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Liberati della brava bambina: Otto storie per fiorire
Liberati della brava bambina: Otto storie per fiorire
Liberati della brava bambina: Otto storie per fiorire
E-book205 pagine3 ore

Liberati della brava bambina: Otto storie per fiorire

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Info su questo ebook

Cosa significa essere donna? Non alzare la voce, non ribellarsi. Obbedire al padre, al marito, alla società. Significa calma e sottomissione. Dover essere una brava bambina, poi una brava moglie e una brava madre. Eppure per qualcuna tutto questo non basta.

Attraverso otto storie che spaziano dal mito alla contemporaneità, gli autori raccontano l’altra faccia della luna: e cioè come fin dagli albori dell’umanità, in saghe, leggende ed epopee letterarie, i modelli di donne forti sono sempre stati ridotti al silenzio. Ma dal nuovo racconto delle storie di Era, Medea, Daenerys, Morgana, Malefica, Difred, Elena, Dina, se ci si pongono le domande giuste, possono risultare modi diversi di vivere se stesse e la propria femminilità, di leggere i meccanismi che circondano e intrappolano. Con la guida della filosofia, che ci aiuta a domandarci il significato delle cose e ci indica un comportamento nel mondo, questi ritratti femminili insegnano come trasformare le gabbie in chiavi e volgere le difficoltà in opportunità. Solo così ci si potrà finalmente permettere di esistere, e non aver paura di fiorire.

Fare filosofia aiuta a piazzare punti interrogativi alla fine delle parole, come fossero esplosivi. Non più “donna”, ma “donna?”, non più “si fa così”, ma “si fa così?”. Non più “è sempre stato così”, ma “è sempre stato così?”. In questo modo ogni preconcetto esplode, e si aprono passaggi segreti impensabili e altrimenti invisibili.

LinguaItaliano
Data di uscita7 mar 2019
ISBN9788858997000
Liberati della brava bambina: Otto storie per fiorire

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    Anteprima del libro

    Liberati della brava bambina - Maura/Andrea Gancitano/Colamedici

    Beauvoir

    IL PROBLEMA SENZA NOME

    Anche se ha fatto tutto quello che c’era da fare, anche se ha raggiunto quel che si era prefissata, c’è ancora qualcosa di sostanziale che la rende infelice. È come una tessera che non si incastra bene dov’è collocata, un tassello mancante, un problema senza nome. A volte questa assenza è disperata; altre volte tutto va avanti così velocemente che non ci pensa più ma, appena il ritmo rallenta, ecco riaf¬facciarsi la solita inquietudine a cui non trova risposta.

    Non l’ha confessato a nessuno, per paura che la sua fosse ingratitudine per ciò che la vita le ha donato, oppure sintomo di un brutto carattere. Ha pensato che fosse un suo problema, e allora ha analizzato, instancabile e ostinata, ogni singolo episodio della sua esistenza per riu¬scire a trovare il bandolo della matassa, per capire quale fosse la causa del suo malessere. Ha passato in rassegna le relazioni del passato, cercando di capire se per caso avesse ripetuto sempre uno stesso errore o avesse, più o meno consapevolmente, evitato di risolvere quel problema che le impediva di vivere pienamente i rapporti con gli altri e con se stessa. Ha provato anche a ricontattare compagni e amici, per chieder loro cosa ricordassero di lei: magari c’era qualcosa che avevano evitato di dirle, al tempo; forse aveva avuto delle colpe di cui non era stata capace di accorgersi. Era finalmente pronta a farci i conti, spronata dal bisogno di risolvere una volta per tutte quel turbamento così insidioso. Ma nulla: non è stata in grado di ottenere nessuna soluzione, nessuna chiarificazione.

    La ragione per cui sente questa insoddisfazione bruciante è banale nella sua semplicità, eppure importantissima: è una donna. Questo non vuol dire – come qualcuno le ha detto – che è complicata e incomprensibile, isterica e indomabile, intrattabile, uterina, permalosa, petulante. Significa, al contrario, che è parte di una storia di sottomissione, violenza, abuso, silenzio. Anche se non l’ha vissuto in prima persona, porta dentro di sé la memoria di tutto quello che le altre donne hanno subìto nel corso della storia a causa del proprio bisogno di essere libere e di realizzare se stesse, e le sue paure singolari derivano direttamente da questo ricordo, invisibile ma minaccioso. La paura di essere tradita, la paura che le vengano tarpate le ali, la paura di essere sopraffatta dalle responsabilità, caricata di pesi infiniti sulle spalle; la paura che le venga detto che non può parlare, che non può andare via, che è una millantatrice, che deve tornare al suo posto. Come se dovesse costantemente dimostrare gratitudine per il fatto di vivere in un mondo ostile.

