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Angeli Caduti
Angeli Caduti
Angeli Caduti
E-book1.351 pagine

Angeli Caduti

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Info su questo ebook

Angelo Del Fuoco

 

Il mio nome è Darcy Anderson e sono stata maledetta con un oscuro potere. Ogni volta che la mia vita è in pericolo, qualcosa dentro di me, invoca il potere elementare del fuoco per proteggermi. Non posso controllarlo.

 

Una notte, sono stata assalita in casa mia. Il fuoco… divampò senza controllo. Io sopravvissi a quell'inferno, ma la mia casa fu rasa al suolo – con dentro i miei genitori.

 

Non fui in grado di spiegare alla corte cosa fosse successo, così fui spedita in prigione per dieci anni, con la pena di omicidio colposo.

 

Sento il potere crescere in me. Se non riesco a controllarlo, sarà lui a controllare me, distruggendo ogni cosa – ed ogni persona – che io ami.

 

Il Respiro Dell'Angelo

 

Il mio nome è Richard Riley. Tutto ciò che ho sempre volute, è di condurre una vita normale.

 

Ma qualcuno mi ha incastrato per un crimine che non ho commesso. Mi vogliono morto e non si faranno scrupoli ad uccidere la mia famiglia ed i miei amici per arrivare a me.

 

Ma anche quando cerco di salvare le persone che amo, un oscuro ed antico potere mi cresce dentro. Posso sentire crescere la sua furia.

 

Se lo dovessi lasciar andare libero, distruggerà ogni cosa buona della mia vita.

 

Angelo Di Terra

 

Il mio nome è Kyle Chase. Avevo uno splendido futuro come cardio chirurgo, finché un incidente, non ha distrutto il mio intero mondo.

 

Proprio mentre stavo tentando di rimettere insieme i pezzi della mia vita, inciampai in una cospirazione vecchia di millenni; un segreto che la mia famiglia mi ha tenuto nascosto.

 

Ora, i cospiratori mi vogliono fuori dai giochi. Non si fermeranno davanti a nulla pur di farmi tacere.

 

Mentre cerco di scoprire la mia antica eredità, scopro un oscuro potere che minaccia di distruggere tutte le persone che amo.

 

Lacrime D'Angelo

 

Il mio nome è Serena Rogers. Dopo esser fuggita dal riformatorio, tutto ciò che volevo, era di fuggire il più lontano possibile da casa e mai più farvi ritorno.

 

Ma tutto è cambiato quando ho scoperto l'oscuro segreto che affligge la mia famiglia da prima che io nascessi.

 

Non sono chi credevo d'essere.

 

Quando mi imbatterò in un armata di rivoluzionari, mi troverò ad affrontare una scelta impossibile: combatterli e rischiare la vita di tutti coloro che amo o, unirmi a loro e perdere la mia anima.

 

Angelo dell'Oscurità

 

Il mio nome è Frank. Mi sono unito alle forze di polizia per fare la differenza, ma fin dal primo giorno di lavoro, ogni cosa che facevo ha peggiorato la vita di tutte quelle persone che mi gravitavano intorno.

 

Per venticinque anni, sono andato alla ricerca di un qualsiasi significato che potesse dar senso alla mia vita, ma non l'ho mai trovato.

 

Proprio quando ho deciso di girare le spalle al lavoro della mia vita, ho scoperto una cospirazione, più sinistra di qualsiasi cosa avessi mai potuto immaginare.

 

Mentre investigo, realizzo che, anche se fermassi i cospiratori, il sangue di vittime innocenti, sarebbe comunque finito sulle mie mani: in migliaia moriranno. Se non li fermo, tutto l'umanità cadrà in un'era d'oscurità…

LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2022
ISBN9781927560501
Angeli Caduti
Autore

Valmore Daniels

Valmore Daniels has lived on the coasts of the Atlantic, Pacific, and Arctic Oceans, and dozens of points in between. An insatiable thirst for new experiences has led him to work in several fields, including legal research, elderly care, oil & gas administration, web design, government service, human resources, and retail business management. His enthusiasm for travel is only surpassed by his passion for telling tall tales.

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    Anteprima del libro

    Angeli Caduti - Valmore Daniels

    Sommario

    Angeli Caduti Il Libro Completo

    Angelo del Fuoco

    Capitolo Uno

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo Sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Vent’uno

    Capitolo Ventidue

    Capitolo Venti-Tre

    Capitolo Venti-Quattro

    Capitolo Venti-Cinque

    Capitolo Venti-Sei

    Capitolo Venti-Sette

    Capitolo Ventotto

    Capitolo Veni-Nove

    Capitolo Trenta

    Epilogo

    Il Respiro Dell’Angelo

    Capitolo Uno

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo Sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Ventuno

    Capitolo Venti-due

    Capitolo Venti-Tre

    Capitolo Venti-Quattro

    Capitolo Venti-Cinque

    Capitolo Ventisei

    Capitolo Venti-Sette

    Capitolo Ventotto

    Capitolo Ventinove

    Capitolo Trenta

    Epilogo

    Angelo di Terra

    Capitolo Uno

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo Sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Ventuno

    Capitolo Ventidue

    Capitolo Venti-tre

    Capitolo Ventiquattro

    Capitolo Venticinque

    Capitolo Ventisei

    Capitolo Ventisette

    Capitolo Ventotto

    Capitolo Ventinove

    Epilogo

    Lacrime d’Angelo

    Capitolo Uno

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo Sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Ventuno

    Capitolo Ventidue

    Capitolo Venti-tre

    Capitolo Ventiquattro

    Capitolo Venticinque

    Capitolo Ventisei

    Capitolo Ventisette

    Capitolo Ventotto

    Capitolo Ventinove

    Capitolo Trenta

    Epilogo

    L’Angelo Dell’Oscurità

    Capitolo Uno

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Ventuno

    Capitolo Ventidue

    Capitolo Venti-tre

    Capitolo Vento-quattro

    Capitolo Venticinque

    Capitolo Ventisei

    Capitolo Ventisette

    Capitolo Ventotto

    Capitolo Ventinove

    Capitolo Trenta

    Capitolo Trentuno

    Capitolo Trentadue

    Capitolo Trenta-tre

    Epilogo

    Sull’Autore

    Angeli Caduti

    Il Libro Completo

    Valmore Daniels

    traduzione di Barbara Fabrocini

    Questo è puramente un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, posti ed avvenimenti sono un prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati fittiziamente. Ogni riferimento a persone, vive o morte, è puramente accidentale. Questo libro non può essere rivenduto o dato senza il permesso scritto dell’autore. Nessuna delle parti di questo libro può essere riprodotta, copiata, o distribuita in qualsiasi forma, sia elettronica che meccanica, nel presente o nel futuro.

    Copyright © 2014 Valmore Daniels. Tutti I diritti riservati.

    Angeli Caduti, Il Libro Completo:

    Angelo del Fuoco

    Il Respiro dell’Angelo

    Angelo di Terra

    Lacrime d’Angelo

    Angelo dell’Oscurità

    Visita ValmoreDaniels.com

    Angelo del Fuoco

    Libro Uno

    Angeli Caduiti

    Capitolo Uno

    Quia ecce Dominus in igne veniet, et quasi turbo quadrigæ ejus: reddere in indignatione furorem suum, et increpationem suam in flamma ignis.

    (Poiché ecco, il Signore verrà nel fuoco ei suoi carri come un turbine, per rendere la sua ira con furore, le sue minacce con fiamme di fuoco.)

    – Isaia 66:15

    Mi risvegliai in un mondo di fuoco e cenere.

    Forzando gli occhi ad aprirsi, cercavo di dissolvere la nebbia che avevo in testa. I miei polmoni urlavano per aria, aprii la bocca per respirare, ma un fumo denso mi attanagliò la gola. Boccheggiando a fatica, trovai il modo di sollevare la testa da terra.

    A traverso i ciuffi di capelli davanti al viso, il mio sguardo fu’ attirato dalla brillante incandescenza della fede sul tappeto bruciato, ma il ruggire del fuoco mi riporto immediatamente all’attenzione.

    Le pareti intonacate del mio appartamento seminterrato si piegavano e si scioglievano all’infuriare di quell’inferno. Crepitando e scoppiettando in agonia, il tavolinetto da caffè da due soldi in pino, collassò. Il tessuto dei cuscini del mega divano era completamente consumato, lasciando solo la carcassa in legno bruciacchiato del suo scheletro.

    Una folata d’aria bollente invase il mio corpo, mentre il fuoco smangiucchiava gli orli del tappeto su cui giacevo; ma il mio primo pensiero non fu’ per la mia incolumità.

    Mamma—! Papà—!

    Lame di rasoio mi ferivano i polmoni, non riuscivo ad emettere un suono. Il velo oscuro del nulla cominciò ancora una volta a pervadermi. Il fumo denso nella stanza mi annebbiò la vista.

    Un roboante schianto dall’altra parte della stanza ridestò la mia attenzione. Le schegge si spargevano sul pavimento mentre la porta veniva colpita dalla lama di un’ascia rossa. Un altro colpo e la porta cedette, un grosso figuro si fece strada all’interno.

