare cose inutili, che ti servono per far colpo sugli altri, senza renderti conto che gli altri non ti amano di più se hai un nuovo cellulare o una macchina di lusso? Ti sei mai chiesto se ha veramente senso spendere gran parte di quello che hai guadagnato, obbligato ad andare in vacanza a ferragosto, stritolato tra migliaia di persone, pagando tutto il triplo del normale? Ti sei infine reso conto che quando il sistema ti lascerà libero, ridandoti un centesimo di quello che tu hai dato a lui, sarai vecchio e stanco, e avrai sprecato la vita a produrre e consumare, produrre e consumare, ogni giorno, ogni mese, ogni anno, in una folle corsa che non porta da nessuna parte?

    Io, un giorno, un pensierino su questi temi l’ho fatto ed è per questo che ho scelto di smettere di lavorare.

    Era un lunedì mattina e come sempre ero uno dei primi a essere arrivato in azienda, una grossa ditta d’informatica che produce principalmente software e servizi per la sanità. Solo, nella saletta ristoro appena fuori dal mio ufficio, mi accingevo a inserire gli spiccioli e richiedere al distributore automatico il primo dei cinque caffè della giornata. Mentre ragionavo su alcuni problemi irrisolti, mi resi conto che stavo già tenendo in mano il bicchierino marrone contenente il caffè; non avevo alcun ricordo di aver inserito monete, impostato il livello di zucchero e pigiato il tasto dell’espresso, avevo fatto tutto in modo talmente automatico da non aver nemmeno registrato l’informazione delle mie azioni.

    Rimasi immobile per qualche istante, poi feci per sorseggiare la miscela scura, ma non ne fui in grado: il bicchiere era vuoto. Impallidii. Possibile che non avessi il benché minimo ricordo di aver bevuto un caffè? Iniziai a cercare prove che dessero evidenza al fatto che quell’atto non era mai avvenuto, ma il sapore amarognolo che aleggiava nella mia bocca non mentiva: avevo bevuto un caffè senza nemmeno accorgermene.

    Poco male direte, capita di compiere azioni sovrappensiero, in modo automatico. Ma per qualche strano motivo non riuscivo a confinare quell’episodio nella sfera della semplice sbadataggine, c’era qualcosa di più profondo.

    Pensai: Perché bevo tutti questi caffè? A cosa mi serve e chi mi ha detto di farlo?. Come accadde dieci anni prima, quando smisi di fumare, anche in questa occasione risolsi tutto con uno dei miei classici gesti di rottura e così, con grande stupore di tutti, regalai la mia chiavetta elettronica a un collega e smisi di bere caffè.

    Nell’azienda in cui lavoravo gli aumenti di stipendio arrivavano a blocchi di ottanta euro netti, cioè quando con aria da cane bastonato andavi dal capo a chiedere un aumento, non c’era molto da contrattare: erano quei centoventi euro lordi che poi, tolte le trattenute, diventavano appunto ottanta. Aver rinunciato al caffè con un atto che, a oggi, posso affermare non mi abbia stravolto l’esistenza, mi ha regalato metà di un aumento di stipendio e non sono nemmeno dovuto andare dal mio superiore a piangere merenda.

    È nato tutto da un banale caffè, perché questa piccola rinuncia è stata l’incipit di un ragionamento di più ampio respiro che mi ha portato a pormi le seguenti domande: Quante altre cose inutili compero?, Quanti soldi spendo ogni giorno per fare cose che non mi servono e che non migliorano la mia vita?, Quanto posso risparmiare eliminando tutto il superfluo?.

    Iniziai quindi a ragionare sulla possibilità di tenere sotto controllo le spese, per capire quanto effettivamente potevo risparmiare; dopo qualche mese di tagli, comparazioni e schemi in Excel, mi resi conto che avrei potuto risparmiare fino a mille euro al mese! Inizialmente fui incredulo: ci doveva essere qualcosa di sbagliato, qualche formula scritta male. Possibile che fino a quel momento avessi sprecato così tanti soldi in cose inutili? Eppure i conti tornavano! Controllai e ricontrollai decine di volte: tutto sembrava corretto, potevo risparmiare due terzi dello stipendio!

    Tuttavia, proprio quando credevo di aver capito perché avessi dato così tanta importanza all’episodio della sala ristoro, si insinuò nella mia mente un’idea a cui non avevo mai pensato prima e che rovesciava completamente le carte in tavola. Con cifre così importanti non si trattava più di valutare quanto potevo risparmiare, ma quanto effettivamente mi sarebbe servito per vivere, cioè per condurre un’esistenza minimale: nutrirmi, vestirmi e pagare le bollette.

