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Le nebbie di Avalon - Parte 1
Le nebbie di Avalon - Parte 1
Le nebbie di Avalon - Parte 1
E-book735 pagine20 ore

Le nebbie di Avalon - Parte 1

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Info su questo ebook

TORNA FINALMENTE IN LIBRERIA UN GRANDE CLASSICO DEL FANTASY.
PER LA PRIMA VOLTA IN VERSIONE INTEGRALE E CON UNA NUOVA TRADUZIONE, IL ROMANZO SARÀ DIVISO IN DUE VOLUMI.

Ai miei tempi mi furono dati diversi nomi: sorella, amante, sacerdotessa, maga, regina...

Potente maga dotata della Vista, Morgaine ha sempre avuto la capacità di scrutare nella mente delle persone e di conoscere i loro pensieri. Ora, in là con gli anni e in pace con il mondo e con sé stessa, ha deciso di ripercorrere la propria vita e di narrare l'epica storia dell'ascesa e della caduta di Camelot. E ha scelto di farlo non attraverso le gesta eroiche dei cavalieri della Tavola Rotonda, ma attingendo a ciò che il suo potere le ha permesso di conoscere, per dare finalmente voce alle donne che, insieme a lei, hanno visto il mondo che conoscevano cambiare radicalmente e l'Isola Sacra di Avalon svanire per sempre nelle nebbie. È una storia che inizia quando Morgaine è ancora bambina, con una visione che annuncia a sua madre Igraine l'imminente visita della sorellastra Viviane, la Dama del Lago, e di Taliesin, il Merlino di Britannia, messaggero degli Dei. Sono giunti fino a Tintagel per annunciarle che sarà lei a portare in grembo il Sommo Re, l'uomo destinato a salvare il regno e a portare la pace e l'unità tra i popoli. È una profezia a cui Igraine, stanca di essere una pedina al servizio di poteri più grandi, cerca di ribellarsi con tutta se stessa. Ma non si può sfuggire al destino, e ben presto la giovane donna si trova in viaggio verso Londra e verso un futuro che cambierà non solo la sua vita, ma anche quella di sua figlia Morgaine.

Scritto nel 1979, Le nebbie di Avalon è un classico intramontabile, che parla di donne nelle quali ciascuna di noi potrebbe trovare un pezzo di se stessa.
LinguaItaliano
Data di uscita18 ott 2018
ISBN9788858989500
Le nebbie di Avalon - Parte 1
Autore

Marion Zimmer Bradley

Nata nel 1930 ad Albany, New Jersey, si è laureata in Letteratura nel 1964 alla Hardin Simmons University ed è stata per lungo tempo ricercatrice alla University of California di Berkeley.Ha esordito come scrittrice nel 1961 con il romanzo, The Door Through Space, e l'anno seguente il primo titolo del fortunato Ciclo di Darkover, La spada di Aldones, l'ha consacrata tra le più famose autrici di narrativa fantastica a livello mondiale. Pubblicato nel 1982 e considerato il suo capolavoro, Le nebbie di Avalon ha raggiunto in tutto il mondo i vertici delle classifiche, compresa quella del New York Times, e nel 1984 ha vinto il Locus Award come miglior romanzo fantasy. Autrice di oltre sessanta romanzi e numerose raccolte di racconti tradotti in venti lingue, Marion Zimmer Bradley si è spenta a Berkeley nel 1999, a soli sessantanove anni.

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    Anteprima del libro

    Le nebbie di Avalon - Parte 1 - Marion Zimmer Bradley

    LIBRO PRIMO

    SIGNORA DELLA MAGIA

    1

    Anche in piena estate Tintagel era un luogo sinistro. Igraine, moglie del duca Gorlois, contemplava il mare dall’alto del promontorio. Fissando le fitte brume, si domandava come avrebbe fatto a capire quando la notte e il giorno avrebbero avuto la stessa durata, per proclamare la Festa dell’Anno Nuovo. Le tempeste primaverili erano state più violente del solito, il fragore delle onde del mare che rimbombavano tutto intorno al castello era così forte da togliere il sonno ai suoi abitanti, e anche i cani da caccia avevano guaito in maniera straziante. Tintagel… c’era ancora qualcuno che credeva fosse sorta sul dirupo alla fine del lungo sentiero sul mare grazie alla magia dell’antico popolo di Ys. Il duca Gorlois rideva a quel racconto: se avesse avuto quei poteri, diceva, di certo li avrebbe usati per impedire al mare di erodere inesorabilmente la costa! Negli ultimi quattro anni, da che era giunta lì come sposa del duca, Igraine aveva visto la terra, molta terra, inghiottita dal mare di Cornovaglia. Lunghi bracci di pietra nera, affilata e scoscesa, avanzavano nell’oceano. Quando il sole splendeva, la vista era spettacolare, luminosa: l’acqua e il cielo brillavano come i molti gioielli che Gorlois le aveva donato il giorno in cui gli aveva annunciato di aspettare il suo primogenito. Ma a Igraine non era mai piaciuto indossarli. Quella che adesso portava appesa al collo, e che le era stata regalata ad Avalon, era una pietra di luna: talora rifletteva l’azzurro splendente del cielo e del mare, ma nella nebbia di quel giorno anche la gemma preziosa sembrava oscurarsi.

    Nella nebbia i suoni si propagavano per lunghi tratti. Dal sentiero Igraine, rivolta verso la terraferma, aveva l’impressione di sentire un rumore di zoccoli di cavalli e muli e un suono di voci – voci umane, lì nella solitaria Tintagel, dove vivevano soltanto pecore e capre, i pastori con i loro cani, le dame del castello con qualche fedele damigella e qualche vecchio guardiano.

    Igraine si voltò lentamente per far ritorno al castello. Come sempre, sotto l’ombra del maniero, si sentiva minuscola, schiacciata dal profilo di quelle antiche pietre in fondo al lungo sentiero a picco sul mare. I pastori credevano che il castello fosse stato eretto dagli Antichi delle terre perdute di Lyonnesse e Ys. Nelle belle giornate di sole – raccontavano i pescatori – si potevano intravedere i vecchi manieri nelle profondità marine. Ma a Igraine sembravano piuttosto alte torri di roccia, antiche montagne e colline inghiottite dal mare sempre più vorace che, anche adesso, erodeva i dirupi su cui sorgeva il castello. Là, in quei luoghi alla fine del mondo, dove il mare divorava senza sosta le rocce, era facile credere alle terre sommerse a ovest: si raccontava di un’enorme montagna di fuoco che era esplosa nel remoto Sud, inghiottendo un’intera regione. Igraine non sapeva mai se credere o meno a quelle storie. Sì, era sicura di udire delle voci nella nebbia. Non potevano essere i feroci predoni delle terre al di là del mare, o delle lande selvagge di Erin. Era finito il tempo in cui trepidava per un rumore sospetto o un’ombra! E non era nemmeno suo marito, il duca: lui era lontano, nel Nord, a combattere contro i Sassoni a fianco di Ambrosius Aurelianus, Sommo Re di Britannia. Se avesse voluto fare ritorno, avrebbe inviato un messaggero.

    Non aveva paura. Se fossero sopraggiunti i predoni, i guardiani e i soldati di stanza al forte in fondo al sentiero, schierati dal duca Gorlois a difesa della moglie e della prole, si sarebbero opposti con successo. Ci sarebbe voluto un esercito per avere la meglio su di loro. Ma chi avrebbe mandato un esercito contro Tintagel?

    Un tempo – ricordò Igraine senza rimpianto, tornando verso il castello – avrebbe saputo chi era diretto lì. Adesso quel pensiero non l’amareggiava più. Dopo la nascita di Morgaine aveva smesso di piangere per la sua patria. E Gorlois era così buono con lei. L’aveva tranquillizzata, placando le sue paure iniziali, l’aveva ricoperta di gioielli, tesori, trofei di guerra, circondata di dame al suo completo servizio, e trattata sempre alla pari, tranne che nei consigli di guerra. Igraine non avrebbe potuto chiedere di più, a parte sposare un uomo delle Tribù. Ma non aveva avuto scelta. Una figlia dell’Isola Sacra deve fare ciò che è meglio per il suo popolo, che sia sacrificarsi con la morte, offrire la propria verginità alle Nozze Sacre, o sposarsi per consolidare un’alleanza. E questo aveva fatto Igraine, convolando a nozze con un duca romanizzato di Cornovaglia, un uomo che viveva secondo i costumi romani, benché la Britannia non fosse più tra i possedimenti di Roma.

