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Fare Impresa nell'Era 2.0
Fare Impresa nell'Era 2.0
Fare Impresa nell'Era 2.0
E-book138 pagine1 ora

Fare Impresa nell'Era 2.0

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Info su questo ebook

Globalizzazione, Social Networking, SmartPhone. Cambiano le imprese, le relazioni, le organizzazioni.
Lezioni tratte dall’osservazione della realtà e proiezioni sugli scenari del futuro.

Con un linguaggio moderno, diretto ed efficace, vengono illustrati gli assunti, le considerazioni, gli esiti, le tecnologie sul piano degli scenari attraverso numerosi casi di eccellenza tratti dalla realtà

LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2010
ISBN9781452359045
Fare Impresa nell'Era 2.0
Autore

Alessandro Giacchino

Classe 1956, laurea in ingegneria al politecnico di Milano, diploma Master CBS alla Bocconi, Alessandro Giacchino ha lavorato in IBM, Gruppo Fininvest, Gruppo Olivetti dove si è occupato di marketing, ha avviato e diretto alcune società tutte nell’area delle nuove tecnologie. Nel 1993 ha fondato Business Consulting International Italia (BCI Italia), società di servizi che tuttora gestisce, attraverso la quale ha fondato e diretto per 20 anni il mensile di consulenza nell’area informatica Toolnews, ha avviato itware.com, uno dei primi siti italiani dedicato alle soluzioni IT per le imprese, e tiene e regolarmente conferenze sulle nuove tecnologie. Giornalista, Manager, Imprenditore, Direttore editoriale, docente, con una dozzina di start-up alle spalle, alcune delle quali oggi quotate in borsa, ha accumulano una notevole esperienza nell’anticipare fenomeni tecnologici e sociali, traendone e facendo trarne profitto. Il primo libro autopubblicato risale al 1979, all’epoca degli studi universitari: in soli 6 mesi gli fruttò l’acquisto di una mitica Honda 500 Four. L’ultimo è del 2010, Fare Impresa nell’Era 2.0, tuttora attuale e precursore della Digital Disruption che con il self-publishing sta minando anche il futuro dell’editoria tradizionale.

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    Anteprima del libro

    Fare Impresa nell'Era 2.0 - Alessandro Giacchino

    E’ un comune scambio di SMS tra due fidanzati di oggi. Serve traduzione?

    "Aperitivo alle 20.00 di stasera. Ci sei? Baci".

    "No, sono a Roma. Purtroppo. Ti chiamo appena posso. Ti voglio bene".

    Una terminologia totalmente nuova, un miscuglio di sigle, onomatopee ed altre abbreviazioni. Per di più, per la regola che un’immagine vale più di cento parole, specie quando non se ne possono scrivere tante, ormai ci si esprime utilizzando comunemente l’alfabeto di faccine, chiamate Emoticons (fusione tra i termini Emotions ed Icons), a metà tra i geroglifici egiziani ed i moderni fumetti. Ce ne sono per tutti i gusti, e bisogna conoscerne bene i significati per non fare gaffes:

    Se il linguaggio va in questa direzione, possiamo ancora parlare di retorica? Di sofisticati aforismi, di discussioni, di scambi intellettuali? Si, ma con fraseggi molto diversi da quelli del passato e mezzi quali Twitter che ormai trionfano nell’interscambio di informazioni e notizie grazie alla stringatezza dei messaggi rigidamente limitati a 140 caratteri. In tal modo, ci si esprime sempre di più per titoli, anziché per paragrafi, quasi come si fosse dei Caporedattori di quotidiani, lasciando aperta la possibilità di approfondire i vari concetti usando nuovi mezzi come i Blog, le Chat o le VideoChat, attraverso le quali si possono approfondire i contenuti, gestire scambi di opinioni, creare movimenti e anche guardare in faccia i nostri interlocutori.

    Grazie ai siti personali o a quelli di Social Networking tipo Facebook, YouTube e via dicendo, le interazioni possono avvenire in diretta, o anche in differita, operando su scala globale o per gruppi riservati, riuscendo anche a classificare i vari interlocutori, vedendone gli amici e le relazioni, mettendo così in pratica il detto dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.

    Siamo sempre online. Le notizie viaggiano alla velocità della luce, fanno percorsi diretti tra gli individui senza alcun mediatore che li possa controllare, censurare, deviare. E se anche qualcuno ci prova, viene ben presto bypassato da nuove soluzioni tecnologiche o espedienti organizzativi, così come dimostrato dai tentativi di censura operati contro Google in Cina o Twitter in IRAN.

    Cambiano i costumi della gente, i meccanismi sui quali si fonda la comunicazione, con una profonda rivisitazione dei mestieri di giornalista, commentatore, Opinion Maker. Nascono redazioni allargate alle persone comuni, aperte a chiunque abbia una notizia o un telefono cellulare capace di fare foto o filmati, con Striscia la Notizia come Faro Guida, illuminante e dirompente di questo nuovo fenomeno: l’inviato è l’uomo della strada, l’alimentazione delle notizie viene fatta via Internet, così come la loro diffusione ed eventuale amplificazione degli effetti in termini giudiziali, avvio di azioni personali, creazione di movimenti. In un contesto di tal genere, si può pensare ancora in termini di Media, pubblicità, Mercato, o occorre concentrarsi sui singoli individui, sulle relazioni, sul trust, sulle aggregazioni attorno ad interessi e condivisione di idee ed intenti?

    Cambiamenti che valgono solo a livello di costumi? Pensiamo alle imprese moderne ed ai nuovi posti di lavoro, intesi sia come relazione, sia come luogo.

