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Evil
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E-book402 pagine5 ore

Evil

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Info su questo ebook

Il destino di Victor è intrecciato a quello di Eli sin dai tempi dell’università, quando la loro comune sete di conoscenza, unita a una sfrenata ambizione, si rivelò fatale. Gettandosi a capofitto in una ricerca sull’adrenalina e le esperienze ai confini della morte, fecero una straordinaria scoperta: a determinate condizioni, è possibile sviluppare poteri soprannaturali. Ma le cose precipitarono... Sono passati dieci anni da allora e Victor è evaso di prigione, determinato a trovare il suo vecchio amico. Eli ha dedicato la sua vita a cercare di rimediare al loro errore, dando la caccia a chiunque abbia sviluppato dei poteri soprannaturali. Il sodalizio di un tempo si è tramutato in rivalità e i due arcinemici sono pronti a fronteggiarsi una volta per tutte, mentre all’orizzonte si prospetta uno scontro di forze terribili. Una battaglia che cambierà per sempre il destino del mondo.

Un’autrice numero 1 nelle classifiche del New York Times 
Mezzo milione di copie vendute 
Tradotta in 15 Paesi

«V.E. Schwab sa gestire sapientemente una trama ricca di colpi di scena e questo la rende la naturale erede al trono del fantasy contemporaneo.»
The Independent

«I personaggi vivono di vita propria, senza mai appiattirsi su uno stereotipo. Questo libro è una di quelle rarissime storie di supereroi che riesce a essere avvincente come i classici di un tempo. Tradimento, rimorso e istinto di sopravvivenza sono le colonne portanti di questo romanzo, che appassionerà i lettori.»
Publishers Weekly

V.E. Schwab
È un’autrice di romanzi per ragazzi e YA. Molto amata da critica e pubblico, sta attualmente collaborando con la Sony Pictures alla stesura della sceneggiatura per il film tratto dal suo romanzo Magic. La Newton Compton ha pubblicato Magic e Legend. «Entertainment Weekly» l’ha inserita tra le trenta autrici più influenti di fantasy e sci-fi.
LinguaItaliano
Data di uscita2 ago 2019
ISBN9788822737175
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    Anteprima del libro

    Evil - V.E. Schwab

    1. Acqua, sangue e altre cose dense

    I

    Ieri notte

    Cimitero di Merit

    Victor si risistemò le vanghe sulla spalla e avanzò cautamente su una vecchia tomba semiaffondata. Il suo impermeabile si gonfiò appena sfiorando le lapidi mentre attraversava il cimitero di Merit accompagnato da un ronzio. Il suono si spostava come un vento nel buio; dietro di lui, Sydney rabbrividì nel suo cappotto troppo grande, i leggings arcobaleno e gli stivali invernali. Sembravano due fantasmi, entrambi biondi e chiari tanto da poter passare per fratelli, o magari padre e figlia. Non erano né una cosa né l’altra, ma quella somiglianza risultava sicuramente utile, visto che per Victor era meglio non si sapesse che aveva raccattato la ragazza inzuppata di pioggia sul ciglio di una strada, qualche giorno prima. Lui era appena uscito di prigione. A lei avevano appena sparato. Un incrocio di destini, o così sembrava. In effetti, Sydney era l’unica ragione per cui Victor stava iniziando a credere nel destino.

    Il ronzio di Victor si interruppe: appoggiò piano la scarpa su una lapide e scrutò l’oscurità. Non tanto con gli occhi quanto con la pelle, o meglio, con la cosa che si insinuava sotto di essa, avviluppata al battito del suo cuore. Avrebbe anche potuto cessare di emettere quel ronzio, ma la sensazione non si placava mai, continuava con un debole suono elettrico che solo lui poteva udire, sentire e capire, e che gli diceva quando si avvicinava qualcuno.

    Sydney lo vide aggrottare leggermente la fronte.

    «Siamo soli?», gli chiese.

    Victor sbatté le palpebre e l’espressione corrucciata si spianò, sostituita dalla calma che lo contraddistingueva. Fece scivolare via la scarpa dalla lapide. «Solo noi e i morti».