    L’intruso corse verso di me, a braccia spalancate. Le forti dita raggiunsero la mia gola. Gettando le mani in alto per proteggermi, in preda al panico piansi.

    Darcy! La voce dell’uomo era camuffata dalla maschera per ventilazione in plastica, ma riconobbi che si trattava della voce di Hank Hrzinski, il capo pompiere. Sei ferita? Urlò. Sei bruciata?"

    Senza aspettare risposte, mi sollevò da terra sule sue spalle. Facendo di tutto per schermarmi da macerie ardenti e cenere, uscì dall’appartamento. Entravo ed uscivo dallo stato di coscienza. Il fumo mi bruciava i polmoni ed il movimenti scomposti del capo dei pompieri che mi portava fuori, quasi mi fecero vomitare.

    Fuori, l’aria fresca mi colpì. La respirai con forza, ed immediatamente cominciai a cacciare fuori muco e cenere. Il capo Hrzinski mi tolse dalle spalle e mi posò sul prato antistante la casa mentre un paramedico mi correva incontro con la bombola e la machera per l’ossigeno.

    A mala pena mi rendevo conto delle voci urlanti e delle ombre sfuggenti mentre i pompieri combattevano contro le fiamme. Gli spruzzi di una mezza dozzina di pompe sparivano nell’incendio che stava distruggendo la casa.

    Il tetto si spaccò e, in un tono roboante, collassò su se stesso.

    Cercai d’alzarmi in piedi. Mamma! gridai. Papà!

    Qualcuno mi afferrò per le spalle e mi rispinse a terra.

    Mamma!

    Non sono la tua mamma.

    Saltai dal letto, disorientata. Le lenzuola erano accartocciate intorno ai miei piedi e la maglietta era fradicia di sudore.

    Ciò che rimaneva del mio incubo svanì nel momento in cui schiusi gl’occhi e mi guardai attorno. Le mura familiari della mia cella erano grigie ed ostili come quando arrivai il primo giorno all’Arizona Center per Donne 10 anni fa.

    Incombente su di me c’era il viso duro di Jerry Niles, uno dei più cattivi agenti di guardia nel nostro braccio. Per anni ho dovuto subire i suoi scherzi crudeli e le sue goffe insinuazioni.

    "Ma, chi lo sa, potrei essere il tuo paparino," aggiunse con uno sguardo malizioso che mi fece rivoltare lo stomaco. Il ricordo della morte dei miei genitori tornava a tormentarmi, ma dovevo sforzarmi di non piangere.

    Tirai su le lenzuola del letto a coprire le gambe.

    Che vuoi? dissi. Non dovresti stare qui, soprattutto prima della sveglia. Un veloce sguardo alla finestra mi confermò che l’alba non era ancora arrivata.

    Il Direttore ha detto di portarti giù in amministrazione presto. Ti vuole fuori di qui prima del rancio della mattina. Dice che è meglio per chi è rimasto indietro. Non vuole certo ricordargli che fuori c’è tutto un altro mondo.

    Va bene, d’accordo. Sistemai un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. Dammi solo un minuto per prepararmi.

    Ti aiuto a vestirti, si offrì con un sorrisetto disgustoso.

    Rabbrividii al pensiero, un’onda d’odio mi pervase il corpo.

    Mantieni il controllo!

    I miei occhi vedono, dissi con sottovoce.

    Si accostò a me. Come?

    Niente.

    Non dirmi cazzate. Mi stai parlando alle spalle?

    Scossi velocemente la testa. No, signore.

    La mia risposta fu’ automatica. L’obbedienza era una cosa che ti viene inculcata da subito. Ti dicevano quando andare a letto e quando svegliarti, quando farti la doccia e quando potevi mangiare, dopo un po’, ci si arrende.

    Ma oggi uscivo sulla parola. Dovevo imparare a prendere decisioni per me stessa e non a saltare sull’attenti appena qualcuno mi abbaiava un ordine.

    Raccolsi un po’ di coraggio, alzai gl’occhi e gli mostrai l’uscita della cella. Allora, hai intenzione di darmi un po’ di privacy?

    Jerry sbatté la sua faccia davanti alla mia, come un serpente a sonagli pronto all’attacco.

    Non provocarmi, Darcy. Non sei ancora fuori, ed una sacco di cose possono accadere da ora fino ad allora.

    Strinsi i pugni, nascondendoli sotto le lenzuola.

    La mia lingua può assaporare.

    Sedetti ferma come una statua, chiudendo gl’occhi, come se ignorandolo potesse magicamente scomparire. Continuai a bisbigliare tra me e me.

    La mia bocca può sorridere.

    Che sciocchezze, disse Jerry. Scema nel cervello.

    Nel letto sopra di me, la mia compagna di cella si mosse nel sonno e borbottò qualcosa.

    Sorpreso dal rumore, Jerry si ricompose e fece un passo indietro. Arricciando le labbra in una smorfia di disgusto, abbaiò, Vestiti. Come ti ho detto, il Direttore ti vuole fuori di qui oggi, piccola piromane. Lo vogliamo tutti.

    Riaprii gl’occhi solo dopo che ebbe lasciato la cella. Lasciò la porta aperta, ma lui rimase fuori di guardia, solo fuori di vista.

    Ho il controllo di me stessa, mi dissi liberando le lenzuola che tenevo serrate nelle mani.

    Righe annerite marcarono la stoffa dove le mie dita avevano afferrato il materiale.

    Capitolo Due

    Rimasi alla fermata dell’autobus davanti ai cancelli della prigione mentre mi stringevo le braccia al petto.

    Non pioveva quasi mai nel Sud dell’Arizona e quando lo faceva, non durava mai a lungo. Ovviamente, oggi, tutto il giorno, la pioggia cadeva incessantemente. Avevo legato i capelli indietro in una coda di cavallo, ed ogni volta che muovevo la testa, le ciocche bagnate correvano lungo la pelle nuda del mio collo provocandomi brividi lungo la schiena. Il mio alito sbuffava fuori dalla mia bocca come fosse una nuvola di nebbia nell’aria fresca del mattino.

    Silenziosamente pregai venisse il sole mentre scrutavo la strada con aria tormentata.

    Una macchina passò a tutta velocità sopra ad una pozzanghera. Feci un salto indietro, ma un mare d’acqua investi i miei jeans e le mie scarpe.

    Dannazione! urlai. Mostrai all’autista il mio dito medio, lui mi mostrò il suo subito prima di girare l’angolo.

    Stronzo!

    Cercando di rimanere al caldo, tirai su il colletto della mia giacca. Guardando alla nere nuvole, bestemmiai in silenzio. Allo stesso tempo, non potevo fare a meno di pensare ci fosse un collegamento tra la pioggia ed il mio rilascio dalla prigione. O forse ero solo una pazza a credere che il mondo mi stesse punendo.

    Proprio mentre cominciavo ad intravedere un raggio di sole che si faceva strada tra le nuvole, lo scricchiolio dei freni di un pullman mi fece sussultare per lo spavento. Dopo aver rimesso il cuore al suo posto, mi chinai e presi il mio borsone.

    Un autista di mezz’età scese dal bus coprendo il suo cranio pelato con un berretto.

    Sali? chiese dandomi un occhiata d’impazienza. Annuii e gli passai il mio borsone. Apri un portellone laterale e, con un grugnito, gettò il mio bagaglio dentro.

    Feci per avvicinarmi allo sportello, ma il guidatore si schiarì la voce.

    Biglietto? chiese.

    Eh? Già.

    Mi frugai in tasca in cerca del buono mentre tentavo di ignorare il suo sguardo impaziente. Dopo un minuto, tirai fuori il biglietto e glie lo diedi. Mi fece cenno di salire, io salii al volo i pochi scalini per entrare nel bus … poi gelai.

    Per la prima volta in 10 anni, mi trovavo faccia a faccia con dei totali sconosciuti. Il mio cuore inizio a perdere colpi, i polmoni si fermarono ed un senso di nausea mi pervase.

    Sentivo addosso a me gl’occhi di tutti, arrabbiati ed accusatori. Sapevano qualcosa di me? Del mio passato? Di cosa mi affliggesse?

    Signorina! era l’autista. Fece un movimento dimostrativo con la mano e grugnì.

    Cercai di prendere respiro, ma l’ansia mi paralizzava.

    Abbiamo una tabella di marcia, disse frettolosamente.

    In un certo modo, mi aiutò a calmarmi. Mi ricordò che anche nel grande e caotico mondo fuori dalla prigione, dovunque tu andassi e qualsiasi cosa tu facessi, era prevista un qualche tipo di routine e ciò era davvero confortante. Dentro, ogni minuto di ogni giorno è organizzato, ed è possibile che ci si abitui a questo.

    Con calma mi ricomposi e mi apprestai a raggiungere gli sconosciuti nel bus.

    Per quello che potevo vedere, gli unici due posti liberi erano nell’ultima fila in fondo al corridoio; solo uno era vicino al finestrino.