    La buona notizia è che questo problema senza nome non è solo suo, ma qualcosa che Lei condivide con milioni di altre donne nel mondo. La cattiva notizia è che rappresenta ancora un tabù, una cicatrice tanto profonda da non essere condivisa neppure tra donne, e ancora incomprensibile per molti uomini. La porta a sentirsi sbagliata, a essere percepita dagli altri come troppo aggressiva o troppo remissiva, troppo arrabbiata o troppo incline al risentimento. Allora ha cercato di distrarsi, di convincersi che la cosa non esistesse davvero; ha provato ad abbassare il volume della voce che glielo ricordava e ha cercato di farsi andare bene la limitatissima griglia offerta da chi la circondava, sperando che questo potesse renderla felice. E si è fatta più piccola, più innocua, e altre volte ha assunto una forma che non era la sua: si è travestita con i panni di un personaggio distante da sé pur di riuscire a non pensarci, a sostenere il peso di questa inconfessabile frustrazione.

    E così, anche se nella sua vita ha compiuto scelte difficili e coraggiose, dentro di Lei ci sono ancora dei condizionamenti che la fanno sentire irrealizzata, e un problema senza nome che non riesce a risolvere. Perché ogni distrazione serve a poco se non riesce a sciogliere quell’enigma.

    Questo libro parla dei conflitti interiori che ha dentro, delle cicatrici archetipiche che la fanno stare sulla difensiva, che le scatenano la paura di essere invasa e violata nel corpo e nella psiche. È la memoria di un dolore che non ha tanto a che vedere con la storia personale, ma soprattutto con quella collettiva. Se è complicata e incomprensibile e se ha difficoltà a dire ciò che pensa davvero non è perché è infida, infantile o petulante, ma è anche perché nella storia le donne sono state zittite e umiliate, violate e deprezzate. Lei porta nel corpo questo dolore, anche se non lo ha vissuto direttamente: come se avesse ricevuto in eredità i brividi di chi l’ha preceduta. La storia di queste umiliazioni rivive in romanzi, poe-mi epici e narrazioni contemporanee, e tutte queste storie possono aiutarla a trovare la via d’uscita dal labirinto in cui l’interiorità rimane spesso prigioniera, a comprendere quali siano le ragioni e le relazioni che le impediscono di percorrere la sua autentica strada.

    Per aiutarla a mettere in luce gli aspetti del problema senza nome, un malessere ancora segreto e nascosto ma dagli effetti devastanti, le racconteremo le storie di Era, Medea, Daenerys, Morgana e le altre. Useremo questi personaggi per parlare della narrazione che ogni donna si porta dentro e che spesso ha paura e vergogna di raccontare, e la filosofia sarà la nostra compagna di viaggio. Filosofia intesa nel senso antico del termine: non una serie di bei concetti, come si tende a credere oggi, ma l’arte di saper vivere. Ha scritto Pierre Hadot che lo scopo della filosofia «è guidare verso lo sviluppo armonioso dell’intera personalità umana, che culmina nell’acquisizione della saggezza quale arte di vivere». Filosofare aiuta a piazzare punti interrogativi alla fine delle parole, come fossero esplosivi. Non più donna, ma donna?, non più si fa così, ma si fa così? Non più è sempre stato così, ma è sempre stato così? In questo modo ogni preconcetto esplode, e si aprono passaggi segreti impensabili e altrimenti invisibili. E si potrà osservare con altri occhi anche la condizione di molti uomini di oggi, sperduti tra l’esigenza di differenziarsi dalle ispirazioni limitanti del passato e l’incapacità di trovare e incarnare nuovi modelli nel futuro.

    Comincia ora il viaggio di Lei che ha bisogno di trasformarsi interamente, che non ha più voglia di fare la guerra, che vuole impegnarsi per creare una società nuova, che vuole realizzarsi senza essere giudicata: che vuole essere considerata, prima di tutto, un essere umano.

    LEI

    Nel tempo, Lei ha dovuto erigere un muro per proteggersi, una barriera difensiva che però – se vuole arrivare davvero a sciogliere il problema senza nome e rifiorire – dovrà distruggere. Di sicuro è crollato qualche mattone e si è aperto uno spiraglio che le ha fatto intravedere meraviglie, ma le pareti del muro sono così spesse che sembrano impossibili da espugnare. Invece si può fare. Non può buttarlo giù interamente da sola perché si tratta di un cambiamento sociale che deve essere condiviso e che tira in ballo molti fattori, come vedremo. Ma può compiere gran parte del lavoro.