    Si fecero strada nel cuore del cimitero, le pale che tamburellavano dolcemente sulla spalla di Victor mentre avanzavano. Sydney diede un calcio a una roccia che si era staccata da una delle tombe più vecchie. Riuscì a scorgere delle lettere, porzioni di parole, incise su un lato. Avrebbe voluto sapere cosa c’era scritto, ma la roccia era già caduta tra le erbacce e Victor continuava a muoversi rapido tra le tombe. Corse per raggiungerlo, rischiando più volte di inciampare sul terreno ghiacciato prima di affiancarlo. Si era fermato e stava fissando una tomba. Era recente, la terra era smossa e c’era una targa provvisoria nel terreno, destinata a restare lì fino a quando non fosse stata pronta la pietra.

    Sydney emise un piccolo gemito di disagio, e non era dovuto al freddo pungente. Victor si voltò a guardarla e le rivolse l’ombra di un sorriso.

    «Su col morale, Syd», disse con noncuranza. «Ci divertiremo».

    A dire il vero, a Victor i cimiteri non interessavano. Non gli piacevano i morti, soprattutto perché non aveva alcun effetto su di loro. Sydney invece non li amava perché sui morti aveva un effetto notevole. Teneva le braccia incrociate strette sul petto e con un pollice guantato si sfregava il punto del braccio in cui le avevano sparato. Stava diventando un tic.

    Victor si girò e piantò una delle vanghe nella terra. Poi lanciò l’altra a Sydney, che aprì le braccia giusto in tempo per prenderla. La pala era alta quasi quanto lei. A pochi giorni dal suo tredicesimo compleanno, Sydney Clarke era bassa di statura. Era sempre stata piccolina, ma che fosse cresciuta poco più di due centimetri dal giorno in cui era morta certo non aiutava.

    Ora sollevò la pala, facendo una smorfia per il peso.

    «Mi prendi in giro», disse.

    «Più veloci siamo a scavare, prima torniamo a casa».

    Casa tanto per dire; altro non era che una stanza d’albergo con dentro i vestiti rubati di Sydney, il latte al cioccolato di Mitch e gli archivi di Victor, ma non era quello il punto. In quel momento, casa sarebbe stato qualsiasi posto tranne il cimitero di Merit. Sydney guardò la tomba stringendo le dita intorno all’impugnatura di legno.

    Victor aveva già iniziato a scavare.

    «Che succede se…», disse Sydney deglutendo, «…se le altre persone si svegliano per errore?»

    «Non si sveglieranno», sussurrò Victor. «Concentrati su questa tomba. E poi…». Alzò lo sguardo dal terreno. «Da quando in qua hai paura dei cadaveri tu

    «Non ho paura», gli rispose sbottando, troppo veloce e con tutta la veemenza di una abituata a essere la sorella più piccola. E lei lo era. Ma non di Victor.

    «Mettila così», la provocò gettando un mucchio di terra sull’erba. «Se li svegli, non possono andare da nessuna parte. Ora scaviamo».

    Sydney si piegò in avanti, i capelli biondi corti le caddero sugli occhi e cominciò a scavare.

    I due lavorarono al buio: solo il ronzio sporadico di Victor e il tonfo delle pale riempivano l’aria.

    Tump.

    Tump.

    Tump.

    II

    Dieci anni fa

    Lockland University

    Victor tracciò una linea nera, ferma e dritta, sulla parola meraviglia.

    La carta su cui era stampato il testo era abbastanza spessa da impedire all’inchiostro di passare dall’altra parte, a patto che non premesse troppo forte. Si fermò a rileggere la pagina modificata, poi sussultò quando si ritrovò uno dei ghirigori della cancellata di ferro battuto della Lockland University conficcato nella schiena. L’università andava fiera di quell’atmosfera a metà tra un circolo sportivo e un castello gotico, ma le inferriate decorate che circondavano Lockland, pur volendo ostentatamente evocare la natura esclusiva dell’ateneo e la sua estetica vecchio stampo, non facevano altro che risultare pretenziose e soffocanti. A Victor ricordavano una gabbia elegante.