    L’autista del bus chiuse gli sportelli e si adagiò nella sua sedia. Toccò l’acceleratore e l’autobus sobbalzò in avanti. Mi aggrappai alla barra sopra la testa prima di cadere faccia a terra e, maledicendo l’autista tra me e me, mi avviai giù per il corridoio.

    Due donne anziane mi guardarono con aria indispettita. Mi forzai a guardare avanti, ma non potei evitare di sentire. La vecchietta dai capelli blu che sedeva accanto alla vedova tentò di tenere bassa la voce, ma la sentii comunque.

    Non capisco perché permettono loro di prendere l’autobus. Dovrebbe esserci un regolamento.

    Passai, serrando la mascella e cercando di non ascoltare. Mi dissi che non dovevo prendermela, ma dopo, l’amica dai capelli color argento, strinse a se la borsa con quelle sue braccia grasse.

    Gli abbaiai, Non deve preoccuparsi della sua borsa, signora. Non ero dentro per furto; ero dentro per omicidio colposo!

    Entrambe sussultarono allibite, ma la loro reazione non mi dette soddisfazione. Avevo fatto uno scivolone, cosa che mi ero ripromessa di non fare.

    Le passai, ignorando l’improvviso interesse degli altri passeggeri che mi fissavano. Mi dicevo continuamente che dovevo calmarmi. Senza dubbio ci sarebbero state occasioni di confronto nei prossini giorni, se non ero capace di ignorare due vecchie cicale, come avrei mantenuto il controllo per il resto dei miei giorni?

    Improvvisamente sentii il desiderio di correre di nuovo tra le confortanti braccia della prigione. Invece, raggiunsi il posto vicino al finestrino, mi misi a sedere e restai a guardare il bus che si avviava verso lo strano e spaventoso mondo della mia ritrovata libertà.

    Non mostrai a nessuno le lacrime che mi rigavano il viso. Non mostrai a nessuno che in fondo, ero solo una ragazzina spaventata, che non chiedeva altro che essere presa tra le braccia da qualcuno che le dicesse, Andrà tutto a posto. Quel che avrei voluto e quel che avrei ottenuto, erano cose diverse.

    Ho incontrato un sacco di persone crudeli e meschine nella mia vita e, se mostravi anche la più piccola falla nella tua armatura, vedevano la tua debolezza e attaccavano. L’odio, il dubbio, la paura e l’intolleranza dilagavano tra gli estranei e, se gli davi troppa importanza, la cosa ti lasciava a pezzi.

    I passeggeri dell’autobus irradiavano di tutto, dall’indifferenza alla totale ostilità. Ma dovevo farmi forza. Dovevo mostrarmi dura. Dovevo essere dura come una roccia.

    Come un bambino che ha paura del buio, mi ripetevo continuamente di essere coraggiosa.

    Mi aspettava molto di peggio in futuro:

    Tornavo a casa.

    Capitolo Tre

    Mentre l’autobus sfrecciava sulla superstrada, passando traverso piccoli paesi, aziende agricole, fattorie, fienili fatiscenti e stazioni di servizio abbandonate, la mia agitazione cominciò a placarsi.

    Feci mio ogni panorama. Mi dissetai dei colori e dei contrasti. Fissavo i passeggeri nelle macchine e nei minivan. Lasciai correre l’immaginazione dicendomi che davanti a me si apriva un mondo di possibilità. Mi vennero i brividi al pensiero di quanto sarebbe stata meravigliosa la vita che mi aspettava.

    Non c’era da meravigliarsi se gli altri passeggieri avessero creduto che fossi uscita da un altro tipo d’istituto, (senza dubbio, gli altri passeggeri mi avrebbero creduta appena uscita da un altro tipo di istituto vedendo il sorriso…) visto il sorrisetto idiota che mi venne quando vidi una mandria di cavalli che giocavano a nascondino con i propri puledri, in un campo erboso.

    Non m’importava. Che pensino ciò che vogliono; ero libera e, anche se tornare a casa mi spaventava, non vedevo l’ora di cominciare a ricostruire la mia vita Il destino mi aveva dato un’altra possibilità per fare bene le cose e, stavolta, ero intenzionata a fare proprio così.

    Mi assalì una leggera insicurezza quando passammo il cartello: Benvenuti a Middleton, AZ. (pop.2628)

    Ricominciare da capo, era si buona cosa, il mio consulente per la reintegrazione dalla prigione, mi sveva incoraggiato a ricucire i rapporti con la mia famiglia, piuttosto di riiniziare da capo trasferendomi in un’altra città.

    Scappare è solo un modo per evitare i problemi della vita, mi aveva detto. L’unico modo per risolvere i problemi del passato è affrontarli nel presente.

    La sensazione d’insicurezza si tramutò in un sentimento di profondo disagio. Avevo delle questioni piuttosto importanti da affrontare. Una era quella di mio zio, Edward, non mi aveva rivolto più di due parole negl’ultimi 10 anni.

    L’autista del bus rallentò mentre ci avvicinavamo al parcheggio polveroso del Lazy Z Motel – un vecchio edificio su un piano ad angolo sulla superstrada.

    Il bus entrò nel parcheggio e frenò inaspettatamente davanti alla fermata proiettandomi contro lo schienale del sedile di fronte. Lo zaino di qualcuno cadde dal portapacchi sulle nostre teste, inaugurando male la giornata di un passeggero; una mezza lattina di soda si rovesciò, versando il suo contenuto sulle scarpe di una signora.

    Dopo aver forzato l’apertura delle porte, l’autista, ignorando il brontolio dei passeggeri, prese la penna e la tabella per controllare i progressi del viaggio.

    Middleton, annunciò svogliatamente, mentre si liberava dal sedile e scendeva lentamente gli scalini.

    Fui l’unica ad alzarmi. Gli altri, a quanto pare, proseguivano per Flagstaff o oltre.

    Ignorando gli sguardi delle due vecchie galline, mi feci strada giù per il corridoio. Avvicinandomi all’uscita, feci un lungo respiro. Il bus era stato, per poco, un paradiso sicuro. Ma ora, come un pulcino che lascia il nido per la primissima volta, dovevo raccogliere tutto il coraggio che potevo e fare un balzo nel nuovo mondo per testare le mie ali.

    Mi girò la testa in cima agli scalini. Non c’erano reti di sicurezza, nessuno che poteva acchiapparmi se fossi caduta. Se avessi fatto solo un altro passo, sarei stata completamente da sola.

    Dietro di me, la vecchia dai capelli blu, girò gl’occhi e lasciò andare un impaziente colpo di tosse.

    Una volta fuori, l’autista, senza tante cerimonie, lasciò cadere il mio borsone sul ghiaino, sollevando una piccola nuvoletta di polvere.

    E’ la tua fermata?

    Annuii e feci il mio primissimo passo verso la libertà; ma quell’unico passo era tutto ciò che avrei potuto sopportare.

    Prendendo un profondo respiro, mi concentrai. Dovevo prendere coraggio ed affrontare il presente. Non potrebbe darsi una mossa, signorina? disse l’autista.

    Esibii un falso sorrisetto e feci un altro passo allontanarmi dall’autobus, lasciandogli spazio per manovrare la sua mole dentro il bus. Le porte si chiusero con fare definitivo. Non si tornava più indietro.

    Per del tempo, dopo che l’autobus era andato via, rimasi in pedi sul ciglio della strada, il borsone ai piedi ed il cuore in gola.

    Il Motel Lazy Z era esattamente come me lo ricordavo, (mi era abbastanza familiare da incoraggiarmi ad entrare) la sua familiarità era abbastanza per permettermi di sentirmi a mio agio. Presi il mio borsone ed entrai nell’ufficio.

    Facendomi forza immaginando il peggio, fui sorpresa dall’inaspettato: non c’era nessuno.

    L’ufficio era comunque un disastro. Fogli sparsi sul bancone, raccoglitori impilati sugli elenchi e le riviste. Il telefono a disco era macchiato da un migliaio di ditate unte d’olio ed un ammuffito registro degl’ospiti era aperto ad una pagina con più macchie di caffè che firme. Oltre ad un vecchio monitor di computer, una quantità di vecchie cartine aspettavano un acquisto che non sarebbe mai avvenuto. Una mosca girava circospetta intorno ad una ciotola di caramelle scartate, come se si aspettasse una trappola.

    Da parte sua, l’ufficio era piccolo e soffocante e per metà era occupato dal salottino per gli ospiti. Due lunghe panchine correvano lungo i muri, i cuscini arancioni erano logori e polverosi. Una tavolino pieghevole fungeva da postazione per il caffè – l’unica zona che tendeva ad essere pulita. Un’antica foto di un fienile abbandonato era appesa sopra la macchina del caffè.

    Mi avvicinai al bancone, posai il borsone e suonai il campanello argentato.