    Fu quella la prima volta che provai veramente paura, la paura che solo un’idea che va contro tutto e tutti può far esplodere, quando capisci che ogni cosa è cambiata e che non sarai più capace di tornare indietro, anche a costo di fallire, di perdere tutto. Sapevo che da quel momento in poi avrei perseguito quell’intento, sono fatto così, ma questo naturalmente mi terrorizzava a morte.

    Come avevo fatto a non pensarci prima? Se potevo vivere con pochi soldi a cosa sarebbe servito lavorare così tanto? Non c’era motivo di passare tutto il giorno chiuso in un ufficio a sacrificare la mia intera vita. Avrei potuto lavorare molto meno, liberarmi da tutti i pensieri, dedicarmi di più alla famiglia, agli hobby, usare il tempo che la vita mi aveva così generosamente donato per scopi molto più nobili della triste produzione di inutili beni di consumo.

    Mi tremavano le gambe, tale era la concretezza di quella possibilità. Avrei voluto subito chiamare al lavoro e chiedere una riduzione d’orario, comunicare a mia moglie la decisione, caricare mia figlia in macchina e passare il resto della giornata al lago. Però quanti dubbi: e se poi mi pento, se non riesco a pagare le bollette, se mi voglio comprare un paio di scarpe e non ho i soldi, se mi invitano a una festa e non ci vado perché non posso permettermi regali? No! Serviva elaborare una strategia concreta, approfondire meglio le tematiche, studiare come si vive in modo semplice, capire cosa comportasse e quali insidie nascondesse un cambio di vita tanto radicale. Mi misi subito alla ricerca d’informazioni, incosciente del fatto che i miei studi mi avrebbero spinto ben oltre la linea di confine che avevo paura di attraversare, portandomi a capire che era concretamente possibile non solo lavorare poco, ma anche smettere del tutto!

    Basta lunedì mattina nel traffico, dirigenti incompetenti che si elevano a maestri di vita solo perché ricoprono un ruolo superiore al nostro, weekend passati in ufficio a raggiungere obiettivi impossibili o ferie annullate per sopperire all’inettitudine di qualche capo incapace di pianificare le attività di una manciata di persone. Avrei potuto liberarmi da tutto e vivere felice, in un’eterna estate, dove c’è spazio solo per se stessi e le proprie passioni.

    In questo libro spiego come ho fatto e come chiunque può fare, perché non ero un manager strapagato che di punto in bianco ha deciso di smettere di lavorare, comprarsi una barchetta e girare il mondo grattandosi dalla mattina alla sera, ma un impiegato medio, con uno stipendio di 1500 euro al mese.

    1.2 La scoperta della decrescita

    Ho sempre voluto scrivere un libro, ma al contempo ero conscio dell’impegno che una tale mole di lavoro avrebbe richiesto, così non mi sono mai cimentato nell’impresa. In verità ho trovato il coraggio di iniziare solo dopo aver scritto quasi cento interminabili articoli per il blog smetteredilavorare.it. La paura era di non avere abbastanza cose da dire, anche perché inizialmente ero convinto che l’unica cosa che avrei dovuto fare sarebbe stata incentrare l’intero scritto sulle tecniche di risparmio. In realtà mi sbagliavo di grosso.

    Aprii il blog a fine 2011 con il chiaro intento di pubblicare una serie di articoli che trattassero il tema del risparmio; l’entusiasmo nato dallo scoprire che si poteva vivere con poco mi portò subito a voler condividere con quante più persone possibile la mia idea. Man mano che passavo le nottate a informarmi e cercare materiale utile, mi resi conto che esisteva un mondo nascosto di persone che la pensavano esattamente come me e che già da tempo riuscivano a campare con poco, abbracciando quella che veniva comunemente definita decrescita.

    La decrescita (degrowth in inglese, décroissance in francese, decrecimiento in spagnolo) è una corrente di pensiero politico, economico e sociale favorevole alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l’obiettivo di stabilire una nuova relazione di equilibrio ecologico fra l’uomo e la natura, nonché di equità fra gli esseri umani stessi.¹

    In soldoni, l’assunto della decrescita è che le risorse naturali sono limitate; per questo motivo non è matematicamente possibile basare l’economia mondiale su un concetto di crescita infinita, perché questa richiederebbe risorse infinite. Il concetto stesso di PIL quindi viene messo in discussione, ma di questo avremo modo di parlare più avanti.

    Non solo quindi migliaia di persone nel mondo praticavano già uno stile di vita volto a lavorare poco, ma esisteva addirittura una corrente di pensiero molto più articolata e completa del semplice concetto di risparmio che io intendevo sviluppare, un movimento che abbracciava economia, consumi, ecologia, etica e uguaglianza.

    Se la decrescita fondava gran parte dei suoi principi sulla necessità di ridistribuire in modo equo le risorse esistenti, io avevo in mente qualcosa di diverso e (se vogliamo) anche un tantino più egoistico: volevo trovare il modo di smettere di lavorare per sempre.