    Spostò il suo peso e si risistemò il libro sulle ginocchia, sorpreso da quanto fosse grande mentre si rigirava il pennarello tra le nocche. Era un manuale di autoaiuto, l’ultimo di una serie di cinque volumi dei Vale, dottori di fama mondiale. Gli stessi Vale che ora erano impegnati in un tour internazionale. Gli stessi Vale che, nonostante tutti gli impegni, ancora prima di diventare guru dell’empowerment e autori di best-seller, si erano ritagliati il tempo sufficiente per creare Victor.

    Tornò a sfogliare le pagine finché non trovò l’inizio della sua ultima impresa e cominciò a leggere. Per la prima volta non stava cancellando un libro dei Vale per puro piacere. No, stavolta lo faceva per i crediti formativi. Victor non poté fare a meno di sorridere. Provava un orgoglio sconfinato nello sfigurare i lavori dei suoi genitori, riducendo i lunghi capitoli sull’empowerment a messaggi semplici, efficaci e inquietanti. Ormai eseguiva quell’opera di cancellazione da più di un decennio, da quando aveva dieci anni, un’operazione faticosa e soddisfacente, ma fino a una settimana prima non era mai riuscito a vederci nessuna utilità come credito per l’università. La settimana prima, quando durante la pausa pranzo aveva distrattamente abbandonato il suo ultimo progetto nel laboratorio d’arte – la Lockland University prevedeva un credito obbligatorio in arte, anche per i medici e gli scienziati di domani – per poi sorprendere il suo insegnante a leggerlo attentamente. Si era aspettato un rimprovero, una lezione sul costo culturale della deturpazione della letteratura, o magari sul costo materiale della carta. Invece il professore aveva preso quella distruzione letteraria per arte. Ne aveva praticamente fornito la spiegazione usando termini come espressione, identità, arte del riciclo, rimodellamento.

    Victor si era limitato ad annuire e aveva concluso l’elenco del professore con una parola perfetta – riscrittura – ed è così che era stata decisa la sua tesi per il corso di arte.

    L’evidenziatore sibilò mentre tracciava un’altra linea, cancellando diverse frasi al centro della pagina. Gli si stava addormentando il ginocchio sotto il peso del libro. Se lui avesse avuto bisogno di autoaiuto, avrebbe optato per un libro piccolo e semplice, con una forma che ne richiamasse la promessa. Ma forse c’era gente che aveva bisogno di qualcosa di più. Forse c’era gente che passava in rassegna gli scaffali in cerca dei volumi più grossi, convinta che più pagine significassero più aiuto emotivo o psicologico. Scorse le parole e sorrise quando incontrò un’altra parte da cancellare.

    Quando suonò la prima campana, che segnalava la fine del corso complementare di arte, Victor aveva trasformato le lezioni dei suoi genitori su come iniziare la giornata in:

    Perditi. Desisti. Rassegnati. alla fine, sarebbe meglio arrendersi prima di iniziare. perditi. Perditi E allora non ti interesserà di essere mai più ritrovato.

    Dopo aver cancellato per sbaglio mai, aveva dovuto barrare interi paragrafi per rendere perfetta la frase e gli era toccato continuare fino a trovare un’altra occorrenza della parola. Ma ne era valsa la pena. Le pagine di nero che passavano tra di essere, mai e ritrovato conferivano alle parole il giusto senso di rinuncia.

    Victor sentì arrivare qualcuno, ma non alzò lo sguardo. Sfogliò rapidamente il libro fino alle ultime pagine, dove si stava dedicando a un altro esercizio. Il pennarello cassò un altro paragrafo, riga dopo riga, con un suono lento e uniforme come il respiro. Una volta si era sorpreso a constatare come per lui il libro dei suoi genitori fosse in effetti un autoaiuto, ma non nel senso in cui lo intendevano loro. Trovava quell’opera di distruzione incredibilmente rilassante, una sorta di meditazione.

    «Ancora a vandalizzare la proprietà scolastica?».

    Victor alzò lo sguardo e vide Eli sopra di lui. La copertina di plastica della biblioteca frusciò sotto i polpastrelli mentre girava il libro per mostrarne a Eli il dorso, dove era stampato in grassetto maiuscolo VALE. Non aveva intenzione di pagare $25,99 quando la biblioteca della Lockland possedeva una raccolta così stranamente vasta della dottrina di autoaiuto dei Vale.