    Una voce profonda anticipò l’uomo che usci dalla stanza sul retro: Sono da lei in –

    Lo zio Edward era più alto di quanto sembrasse. Come molte persone che sovrastano le altre, le sue spalle avevano sviluppato una curvatura nell’intento di sembrare meno imponente. La pelle segnata dal tempo pendeva dal suo viso magro. Era nella seconda metà dei cinquant’anni, ma poteva passare per un uomo 10 anni più vecchio. I suoi capelli rasati, una volta castano scuri, erano divenuti grigi e mostravano una profonda stempiatura

    Lo zio Edward, non era l’uomo più affascinante di Middleton, tuttavia era in affari da anni ed aveva imparato ad avere un’aria professionale con i clienti, che fossero avventori di passaggio verso mete sconosciute, o che si trattasse di personaggi come il Selvaggio Will Tyler, cacciato di casa nel weekend dalla moglie petulante, per aver bevuto un bicchiere di troppo al The Trough dopo una settimana di lavoro alla fabbrica di cibo per cani.

    Il suo contegno professionale svanì il momento in cui mi vide ed il suo sorriso si sciolse.

    Trattenni il respiro in attesa che parlasse.

    Darcy. Disse con voce monotona, con una sfumatura di disappunto e fastidio. Quando sei uscita?

    E’ un piacere vedere anche te, zio Edward.

    Il silenzio si protrasse fra di noi fino a diventare insopportabile (raggiungere il punto di rottura).

    Non ti aspettavo, grugnì. Le sue parole suonavano come un pugno nello stomaco.

    Improvvisamente avevo voglia di scappare da quella stanza senza più guardarmi indietro. Era stata una pessima idea credere che sarei potuta tornare a casa. Il mio consulente aveva torto: era più facile scappare ed iniziare tutto da capo, in un posto dove nessuno conoscesse il mio passato, le cose terribili che avevo fatto, o la tristezza che avevo provocato.

    Ho provato a chiamare, ma mi rispondeva sempre la segreteria. Ho lasciato un messaggio. Con l’ultimissimo briciolo di coraggio che riuscii a raccogliere, gli parlai in con tono amichevole.

    Ma lo zio Edward non ci cadde. Non ricordo messaggi.

    Dicevo, che sarei uscita oggi.

    Si…?

    Cercai di deglutire, ma avevo la bocca troppo secca.

    Speravo … Tu potessi sistemarmi per un po’. Solo finché non sistemo delle cose.

    Lo zio Edward mi guardò, strinse le labbra. Per quanto?

    Il nodo che avevo in gola mi impediva di respirare.

    In quel momento, un tornado in pantaloncini blu ed una maglietta a fiori gialla, irruppe dalla porta.

    Se Lo zio Edward era alto e snello, la zia Martha era bassa e robusta – ‘felicemente grassa’, era così che si descriveva.

    La zia Martha si strappò via i guanti di gomma gialli e, con un enorme sorriso, mi gettò le braccia attorno, quasi travolgendoci col suo entusiasmo.

    Darcy! Avresti dovuto dirmi che saresti arrivata oggi. Credevo avessi detto che non ti avrebbero rilasciato fino alla prossima settimana.

    Dando uno sguardo di disapprovazione a mio zio, che corrugò le labbra, dissi, Ho pensato di farvi una sorpresa.

    Santo cielo, l’hai fatto! Mi stavo per fare la pipì a dosso quando ti ho vista. Ci sei mancata tanto da queste pari. Era troppo tranquillo. Sono così contenta di vederti. Sei qui per rimanere?

    Lo zio Edward aggrottò le ciglia. Io finsi di non notarlo.

    Se non è troppo disturbo. Non vorrei importunare nessuno.

    La zia Martha chiocciò la lingua. Assurdità. Scacciò con le mai il marito. Edward. Smetti di rompere. Prendile i bagagli. Si rivolse a me. Ti mettiamo nella camera 14, in fondo.

    Grazie, zia Martha.

    Ma di che. Vai a darti una pulita. Ho un milione di domande, ma ci rifacciamo a pranzo. Devo togliermi di dosso questi puzzolenti vestiti da lavoro. Non sono vestita per avere compagnia.

    Ma non mi avrebbe lasciata andare così facilmente. Sorridendo da un orecchio all’altro, mi trattenne le mani e mi osservò attentamente. Con uno schiocco di finta disapprovazione, mi pizzicò i fianchi snelli e mi fece l’occhiolino.

    Già, niente che un po’ di cucina casalinga non possa risolvere.

    Sorrisi tanto che credevo di mettermi a piangere.

    Con un cenno d’intesa, la zia Martha mi lasciò con lo stesso entusiasmo con cui era entrata.

    Voltò il viso sulla spalla. Dammi mezz’ora ed un pasto degno di una regina, sarà pronto per te.

    No zia Martha. Non fartene un problema, dissi.

    Le mie parole furono inascoltate; era già andata via, un turbinio di donna.

    Lo zio Edward borbottò uscendo da dietro il bancone e prendendomi il borsone.

    Beh, andiamo allora. Chiaramente, non era felice della svolta che avevano preso gli eventi.

    Non disse una parola mentre mi accompagnava fuori dall’ufficio, fino in fondo al camminamento. Quando arrivammo alla camera, fece cadere il borsone a terra e premette la chiave nel palmo della mia mano senza mai guardarmi negl’occhi.

    Senza ne cerimonie, ne bestemmie, girò i tacchi e rientrò in ufficio.

    Rimasi a fissarlo mentre se ne andava, mordicchiandomi le labbra. La zia Martha e lo zio Edward erano agli opposti quasi in tutto, e lo sarebbero sempre stati.

    Kyra, una delle mie compagne di cella, diceva spesso, Non potrai mai più tornare a casa. Sentii dirle anche, Non c’è posto migliore che casa. Credo avesse ragione in entrambi i casi.

    Per la prima volta in 10 anni, malgrado la cattiva accoglienza di mio zio Edward, sentivo c’era un briciolo di speranza di essere accettata qui; forse, se ero fortunata, avrei potuto trovare anche un po’ di perdono, se non da altri, almeno da parte mia.

    Aprii la serratura della mia camera di motel, la mia nuova casa, ed entrai.

    Capitolo Quattro

    Divise da un vialetto stretto al punto che si passava a fatica, il bungalow di una sola stanza direttamente dietro il Lazy Z, faceva da casa permanente ai Johnson.

    In passato, la piccola dimora era abitata da un muratore, quando il motel era poco più grande di una baracca per lavoratori stagionali. Negli anni era stato convertito in un accogliente bungalow.

    Per molti standard piccolo ed angusto, mia zie e mio zio avevano abitato lì fin da quando lo ereditarono dai genitori dello zio Edward circa due decadi fa. Zio Edward e zia Martha non furono mai in grado di avere figli, quindi non avevano bisogno di niente di più grande per solo loro due.

    L’interno era riempito da vecchia robaccia che zia Martha passava per antiquariato. Un assortimento di gingilli decorava ogni superficie piatta disponibile e pile di libri e riviste erano accatastate in ogni angolo. Ad un certo punto della sua giovinezza, la zia Martha si era immaginata pittrice e aveva prodotto dozzine di atroci panorami, nature morte ed altri riprovevoli lavori che nessuno, sano di mente, avrebbe mai pensato di comprare; li aveva tutti incorniciati ed appesi per tutta la casa, indifferente dell’opinione, o del gusto degli altri.

    La cucina, ovviamente il fulcro delle attività della casa, aveva un grosso tavolo con un traboccante buffet: pannocchie al burro, insalata di patate, cetriolini sott’aceto, pane ed un grosso prosciutto con tutti i contorni.

    Mi ficcai un cetriolino in salamoia in bocca mentre mi riempivo il piatto con un po’ di tutto.

    Lo zio Edward grugnì, ed io venni pervasa da una sensazione d’imbarazzo.

    Morsi più delicatamente il cetriolino. Il rumore della mia masticazione era terribilmente alto. Bestemmiando in silenzio, finii di masticare e mi sedetti sulla sedia. Tutti gli occhi erano su di me fin quando finalmente ingoiai e sorrisi colpevole.

    Scusate.

    Congiunsi le mani e la zia Martha rese grazie.

    Benedicici, Oh Signore, per questi tuoi doni che riceviamo per la tua bontà, per Cristo Nostro Signore, amen; e grazie per averci reso nostra nipote dopo tutti questi anni. Amen.

    Replicai Amen con lo zio Edward, esitai un attimo prima di infilarmi in bocca una cucchiaiata di insalata di patate, con un rivoletto di maionese che colava da un lato. . Tra un boccone e l’altro, stampai un sorriso di gratitudine a mia zia.

    Non posso dirti quanto sia tutto fantastico, zia Martha. Non ho mangiato cibo vero per anni.

    Non avevo nemmeno finito di masticare quello che avevo in bocca che ci infilai un panino ancora caldo. Mugolai di piacere mentre il tenero pane si scioglieva sulla mia lingua.

    Mi raccomando, assicurati d provare quella salsa di mele fatta in casa. La zia Martha era nel suo elemento. Avrei potuto baciarla per il banchetto che aveva messo su per me.