    Con un movimento delle spalle Igraine si scrollò di dosso il mantello: nella corte, riparata dal vento pungente, faceva meno freddo. Mentre la nebbia si diradava, per un momento si materializzò una figura, quella della sua sorellastra Viviane, la Dama del Lago, la Signora dell’Isola Sacra.

    «Sorella…» La voce esitò. Igraine si rese conto di aver soltanto sussurrato. «Sei tu…?»

    Sul viso di Viviane c’era un’espressione di rimprovero e le parole parvero disperdersi al sibilo del vento che soffiava di fuori.

    Igraine, hai rinunciato alla Vista? Di tua spontanea volontà?

    Colpita dall’ingiustizia di quella domanda, Igraine ribatté: «Fosti tu a decidere che dovevo sposare Gorlois…». Ma la sagoma della sorella era già svanita tra le ombre. Non c’era più. Non c’era mai stata. Igraine sbatté le palpebre: quell’apparizione si era già dissolta. Si riavvolse il mantello intorno alle spalle perché sentiva freddo, un freddo intenso: quella visione aveva tratto forza dal calore vitale del suo corpo. Credevo di non poter più vedere in quel modo, ne ero sicura…, si disse rabbrividendo. Padre Columba avrebbe considerato quel fatto opera del demonio, avrebbe dovuto dirglielo. Certo, laggiù, in quella terra alla fine del mondo, i preti erano più tolleranti, ma la mancata confessione di un’apparizione del genere sarebbe stata considerata un atto sacrilego.

    Aggrottò la fronte: ma perché doveva considerare opera del demonio una visita della sorella? Che Padre Columba pensasse pure quello che voleva: forse il suo Dio era più saggio di lui. Cosa che poi non doveva essere così difficile, si disse Igraine soffocando una risata. Forse Padre Columba era diventato un prete di Cristo perché nessun collegio di Druidi avrebbe voluto un uomo così stupido tra le proprie fila. Cristo, il loro Dio, non sembrava preoccuparsi della stupidità o meno di un prete, finché era capace di biascicare la loro messa, leggere e scribacchiare. Lei stessa, Igraine, possedeva più qualità sacerdotali di Padre Columba, e se voleva parlava il latino meglio di lui. Non si considerava particolarmente istruita, non aveva avuto l’ardire di studiare i più alti insegnamenti dell’Antica Religione, né si era addentrata nei Misteri più a fondo di quanto fosse richiesto a una figlia dell’Isola Sacra. Eppure, anche se sarebbe stata considerata ignorante in un qualunque Tempio dei Misteri, tra i barbari romanizzati passava per una dama di grande cultura.

    Nella piccola stanza affacciata sulla corte, rischiarata dal sole nelle belle giornate, sua sorella minore Morgause, un bocciolo di tredici anni, con indosso una comoda veste di lana grezza non tinta e un mantello logoro sulle spalle, teneva svogliatamente tra le mani un fuso e avvolgeva il filo ineguale su una rocca traballante. Sul pavimento accanto al fuoco Morgaine faceva rotolare un vecchio fuso come fosse una pallina e seguiva i movimenti irregolari del rozzo cilindro, colpendolo qua e là con le piccole dita paffute.

    «Non ho filato abbastanza?» si lamentò Morgause. «Oh, che male alle dita! Perché devo filare, filare, filare in continuazione, come una serva?»

    «Una signora deve saperlo fare» la rimproverò severamente Igraine, che prendeva sul serio i suoi doveri di sorella maggiore. «Il tuo filato è una vergogna, ora grosso, ora sottile… Le dita smetteranno di farti male quando imparerai a lavorare per bene. Il dolore è un chiaro segno che non ti sei impegnata abbastanza, le dita non sono abituate!» Prese la rocca e il fuso dalle mani di Morgause e lo fece ruotare con grande naturalezza: il filato irregolare si distese assumendo il giusto spessore. «Vedi, adesso si può tessere senza che la spola si impigli…» Poi di colpo si stancò di comportarsi secondo il protocollo. «Ma ora lascia stare il fuso. Prima di metà pomeriggio avremo ospiti.»

    Morgause la fissò. «Io non ho sentito niente» osservò. «Non è arrivato nessun messaggero.»

    «Non mi stupisce» rispose Igraine. «È stata una visione. Viviane sta arrivando al castello. Insieme a lei c’è il Merlino.» Questo non l’aveva saputo finché non l’aveva detto. «Porta Morgaine dalla balia e indossa l’abito della festa, quello color zafferano.»

    Morgause restò ferma a fissare Igraine. «L’abito zafferano? Per mia sorella

    Igraine la corresse prontamente: «Non per nostra sorella, Morgause, ma per la Signora dell’Isola Sacra e per il messaggero degli Dei».

    Morgause abbassò lo sguardo sul pavimento decorato. Era una fanciulla alta e robusta, che stava appena cominciando a slanciarsi e a farsi donna; la folta chioma era ramata come quella di Igraine, e la pelle era punteggiata di efelidi, nonostante la detergesse di continuo con siero di latte e implorasse dalla maestra erborista lavaggi ed erbe medicinali. A tredici anni era già alta quanto Igraine, e sarebbe cresciuta ancora. Prese in braccio Morgaine senza troppa grazia e la portò via. Igraine la richiamò: «Di’ alla balia di mettere un vestitino della festa anche alla bambina, poi riportala qua, Viviane non l’ha mai vista».

    Morgause si risentì e disse qualcosa, del genere che non capiva perché una grande sacerdotessa volesse vedere un marmocchio, ma lo fece talmente a bassa voce che Igraine ebbe una scusa per ignorarla.

    In cima alla stretta scalinata, la camera di Igraine era gelida, perché il fuoco veniva acceso soltanto in pieno inverno. Quando Gorlois era lontano, lei condivideva il letto con la sua dama di compagnia Gwen, e la prolungata assenza del marito era una scusa perché Morgaine dormisse insieme a lei. A volte le raggiungeva anche Morgause, infilandosi sotto le coperte di pelliccia per proteggersi dal freddo pungente. Il grande letto matrimoniale a baldacchino, protetto dai tendaggi contro le correnti d’aria, era abbastanza ampio da accogliere tre donne e una bambina.

    L’anziana Gwen sonnecchiava in un angolo e Igraine non la svegliò. Si tolse l’abito di lana di tutti i giorni e indossò il vestito della festa, allacciato dietro la nuca con un nastro di seta che Gorlois le aveva portato da una fiera di Londinium. Infilò alle dita alcuni sottili anelli d’argento che possedeva dall’infanzia – ormai le stavano soltanto alle due dita più piccole – e mise anche un altro dono di Gorlois, una collana d’ambra. L’abito era color ruggine, con una sopravveste verde. Morgause prese il pettine di corno intagliato, si sedette su una panca e iniziò a passarselo tra i capelli, cercando di sciogliere i nodi. Da un’altra stanza sentì degli strilli: era Morgaine; la sua nutrice la stava pettinando e lei non gradiva. Tutt’a un tratto i lamenti cessarono, e Igraine immaginò che un bel ceffone l’avesse indotta al silenzio, o forse Morgause, come succedeva talvolta quando era di buonumore, aveva preso il posto della nutrice e si era messa lei a pettinare la piccola con le sue dita pazienti. Per questo Igraine sapeva che la sua giovane sorella era in grado di filare la lana in maniera eccellente, se lo voleva: aveva mani adatte per qualunque cosa, pettinare, cardare, impastare torte.

    Igraine intrecciò i capelli e li raccolse con un fermaglio d’oro in cima alla testa, poi fissò il mantello con la sua bella fibbia dorata. Si guardò nel vecchio specchio di bronzo che sua sorella Viviane le aveva regalato per le nozze, proveniente, così si diceva, direttamente da Roma. Allacciandosi l’abito notò che il seno era tornato quello di una volta: da un anno aveva smesso di allattare Morgaine, e adesso era soltanto un po’ più morbido e pesante. Ma aveva recuperato la linea, perché quello era l’abito con cui si era sposata e non le stringeva nemmeno un po’.

    Al suo ritorno Gorlois si sarebbe aspettato di accoglierla di nuovo nel proprio letto. L’ultima volta che si erano visti, Igraine allattava ancora Morgaine e lui aveva ceduto alla sua richiesta di continuare a farlo per tutta l’estate, quando molti bambini morivano. Lei sapeva che suo marito era deluso perché non gli aveva dato il figlio maschio tanto desiderato… per quei Romani contava la discendenza maschile e, per essere sempre certi della paternità del proprio figlio, si preoccupavano di controllare con chi stessero le loro donne, le segregavano in casa e le spiavano. Non che Igraine avesse bisogno di essere sorvegliata: già un uomo era una sventura più che sufficiente, chi poteva volerne altri che magari si sarebbero rivelati peggiori?