    1.3 Il sogno di tutti

    L’aperitivo post-lavorativo è ormai diventato un rituale consolidato un po’ ovunque: stressate dalla lunga giornata trascorsa a produrre, le persone dedicano parte del loro tempo ai rapporti con colleghi e amici. Ed è qui che, esaltati e intontiti dai fumi dell’alcol, spesso assistiamo a tristi proclami di progetti che non troveranno mai una realizzazione: Basta, mollo tutto e vado a vivere su un’isola deserta, Ho un amico che ha aperto un baretto in Messico e fa la bella vita, Mi prendo un anno sabbatico e faccio il giro del mondo.

    L’ora dell’aperitivo è un momento sociale molto particolare: si pone tra i doveri lavorativi appena trascorsi e quelli familiari che ci attendono. Per questo motivo, nel lasso di tempo che trascorriamo al bar, siamo particolarmente rilassati e positivi, e ci liberiamo temporaneamente dei problemi della vita quotidiana; siamo cioè più propensi a dare sfogo a quelle fantasie che spesso reprimiamo. Purtroppo, tutti noi scambiamo spesso i sogni per reali intenzioni e i progetti che fioriscono tra uno spritz e l’altro evaporano presto, senza lasciare traccia.

    Al mattino torniamo tutti a lavorare, rassegnati all’impossibilità di realizzare progetti così ambiziosi e visionari.

    Se scappare via da questa società e vivere più lentamente e in modo meno stressato è il sogno di tutti, per quale motivo quasi nessuno si attiva concretamente per migliorare le proprie condizioni di vita e trovare la felicità che sta cercando? Perché siamo tutti rassegnati a un futuro fatto solo di lavoro e soldi spesi in cose inutili?

    Nei prossimi due capitoli, prima di iniziare a delineare la strategia giusta per smettere di lavorare, analizzeremo i motivi per cui oggi siamo tutti convinti che lavorare, produrre e consumare sia il modo normale e giusto di vivere, e come questa condizione ci impedisca di essere felici. Contestualmente capiremo quale dovrebbe essere l’approccio mentale da adottare per affrontare un cambiamento tanto radicale.

    2.

    SIAMO TUTTI SCHIAVI, MA NESSUNO SEMBRA ACCORGERSENE

    2.1 Lo strumento di controllo

    Sono sempre stato profondamente convinto che la televisione sia il mezzo di controllo più potente oggi esistente, eppure chi lo avrebbe mai detto che quel bene di lusso che negli anni Cinquanta tutti desideravano si sarebbe trasformato nel peggior nemico della libertà? Mentre eravamo intenti a seguire Lascia o Raddoppia con un Mike Bongiorno appena trentunenne, la grande macchina del controllo sociale si era già messa in moto, pronta a piegarci al suo volere a colpi di quiz, veline e talent show.

    Crediamo di essere in grado di guardare la televisione, godere dei programmi e ignorare la pubblicità. Ovvio, chi di noi non cambia canale quando scattano gli spot pubblicitari? Questo ci mette in salvo? No. Crediamo di poter scegliere, di essere abbastanza scaltri da saper filtrare, distinguere i programmi televisivi dagli spot, ignorare la pubblicità, relegarla a ingannevole messaggio da evitare, ma in verità siamo completamente disarmati e subiamo inconsapevolmente un continuo lavaggio del cervello.

    Il risultato finale è che abbiamo imparato ad associare immediatamente marchi, slogan, canzoni e volti a determinati prodotti, tanto che se ci chiedessero di completare le seguenti frasi, non avremmo alcuna difficoltà:

    Dove c’è B_______, c’è Casa.

    V_______, è tutto intorno a te.

    V_______, la natura di prima mano.

    Complimenti, hai ottenuto il massimo del punteggio e sei stato promosso al rango di teledipendente.

    2.2 Perché manipolarci?

    Nel 2004, di fronte a una platea di dirigenti televisivi, il direttore del primo canale della TV pubblica francese fece la seguente dichiarazione:

    Affinché un messaggio pubblicitario sia percepito, è necessario che il cervello dello spettatore sia disponibile ad accettarlo. Le nostre trasmissioni hanno come obiettivo quello di renderlo disponibile, cioè divertirlo, rilassarlo e quindi prepararlo al messaggio che arriverà. Ciò che noi vendiamo ai nostri sponsor non è il tempo, ma una corretta preparazione del cervello dell’individuo alla manipolazione dei messaggi pubblicitari.

    L’intero meccanismo televisivo è pensato per modificare la nostra percezione della realtà, al fine di plasmarci. Il legame tra i programmi e gli spot è così forte che le pubblicità più efficaci sono quelle che hanno come protagonisti gli stessi personaggi televisivi; in questo modo si riduce al minimo il distacco tra trasmissione e spot, creando un continuo che confonde lo spettatore al fine di aumentare la credibilità di un prodotto.