    Non tutti erano in vena di festeggiare. Lo zio Edward non aveva nemmeno toccato il suo piatto.

    Era una prigione, o una stalla? Sembrava appena aver ingoiato una tazza d’aceto.

    Edward! disse la zia Martha.

    Cercando d’ignorare il rossore che mi avvampava le guance, finii velocemente di masticare ed ingoiai. Scusate. Credo che dovrò riabituarmi di nuovo a comportarmi civilmente.

    Sciocchezze. Ti sei solo servita, cara. La zia Martha guardò male suo marito. Siamo solo felici che tu sia qui. Vero, Edward?

    Lo zio Edward sbatté la forchetta sul tavolo. Tu sei contenta che sia qui? Che attrice! Quand’è stata l’ultima volta che sei andata a trovarla?

    Zia Martha impallidì. Non sarò andata lì, ma chiamavo tutte le settimane e mandavo un pacchettino tutti i santi mesi.

    Poi abbassò lo sguardo e si sfregò le mani nervosamente. Quando tornò a guardarmi, aveva gli occhi madidi.

    Spero tu non sia troppo dispiaciuta, mi disse. Non sopportavo quel posto; vederti lì dentro. Avrei voluto farti visita più spesso, ma con tutto il lavoro che c’è da fare qui… Saettò con gli occhi zio Edward. E’ la figlia di tua sorella, e tu la tratti come fosse una malattia.

    Misi la mano sul suo braccio. Non m’importa che tu non sia venuta in visita, zia Martha. E comunque, non volevo che qualcuno mi vedesse lì dentro. I tuoi pacchettini erano più che sufficienti per me.

    Zia Martha si voltò verso di me e si asciugò una lacrima. Forzò un sorriso e scosse la testa.

    Ma questo è tutto nel passato. Si allungò verso di me e mi prese la mano. Oggi, abbiamo avuto indietro nostra nipote. Fa parte della famiglia, ed è qui per rimanere. Fece un singolo cenno come se così siglasse l’accordo.

    No! Lo zio Edward spinse così forte indietro la sedia, che questa si ribaltò e cadde rumorosamente sul pavimento in cotto. Stava ritto come un fuso, col viro osso di rabbia.

    La zia Martha disse, Edward!

    La fermò prima che potesse continuare a protestare. Sono stato seduti lì, in quel tribunale, giorno dopo giorno. Ho ascoltato ogni parola detta dai testimoni.

    Edward, no! abbaiò zia Martha.

    Sbatté la sua mano sul tavolo come un giudice che sbatte il suo martelletto per richiamare l’ordine in aula, poi mi puntò un dito contro.

    Non gli hai mai dato una buona spiegazione. Non hai mai detto a nessuno cosa era veramente successo. E’ per quello che ti hanno portata via. Certo, non potevano provare l’omicidio, ma sono riusciti ad accusarti di omicidio colposo.

    Scattai in piedi. La rabbia mi ribolliva dentro come fosse lava. Mi sentivo in trappola.

    E’ stato un incidente, dissi. E’ stato un incidente!

    Chiusi i pugni sui miei fianchi.

    Lo zio Edward mi sbeffeggiò. Si, si, dici sempre così. Ma quei giurati non avevano dubbi e, lo vuoi sapere? Nemmeno io ne ho.

    Non potevo credere alle mie orecchie. L’unico parente di sangue che mi rimaneva, mi odiava e credeva avessi assassinato mia madre e mio padre. Le mie unghie scavavano nei palmi delle mie mani. Volevo urlare allo zio Edward , ma mi morsi forte la lingua.

    Lo zio Edward fece un passo avvicinandosi a me, io divenni un fascio di nervi.

    Una piccola spirale di fumo uscì dai miei pugni serrati. Sentivo il calore pervadermi dentro come una scintilla in una letale e buia fornace.

    Edward! sobbalzò zia Martha, quasi urlando.

    E’ vero, dimmi che ho torto, richiese zio Edward. Oh, magari non intendevi ucciderli, ma di sicuro intendevi uccidere qualcuno. Non è vero?!

    Cercai di non prestargli attenzione, di bloccare ogni emozione dall’esterno. Chiusi gl’occhi concentrandomi.

    I miei occhi possono vedere.

    La mia lingua può gustare.

    La mia bocca può sorridere.

    Gli occhi di zio Edward si concentrarono su di me come un’aquila che individua un topo in un campo.

    Sei stata tu ad appiccare l’incendio.

    Le sue dita si curvarono come fossero artigli.

    I miei polmoni possono respirare.

    Il mio cuore può battere.

    Mi costrinsi a rimanere seduta. Strinsi i pugni e la spirale di fumo diminuì.

    Hai bruciato vivi i tuoi genitori.

    Il mio stomaco può digerire.

    Finalmente zia Martha cacciò fuori la voce. Edward! E’ veramente più che sufficiente!

    Le mie gambe possono camminare.

    Già, disse, facendo un passo in dietro, infatti. E con ciò, uscì dalla stanza.

    Il mio corpo è rilassato.

    Zia Martha si alzò dalla sedia e mi venne incontro. Con le lacrime agl’occhi, avvolse le sue braccia sulle mie spalle.

    Va tutto bene, tesoro. Mi prenderò io cura di te adesso. Vedrai. Siamo una famiglia, lo sai. Nel bene e nel male. Siamo tutto ciò che abbiamo.

    Il dolore mi trafisse le dita forzandomi a dischiudere le mani. Fiocchi di cenere nera caddero dai miei palmi.

    Zia Martha, se pur sentì le parole che stavo dicendo non vi fece caso; si limitò a tenermi stretta mentre completavo il mio mantra:

    Ho il controllo di me stessa.

    Capitolo Cinque

    La mia casa bruciò senza possibilità di salvezza.

    Come un formicaio nel panico, i pompieri correvano dentro e fuori l’edificio per contenere i danni. Una mezza dozzina di pompe spararono cascate d’acqua sull’incendio, ma non erano sufficienti per quell’inferno. Era una causa persa. Il loro impego era vano.

    Il mio viso era rigato di fuliggine e lacrime ed a mala pena mi rendevo conto di cosa stesse succedendo. I miei erano ancora intrappolati all’interno della casa.

    Ed ero certa, come del mio nome, che era tutta colpa mia.

    Mamma! Papà!

    …Le mie grida riecheggiarono nei miei ricordi per molto quando mi risvegliai da quell’incubo.

    Rimasi immobile davanti allo specchio in mutandine e maglietta bianche. Il vapore della doccia appannava lo specchio offuscando il mio riflesso. Distrattamente passai la mano sulla superficie per pulire la condensa. Uno sguardo tormentato mi fissava, mentre lentamente una lacrima mi scivolava lungo il viso.

    Odio me stessa.

    Tanto vicino! Ero andata tanto vicino a perdere di nuovo il controllo ieri. Perché non riuscivo a mantenere il controllo? Avevo fatto tanti progressi negl’ultimo paio d’anni; stavo cedendo adesso.

    Fissai i palmi delle mie mani. Nemmeno un segno. Apparivano innocenti ed innocue, ma erano cariche di odio ardente e distruzione.

    Mi passai la mano sulla guancia, asciugando le lacrime.

    Poi colpii lo specchio. Cosa c’è che non va’ in te?

    Cos’era questa malattia che mi affliggeva? Perché l’avevo? Come potevo liberarmene? Se non fosse per il mio mantra – la mia salvezza – non avrei avuto assolutamente nessun modo di controllare quando e dove avrebbe colpito.

    Misi una mano dietro la tenda della doccia per controllare la temperatura dell’acqua, feci per togliermi la maglietta quando udii bussare forte alla porta. Spensi l’acqua e presi un accappatoio.

    Un minuto! urlai mentre mi mettevo la cintura in vita legandola con un nodo veloce. Aprii la porta e sorrisi.

    Oh, ciao zia Martha.

    Mia zia non mi guardò negl’occhi. Intuivo fosse un po’ più che imbarazzata.

    Uscii sulla passerella in legno e aspettai pazientemente che raccogliesse abbastanza coraggio da dirmi cosa le passasse in mente.

    Io, vorrei scusarmi per lo zio, iniziò zia Martha. E’ un vecchio strambo, lo sai. Non sa mai quando è il caso di chiudere il becco.

    Ho sentito di peggio. Sforzandomi un po’, riuscii a mantenere un tono disinvolto.

    Forse, ma non dai familiari. Non doveva rifarsela con te.

    Zio Edward ed io non eravamo mai stati vicini. Anche da piccola, mi trattava con fredda indifferenza quando venivo in visita – in netto contrasto con gli abbracci accoglienti ed i manicaretti fatti in casa di zia Martha. Non avevo idea se non amasse i bambini, o soltanto me.

    Pensai che gli avvenimenti delle ultime decadi avessero trasformato la sua apatia nei miei confronti in odio.

    Ma forse c’era di più, giudicando dalle parole di zia Martha.

    Rifarsela con me per cosa? Chiesi.