    Eli prese il libro e diede una scorsa.

    «Forse… è… nel… nostro… miglior interesse di… arrendersi… rinunciare… piuttosto che sprecare… parole».

    Victor scrollò le spalle. Non aveva ancora finito.

    «Hai un di di troppo, prima di arrendersi», disse Eli rilanciandogli il libro.

    Victor lo afferrò e aggrottò la fronte, seguendo col dito la frase ricomposta finché non trovò l’errore e cancellò la parola.

    «Hai troppo tempo, Vic».

    «Bisogna trovare il tempo per ciò che conta», declamò lui, «per ciò che ti definisce: la tua passione, il tuo progresso, la tua penna. Prendila e scrivi la tua storia».

    Eli lo guardò a lungo, la fronte corrugata. «È terribile».

    «È nell’introduzione», disse Victor. «Non ti preoccupare, l’ho cancellato». Tornò a sfogliare le pagine, una rete di esili lettere e grosse linee nere, finché non arrivò all’inizio. «Hanno completamente ucciso Emerson».

    Eli scrollò le spalle. «Io so solo che quel libro è il sogno di ogni tossico», disse. Aveva ragione: i quattro pennarelli che Victor aveva consumato per la sua trasformazione del libro in arte gli avevano conferito un odore fortissimo, che Victor stesso trovava al contempo estatico e rivoltante. La distruzione di per sé gli bastava per andare in estasi, ma immaginava che l’odore fosse un valore aggiunto inatteso alla complessità del progetto, o almeno il professore di arte l’avrebbe vista così. Eli si appoggiò all’inferriata. I suoi ricci castani erano illuminati dal sole troppo intenso, facendo risaltare le ciocche rosse e persino color oro. I capelli di Victor erano di un biondo pallido. Quando la luce del sole lo colpì non risaltò nessun colore, anzi, fu la mancanza di colore a essere accentuata, facendolo sembrare più una foto d’altri tempi che uno studente in carne e ossa.

    Eli stava ancora fissando il libro tra le mani di Victor.

    «Il pennarello non passa dall’altra parte della pagina?»

    «In teoria», disse Victor. «Ma usano questa carta stranamente pesante. Come se volessero che il peso delle parole vi affondasse dentro».

    La risata di Eli fu sovrastata dalla seconda campana che risuonò nel cortile che si andava svuotando. Le campane non erano campanelle, ovviamente – la Lockland era troppo progredita – ma erano forti e quasi inquietanti, un’unica campana dal suono grave della chiesa del centro spirituale che si trovava al centro del campus. Eli imprecò e aiutò Victor a rimettersi in piedi, voltandosi già verso la schiera degli edifici del blocco scientifico, con la facciata di mattoni rosso scuro che gli dava un’aria meno asettica. Victor fece con calma. Avevano ancora un minuto prima che suonasse l’ultima campana e, se anche fossero arrivati in ritardo, i professori non avrebbero mai messo una nota a loro due. A Eli sarebbe bastato sorridere. E Victor doveva solo mentire. Le due cose si erano dimostrate spaventosamente efficaci.

    Al Seminario scientifico multidisciplinare Victor era seduto in fondo: si trattava di un corso concepito per preparare gli studenti di varie discipline scientifiche alla tesi di laurea e stavano studiando i metodi di ricerca. O almeno stavano parlando di metodi di ricerca. Angustiato dal fatto che la lezione prevedeva l’uso di computer portatili, e dal momento che cancellare le parole su uno schermo difficilmente poteva dargli la stessa soddisfazione, Victor si era messo a guardare gli altri studenti dormire, scarabocchiare, agitarsi, ascoltare e passarsi appunti digitali. Com’era prevedibile, non risvegliarono più di tanto il suo interesse e ben presto il suo sguardo si spostò altrove, fuori dalle finestre e oltre il prato. Oltre tutto.