    L’azienda che una volta si identificava con l’insegna sulla propria sede, unico centro di ideazione, produzione, commercializzazione dei prodotti, non esiste più. Anzi, molto spesso non esiste più neppure la produzione: con lo spostamento verso la società dei servizi, l’economia è sempre più permeata da imprese che offrono soluzioni e servizi, puntando più sulla esperienza di acquisto, che sui beni reali che propongono. Alcuni esempi?

    Nel puro mondo Internet, eBay, PayPal, Google, Amazon devono tutto il loro successo non ai beni che producono (o, meglio, che non producono, visto che nessuna di queste quattro aziende fabbrica alcunché), quanto alle relazioni che hanno instaurato con i propri clienti, spaziando dai servizi di Search di Google a quelli di pagamento sicuro di PayPal, al commercio di ogni genere di oggetti, nuovi o usati, intermediati da eBay o Amazon.

    Già, si potrà dire, facile puntare sulle aziende di servizi Web. Ma come la mettiamo con le imprese che fanno prodotti? Bene, pensiamo allora ad Apple con i suoi iPod, iPhone, iPad: quanto pesa la componente industriale del prodotto rispetto alle emozioni che generano in chi li possiede? Nel lotto rientrano aziende che producono profumi, orologi, borsette o anche piastrelle affittando i marchi di grandi stilisti e di brand di prestigio, quali Giorgio Armani, Ferrari Auto, Louis Vitton. Per non parlare delle aziende nelle quali il marchio è legato unicamente alla progettazione di base dei prodotti, mentre ne vengono delegate a fornitori esterni distribuiti in ogni parte del mondo tutte le attività produttive, logistiche ed amministrative. Qualche nome? Cisco per gli apparati di rete, Dell per i computer, ma anche Gucci o Zara nell’abbigliamento, Ikea o Natuzzi nell’arredamento.

    La stessa industria dell’auto, tipicamente associata al concetto di fabbrica, ormai si è ridotta ad occuparsi unicamente delle fasi di assemblaggio, approvvigionandosi da terzi per tutta l’elettronica, gli pneumatici, gli accessori. Ma anch’essa sta puntando in modo sempre più deciso ad esternalizzare anche le fabbriche, così come sta facendo, ad esempio, Fiat con gli impianti di Pomigliano.

    E che dire della possibilità di lavorare da casa, grazie a telefonini e connessioni ad altra velocità? Dei contratti sempre più legati alle prestazioni dei singoli e a quelle del gruppo, dell’abbandono di stipendi fissi, carriere, formazione, ecc.? Della flessibilità che lega i posti di lavoro alle prestazioni aziendali non facendone più una questione di merito, ma di opportunità economica/finanziaria? Siamo tutti professionisti, prestatori d’opera e non più dipendenti legati ad un patto di fedeltà a vita, ad un ufficio, ad un luogo di lavoro.

    In un tal contesto, possiamo ancora pensare all’azienda come ad un luogo nel quale recarsi ogni mattina a lavorare, all’esistenza di colleghi, agli orari, ai periodi ferie, ai capi?

    L’azienda diventa un Brand tenuto insieme dai processi che partono dalla creazione di Valore Aggiunto ed arrivano alla distribuzione sul mercato, con i conseguenti incassi dai clienti. Tutto il resto nel mezzo può essere virtualizzato, delega to all’esterno, cancellato se non concorre alla creazione di valore.

    La vetrina dell’azienda diventa la sua presenza sui canali di comunicazione – a cominciare da Internet – altrimenti il Brand non esiste, puntando esclusivamente sui mercati, ovvero gli individui, che ne costituiscono il target. Il resto diventa inutile, superfluo, un dannoso spreco di risorse.

    In sostanza, davanti ad un radicale cambiamento nei comportamenti della gente e ad una profonda trasformazione dei modi di fare impresa, vanno ripensati gli approccii con i quali impostare le strategie, le organizzazioni, i canali e gli stili della comunicazione e, naturalmente, le strutture informatiche sulle quali fare affidamento. Questo è l’obiettivo che si deve avere nel leggere Fare Impresa nell’era 2.0. E, ovviamente, in perfetta linea con la filosofia 2.0, sono benvenuti i contributi, le opinioni ed i commenti da parte dei lettori per i quali è disponibile un apposito spazio su un Blog creato proprio a tale scopo.

    I contenuti raccolti attraverso il Blog entreranno a far parte della prossima edizione di questo volume, ma a ad essi sarà dato risalto anche via Internet, attraverso i più classici mezzi di comunicazione del Web: e-Mail, Feed, Forum.

    §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

    Chapter 1:

    Capitolo 1 - Linguaggio, Comunicazione, Interazione

    Una volta, nelle case si parlava il dialetto. Dialetto che è spesso molto diverso da paese a paese, anche a distanza di pochi chilometri, arricchito da espressioni tipiche di lessico familiare che per certi versi ne fanno la lingua dell’intimità, delle relazioni. Tendenzialmente, infatti, si parla il dialetto con i familiari, gli amici più stretti, nel bar di sempre. Difficilmente in pubblico, mai in una conferenza.

    Con il tempo, il dialetto è stato soppiantato dall’italiano, grazie soprattutto alla televisione, ai giornali ed alla pubblicità, molto più di quanto in effetti abbia fatto la scuola, sebbene il suo valore è stato creare la base affinché persone di origini diverse potessero comunicare tra loro. Così, l’italiano è divenuto soprattutto la lingua delle aziende, dell’ufficialità, degli eventi formali. Tant’è che stuoli di autori, comici, copywriter si sono scatenati nel creare testi ricchi di frasi ad effetto, di doppi sensi, di giochi di parole.

    La globalizzazione ha rimesso in discussione equilibri creati a fatica, generando popolazioni multirazziali, nelle quali gli inquinamenti reciproci tra le diverse lingue,

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