    Sebbene volesse un figlio maschio, Gorlois era stato comprensivo e le aveva permesso di tenere a letto con sé Morgaine e continuare ad allattarla. Lui era rimasto in disparte e aveva giaciuto con Ettarr, l’ancella, per evitare che Igraine restasse di nuovo incinta e perdesse il latte. Anche lui sapeva che molti bambini morivano se venivano svezzati prima di poter masticare la carne e il pane. I bambini nutriti con zuppe di avena erano malaticci, e spesso d’estate il latte di capra – alquanto gradito – scarseggiava. I bambini tirati su a latte di vacca o asina venivano spesso colpiti dal vomito o dalla dissenteria e morivano. Così il duca le aveva permesso di allattare Morgaine, rinunciando al figlio maschio tanto desiderato almeno per un anno e mezzo. Perlomeno avrebbe avuto la gratitudine della moglie, e non mugugni. E poi si sarebbe rifatto presto.

    Dopo quella notte, Ettarr era rimasta incinta ed era andata pavoneggiandosi in giro: sarebbe stata lei finalmente a dare il tanto sospirato erede maschio al duca di Cornovaglia? Igraine l’aveva ignorata: Gorlois aveva altri figli bastardi, uno dei quali adesso era al suo fianco in guerra, nell’accampamento del grande condottiero Uther. Ma Ettarr si era ammalata e aveva perso il bambino, e Igraine aveva avuto il buon senso di non chiedere a Gwen come mai ne fosse così soddisfatta. La vecchia Gwen conosceva a fondo i segreti delle erbe per la pace spirituale della sua signora. Un giorno, si disse Igraine, mi farò raccontare cosa ha messo nella birra di Ettarr.

    Igraine scese in cucina, trascinando la lunga gonna sui gradini di pietra. Morgause era già lì, indossava il suo abito più elegante, e aveva messo a Morgaine un vestitino della festa color zafferano, che la faceva sembrare scura come se appartenesse al popolo dei Pitti. Igraine la prese in braccio, osservandola compiaciuta. Piccola, bruna, delicata, fragile come un uccellino implume. Da chi aveva preso quell’aspetto? Lei e Morgause erano alte e dalla chioma rosso fuoco, sanguigne come tutte le donne delle Tribù, e lo stesso Gorlois, pur essendo bruno, era un romano alto, slanciato e dai tratti affilati, temprato da anni di battaglie contro i Sassoni, troppo pieno della sua dignità romana per mostrare tenerezza alla giovane sposa, e del tutto indifferente alla figlia nata al posto del maschio tanto bramato.

    Ma, rammentò Igraine, quegli uomini di stirpe romana pensavano di avere il diritto divino di vita e di morte sui loro figli. Molti, cristiani o no, avrebbero preteso che una figlia nemmeno venisse allevata, in modo che la moglie potesse subito mettere al mondo un bel maschio. Gorlois invece era stato buono con lei, le aveva permesso di tenere la bambina. Forse lui, nonostante Igraine non gli riconoscesse molta immaginazione, riusciva a intuire i sentimenti che una donna delle Tribù provava per una figlia.

    Mentre Igraine impartiva ordini per accogliere gli ospiti nel migliore dei modi – il vino da prendere nelle cantine, la carne da arrostire, non il coniglio ma quel grosso montone macellato di recente – sentì le galline nella corte starnazzare e sbattere le ali come impazzite, allora capì: i cavalieri avevano percorso il lungo sentiero a picco sul mare e stavano per arrivare. I servitori sembravano intimoriti, ma ormai quasi tutti si erano rassegnati al fatto che la loro signora possedeva la Vista. Per convincerli aveva fatto ricorso a stratagemmi brillanti e a qualche trucco; solo in quel modo avrebbe continuato a incutere un timore reverenziale. Forse Viviane ha ragione, pensò Igraine. Forse ho ancora la Vista. Forse ho creduto soltanto di averla persa. Nei mesi che hanno preceduto la nascita di Morgaine mi sentivo così stanca e debole. Ma adesso sono tornata me stessa. Mia madre è stata una grande sacerdotessa fino al giorno della sua morte, anche se ha avuto molti figli.

    Ma sua madre, le rispose una voce interiore, aveva avuto quei figli in piena libertà, come una vera donna delle Tribù, scegliendo i padri che voleva, non come la schiava di un romano abituato ad avere il pieno potere su donne e figli. Scacciò via quei pensieri: che cosa importava se lei manteneva davvero la Vista o fingeva di averla, se ciò le garantiva l’obbedienza dei suoi servitori?

    A passo lento lasciò la corte, che Gorlois si ostinava a chiamare atrio, sebbene non assomigliasse per niente alla villa dove aveva vissuto fino a quando Ambrosius lo aveva nominato duca di Cornovaglia. I cavalieri stavano smontando da cavallo e il suo sguardo andò subito all’unica donna che era con loro: più piccola di lei e non più giovane, imbacuccata in scialli e mantelli, indossava una tunica da uomo e larghi calzoni di lana. I loro sguardi si incontrarono, ma Igraine andò a inchinarsi umilmente davanti al vecchio alto e magro che stava scendendo da un mulo ossuto. Portava la veste celeste dei bardi e aveva un’arpa appesa a una spalla.

    «Che tu sia il benvenuto a Tintagel, mio signore e messaggero! La tua presenza è una benedizione e un onore per la nostra dimora.»

    «Ti ringrazio, Igraine» rispose l’uomo con voce di tuono, e Taliesin, il Merlino di Britannia, druido e bardo, giunse le mani davanti a sé e le protese verso la donna in segno di benedizione.

    Fatto il suo dovere, Igraine corse dalla sorellastra per inchinarsi e ricevere anche da lei la benedizione, ma Viviane la anticipò, inchinandosi per prima.

    «No, no, sorella mia, questa è una visita di famiglia, per i cerimoniali ci sarà tempo dopo, se vorrai…» Strinse a sé Igraine e la baciò sulle labbra. «E questa è la piccola? Si vede chiaramente che in lei scorre il sangue dell’Antico Popolo: assomiglia a nostra madre.»

    Viviane, Dama del Lago e Signora dell’Isola Sacra, aveva passato la trentina: figlia maggiore della sacerdotessa del Lago, era succeduta alla madre nel sacro incarico. Prese in braccio Morgaine, cullandola tra le sue sapienti mani di donna abituata ai bambini.

    «Assomiglia a te» rispose Igraine, stupita, ma poi capì che avrebbe dovuto accorgersene prima. Tuttavia erano quattro anni che non vedeva Viviane, dal giorno delle sue nozze. Molte cose erano successe ed era cambiata molto anche lei, da quando, tremante fanciulla di quindici anni, era stata data in sposa a un uomo che aveva il doppio dei suoi anni. «Ma entrate, mio signore, sorella mia. Venite a riscaldarvi.»

    Liberata dai pesanti mantelli, Viviane, Signora di Avalon, era una donna incredibilmente piccola, non più alta di una ragazzina di otto o dieci anni. In quell’ampia tunica stretta da una cintura con un coltello nel fodero, le larghe brache di lana, i grossi gambali, sembrava uno scricciolo, una bambina in abiti da adulto. Il viso era minuto, olivastro e triangolare, la fronte bassa coperta dai capelli neri come le ombre di un baratro. Anche gli occhi erano neri e grossi in quel visino così delicato. Igraine non si era mai resa conto di quanto fosse piccola.

    Una serva portò la coppa degli ospiti: vino caldo mescolato con le più pregiate spezie che Gorlois aveva scovato nei mercati di Londinium. Viviane prese la coppa tra le mani e Igraine le fece un cenno: a quel gesto la sacerdotessa apparve di colpo alta e imponente, come se avesse avuto in mano il solenne calice delle Sacre Reliquie. Lentamente si portò la coppa alle labbra, mormorando una benedizione. Bevve un sorso, si voltò e la posò nelle mani del Merlino. Il druido fece un profondo inchino e se la accostò alla bocca. Quando Igraine, che era appena entrata nei Misteri, prese a sua volta la coppa, si sentì parte di quel solenne rituale che trovava molto bello, bevve e pronunciò la formula di benvenuto.

    Poi posò la coppa e l’incanto del momento svanì: Viviane non era altro che una donna piccola e stanca, il Merlino un vecchio curvo. Igraine li condusse davanti al focolare.