    Beh…

    Misi una mano sulla sua spalla. Tremava. Cosa c’è, zia Martha?

    Stringendosi le mani, mormorò, Non voglio scaricarti addosso tutto questo, perché non è colpa tua. Come potevi sapere? Sei appena arrivata.

    Parlai dolcemente. Raccontami.

    Uno sguardo furtivo verso l’ufficio sembrò calmarla. Non c’era nessuno ad ascoltare la sua confessione.

    Ebbene, per un paio d’anni dopo … la tua esperienza … gli affari sono rallentati. Alcuni si sono allontanati perché non riuscivano a capire; altri erano arrabbiati; altri ancora non sapevano che dire. Per di più, l’economia non è stata più la stessa degli anni passati. Meno viaggianti. Con quell’interweb le persone parlano attraverso il computer più che incontrarsi faccia a faccia. Cosa sta diventando questo mondo? Insomma—

    Quindi? La spinsi a tornare in argomento.

    Abbiamo dovuto chiedere un’estensione del mutuo, poi abbiamo dovuto licenziare l’intero staff per far quadrare i conti.

    Mi portai le mani al cuore. Mi chiedevo perché foste solo voi due qui dentro. Perché non mi avete detto niente? Mi spiace così tanto.

    No, non devi, disse. E’ stata una faticaccia, ma non è colpa tua. Non è colpa di nessuno, in verità. Oh, questo non è un problema che ti riguarda. Avrei dovuto tenere chiusa la mia boccaccia. E’ solo—

    Solo cosa?

    Zia Martha sospirò. Bene, Edward ed io non ringiovaniamo.

    Non siete così—

    Alzò la mano per fermarmi.

    Lo siamo. Ma non era quello che intendevo dire. Le cose stanno andando meglio. Stiamo finalmente tornando alla normalità. E’ possibile che quest’anno riusciamo anche a mettere da parte qualcosa.

    E’ fantastico, zia Martha. Arricciai le sopracciglia, chiedendomi quanto le ci sarebbe voluto ad aggirare l’ostacolo e dirmi finalmente quale fosse il punto della questione.

    Beh, lavorare tante ore, sette giorni su sette, inizia ad essere faticoso. Cioè … vedi … siamo stanchi. Gestire un motel significa tanto lavoro, soprattutto per due vecchi bacucchi come noi."

    Dovette prendere un profondo respiro prima di guardarmi negl’occhi.

    Stavamo parlando di vendere, disse finalmente.

    Oh? Non ero sicura di come mi sentivo a proposito, non ero sicura di avere il diritto di sentirmi in alcun modo a proposito. Per quanto mi ricordi, il Lazy Z era sempre stato una certezza per la nostra famiglia. Anche se imparentate da un matrimonio, mia madre e zia Martha erano più vicine di due sorelle, quando ero piccola non passava giorno che non si vedessero, quindi ero sempre qui. Credo di aver passato più tempo a giocare nel parcheggio e nel campo dietro al motel, che nel mio giardino.

    Ma il mercato è ancora debole adesso. Ci lasceremmo la camicia. Non possiamo vendere quest’anno; forse nemmeno l’anno prossimo. Nel frattempo, vorremmo evitare di assumere persone che potrebbero non accettare lo stipendio che potremmo dargli. Tra l’incudine ed il martello. Il Lazy Z è nella nostra famiglia da cinquant’anni. Edward vede come un fallimento il fatto che ci siamo ritrovati ad affrontare questa situazione.

    C’è qualcosa che posso fare? Qualsiasi cosa?

    Zia Martha si sfregò nuovamente le mani, come se il peggio dovesse ancora venire. Si, ci sarebbe qualcosa.

    Feci un cenno, deciso. Dimmi tutto.

    Resta. Lavora al motel. Come ti ho detto, non possiamo pagarti molto. Oh, mio Dio, mi sento come se mi approfittassi di te.

    In quel momento ebbi un sacco di pensieri contrastanti; non sapevo che dire.

    Era quello che volevo fare fin dall’inizio: Stare qui e dare una mano. Ma zio Edward ha detto—

    Zia Martha agitò la mano. Zio Edward è duro come un mulo. Deve farla finita. La vita è troppo breve. Nel cuore sa che quello che è successo a sua sorella e Robert, è stato un incidente. E’ solo testardo. Puoi perdonarlo?

    Perdonarlo? Certo, zia Martha. E sarei felicissima di rimanere e dare una mano.

    Gettò le braccia attorno a me e mi schiocco un rumorosissimo bacio sulla guancia. Darcy, non te ne pentirai.

    Per la prima volta, quel giorno, sentii il mio cuore riempirsi di speranza. Era proprio da zia Martha, la persona responsabile della morte dei suoi cognati, era benvenuta in casa sua.

    Sono solo felice di poter aiutare.

    Edward è nell’ufficio, disse. Gli ho detto di venire a scusarsi. Se riesci ad ottenere anche solo un grugnito da lui, hai ottenuto più di quanto abbia fatto io.

    Scossi il capo. Non ho veramente bisogno di scuse, ma andrò subito da lui.

    Senti, disse. Voglio che tu ti senta a casa qui. So che la camera non è niente di che, ma è tua per quanto tempo vorrai.

    E’ fin troppo generoso. Devi permettermi di pagare a mio modo.

    Agitò la mano. Sciocchezze. Sono solo tanto felice che tu sia tornata."

    Zia Martha mi fece un gran sorriso e subito mi sentii molto meglio con me stessa. Mi abbracciò di nuovo, ed io avrei voluto non mi lasciasse mai.

    Anch’io, zia Martha. Anch’io.

    Capitolo Sei

    Lo zio Edward e mia madre avrebbero potuto passare per gemelli, anche se su per giù, 5 anni li separavano. Erano entrambi alti e snelli, quasi flessuosi. Erano di mandibola stretta, con zigomi alti e col mento leggermente sporgente. Erano entrambi di carnagione chiara, ma qui finivano le somiglianze.

    Eleonor Johnson – Ellie per amici e parenti – era uno spirito libero. Si rifiutava di tagliarsi i capelli, arrivata in età adulta, le sue bionde ciocche arrivavano fin sotto i fianchi. Occasionalmente li teneva in una treccia, ma il suo style preferito, era lasciarli sciolti. Zio Edward non aveva cambiato mai taglio di capelli, da quando uscì dall’esercito; per quanto mi ricordi, sfoggiò sempre capelli a spazzola, che tagliava una volta ogni due settimane.

    Eleonor, dal canto suo, esplorava l’arte e la letteratura; amava le arti e le antichità. In ogni periodo della sua vita, aveva avuto almeno un animaletto – una gatto randagio, un uccellino ferito, un cane abbandonato; una volta portò a casa un orsacchiotto sperso (cosa che causò agitazione in casa Johnson quel giorno).

    Zio Edward andò subito a fare dei corsi in economia a Flagstaff e, una volta tornato a Middleton, iniziò ad occuparsi delle operazioni giornaliere del Lazy Z, assumendosi tutte le responsabilità che suo padre gli concedeva finché, a mio nonno, non venne il secondo attacco cardiaco e decise di andare in pensione.

    Mia madre non voleva avere niente a che fare con la gestione di un’impresa, ed era più che contenta di lasciare che suo fratello si occupasse del Lazy Z. Quando zio Edward ed Ellie furono abbastanza grandi, lo zio Edward tenne il motel e mia madre in eredita ebbe l’enorme casa di famiglia. I miei nonni si trasferirono in una baita al margine di una loro proprietà fuori città, dove vissero i loro ultimi giorni.

    Mi madre adorava raccontarmi di come mio padre le avesse cambiato la vita. Per quanto la riguardava, lei non si sarebbe mai sposata – era uno spirito così libero – se non avesse trovato in mio padre la sua anima gemella, l’estate dopo il diploma di liceo.

    Faceva la cameriera a Fresno mentre stava dal suo bis-zio, quando incontrò Robert Anderson in escursione con i cugini. Un biologo, stava monitorando le rotte migratorie della popolazione endemica di uccelli per l’Università di Sacramento, i due andarono immediatamente d’accordo. Alla fine dell’estate, Ellie tornò a casa a Middleton, da fidanzata. Robert si trasferì all’Università dell’Arizona Settentrionale, ed io arrivai più o meno un anno dopo.

    Mia madre mi disse che un tempo pensava che suo fratello non si sarebbe mai sposato, non perché lo zio Edward non volesse, ma più per la sua personalità irritante di natura. Nessuna delle ragazze del posto aveva interesse in lui, tranne una. C’era voluta una persona come zia Martha per vedere attraverso l’aspetto burbero e trovare la persona leale, lavoratrice e devota all’interno. Ci sono voci che dicono che fu’ lei a fargli la proposta – uno scandalo di un certo peso, a quel tempo.

    Sfortunatamente, il matrimonio non aveva addolcito lo zio Edward, anche la sua famiglia aveva difficolta a stare con lui per più di un paio d’ore a volta.