    Il semplice fatto che riteniamo di qualità o universalmente migliore e vero ciò che passa in TV è sintomatico dell’idea che negli anni sono stati capaci di inculcarci. Quante volte sentiamo la frase l’hanno detto in TV…, come a sottolineare che non è una stupidaggine; se lo dice la televisione o qualche personaggio famoso, è certamente vero. E pensare che invece la natura stessa del mezzo non solo ci rende impossibile verificare le informazioni passate, ma induce a ritenere di valore persone delle quali non sappiamo nulla, ma che presumiamo migliori solo perché appaiono spesso in televisione.

    Di conseguenza, anche i messaggi portati da tali individui saranno migliori e credibili.

    La vera forza della televisione però non sta in quello che dice, ma in ciò che non dice. Proprio perché le menti delle persone vanno appositamente preparate a ricevere i messaggi pubblicitari, nelle fasce orarie con gli ascolti maggiori (soprattutto di pubblico giovane) vengono prediletti programmi senza spessore, che non richiedono particolare attenzione e che contribuiscono a mantenere il livello culturale basso. Uomini e Donne, Pomeriggio cinque, Ciao Darwin sono solo alcuni esempi di trasmissioni capaci di alimentare la mediocrità delle persone, evitando che utilizzino il cervello per ragionare e giudicare in modo critico le pubblicità innestate nel programma.

    Questa pratica, di fatto, ci mantiene in uno stato di ignoranza diffusa, che ottimizza il nostro assorbimento di messaggi pubblicitari. In parole povere, in televisione tutto complotta contro di noi.

    Per completare il quadro bastano pochi numeri: guardare la televisione è un’abitudine consolidata per il 94% della popolazione dai tre anni in su e mediamente ogni italiano passa quattro ore al giorno davanti alla TV. Se facciamo una breve stima ci rendiamo subito conto che in un anno buttiamo via circa due mesi paralizzati davanti al teleschermo. Il conteggio diventa a dir poco imbarazzante se applicato all’intero arco della nostra vita, dove emerge che sprechiamo tredici anni seduti su un divano a guardare una scatola di plastica.

    Escludendo il lavoro, a quale altra attività, nell’arco della nostra esistenza, ci dedichiamo con così tanta costanza e impegno? Probabilmente nessuna! Risulta quindi evidente che sprechiamo quasi tutto il nostro tempo libero immersi nei programmi televisivi, tra quiz, talent show, film e pubblicità.

    Il sito web sintesi.it ha svolto un’indagine su un considerevole campione di persone, stabilendo che chi guarda molta TV risulta meno propenso a fare volontariato, dipingere, scrivere, leggere, suonare ecc., cioè a dedicarsi a tutte quelle attività ricreative che aiutano il naturale sviluppo psicofisico della persona.

    2.3 Come la TV limita la nostra libertà

    La realtà televisiva produce dei veri e propri modelli di vita che, per via del potere di persuasione e dell’uso esagerato che ne facciamo, finiscono per diventare esempi da imitare, soprattutto per bambini e adolescenti. Ore e ore di esposizione a situazioni e modelli irreali fanno sì che le persone interiorizzino e riproducano gli atteggiamenti, i linguaggi e i comportamenti proposti.

    Siccome tutti guardiamo la televisione, i nostri modi si omologano e tendiamo a essere sempre più gli uni uguali agli altri. L’omologazione arriva poi a un punto tale che diventa un vero e proprio stile di vita, tanto che chi non si comporta o non pensa come gli altri viene considerato strano, diverso, sfigato e infine emarginato.

    La libertà di pensiero, d’azione e l’unicità dell’uomo sono di fatto limitate da questo meccanismo. Se essere differenti diventa un qualcosa da evitare, anche essere intraprendenti, cercare nuove strade e nuove soluzioni diventano azioni impopolari e fonti di potenziale discriminazione sociale.

    È come se ogni giorno ci venisse ripetuto fino alla nausea il copione che dobbiamo seguire, quello giusto, che ci tiene al riparo dai giudizi e ci dà quel senso di sicurezza e integrazione che inconsciamente andiamo cercando.

    Cosa ne è di quell’unicità meravigliosa che la vita ci ha donato? Siamo tutti impazziti? Le persone dovrebbero dedicare le loro energie a coltivare la propria unicità invece che puntare a comperarsi tutti lo stesso paio di jeans da duecento euro, pubblicizzato dalla velina di turno, sperando di assomigliare il più possibile a un modello di essere umano che non esiste.

    Le ali che ti hanno venduto ti piegano la schiena cantano i Ministri in uno dei loro

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