    Il primo passo è smettere di far finta che non esista un problema, e rompere il tabù; il secondo è smettere di trovare un passatempo per allontanarlo: lo shopping, un nuovo arredamento per la casa, un hobby, un viaggio, una sfida personale, un’ossessione. Così, riempie gli scaffali del bagno di prodotti per la pelle mentre dentro tutto avvizzisce. Segue sui social le vite degli altri per non accorgersi di morire lentamente. Si ossessiona con il proprio aspetto fisico per sfuggire alla disperazione. Nulla di tutto questo è da demonizzare in sé: ogni interesse può essere autentico o inautentico, dipende dalle ragioni che spingono a dedicargli del tempo. Può decidere di occuparsi di qualcosa perché le piace e la aiuta a esprimersi, oppure come giustificazione per scappare da ciò che dovrebbe fare davvero. Lei deve essere libera di ricercare la propria felicità nei campi che sente più affini, senza sentirsi giudicata per la frivolezza o la serietà delle sue scelte. In questione è, piuttosto, proprio la possibilità di scegliere, il diritto di potersi occupare liberamente di se stessa. Essere libera di perdersi e di trovarsi.

    Il terzo passo che dovrà compiere è rendersi conto di quale sia la condizione della donna nella nostra società: sebbene siano crollate tantissime convenzioni e oggi le donne siano molto più libere di scegliere se avere figli, sposarsi, esprimere il proprio orientamento e comportamento sessuale o esercitare lavori pesanti, è ancora forte la voce di chi sostiene che essere donne sia un destino e che essere femminili significhi comportarsi in una maniera ben precisa. Si ritiene realizzata una donna solo se è madre, solo se è capace di farsi da parte, solo se riesce a non alzare mai la voce, a non scomporsi mai, a obbedire e a servire l’autorità (il padre, il marito, la società) senza alcun colpo di testa, mai. Una specie di bambola in carne e ossa. In fondo vive ancora in una società in cui un uomo che si prende cura dei propri figli viene definito mammo, e se si occupa delle pulizie di casa è considerato addirittura succube della compagna: come se lavare i piatti o cambiare un pannolino fosse disonorevole per un uomo e realizzante per una donna. Una società in cui ogni tipo di scelta diversa da quella legata alla fisiologia è vista come innaturale, sporca, ¬disarmonica.

    Questo genere di condizionamenti esiste ancora e non compromette solo la vita pubblica, ma soprattutto quella personale. Influenza le scelte d’acquisto, le relazioni affettive, l’efficacia nel lavoro, il rapporto con il corpo, l’identità personale. Nelle donne come Lei, in particolare, questi condizionamenti portano a uno stato di perenne infelicità, una continua insoddisfazione che abbiamo chiamato, usando le parole di Betty Friedan, il problema senza nome: alla donna viene imposto di essere femminile, e si identifica la femminilità con la procrea¬zione, la cura dei figli, del marito e della casa.

    Il percorso di crescita è disseminato di segnali di pericolo che le dicono pressoché la stessa cosa: Fai pure quello che vuoi, ma stai attenta a non perdere la tua femminilità. Sii procace, sii sensuale, sii sottomessa, sii devota. L’accusa arriva sia da uomini sia da donne: una femmina troppo assertiva e determinata, che non desidera diventare madre oppure, se è madre, non si definisce solo in quel ruolo, è costantemente in grave pericolo. Rischia di mascolinizzarsi, di essere meno donna. È come se ogni volta che riesce a fare un passo in avanti verso se stessa, perdendo un po’ di vergogna e di insicurezza, arrivasse qualcuno a instillarle il seme del dubbio, a suggerirle il pericolo. È forte il timore di quell’accusa: Stai diventando maschile, ammorbidisciti, occupati di piccole cose, ricavati la tua nicchia. Tante donne si piegano ancora a questo condizionamento, cercando di convincersi che sia giusto e che sia l’unico modo per essere felici: eppure quasi mai è così. Lei sente dentro un desiderio, il richiamo di una parte di sé che ha sepolto in profondità e a cui non riesce a dare voce, che non sa come tirare fuori. Qualcosa che un tempo non avrebbe potuto esprimere senza essere umiliata, e che ora ha imparato solo a proteggere e nascondere, e non a -manifestare.