    «È un lungo viaggio dalle sponde del Mar dell’Estate» disse, ricordandosi di quando era partita da lì, novella sposa, terrorizzata, covando in silenzio un profondo odio, al seguito di quel marito straniero che ancora adesso era soltanto una voce terrificante nella notte. «Che cosa ti porta quaggiù tra le tempeste di primavera, mia sorella e signora?»

    Perché non sei venuta prima? Perché mi hai lasciata sola a imparare a diventare moglie, a partorire nella solitudine, tra la paura e la nostalgia di casa? Perché sei venuta soltanto adesso, quando ormai è troppo tardi e io mi sono rassegnata?

    «La distanza è grande, vero» rispose Viviane sottovoce, e Igraine capì che la sacerdotessa aveva udito anche, come sempre, le parole che non erano state pronunciate ma soltanto pensate. «E sono tempi pericolosi, sorella mia. Ma in questi anni ti sei fatta donna, anche se sono stati anni di solitudine, come quelli di isolamento per diventare bardo o…» aggiunse con un sorriso sfuggente, carico di ricordi, «sacerdotessa. Se tu avessi scelto quella via, l’avresti trovata altrettanto solitaria, mia Igraine. Oh, sì, certo» disse poi, tendendo le braccia con un’espressione amabile sul viso, «puoi salire sulle mie ginocchia, piccolina.» Sollevò Morgaine, con grande stupore di Igraine: di solito la bambina era timida come un coniglio selvatico. Tra l’incredulo e l’affascinato, guardò la figlia sistemarsi in grembo a Viviane, che sembrava persino troppo piccola per reggerla. Ma era una maga, una donna dell’Antico Popolo. E forse Morgaine sarebbe diventata come lei.

    «E Morgause, com’è cresciuta da quando l’ho mandata da te un anno fa…» disse Viviane, guardando la ragazzina nel suo vestitino zafferano, che se ne stava in disparte, un po’ risentita, tra le ombre del fuoco. «Vieni a darmi un bacio. Ah, diventerai alta come Igraine» disse, allargando le braccia per accogliere la sorella, che lasciò il focolare un po’ imbronciata come un cucciolo mezzo selvatico. «Ecco, se vuoi siediti accanto a me, mia cara.» Morgause si sedette a terra, appoggiando la testa sul grembo di Viviane, e Igraine vide che il volto imbronciato era pieno di lacrime.

    Ci tiene tutti in pugno. Come fa a esercitare un tale potere su tutti noi? Forse perché è stata la sola madre che Morgause abbia mai avuto? Quando lei è nata, Viviane era già grande, è sempre stata una madre, oltre che una sorella, per noi due. La loro madre, troppo vecchia per avere figli, era morta nel dare alla luce Morgause. Quello stesso anno Viviane aveva avuto un figlio che era morto, così aveva allevato la piccola.

    Morgaine si era stretta al grembo di Viviane, Morgause aveva appoggiato la testa dai soffici capelli rossi sulle ginocchia della donna. Con una mano la sacerdotessa reggeva la più piccola, mentre con l’altra accarezzava la lunga chioma fiammeggiante.

    «Avrei tanto voluto venire quando è nata Morgaine» continuò, «ma ero incinta anch’io. Quell’anno ho avuto un figlio, l’ho affidato a una balia e credo che la madre adottiva lo manderà dai monaci. È cristiana.»

    «Non ti dispiace che diventi cristiano?» le chiese Morgause. «Come si chiama? È bello?»

    Viviane rise. «L’ho chiamato Balan» rispose, «e la madre adottiva ha chiamato suo figlio Balin. Li separano soltanto dieci giorni, cresceranno insieme come gemelli, non ho dubbi. No, non mi dispiace che diventi cristiano, lo era anche il padre, e Priscilla è una brava donna. Hai detto che il viaggio fin qui è stato lungo… ma credimi, mia cara, stavolta è stato più lungo di quello che intrapresi per le tue nozze con Gorlois. Forse non più lungo di quanto lo sia dall’Isola dei Preti, dove prospera la loro Sacra Spina, ma certamente più lungo, molto più lungo, da Avalon…»

    «Ed è per questo che siamo qui» intervenne all’improvviso il Merlino. La sua voce, simile al rintocco di una grande campana, fece sussultare Morgaine, che iniziò a piangere spaventata.

    «Non capisco…» disse Igraine, turbata. «Le due isole sono così vicine…»

    «Sono una sola isola» rispose il Merlino, raddrizzandosi, «ma i seguaci di Cristo hanno deciso di affermare non che non avranno altri Dei all’infuori del loro, ma che non esiste altro Dio all’infuori del loro, che soltanto lui ha creato il mondo, le stelle e tutto l’universo, e che regna da solo.»

    Igraine si fece subito il segno sacro contro le bestemmie.

    «Ma è impossibile» esclamò. «Nessun Dio può regnare su tutto… e allora la Dea? La Madre…?»

    «Costoro credono» continuò Viviane, la voce bassa e flebile, «che non esista nessuna Dea, perché l’elemento femminile, così sostengono, è il principio di ogni male. Secondo loro il Male è entrato nel mondo attraverso la donna; circola un racconto fantastico di origine ebraica su una mela e un serpente…»

    «La Dea li punirà tutti quanti» replicò Igraine, sconvolta. «E tuttavia mi hai fatto sposare uno di loro…»

    «Non pensavamo che la loro empietà fosse così grande» rispose il Merlino. «Ai nostri tempi ci sono stati seguaci di altri Dei. Ma hanno sempre rispettato gli Dei altrui.»

    «Ma questo cosa c’entra con la distanza da Avalon?» chiese Igraine.

    «Ecco che veniamo alla ragione della nostra visita» iniziò il Merlino. «Come tutti i Druidi sanno, è la fede dell’umanità che plasma il mondo e la realtà. Quando molto tempo fa i primi seguaci di Cristo giunsero sulla nostra isola, compresi che era un momento decisivo, un momento di cambiamento del mondo.»

    Morgause lo squadrò sgranando gli occhi dallo stupore.

    «Siete così vecchio, Venerabile maestro?»

    Il Merlino le sorrise e disse: «Non in questo corpo. Ma ho letto molto nel grande palazzo che non è di questo mondo, dove è custodita la Cronaca di Ogni Cosa. E io vivevo lì un tempo. I Signori di questo mondo mi hanno concesso di tornare qua, ma in un altro corpo».

    «Venerabile padre, questi sono argomenti troppo ostici per una bambina» lo rimproverò dolcemente Viviane. «Non è una sacerdotessa.» Poi rivolta a Morgause: «Quello che il Merlino intende, mia cara sorella, è che ha vissuto quando arrivarono qua i primi Cristiani, e poi ha ottenuto di reincarnarsi subito per proseguire la sua opera. Questi sono Misteri, che non è necessario tu comprenda. Continua, Padre».

    «Sapevo che era uno di quei momenti in cui la storia di tutta l’umanità sarebbe cambiata» proseguì il druido. «I Cristiani cercano di cancellare ogni sapere che non sia il loro, e in questa lotta bandiscono dal mondo ogni forma di mistero che non sia conforme al loro credo religioso. Hanno proclamato eresia l’affermazione che gli uomini vivono più di una vita – cosa che invece ogni contadino sa essere vera…»

    «Ma se gli uomini non credono in più di una vita» intervenne Igraine, sconvolta, «come potranno salvarsi dalla disperazione? Se tutto quello che possono avere è un’esistenza sola, com’è possibile che Dio abbia creato alcuni uomini disgraziati e altri ricchi e felici?»

    «Non lo so» disse il Merlino. «Forse i Cristiani vogliono che gli uomini si disperino della durezza del destino per potersi prostrare davanti al Cristo che li porterà in paradiso. Non ho capito in che cosa credano i seguaci di Cristo, o in che cosa sperino.» Chiuse gli occhi per un momento, l’espressione del volto amareggiata. «Qualunque sia il loro credo, le convinzioni che hanno stanno cambiando il mondo, non solo nello spirito ma anche sul piano materiale. Per loro, che li negano, il mondo dello spirito e i reami di Avalon cessano di esistere. Naturalmente continuano a esistere, ma non nello stesso mondo dei seguaci di Cristo. Adesso Avalon, l’Isola Sacra, non è più la stessa Glastonbury dove un tempo noi seguaci dell’Antica Fede permettemmo ai monaci di innalzare la loro cappella e il loro monastero. Poiché il nostro sapere e il loro… quanto ne sai di filosofia naturale, Igraine?»