    Crescendo, non mi pare di ricordare di aver scambiato con lui più di una frase; ma adesso, in piedi davanti all’ufficio accoglienza del Lazy Z nella luce del mattino, i capelli ancora bagnati dalla doccia sulla schiena, aveva la mia totale attenzione.

    Camminavo un passo indietro a zio Edward, il quale spesso puntava il dito come fosse una pistola durante il giro di orientamento – come se non avessi passato miliardi di giorni al motel.

    La sua voce era piena d’impazienza. Lì c’è la cabina elettrica, in caso tu debba riallacciare qualcosa. Maledetta compagnia elettrica. Va tutto a puttane con una tempesta, abbiamo interruzioni di corrente anche se fa’ bello.

    Si allungò, agitò la maniglia della porta, e mi lanciò uno sguardo palese. Assicurati sempre sia chiusa a chiave. Controllala anche 20 volte il giorno, se devi. Controllala, ogni volta che ci passi davanti. Non voglio ragazzini che si fumano le canne lì dentro.

    Capito Annuii affermativamente.

    Zio Edward lentamente si avvicinò alla porta successiva. Fece una pausa e prese ostentatamente una chiave da un moschetto retrattile agganciato ad un asola della cintura. Mosse la maniglia della porta per provarmi fosse chiusa, poi girò la chiave e spalancò la porta.

    Questa è la stanza manutenzione e lavanderia. Tutti gli attrezzi ed i carrelli per le pulizie sono qui dentro. Lampadine, carta igienica, quello che vuoi. Una cosa: controlla questa porta ogni volta che passi. Gli ospiti altrimenti poterebbero pensare che gli asciugamani ed il sapone siano gratis, invece quelle dannate cose costano un occhio.

    Annuii ancora una volta. Ok. (capito)

    Zio Edward mi lanciò un’occhiata austera. Rimasi con un’espressione seria.

    Grugnì prima di andare avanti giù per la fila di camere fino alla fine del motel, senza guardarsi indietro, semplicemente assumendo che io lo stessi seguendo.

    Dietro l’edificio, una parte di pavimentazione costeggiava un campo d’erba alta che si allungava fino ad una collina gentile ad un centinaio di piedi. Da bambina, amavo andare in bici fin laggiù. Dietro la collina c’era il Lago Circle dove andavamo a fare picnick e a pescare.

    Mio zio puntò verso la fine del motel. Là dietro ci sono i bidoni della spazzatura, disse. "Tieni chiuso anche lì. Altrimenti quella gentaccia del Ranch verrà qua nel bel mezzo della notte a riempirli con la loro spazzatura. Non abbiamo bisogno di pagare per far potar via i rifiuti altrui

    Zio Edward, io vorrei ringraziarti per avermi dato questa possibilità. So che non ci siamo mai potuti vedere e che ci siamo allontanati anche di più negl’ultimi dieci anni, ma credo che…

    Quasi svenni sotto il suo sguardo severo.

    Non me ne frega niente di cosa pensi, ragazzina, disse. Non ho bisogno d’aiuto, nonostante cosa pensi zia Martha. Ho accettato di farti stare qui e di farti lavorare solo per rispetto alla memoria di mia sorella. Ho solo una condizione per te, quindi vediamo di essere chiari. Questo è il mio motel ed io sono il capo. Tu fai quello che ti dico, quando te lo dico, senza rompermi le scatole. Altrimenti, tu per la tua strada, ed io per la mia. Averti qui, fa piacere a Martha e, come si dice, ‘moglie felice, vita felice’. Allora, finché lavorerai sodo e sarai carina con tua zia, le cose andranno lisce. Chiaro?

    Cristallino, risposi.

    Zio Edward mi fisso negli occhi per un attimo, come se potesse vederci se lo stavo prendendo in giro o meno. No lo stavo facendo.

    Disse, Adesso chetati e fammi finire di farti fare il tour.

    Annuii. Assolutamente.

    Zio Edward mi descrisse in un paio d’ore ogni aspetto delle attività del motel, ed io pendevo da ogni sua parola.

    Con l’andare della giornata, ebbi l’impressione che si stesse ammorbidendo nei miei confronti. Allo stesso tempo, stavo sentendo qualcosa che non avevo provato per una decade.

    Nonostante l’aspetto burbero ed i commenti amari, mi ritrovai ad ammirarlo. Emanava una strana sicurezza e si approcciava al mondo con fermezza, cosa molto piacevole. Nonostante zio Edward fosse distante ed irritante, aveva comunque fatto il passo di accettarmi come parte della sua vita.

    Zio Edward aveva molte questioni di cui ero certa non avrebbe mai trovato soluzione. Nonostante le differenze tra lui e sua sorella, sapevo che si erano amati molto dal modo in cui mia madre mi parlava di lui, raccontandomi storie della loro gioventù, come erano finiti insieme in qualche pasticcio e come lo zio Edward aveva preso le sue difese ogni volta in cui gli era parso che l’onore di Ellie fosse in pericolo.

    Sapevo che non avrei mai potuto rimpiazzare mia madre nel suo cuore, ma mettendo insieme tutti gli aneddoti ed i pareri che avevo sentito su zio Edward, ero quasi sicura ci fosse un altro modo. Zio Edward dava valore al duro lavoro, alla lealtà, alla puntualità, alla praticità ed all’onore.

    Se fossi riuscita a guadagnarmi il suo rispetto emulando i suoi valori e lavorando al motel senza lamentele, avrei di buon grado subito la sua ostilità nei miei confronti.

    Con zia Martha ero già miglia più avanti, lei che non aveva un solo briciolo di cattiveria nell’ampio corpo; ma mi giurai di non approfittarmi ne di lei ne del suo buon cuore. Avevo molto lavoro da fare davanti a me, ma mi stava bene. Ne sarebbe valsa la pena se fossi riuscita finalmente a rimettere la mia vita sui giusti binari.

    Così, tenendo tutto ciò a mente, nei giorni successivi, mi concentrai sull’attività. Lavoravo all’accoglienza, aiutavo zia Martha nella pulizia delle camere, arrivai persino a sistemare i documenti di zio Edward. Si lamentò del fatto che fossero già ordinati in modo da poter essere trovati e non avevano bisogno di essere risistemati: ma comunque, non mi fermò.

    Finalmente, dopo dieci anni, ero a casa.

    Capitolo Sette

    Era sera quasi inoltrata alla fine del terzo turno di lavoro da quando ero tornata a casa. Stavo fissando un cumolo disordinato di fatture sul bancone, alcune recenti, alcune degli anni passati. Come zio Edward fosse riuscito a gestire le cose senza una verifica fiscale, va oltre la mia comprensione. Il suo commercialista doveva essere un genio.

    Con un sospiro estenuato, cominciai il metodico e lento compito di dividere le fatture per ditta e data. Anche se sentii l’autobus della sera arrivare, ero così assorta nel mio compito, che nemmeno me ne accorsi. La porta sul davanti suonò.

    Inizialmente non riuscii a focalizzare quando alzai gli occhi, i miei occhi erano stanchi dal lavoro di archiviazione. Quando finalmente realizzai che nell’ufficio c’era un’altra persona e riuscii a metterlo a fuoco, il fiato mi si spezzò in gola.

    Indossando un paio di jeans scuri ed una maglietta attillata che mostrava le ampie spalle, un uomo molto attraente mi stava davanti, con un sorriso a mille denti sulla bocca. Abbronzato ed atletico, avrebbe potuto essere tranquillamente un modello.

    Uh, salve? disse mentre io me ne stavo li in silenzio. A disagio, mi tirai indietro i cappelli con le mani e sfoggiai un sorriso.

    Buona sera. Benvenuto al Lazy Z. Posso aiutarla?

    Si, grazie, disse con un docile sorriso. Mi può dire i prezzi delle camere?

    Centodieci a notte, pagamento in anticipo. Più il resto.

    Alzò la testa. Più il resto?

    Più le tasse. Sa, le tasse per l’utilizzo dell’hotel, le tasse sulle vendite.

    Ah. Sembrava stesse considerando le opzioni.

    Rimane solo una notte? Abbiamo uno sconto per le lunghe permanenze? Magari—

    Sorrise. A dire la verità, devo rimanere in città per un po’.

    Oh?

    Mi chiamo Neil. Mi porse la mano.

    Rimasi a fissarla come un’idiota pe un attimo, poi mi ripresi e porsi anche la mia per stringere la sua.

    Uh, Darcy. Cosa intendi per ‘un po’ Una settimana … roba del genere?

    Più probabilmente, in modo permanente.

    Inclinai il capo. Come?

    Lavoro per il Dipartimento dei Pompieri di Denver e, non capire male, è stato fantastico, ma non ci sono posti per un avanzamento di carriera. Conosci Hank Hrzinski?

    Il capitano Hrzinski? Certo, dissi dopo un attimo. Hank fu quello che mi strappò alle fiamme. E’ qui da tanto tempo per come mi ricordo—da quando ero bambina.