    È ancora raro che una donna sia davvero accompagnata nel percorso di fioritura personale, che le venga detto quanto sia importante soddisfare l’esigenza fondamentale dello sviluppo e della realizzazione delle proprie potenzialità come essere umano, che non si esauriscono nel ruolo sessuale. Questo senso di incompletezza, dunque, deriva dal bisogno profondo di sentirsi pienamente se stessa, di disobbedire a queste direttive, di non aver paura di fiorire.

    LE EROINE CHE INCONTRERÀ

    Le è stato detto di essere una brava bambina, poi una brava moglie e una brava mamma. E, anche se forse non se ne è accorta, le sono state raccontate delle storie in cui le donne che non rispettavano queste istruzioni diventavano pazze, o venivano uccise o rimanevano sole. Molte di queste storie, in realtà, sono state narrate a metà, o manipolate, perché nascondevano delle protagoniste forti e volitive che non si erano piegate alle imposizioni sociali. Incontrerà otto di queste grandi donne della letteratura mitica e contemporanea, che la accompagneranno a scoprire gli otto aspetti del problema senza nome.

    Le loro storie saranno la chiave per aprire la porta alle sue soluzioni al problema (che etimologicamente significa ciò che si getta avanti, cioè qualcosa che può rappresentare un ostacolo ma anche un trampolino), in un processo che partirà dal riconoscimento personale e andrà fino a quello esteriore. Il problema senza nome non è una patologia, ma un desiderio, e ogni desiderio si risolve solo quando viene esaudito.

    ERA O LA RINUNCIA ALLA REALIZZAZIONE

    La bellezza dei miti greci sta anche nell’impossibilità di ricondurre a un’unica narrazione la biografia di un dio, di una dea, di un eroe o di un’eroina. È il caso di Era, la dea che i romani chiamarono Giunone e su cui esistono moltissime storie, spesso in contraddizione tra loro: alcuni la vogliono fedelissima al marito, Zeus, che invece era fedifrago, mentre altri le attribuiscono più di una relazione extraconiugale. Altri ancora la vogliono fedele al patto matrimoniale ma disposta a tutto pur di vendicarsi dei tradimenti del consorte: pare che la dea Teti le avesse fornito un’alga grazie alla quale concepì Efesto, il dio più brutto, al solo scopo di far andare ai matti il consorte. Nonostante le storie attorno alla sua figura sia¬no innumerevoli e meravigliosamente contraddittorie, c’è una caratteristica che torna in tutte le narrazioni che la riguardano, e che non ha niente a che vedere con la rabbia e la gelosia, come molti credono.

    Fu solo dopo un lungo corteggiamento che la dea accettò di sedersi al fianco di Zeus. Dopo numerosi tentativi di seduzione andati a vuoto, infatti, il dio si trasformò in un tenero cuculo, zuppo e tremante, e si andò a posare sulla spalla – qualcuno dice sulle ginocchia – della dea. Lei, che era ancora vergine e aveva scelto di vivere sola, lontana dagli altri dèi, si intenerì e pose il cuculo in seno per riscaldarlo. A quel punto Zeus si trasformò e la sedusse. Zeus fece inizialmente tenerezza a Era: lei aprì il suo cuore e si rese vulnerabile, rinunciando alla sua solitaria libertà. Prima di lei Zeus aveva provato ad avere una relazione con Metis e Themis, ma queste si rivelarono non addomesticabili o ingannabili: non avrebbero mai accettato di perdere la propria autonomia e di recitare il ruolo di moglie. Era, intenerita, si lasciò avvicinare. Questa è l’interpretazione ufficiale della storia. Ma allora, se fu tutto così dolce e tenero, perché viene fatta passare come una dea gelosa e vendicativa?

    Perché quella tecnica di seduzione nasconde una dinamica ancora oggi comunissima di relazione tra uomo e donna: lui, che non riesce a conquistarla in modo diretto perché si rende conto che lei è troppo libera e indipendente, si finge ferito e bisognoso di essere salvato pur di conquistarla; lei crede alla buona fede di quella richiesta e sceglie di rinunciare a tutto per prendersi cura dell’amato, rompendo addirittura il patto stretto con se stessa, cioè di preservare la libertà assoluta e l’autonomia. O, leggendo la stessa storia da un’altra prospettiva, lui le si avvicina con l’inganno e la stupra. Nel corso del tempo, a ogni modo, lui si disinteressa della compagna, la tradisce e lei inizia a sviluppare un’insofferenza per lui e ¬nostalgia per la libertà a cui ha rinunciato.

    Sembra anche che un giorno, stanca dei continui tradimenti del marito, Era gli nascose le folgori, lo legò al letto e cominciò a studiare un piano per sostituirlo al potere, minacciando di scagliarlo giù dall’Olimpo. Fu l’atto di

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