    «Poco» rispose la giovane, turbata, guardando la sacerdotessa e il venerabile druido. «Non ho ricevuto alcun insegnamento.»

    «Peccato. Perché questo devi saperlo, Igraine. Cercherò di farti un esempio semplice. Ecco…» Si tolse il massiccio collare d’oro e sguainò il pugnale. «Posso fare in modo che questo bronzo e questo oro occupino lo stesso posto contemporaneamente?»

    Igraine sbatté le palpebre fissando il vuoto, senza capire. «No, certo che no. Possono stare l’uno accanto all’altro, ma non nello stesso posto. A meno di eliminare uno dei due.»

    «E lo stesso vale per l’Isola Sacra» ribatté il Merlino. «Quattrocento anni fa, prima che gli stessi Romani si spingessero fin qua, i preti giurarono che mai avrebbero imbracciato le armi contro di noi, perché eravamo qui prima di loro, che all’epoca erano deboli e indifesi. Hanno tenuto fede al giuramento, glielo devo riconoscere. Ma con lo spirito, nelle loro preghiere, non hanno mai smesso di lottare contro di noi perché il loro Dio cacciasse i nostri Dei e il loro sapere prevalesse. Nel nostro mondo, Igraine, c’è spazio per molti Dei e Dee. Ma nell’universo dei Cristiani non c’è spazio per la nostra dottrina o il nostro sapere. Nel loro mondo esiste un unico Dio, il quale non solo deve prevalere su tutti gli altri, ma deve farlo come se non esistessero altri Dei, come se non fossero mai esistiti, e fossero soltanto falsi idoli, creature del loro demonio. E tutti gli uomini, credendo in quell’unico Dio, possono salvarsi in quest’unica vita. Ecco in cosa credono. E il loro mondo procede alla pari con il loro credo. Così i mondi che un tempo erano una cosa sola adesso si stanno separando.

    «Ora ci sono due Britannie, Igraine: il loro mondo sotto un solo Dio e Cristo, e accanto e dietro a esso il mondo dove la Grande Madre continua a regnare e l’Antico Popolo ha scelto di vivere e venerarla. È già successo in passato. In un tempo remoto le fatate creature di luce lasciarono il nostro mondo per avventurarsi tra le nebbie, e adesso solo ogni tanto un viandante può passare una notte sulle alture degli Elfi mentre il tempo scorre senza di lui, e dopo quell’unica notte, quando ne viene fuori, scopre che tutti i suoi parenti sono morti e che è volata una decina d’anni. E adesso, Igraine, tutto ciò si sta ripetendo. Il nostro mondo, governato dalla Dea e dal suo consorte, il Dio Cervo, il mondo che tu conosci, il mondo delle molte verità, viene allontanato di forza dal corso principale del tempo. Già adesso, mia cara, se un viaggiatore si incammina senza una guida per l’Isola di Avalon, a meno che non conosca bene la strada, non vi giungerà mai e invece arriverà all’Isola dei Preti. Per la maggior parte degli uomini il nostro mondo è ormai perduto tra le nebbie del Mar dell’Estate. Ma era già cominciato tutto prima della partenza dei Romani, e adesso, mentre la Britannia si ricopre di chiese, il nostro mondo diventa sempre più lontano. Per questo ci abbiamo messo così tanto a venire fin qua: sempre meno città e strade dell’Antico Popolo ci restano come guide. I due mondi si toccano ancora, stanno l’uno accanto all’altro, vicini come amanti, ma si stanno separando, irrimediabilmente, e se questa separazione non avrà fine, un giorno saranno due mondi distinti, e nessuno potrà più andare e venire…»

    «Che si separino pure!» sbottò Viviane esasperata. «Continuo a credere che sia la soluzione migliore. Io non voglio vivere in un mondo dove i Cristiani negano la Madre…»

    «Ma cosa ne sarà degli altri? Di quelli che vivono nella disperazione?» La voce del Merlino era di nuovo simile al mesto rintocco di una campana. «No, una via deve restare, sia pure segreta. Molte parti del mondo sono ancora unite. I Sassoni compiono razzie in entrambi i mondi, ma sempre più guerrieri dei nostri diventano seguaci di Cristo. I Sassoni…»

    «I Sassoni sono barbari e crudeli» replicò Viviane. «Le Tribù da sole non sono in grado di cacciarli dalle loro terre, e io e il Merlino sappiamo che Ambrosius non resterà più a lungo in questo mondo, e il suo condottiero, il Pendragon – il suo nome è Uther, non è vero? – gli succederà presto. Ma molti non si uniranno a lui. Qualunque cosa accada al nostro, nessuno dei due mondi potrà sopravvivere a lungo alla furia dei Sassoni. Prima di combattere la battaglia spirituale per evitare che essi si separino per sempre, dobbiamo salvare il cuore della Britannia dalla follia devastatrice dei Sassoni. Non ci assaliranno soltanto loro, ma anche gli Iuti, gli Scoti, tutti i barbari che stanno scendendo da nord. Ogni luogo, persino Roma, cadrà: sono così tanti. Tuo marito ha combattuto per tutta la sua vita. Ambrosius, duca di Britannia, è un uomo valoroso, ma può contare soltanto sulla lealtà di chi un tempo serviva Roma. Suo padre era un porporato, e anche Ambrosius aspirava a diventare imperatore. Ma abbiamo bisogno di un capo che risulti gradito a tutte le genti di Britannia.»

    «Ma c’è sempre Roma…» protestò Igraine. «Gorlois mi ha assicurato che, una volta sedate le rivolte nella capitale, le legioni sarebbero tornate! Non possiamo contare sul loro aiuto contro i barbari del Nord? I Romani erano i più grandi combattenti al mondo, hanno eretto il grande Vallo a Nord per respingere gli assalti dei predoni…»

    La voce del Merlino assunse ancora il tono lugubre del rintocco di una campana. «L’ho visto nel Pozzo Sacro» disse. «L’Aquila ha spiccato il volo e non farà più ritorno in Britannia.»

    «Roma non può far nulla» commentò Viviane. «Dobbiamo trovare un nostro uomo che possa comandare tutta la Britannia. Altrimenti il paese cadrà sotto i barbari e per centinaia e centinaia di anni vivremo miseramente sotto il giogo dei Sassoni. I due mondi si separeranno per sempre e il ricordo di Avalon non sopravvivrà nemmeno nelle leggende, a consolazione dell’umanità. No, dobbiamo avere un nostro capo, che possa contare sulla fedeltà di tutto il popolo delle due Britannie – quella dei preti e quella del mondo delle nebbie, sotto l’egida di Avalon. Risanati da questo Sommo Re» la voce della sacerdotessa assunse il tono mistico e cristallino della profezia, «i due mondi si riuniranno e ci sarà spazio per la Dea e per il Cristo, per il Calderone e per la Croce. Questo re ci darà l’unità.»

    «Ma dove troveremo un tale re?» chiese Igraine. «Chi ci darà un tale capo?»

    Tutto d’un tratto ebbe paura, un brivido le percorse la schiena, quando il Merlino e la sacerdotessa si voltarono a fissarla. La gelarono con lo sguardo, e lei restò immobile come un uccellino sotto l’ombra di un grande falco. Allora capì perché il profeta e messaggero dei Druidi era il Merlino e non altri.

    Quando Viviane aprì bocca, le uscì una voce dolce.

    «Tu, Igraine» rispose. «Tu partorirai il Sommo Re.»

    2

    Nella stanza scese il silenzio, rotto appena dal lieve crepitio del fuoco. Alla fine Igraine fece un lungo respiro, come se si fosse appena svegliata. «Cosa significa? Vuoi dire che Gorlois sarà il padre di questo Sommo Re?» Sentiva quelle parole riecheggiare nitide nella propria testa, e si domandò perché non avesse mai ritenuto suo marito degno di un tale destino. Vide il Merlino e sua sorella scambiarsi un’occhiata furtiva, e notò anche il rapido gesto con cui la sacerdotessa impose il silenzio al vecchio druido.

    «No, venerabile Merlino, spetta a una donna dirlo a un’altra donna… Igraine, Gorlois è romano. Le Tribù non seguiranno mai un uomo nato da un figlio di Roma. Il Sommo Re che seguiranno sarà figlio dell’Isola Sacra, un figlio della Dea. Sì, Igraine, tuo figlio. Ma non saranno soltanto le Tribù a combattere contro i Sassoni e gli altri barbari del Nord. Avremo bisogno dell’aiuto di Romani, Celti, Cimri, e questi seguiranno soltanto il loro condottiero, il loro Pendragon, figlio di un uomo di cui si fidano ciecamente. E anche l’Antico Popolo cerca il figlio di una madre regale. Tuo figlio, Igraine. Ma il padre sarà Uther Pendragon.»