    Bene, disse Niel. Lui ed il mio capitano si conoscono da tempo. Circa un mese fa Hank l’ha chiamato dicendogli che pensava di andare in pensione e chiedendo se ci fosse qualcuno che intendesse prendere la sua posizione. Hanno preso contatto con l’amministrazione comunale qui e, per farla breve, mi hanno offerto il suo lavoro quando va via l’anno prossimo. Sono qui per darmi un occhiata attorno nell’attesa.

    Beh, congratulazioni.

    Sorrise con una punta di timidezza. Grazie.

    Di getto dissi, Così, sei qui in cerca di casa?—Mio dio, scusi. Non sono cose che mi riguardano. Ho sempre odiato l’abitudine dei piccoli centri dove tutti si fanno gli affari di tutti, ed eccomi qui a ficcare il naso nei suoi di affari.

    Neil rise. Non preoccupartene. Dopo aver passato quasi tutta la vita a Denver, credo di poter rinunciare ad un po’ della mia privacy soprattutto sapendo che ai vicini importa qualcosa. Alzò le spalle. Il capitano mi ha anche offerto una stanza a casa sua finché non mi sistemo, ma non voglio proprio essere di peso. Ho provato anche a partecipare ad un’asta per un posto in pensione di una certa Kathy Thornhill, ma la stanza non sarà disponibile che tra un paio di giorni.

    Sul viso mi venne un’espressione di delusione e Neil, alzò un sopracciglio con aria interrogativa.

    Ascolta, dissi. Abbiamo una stanza con un cucinotto a rata mensile. Quasi sicuramente una rata inferiore a quella della pensione di Kathy Thornhill, e con molta più privacy.

    Sembra perfetto. Sorrise Neil. Prendo la stanza.

    Cercando di ignorare le farfalle che mi svolazzanvano nella pancia, compilai il modulo d’ingresso e passai la carta di credito di Neil per l’autorizzazione.

    Senti, sai se c’è un posticino dove poter mangiare? chiese.

    Beh, c’è il Finer Diner, ma chiude alle dieci, tranne i weekend. Gettai un occhio all’orologio a parete; erano un quarto alle undici. Sembra tu l’abbia appena mancato. Potresti provare al The Trough.

    The Trough?

    E’ il locale del paese, spiegai. Rimane aperto fino all’una tutte le notti ed ha un menù alla griglia molto veloce. Quantomeno puoi prendere delle patatine fritte o delle alette di pollo, roba del genere. Il proprietario – Jack Creel – è un po’ burbero, ma il cibo è buono.

    Neil fece una facciaccia. Non fa niente, non sono in vena di Cugini di Campagna.

    Risi. Credo che abbiano aggiornato la scaletta negl’ultimi cinquant’anni. Gli porsi il modulo. Devo solo farti firmare questo…

    Mentre Neil firmava, afferrai la chiave e la misi sul bancone. Camera dodici, sulla destra.

    Grazie. Ti spiace se prendo un caffè?

    Con la coda dell’occhio, guardai la postazione caffè, a cui ancora non avevo pensato data la mia missione di riordinare l’ufficio accoglienza.

    Feci un gesto in quella direzione e, dissi, a tuo scapito.

    Neil si mise a ridere e prese le chiavi, se le infilò nella tasca anteriore dei jeans. Andò verso il tavolo col caffè e si versò un po’ di brodaglia, in una tazzina di polistirolo, Con una smorfia, fissò il suo caffè e disse, Non stavi scherzando—

    La porta d’ingresso si spalancò ed entrarono tre uomini, i loro visi erano neri di rabbia. Mi si bloccò lo stomaco.

    Barry Burke era uno degl’uomini più imponenti di Middleton, sia per l’ altezza che per il peso. Anche se aveva badato bene di farsi crescere una bella pancia a birra, non c’erano dubbi che sotto gli strati di grasso, ci fosse una persona di potere. Sembrava non essersi fatto la barba per un paio di giorni e, quando parlò, non sentii odore d’alcol.

    Bene, ditemi voi se questo non è un bel calcio nei coglioni. Disse ad alta voce come se avesse un pubblico. Sia Troy che Frank risero in apprezzamento. Li conoscevo fin troppo bene. Troy Hartman era un omuncolo subdolo. Mi ero dimenticata del suo sorriso da depravato e della risata da iena. Frank Simmons, occhi neri e minacciosi, aveva un aria crudele che mi aveva sempre fatto venire i brividi. Si porto una bottiglia di birra ammezzata alla bocca e poi la bevve.

    Neil osservava dalla postazione del caffè.

    Che guardi? Gli abbaiò Frank.

    Dandomi un’occhiata veloce, Neil disse, Niente. Sto solo prendendo del caffè.

    Imitandolo con fare cantilenante, Troy disse, Solo prendendo del caffè. E rise con Frank. Beh? Prendi il tuo dannato caffè e vattene.

    Neil mi disse, Vuoi una tazza anche tu?

    No, risposi con tono misurato. Sto bene.

    Con un mezzo cenno, Neil si chinò sulla macchina del caffè in cerca della panna.

    Berry non guardò mai e poi mai Neil; continuava a fissare solo me, con quel sorriso maligno sulle labbra.

    Dall’altra parte del bancone, io strinsi i pugni lungo i miei fianchi e letteralmente, mi morsi la lingua.

    Barry ringhiò dal fondo della sua gola. Non avrei mai creduto che avresti avuto le palle di farti rivedere di nuovo in città.

    Quel che è nel passato, è nel passato, Berry. Dobbiamo andare avanti tutti quanti.

    I miei occhi possono vedere.

    La mia lingua può gustare.

    Barry inclinò la testa come se ascoltasse il mio dialogo interiore.

    Forse non voglio andare avanti, disse.

    La mia bocca può sorridere.

    I miei polmoni possono respirare.

    Berry si avvicinò, col viso contorto dalla rabbia. "Cosa diavolo borbotti?

    Ad alta voce, dissi, Allontanati Berry, o ti denuncio.

    Troy rise sonoramente. E chi chiami, lo sceriffo? L’hai sentita, Berry? Chiamerà tuo padre per parlagli di te.

    Il sorriso di Berry si fece più certo. E’ così, Darcy? Farai la spia su di me?

    Ti avviso, Berry.

    Ah, divertente, tu mi avvisi. Lo sai, è ora di finirla, anzi, sono 10 anni che questa storia doveva finire.

    Il mio cuore può battere.

    Vortici di fumo mi uscivano dalle dita chiuse a pugno mentre Troy e Frank ghignavano da orecchio ad orecchio, godendo ovviamente del confronto. Ci sono persone che proprio amano i conflitti.

    Non voglio problemi, Berry, dissi, alzando la voce.

    Grugnì. Beh, avresti dovuto pensarci prima di cercare di uccidermi.

    Nel profondo, sentivo la rabbia che mi si agitava dentro. Questo non era il tipo di informazione che volevo arrivasse all’orecchio di chiunque, almeno non di Neil, il nuovo capo pompiere in addestramento. Tralasciando che nemmeno lo conoscevo, le prime impressioni sono quelle che rimangono e l’ultima cosa che volevo, era quel tipo di dramma nella prima settimana a casa. Volevo solo che rimanesse tutto nel passato per ricostruirmi una vita. Ma alcune persone, comunque, non riescono a dimenticare vecchie ferite.

    Il mio cuore può battere. Aspetta. Questa l’avevo già detta. Il mio stomaco può digerire

    Avevo paura che la rabbia insieme all’imbarazzo, mi avrebbero fatto perdere il controllo; Quella era una cosa che veramente non potevo permettermi.

    Le mie gambe pos

    Ma da quella stupita idiota che sei, continuò Berry, hai finito per ammazzare i tuoi genitori!

    Sentii le mie mani bruciare, ma non riuscivo a controllarmi.

    Urlai, Vorrei ci fossi tu al cimitero, bastardo malato!

    Barry ruggì di rabbia. Puttana! Mi derideva con le braccia aperte e stese.

    Mi buttai su di lui senza pensare, gli afferrai i polsi prima che con le sue manacce riuscisse a raggiungermi la gola.

    Le mie mani tremavano nella fatica di tenerlo lontano, ma anche da un altro tipo di sforzo. Una specie di energia mi attraversava. Voleva uscirmi fuori.

    All’inizio, Barry era talmente arrabbiato, da non accorgersi di niente, ma quando del fumo nero cominciò ad uscire tra le mie mani e le sue braccia, la rabbia de Barry si trasformò da sorpresa a spaventato.

    Sentivo l’odore della sua carne bruciata.

    Barry urlò, scostò via le braccia, ma il potere dentro di me, aveva già preso il sopravvento e non riuscii a lasciarlo andare.

    Controllo!

    Dovevo riprendere il controllo! Dovevo recitare il mio mantra correttamente.

    Il mio cuore può battere.

    Non riuscivo a calmarmi.

    Il mio stomaco può digerire.

    Ma le grida di Barry rovinarono la mia concentrazione.

    Le mie gambe possono camminare!

    No! Ero riuscita a contenerlo per così tanto tempo, non avrei mollato adesso.

    Il mio

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