    La sua attenzione fu finalmente richiamata dalla lezione quando la mano di Eli si alzò. Victor non aveva sentito la domanda, ma osservò il suo compagno di stanza che, prima di rispondere, sfoderava il suo sorriso da perfetto candidato politico americano. All’inizio Eliot – Eli – Cardale era stato una brutta gatta da pelare. Victor era stato tutt’altro che felice di vedere quell’allampanato con i capelli castani sulla soglia del suo dormitorio un mese dopo l’inizio del secondo anno. Il suo primo compagno di stanza aveva cambiato idea già la prima settimana (e non per colpa di Victor, ovviamente) e si era ritirato subito. Per la mancanza di studenti, o forse per un errore di archiviazione reso possibile dalla passione di Max Hall, compagno del secondo anno, per il quale ogni occasione era buona per provare a hackerare la Lockland, lo studente non era stato sostituito. La piccolissima doppia di Victor era stata trasformata in una stanza singola decisamente più adeguata. Fino all’inizio di ottobre, quando Eliot Cardale – che, Victor l’aveva capito subito, sorrideva troppo – era apparso nel corridoio con una valigia. All’inizio Victor si era chiesto come fare per riavere la camera tutta per sé per la seconda volta in un semestre, ma prima di mettere in atto un qualche piano, accadde una cosa strana. Eli cominciò a… piacergli. Era precoce, e spaventosamente affascinante, uno di quei tipi che se la cavava sempre, grazie ai buoni geni e alla prontezza di spirito. Era nato per gli sport, ma sorprese tutti, e soprattutto Victor, non mostrando alcuna propensione a entrare in una squadra. Quella piccola sfida alla consuetudine sociale gli fece conquistare diversi punti nella stima di Victor, e lo rese immediatamente più interessante.

    Ma ciò che più affascinava Victor era il fatto che in Eli c’era qualcosa di decisamente sbagliato. Era come una di quelle immagini piene di piccoli errori che si riescono a scovare solo studiandole da ogni angolazione e, anche così, qualcuna di quelle imprecisioni continua a sfuggire. All’apparenza Eli sembrava perfettamente normale, ma ogni tanto Victor scorgeva un’incrinatura, uno sguardo di traverso, una stonatura tra il suo viso e le sue parole, tra l’espressione dei suoi occhi e ciò che diceva. Quegli scorci fugaci affascinavano Victor. Era come guardare due persone, una nascosta nella pelle dell’altra. Ed era una pelle sempre troppo secca, sul punto di screpolarsi e mostrare il colore di ciò che c’era sotto.

    «Molto astuto, signor Cardale».

    Victor si era perso la domanda e la risposta. Alzò lo sguardo quando il professor Lyne rivolse la sua attenzione al resto dei laureandi e batté le mani una volta, con risolutezza.

    «Bene. È ora di annunciare l’argomento delle vostre tesi».

    Nell’intera classe, composta per lo più da studenti di medicina, qualche aspirante fisico e persino un ingegnere – ma non Angie, che era stata assegnata a una sezione diversa – si levò un mormorio di disapprovazione, per principio.

    «Dai, su», disse il professore mettendo fine alle proteste. «Sapevate cosa vi aspettava quando vi siete iscritti».

    «No, invece», osservò Max. «È un corso obbligatorio». Il commento gli valse un accenno di incoraggiamento da parte della classe.

    «Le mie più sincere scuse, allora. Ma visto che siete qui, e che non bisogna rimandare a domani quello che si può fare oggi…».

    «La prossima settimana sarebbe meglio», gridò Toby Powell, un surfista dalle spalle larghe, studente di medicina e figlio di un governatore. Max si era guadagnato solo un mormorio, stavolta invece gli altri studenti risero in modo direttamente proporzionale alla popolarità di Toby.

    «Basta», disse il professor Lyne. La classe si zittì. «Dunque, la Lockland incoraggia un certo livello di… laboriosità per quanto riguarda le tesi, e concede un margine proporzionato di libertà, ma lasciate che vi dia un mio avvertimento. Tengo questo seminario di preparazione alla tesi da sette anni. Non avrete nessun vantaggio optando per una scelta sicura e tenendo un profilo basso; tuttavia, una tesi ambiziosa non otterrà punti sulla sola base della sua ambizione. Il voto dipende dall’esecuzione. Trovate piuttosto un argomento abbastanza vicino alla vostra area di interesse, così da essere produttivi, invece di sceglierne uno in cui vi considerate già esperti». Rivolse a Toby un sorriso sprezzante. «Cominciamo, signor Powell».