    Igraine li fissò, pensierosa, poi lentamente la rabbia montò e la riscosse dal torpore. «No!» urlò. «Ho un marito e da lui ho avuto una figlia! Non vi lascerò giocare ancora a dadi con la mia vita! Mi sono sposata come mi avete ordinato… e non avete idea…» Le parole le morirono in gola. Non sarebbe mai riuscita a raccontare loro il suo primo, terribile anno di matrimonio. Nemmeno a Viviane. Avrebbe potuto dire: Ero terrorizzata, oppure: Ero sola e spaventata, o ancora: Sarebbe stato meglio lo stupro, perché almeno dopo sarei scappata via per morire lontano, ma quelle non sarebbero state altro che parole, in grado di esprimere solo una minima parte di quello che aveva vissuto sulla propria pelle.

    E anche se Viviane fosse venuta a conoscenza di tutto ciò, penetrando nella mente della sorella e scoprendo quello che lei non avrebbe mai osato dire, non le avrebbe di certo negato la sua compassione e pietà, ma non avrebbe cambiato idea né avrebbe preteso di meno da Igraine. E lei aveva sentito sua sorella dirlo abbastanza spesso quando si pensava ancora che sarebbe diventata una sacerdotessa dei Misteri: Se cerchi di evitare il tuo destino o rimandare le sofferenze, ti condanni soltanto a soffrire il doppio in un’altra vita.

    Igraine non aprì bocca, si limitò a fissare Viviane con il risentimento soffocato in quegli ultimi quattro anni, quando aveva fatto il suo dovere con coraggio e da sola, accettando il proprio destino senza mai lamentarsi più del dovuto. Ma ancora? Mai più, giurò a se stessa. Mai più. Scosse la testa energicamente.

    «Ascoltami, Igraine» disse il Merlino. «Sono tuo padre, anche se ciò non mi dà alcun diritto. È il sangue della Signora che conferisce la regalità, e tu discendi dal più antico sangue regale, quello dell’Isola Sacra, tramandato di figlia in figlia. È scritto nelle stelle che solo un re disceso da due stirpi regali, quella delle Tribù che venerano la Dea e quella dei Romani, salverà la nostra terra. Perché i due mondi possano continuare a esistere insieme, ci dev’essere pace, una pace abbastanza duratura sia per la Croce sia per il Calderone. Con un tale regno, Igraine, anche i seguaci della Croce avranno accesso ai Misteri, la cui conoscenza li conforterà nelle loro tristi esistenze di peccato e sofferenza e nella loro convinzione in una sola, breve vita per abbracciare l’inferno o il paradiso eterni. Altrimenti, il nostro mondo svanirà nelle nebbie, e passeranno centinaia – se non migliaia – di anni in cui la Dea e i Sacri Misteri saranno dimenticati da tutta l’umanità. Soltanto a pochi sarà concesso andare e venire dai due mondi. Lasceresti dunque che la Dea e le sue opere svaniscano da questo mondo, tu, Igraine, che sei nata dalla Signora dell’Isola Sacra e dal Merlino di Britannia?»

    Igraine chinò la testa, cercando di opporsi alla dolcezza di quella voce. Senza che nessuno glielo avesse mai detto, aveva sempre saputo che Taliesin, il Merlino di Britannia, aveva condiviso con sua madre la scintilla della vita che l’aveva generata, ma una figlia dell’Isola Sacra non parlava di questi fatti. Una figlia della Signora apparteneva soltanto alla Dea e all’uomo a cui la Signora decideva di affidarla – quasi sempre il fratello, solo molto di rado il vero padre.

    C’era una ragione per questa scelta: nessun uomo devoto avrebbe reclamato la paternità di un figlio della Dea, e tutti i figli della Signora erano considerati tali. Il fatto che Taliesin ricorresse a quell’argomento la scosse profondamente, ma allo stesso tempo la commosse.

    Igraine replicò con fermezza, senza guardarlo: «Gorlois avrebbe potuto essere scelto come Grande Drago – come Pendragon. Di certo Uther non sarà così diverso da tutti gli altri uomini. Se bisognava sceglierne uno, perché non avete usato i vostri incantesimi per far proclamare Gorlois condottiero di Britannia e Grande Drago? Allora, quando fosse nato nostro figlio, avreste avuto il vostro Sommo Re…».

    Il Merlino scosse la testa, ma toccò di nuovo a Viviane parlare, e quel silenzioso accordo tra i due irritò ancor di più Igraine. Perché si erano coalizzati in quel modo contro di lei?

    «Non darai figli maschi a Gorlois, Igraine» disse Viviane sommessamente.

    «Ma tu chi ti credi di essere? Sei forse la Dea che dispensa figli alle donne?» sbottò Igraine, sapendo di essere infantile. «Gorlois ha avuto figli da altre donne. Perché non dovrei dargliene uno legittimo, come desidera?»

    Viviane non rispose. Guardò negli occhi Igraine e le chiese, a bassa voce: «Tu ami Gorlois, sorella?».

    Igraine fissò il pavimento. «La cosa non conta. È una questione d’onore. Lui è stato buono con me…» Si interruppe, ma i pensieri continuarono nella sua mente: Buono con me quando non avevo nessun altro, quando ero sola e abbandonata. Del resto anche tu, sorella, mi hai lasciata al mio destino. E mi parli d’amore?

    «È una questione d’onore» ripeté. «Glielo devo. Mi ha permesso di tenere Morgaine, quando nella mia solitudine era tutto quello che avevo. È stato gentile e paziente, e per un uomo della sua età non è stato facile. Desidera un figlio maschio, lo ritiene troppo importante per la sua vita e il suo onore, e io non glielo negherò di certo. Se avrò un figlio maschio, sarà del duca Gorlois, e di nessun altro. Lo giuro! Sul fuoco e…»

    «Silenzio!» La voce di Viviane irruppe simile al rombo assordante di una grossa campana. «Ti ordino di non proferire alcun giuramento, se non vuoi diventare per sempre spergiura!»

    «E perché credi che non manterrei la parola?» protestò Igraine. «Sono stata allevata alla verità! Anch’io sono figlia dell’Isola Sacra, Viviane! Sarai pure la mia sorella maggiore, la mia sacerdotessa e Signora di Avalon, ma non puoi trattarmi come se fossi una bambina priva della favella, alla stregua di Morgaine, che non capisce niente di ciò che le si dice, e ignora il significato di un giuramento…»

    Sentendo il proprio nome, la bambina si raddrizzò di colpo sulle ginocchia. La Dama del Lago le sorrise, accarezzandole la chioma nera. «Non credere che questa piccola non capisca! I bimbi capiscono molto più di quanto possiamo immaginare, soltanto non sanno esprimere i loro pensieri, e così crediamo che non ne abbiano. Quanto a tua figlia… riguarda il futuro e non ne parlerò davanti a lei, ma chissà, forse un giorno sarà una grande sacerdotessa…»

    «Mai! A costo di diventare cristiana per impedirlo!» inveì Igraine. «Credi che ti lascerò tramare contro la vita di mia figlia come hai fatto con la mia?»

    «Calmati, Igraine» intervenne il Merlino. «Tu sei libera, come tutti i figli degli Dei. Siamo qui per supplicarti, non per darti ordini. No, Viviane…» disse, alzando una mano per fermare la Dama del Lago. «Igraine non è un inerme giocattolo nelle mani del destino. Eppure credo che, quando saprà tutto, farà la scelta giusta.»

    Morgaine aveva cominciato ad agitarsi sulle ginocchia di Viviane. La sacerdotessa le sussurrò una canzone, dolcemente, accarezzandole i capelli, e la bambina si calmò, ma Igraine si avvicinò e prese la piccola, irritata e gelosa del potere quasi magico di Viviane di calmarla. Tra le sue braccia Morgaine sembrava strana, diversa, come se il tempo trascorso con la zia l’avesse cambiata, trasformata, resa quasi meno sua. Igraine sentiva le lacrime bruciarle gli occhi. Morgaine era tutto quello che aveva, e adesso anche lei le veniva strappata via; stava cadendo vittima, come tutti, della forza incantatrice di Viviane, una forza che rendeva chiunque una pedina nelle sue mani.