    Toby si passò le dita tra i capelli con fare evasivo. Le affermazioni del professore avevano scosso la sua fiducia riguardo qualunque argomento fosse stato in procinto di annunciare. Emise un verso vago mentre scorreva gli appunti.

    «Ehm… Linfociti T helper 17 e immunologia». Fu attento a non finire la frase con un’intonazione interrogativa. Il professor Lyne lo tenne sulle spine per un momento e tutti attesero di vedere se avrebbe fatto a Toby la faccia – quel leggero alzare il mento e inclinare la testa per cui era diventato famoso; una faccia che voleva dire non vuoi fare un altro tentativo? – ma alla fine lo onorò con un piccolo cenno di assenso.

    Girò lo sguardo. «Signor Hall?».

    Max fece per aprire bocca, ma Lyne intervenne: «Niente tecnologia. Scienza sì, tecnologia no. Quindi scelga saggiamente». La bocca di Max si chiuse di scatto per un attimo mentre rifletteva.

    «Efficienza elettrica nell’energia sostenibile», disse dopo una pausa.

    «Hardware piuttosto che software. Scelta ammirevole, signor Hall».

    Il professor Lyne continuò con il resto della classe.

    Modelli di ereditarietà, equilibri e radiazioni furono approvati, mentre effetti di alcol/sigarette/sostanze illegali, proprietà chimiche delle metamfetamine e la risposta del corpo al sesso si conquistarono la faccia. Uno dopo l’altro, gli argomenti vennero accettati o rimodulati.

    «Il prossimo», ordinò il professor Lyne, mentre il suo senso dell’umorismo andava diminuendo.

    «Pirotecnica chimica».

    Una lunga pausa. L’argomento era stato proposto da Janine Ellis, le cui sopracciglia non si erano del tutto aggiustate dopo il suo ultimo lavoro di ricerca. Il professor Lyne emise un sospiro, accompagnato dalla faccia, ma Janine si limitò a sorridere e Lyne non poté aggiungere altro. Ellis era una delle studentesse più giovani presenti nell’aula e, al primo anno, aveva scoperto una nuova tonalità di blu acceso che ora era utilizzata dalle aziende pirotecniche di tutto il mondo. Erano affari suoi se era disposta a rischiare le sopracciglia.

    «E lei, signor Vale?».

    Victor guardò il professore, restringendo le sue opzioni. Non era mai stato forte in fisica e, anche se trovava la chimica divertente, la sua vera passione era la biologia: anatomia e neuroscienza. Gli sarebbe piaciuto un argomento che avesse potenziale per la sperimentazione, ma avrebbe anche voluto preservarsi le sopracciglia. E se da una parte voleva mantenere la sua posizione nel dipartimento, da settimane riceveva per posta (e sottobanco da mesi) offerte da scuole di medicina, corsi di laurea e laboratori di ricerca. Lui ed Eli avevano decorato l’ingresso del loro appartamento con tutte le lettere ricevute. Non le offerte vere e proprie, no, ma le lettere che le precedevano, tutte lodi e ossequi, ammiccamenti e post scriptum vergati a mano. Nessuno di loro aveva bisogno di cambiare il mondo con i propri articoli.

    Victor guardò Eli, chiedendosi che cosa avrebbe scelto lui.

    Il professor Lyne si schiarì la voce.

    «Induttori surrenali», disse Victor per gioco.

    «Signor Vale, ho già rifiutato una proposta sul rapporto…».

    «No», replicò Victor, scuotendo la testa. «L’adrenalina, i suoi induttori fisici e chimici e relative conseguenze. Soglie biochimiche. Reazione acuta da stress. Quel genere di cose».

    Guardò il professore, in attesa di un cenno, e alla fine Lyne annuì.

    «Non me ne faccia pentire», disse.

    Poi si girò verso Eli, l’ultimo a cui toccava rispondere. «Signor Cardale».

    Eli sorrise calmo. «EO».