    Si rivolse bruscamente a Morgause, che teneva ancora la testa appoggiata sul grembo di Viviane: «Alzati subito, forza, e vattene in camera tua! Sei quasi una donna, smettila di comportarti come una bambina viziata!».

    Morgause sollevò la testa, scostando una ciocca di capelli rossi dal visino imbronciato. «Perché hai scelto proprio Igraine per i tuoi piani, Viviane?» chiese. «Lei non ne vuole sapere. Anch’io sono una donna e sono figlia dell’Isola Sacra. Perché non hai scelto me per Uther Pendragon? Perché non potrei essere io la madre del Sommo Re?»

    Il Merlino sorrise. «Vuoi andare incontro al tuo destino con tanta noncuranza, Morgause?»

    «Perché scegliere Igraine e non me? Io non sono sposata…»

    «Nel tuo futuro ci sono un re e molti figli, Morgause, ma ti dovrai accontentare di questo. Nessun uomo o donna può vivere la vita di un altro. Il tuo destino e quello dei tuoi figli dipendono dal Sommo Re. Altro non posso dire» concluse il druido. «Basta così, Morgause.»

    In piedi, con Morgaine tra le braccia, Igraine si sentiva meglio. Con voce sommessa disse: «Sono una pessima padrona di casa, mia cara sorella, mio venerabile Merlino. I miei servitori vi accompagneranno nelle stanze degli ospiti. Avrete vino per ristorarvi e acqua per lavarvi, e al tramonto sarà pronta la cena».

    Viviane si alzò. Igraine aveva parlato con un tono neutro e formale, e per un momento la sorella si sentì sollevata: era tornata la padrona di casa, non più una fanciulla in preda agli eventi, ma la moglie di Gorlois, duca di Cornovaglia. «Al tramonto, dunque, sorella mia.»

    Ma a Igraine non sfuggì l’occhiata che Viviane aveva scambiato con il Merlino. Quell’occhiata era chiara come un libro aperto: Lascia stare per ora. Le farò cambiare idea io, come sempre.

    E allora il viso di Igraine diventò di marmo. Oh sì, come sempre. Ma stavolta non sarà così. Quando ero una bambina ingenua, ho seguito il suo volere. Ma adesso sono cresciuta, sono una donna, non mi può più ingannare come ha fatto con la ragazzina che diede in sposa a Gorlois. Adesso farò quello che voglio io, non quello che vuole la Dama del Lago.

    I servitori accompagnarono gli ospiti. Igraine andò nella sua stanza, mise a letto Morgaine e cominciò a riflettere nervosamente su quello che aveva appena udito.

    Uther Pendragon… Non l’aveva mai visto, ma Gorlois parlava sempre del suo valore. Era un parente stretto, figlio della sorella di Ambrosius Aurelianus, Sommo Re di Britannia, ma a differenza di Ambrosius era un britanno, senza sangue romano nelle vene, e per questo i Cimri e le Tribù non avrebbero esitato a seguirlo. Non c’era alcun dubbio che un giorno sarebbe stato proclamato Re di Britannia. Ambrosius non era più giovane, quel giorno non era così lontano.

    E io diventerei regina… Ma cosa vado pensando? Sarei pronta a tradire Gorlois e il mio stesso onore?

    Alle sue spalle, mentre reggeva lo specchio di bronzo, vide la sorella sulla soglia. Viviane si era tolta le brache che aveva indossato per il viaggio, e adesso portava una lunga veste di lana non tinta; i capelli ricadevano morbidi e neri come il vello di una pecora. Appariva piccola, fragile e invecchiata, gli occhi erano quelli della sacerdotessa nella caverna dell’iniziazione, molti anni prima, in un altro mondo… Igraine abbandonò quel pensiero, innervosita.

    Viviane si avvicinò e le sfiorò i capelli.

    «Mia piccola Igraine… Non così piccola adesso» le disse teneramente. «Lo sai che fui io a scegliere il tuo nome: Grainne, in onore della Dea dei fuochi di Beltane… Quando è stata l’ultima volta che hai servito la Dea a Beltane?»

    La bocca di Igraine si tese leggermente, un accenno di sorriso comparve sulle labbra. «Gorlois è romano e cristiano. Credi forse che la sua casata segua i riti di Beltane?»

    «No, penso di no» rispose Viviane, divertita. «Ma sei proprio sicura che i tuoi servitori non scappino di nascosto al Solstizio d’Estate ad accendere falò e giacere insieme sotto la luna piena? Mentre il signore e la signora di una casata cristiana non possono farlo, sotto lo sguardo cupo dei loro preti e del loro Dio severo e incapace d’amare…»

    Igraine replicò seccamente: «Non parlare così del Dio di mio marito. È un Dio d’amore».

    «Lo dici tu. Eppure quel Dio ha dichiarato guerra a tutti gli altri Dei ed elimina chiunque non lo adori» ribatté Viviane. «Facciamo volentieri a meno dell’amore di un tale Dio. Potrei appellarmi ai voti che un tempo hai pronunciato, per farti fare quello che ti ho chiesto in nome della Dea e dell’Isola Sacra…»

    «Oh, che strano!» esclamò Igraine in tono sarcastico. «Adesso la mia Dea mi chiede di prostituirmi! Il venerabile Merlino di Britannia e la Dama del Lago mi faranno da mezzani?»

    Gli occhi di Viviane sfolgorarono, la donna fece un passo in avanti e per un attimo Igraine pensò che avrebbe ricevuto un sonoro schiaffo. «Come osi!» la rimproverò la sorella e, sebbene avesse parlato a bassa voce, le parole riecheggiarono nella stanza a tal punto che all’improvviso Morgaine, mezza addormentata sotto le coperte di lana, si sollevò a sedere e si mise a urlare dalla paura.

    «Ecco, hai svegliato mia figlia…» protestò Igraine e si sedette sul bordo del letto per calmare la bambina. Intanto l’irritazione svanì gradualmente dal volto di Viviane. Anche lei si sedette e disse: «Mi hai fraintesa, Grainne. Credi che Gorlois sia immortale? Sorella mia, ti voglio dire una cosa: ho scrutato tra gli astri i destini di chi sarà importante per il futuro della Britannia negli anni a venire, e, credimi, il nome di Gorlois non c’era».

    Igraine sentì le ginocchia tremare e la forza venire meno. «Uther lo ucciderà?»

    «Ti posso giurare che Uther non avrà alcuna parte nella morte di Gorlois, e quando a tuo marito toccherà morire, lui sarà lontano. Ma pensaci, piccola mia. Tintagel è un grande castello. Credi che quando Gorlois non potrà più governarlo Uther Pendragon si farà qualche scrupolo a dire a uno dei suoi generali: Prenditi il castello e la donna che lo abita? Meglio Uther che uno dei suoi uomini.»

    Morgaine… Che ne sarà di mia figlia? E di Morgause, la mia dolce sorellina? È proprio vero: ogni donna deve pregare che il suo uomo viva per proteggerla.

    «Non posso tornare all’Isola Sacra e vivere ad Avalon come sacerdotessa?»

    «Non è il tuo destino, piccola mia» sentenziò Viviane. La sua voce si era di nuovo intenerita. «Non puoi sfuggire al fato. Avrai una parte nella salvezza di questa terra, ma l’accesso ad Avalon ti è precluso per sempre. Allora, seguirai il tuo destino, oppure gli Dei dovranno trascinarti contro la tua volontà?» Non aspettò la risposta della sorella. «Succederà presto. Ambrosius Aurelianus sta morendo. Per molti anni ha guidato i Britanni, e adesso i suoi comandanti si riuniranno per scegliere il Sommo Re. Possono fidarsi soltanto di Uther. Che così diventerà capo dell’esercito e sovrano. E avrà bisogno di un erede maschio.»

    All’improvviso Igraine si sentì in trappola. «Se è così importante, perché non ti offri tu stessa? Se è così prestigioso essere la moglie del capo dell’esercito e re della Britannia, perché non cerchi tu stessa di sedurre Uther con i tuoi incantesimi e concepire il futuro sovrano?»

    Con grande sorpresa di Igraine, Viviane esitò a lungo prima di rispondere. «Credi che non ci abbia pensato? Ma non hai considerato la mia età, sorella. Sono più vecchia di Uther, che non è più un giovane guerriero. Avevo ventisei anni quando è nata Morgause, e adesso ne ho trentanove, la maternità non mi si addice più.»