    L’intera classe che, man mano che gli studenti comunicavano i loro argomenti, si era data sempre più a una conversazione ovattata, ora si bloccò. Il chiacchiericcio di sottofondo, il rumore dei tasti e l’agitarsi sulle sedie si interruppero, mentre il professor Lyne studiava Eli con un nuovo sguardo, a metà tra la sorpresa e la confusione, mitigato solo dalla consapevolezza che Eliot Cardale era sempre stato tra i primi della classe, tra i migliori studenti dell’intero dipartimento di medicina… insomma, scambiandosi con Victor il posto di primo o secondo tra tutti.

    Quindici paia di occhi si spostavano tra Eli e il professor Lyne mentre il silenzio perdurava, diventando imbarazzante. Eli non era il tipo di studente che proponeva qualcosa per scherzo o per fare una prova. Ma non poteva essere serio.

    «Temo che dovrà spiegarsi meglio», disse lentamente Lyne.

    Il sorriso di Eli non vacillò. «Una tesi sulla fattibilità teorica dell’esistenza di persone ExtraOrdinarie, partendo da leggi di biologia, chimica e psicologia».

    La testa del professor Lyne si inclinò e il suo mento si sollevò, ma quando aprì la bocca fu solo per dire: «Stia attento, signor Cardale. Vi ho avvertito, non sarà assegnato nessun punto solo per l’ambizione. Confido in lei che non metterà in ridicolo la mia classe».

    «È un sì, allora?», chiese Eli.

    Suonò la prima campana.

    Uno degli studenti strisciò la sedia all’indietro di un millimetro, ma nessuno si alzò.

    «Va bene», disse il professor Lyne.

    Il sorriso di Eli si allargò.

    Va bene?, pensò Victor. E, leggendo gli sguardi di tutti gli altri presenti nell’aula, nei loro volti riecheggiava di tutto, dalla curiosità alla sorpresa all’invidia. Era uno scherzo. Doveva esserlo per forza. Ma il professor Lyne si raddrizzò e ritrovò la sua consueta compostezza.

    «Avanti, studenti», disse. «Date vita al cambiamento».

    Nell’aula ci fu un’esplosione di movimento: sedie trascinate, tavoli spinti di traverso, borse sollevate. La classe si riversò come un’onda nel corridoio, portando con sé Victor. Si guardò intorno in cerca di Eli e lo vide ancora nell’aula intento a parlare sottovoce con il professor Lyne, con aria d’intesa. Per un momento la sua calma controllata era svanita e gli occhi gli brillavano di energia, scintillanti di brama. Ma quando si allontanò e raggiunse Victor nel corridoio non ce n’era più traccia, tutto nascosto dietro un sorriso disinvolto.

    «Che diavolo è questa storia?», gli chiese Victor. «So che la tesi non conta più di tanto in questa fase, in ogni caso… cos’è, uno scherzo?».

    Eli scrollò le spalle e, prima di poter essere incalzato sulla questione, il suo telefono sparò un electro-rock. Victor si afflosciò contro il muro mentre Eli tirava fuori il cellulare dalla tasca.

    «Ehi, Angie. Sì, stiamo arrivando». Chiuse senza aspettare la risposta.

    «Siamo stati convocati», disse a Victor mettendogli un braccio intorno alle spalle. «La mia bella donzella ha fame. Non oso farla aspettare».

    III

    Ieri notte

    Cimitero di Merit

    A furia di sollevare la pala a Sydney iniziavano a far male le braccia, ma per la prima volta in un anno non aveva freddo. Aveva le guance in fiamme, stava sudando sotto il cappotto e si sentiva viva.

    Per lei quella era l’unica cosa buona nel disseppellire un cadavere.

    «Non potremmo trovare un altro modo?», chiese appoggiandosi alla pala.

    Conosceva la risposta di Victor, percepiva che la sua pazienza si stava assottigliando, ma lo chiese comunque perché chiedere voleva dire parlare, e parlare era l’unica cosa che la distraeva dal fatto che si trovava sopra un corpo, e che stava scavando per avvicinarsi a quel corpo, invece di allontanarsene.

    «Il messaggio deve essere inviato», disse Victor. Senza smettere di scavare.

    «Bene, magari potremmo mandare un messaggio diverso allora», mormorò Sydney.

    «Va fatto, Syd», rispose lui alzando finalmente lo sguardo. «Quindi cerca di pensare a qualcosa di bello».

    Lei sospirò e ricominciò a scavare. Qualche palata di terra dopo, si fermò. Aveva quasi paura di chiederlo.

    «Tu a cosa stai pensando, Victor?».

    Lui le fece un sorrisetto fugace, pericoloso. «A quant’è bella questa serata».

    Sapevano entrambi che stava mentendo, ma Sydney decise che preferiva non conoscere la verità.

    Victor non stava pensando al meteo.

    Sentiva a mala pena freddo col suo cappotto. Era troppo impegnato a immaginare la faccia di Eli quando avrebbe ricevuto il loro messaggio. A cercare di immaginare lo shock, la rabbia e, come un filo conduttore tra tutti questi sentimenti, la paura. Paura, perché poteva voler dire solo una cosa.

    Victor era fuori. Victor era libero.

    E stava arrivando in cerca di Eli, proprio come aveva promesso.

    Affondò la pala nella terra fredda con un tonfo compiaciuto.

    IV

    Dieci anni fa

    Lockland University

    «Davvero non hai intenzione di dirmi di che si tratta?», chiese Victor seguendo Eli attraverso le massicce doppie porte che immettevano nella sala ristorante internazionale della Lockland, comunemente nota come LIDS.

    Guardandosi intorno in cerca di Angie, Eli non rispose. A Victor quel posto sembrava un parco a tema, con tutti i banali orpelli di una caffetteria nascosti sotto le facciate di plastica e gesso, fuori misura e fuori posto una accanto all’altra. Intorno a una distesa di tavoli grande quanto un cortile, undici diverse opzioni di ristorazione arredate in modi diversi offrivano ciascuna un proprio menu scritto in caratteri particolari. Vicino alle porte d’ingresso c’era un bistrot, con tanto di cancelletto basso per la fila d’attesa. Nel locale accanto risuonava musica italiana e dietro il bancone si intravedeva la bocca di vari forni per pizza. Dall’altro lato, ristoranti thailandesi, cinesi e di sushi con le loro lanterne di carta colorate, luminose e invitanti. Accanto, un’hamburgheria, un angolo della carne, un ristorante tradizionale, un’insalateria, uno stand di frullati e un normale bar.

    Seduta vicino al ristorante italiano, Angie Knight arrotolava la pasta sulla forchetta con i riccioli ramati che le vagavano sugli occhi mentre leggeva un libro bloccato sotto il vassoio. Victor fu attraversato da un leggero fremito quando la vide, il brivido voyeuristico di guardare qualcuno prima che l’altro ti veda, di poter semplicemente guardare senza essere visti. Ma la sensazione svanì quando anche Eli la vide e ne catturò lo sguardo senza dire una parola. Erano come magneti, pensò Victor, ognuno con il proprio fascino. Lo mostravano ogni giorno a lezione e, in giro per il campus, la gente veniva sempre trasportata verso di loro. Persino Victor ne sentiva il richiamo. Quando erano vicini l’uno all’altra poi… be’. In un istante le braccia di Angie si strinsero intorno al collo di Eli, le sue labbra perfette contro quelle di lui.

    Victor distolse lo sguardo concedendo loro un momento di privacy, il che era assurdo, visto che la loro dimostrazione di affetto in pubblico era molto… pubblica. Parecchi tavoli più avanti una professoressa alzò lo sguardo da un foglio ripiegato, sollevando un sopracciglio prima di voltare la pagina con un forte crepitio. Alla fine, Eli e Angie riuscirono a staccarsi e lei salutò Victor con un abbraccio, un gesto semplice ma genuino, tutto calore, ma niente ardore.

    E andava bene così. Non era innamorato di Angie Knight. Lei non era sua. Anche se l’aveva incontrata lui per primo, anche se un tempo era lui ad attirarla come una calamita e la prima settimana del primo anno era lei a essere attirata verso di lui nella LIDS, quando ordinavano frullati perché faceva ancora un caldo assurdo persino a settembre e lei era rossa in faccia per via dell’atletica e lui era rosso per lei. Anche se Angie non aveva

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