    Nello specchio di bronzo, che teneva ancora in mano, Igraine scorse il riflesso della sorella: l’immagine, distorta, deformata, fluiva come l’acqua, ora schiarendosi, ora scurendosi, ora disperdendosi. «Lo credi davvero?» le chiese Igraine. «Eppure io ti dico che avrai un altro figlio.»

    «Spero proprio di no» replicò Viviane. «Sono più vecchia di nostra madre quando morì dando alla luce Morgause, non posso sperare di evitare un destino simile. Questo è l’ultimo anno che parteciperò ai riti di Beltane, dopodiché lascerò il mio posto a una donna più giovane e diventerò come l’Antica, la nostra maga. Avevo sperato di poter cedere un giorno il posto della Dea a Morgause…»

    «Perché allora non l’hai trattenuta ad Avalon per prepararla a succederti come sacerdotessa?»

    Viviane si incupì. «Non è adatta. Sotto il manto della Dea scorge soltanto il potere, non il sacrificio indefesso e la sofferenza. Non è la sua strada.»

    «Non mi pare che tu abbia sofferto» osservò Igraine.

    «Tu non ne sai nulla. Non hai scelto di intraprendere quel percorso. Io, che a esso ho sacrificato tutta la mia vita, te lo posso assicurare: la condizione di una contadina, destinata a essere una bestia da soma e una giumenta da monta, sarebbe molto più facile. Tu mi vedi vestita e incoronata come la Dea, trionfante accanto al calderone. Ma non vedi le tenebre della caverna o i profondi abissi del mare… Mia cara, tutto ciò non ti riguarda, e dovresti ringraziare la Dea che il tuo destino è un altro.»

    Credi che non sappia nulla di come si soffre in silenzio, dopo questi quattro anni?, pensò Igraine. Ma non aprì bocca. Viviane, intenerita, si era chinata su Morgaine, e le stava accarezzando i capelli di seta nera.

    «Ah, Igraine, non sai come ti invidio! Per tutta la vita ho desiderato una figlia. Morgause, per me, era come se lo fosse, la Dea lo sa, eppure è sempre stata distante, come se non fosse nata da mia madre, ma da un’estranea. Desideravo un’erede a cui lasciare la mia carica.» Sospirò. «Ma ho avuto una sola bambina, che è morta, e i miei figli sono lontani.» Si strinse nelle spalle. «È il mio destino, e gli obbedirò, così come tu obbedirai al tuo. Ti chiedo solo questo, Igraine, il resto lo lascio a Colei che è la Signora di tutti noi. Dopo un breve ritorno al castello, Gorlois partirà alla volta di Londinium, per l’elezione del Sommo Re. Cerca un modo per andarci anche tu.»

    Igraine scoppiò a ridere. «Oh, mi chiedi ben poca cosa, ma è la più ardua di tutte! Credi davvero che mio marito incaricherà i suoi uomini di scortare una giovane donna a Londinium? Certo, vorrei andarci, ma temo che Gorlois mi porterà laggiù soltanto quando i fichi e le arance del Sud cresceranno nei giardini di Tintagel…»

    «Devi riuscirci, in un modo o nell’altro. E devi cercare Uther Pendragon.»

    Igraine rise di nuovo. «E immagino che mi darai un talismano che lo farà innamorare perdutamente di me?»

    Viviane le accarezzò i riccioli rossi. «Sei giovane, Igraine, e secondo me non hai la più pallida idea di quanto sei bella. Non penso che Uther avrà bisogno di incantesimi.»

    Igraine sentì il corpo contrarsi in uno strano sussulto di paura. «Forse l’incantesimo servirebbe a me per non scappare via!»

    Viviane sospirò. Toccò la pietra di luna al collo della sorella. «Questo non è un dono di Gorlois…»

    «No. Me l’hai regalato tu al mio matrimonio, ti ricordi? Dicesti che era di nostra madre.»

    «Dammela.» Viviane allungò la mano sotto i riccioli di Igraine, dietro il collo, e aprì il gancio della catenina. «Quando la gemma tornerà a te, sorella mia, ricorda le mie parole e fa’ quello che ti chiede la Dea.»

    Igraine contemplò la pietra nelle mani della sacerdotessa. Sospirò, ma non si oppose. Non ho promesso niente, disse tra sé, ostinata. Niente.

    «Andrai a Londinium per l’elezione del Sommo Re, Viviane?»

    La sacerdotessa scosse la testa. «Andrò nella terra di un altro re, che non sa ancora di dover combattere a fianco di Uther. Ban, nella Britannia Minore. È stato eletto re di quella terra, e come pegno i suoi Druidi gli hanno fatto promettere di celebrare il Grande Rito. Mi hanno chiamata a officiare le Nozze Sacre.»

    «Credevo che la Bretagna fosse una terra cristiana.»

    «Oh, sì» rispose Viviane in tono indifferente. «I suoi preti suoneranno le campane e lo ungeranno con i loro oli benedetti e gli diranno che il suo Dio si è sacrificato per lui. Ma il popolo non accetterà mai un re che non si sia votato al Grande Sacrificio.»

    Igraine fece un sospiro profondo. «Ne so così poco…»

    «Nei tempi antichi, Igraine» iniziò Viviane, «il Sommo Re legava la sua vita al destino della sua terra, e giurava, come ogni Merlino di Britannia, che in caso di pericolo si sarebbe sacrificato perché essa potesse vivere. Se si fosse rifiutato, il regno sarebbe caduto in disgrazia. Io… ecco, non dovrei parlartene, ma in fondo, sorella mia, anche tu stai offrendo la tua vita per la salvezza di questa terra. Al momento del parto nessuna donna sa se la sua vita verrà reclamata dalla Dea. Anch’io sono rimasta legata e indifesa, il coltello puntato alla gola, sapendo che se la morte mi avesse ghermita il mio sangue avrebbe riscattato la terra.» La voce si spense in un tremore. Igraine taceva a sua volta, in segno di rispetto.

    «Anche una parte della Britannia Minore si è ritirata tra le nebbie, e il Grande Santuario delle Pietre è irraggiungibile. La strada che conduce a esso è impraticabile… a meno di non conoscere la via per Carnac» continuò Viviane. «Ma re Ban si è impegnato a impedire che i due mondi si allontanino e a tenere aperti i cancelli per i Misteri. Così celebrerà le Nozze Sacre con la Terra per promettere che, se sarà necessario, verserà il proprio sangue per nutrire i raccolti. È saggio che il mio ultimo servizio alla Madre, prima di prendere posto tra le maghe, sia vincolare la sua terra ad Avalon, e in questo Mistero io sarò la sua Dea.»

    Poi tacque, ma la stanza riecheggiava ancora delle sue parole. Si chinò su Morgaine che dormiva e la prese tra le braccia, senza svegliarla, con infinita tenerezza.

    «Lei non è ancora una fanciulla e io non sono ancora una maga» mormorò. «Ma noi siamo le Tre, Igraine. Insieme formiamo la Dea. Essa è sempre presente tra noi.»

    Igraine si chiese perché non avesse menzionato Morgause, ma le loro menti erano così aperte l’una all’altra che Viviane capì lo stesso, come se la sorella avesse parlato ad alta voce.

    Viviane fu scossa da un brivido. Poi sussurrò: «La Dea ha un quarto volto segreto… Pregala come faccio io… Pregala che Morgause non assuma mai quel volto…».

    3

    Igraine aveva la sensazione di cavalcare sotto la pioggia da un’eternità. Andare a Londinium equivaleva a spostarsi fino ai confini del mondo. Aveva viaggiato molto poco fino a quel momento, e solamente, tanti anni prima, da Avalon a Tintagel. Ripensò alla fanciulla spaventata e disperata di allora e la confrontò con la donna che era diventata. Adesso procedeva a fianco di Gorlois, che cercava in ogni modo di raccontarle qualcosa delle terre che stavano attraversando, e lei rideva e scherzava, e di notte, nella tenda, giaceva volentieri con lui. Ogni tanto sentiva la mancanza di Morgaine, e allora si chiedeva cosa stesse facendo – di notte piangeva chiamando sua madre? Mangiava quello che le dava Morgause? Ma adesso era bello essere di nuovo libera e poter cavalcare insieme a tutti quegli uomini valorosi, che la ammiravano e la trattavano con deferenza. Nessuno avrebbe osato rivolgere la parola alla consorte di Gorlois, si sarebbero limitati a uno sguardo ossequioso. Le sembrava di essere tornata ragazzina, ma senza la paura raggelante di un tempo per l’estraneo che era suo marito, che lei doveva compiacere in ogni modo. Era di nuovo una giovinetta, ma senza la goffaggine

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