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Scrivere Fantasy
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E-book263 pagine3 ore

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Scrittura creativa - manuale (222 pagine) - Un manuale completo per costruire un mondo narrativo fantasy completo, coerente e plausibile oltre che affascinante per i lettori di questo genere letterario


Dalle pagine della rivista Writers Magazine Italia, una ricca serie di articoli e approfondimenti sulla Scrittura Fantasy. Un lungo viaggio e alcune riflessioni a partire dalle ambientazioni ai personaggi, dalla tecnica allo stile, dagli incipit alle trame. Perché scrivere un romanzo fantasy è meno semplice di quanto si possa pensare. Anche se la costruzione di un nuovo mondo è una delle esperienze più magiche che uno scrittore possa vivere.


Andrea Franco, classe 1977, ha pubblicato numerosi romanzi (Mondadori, Delos Books, Mondoscrittura) e racconti (Mondadori, Hobby & Work). Nel 2013 vince il Premio Tedeschi Mondadori con il romanzo L'odore del peccato. Il seguito, L'odore dell'inganno, è uscito nel 2016. Pubblica anche per Segretissimo Mondadori. La serie "El Asesino" è composta da tre romanzi (Confine di sangue, Protocollo Pekić, La collina dei trafficanti) e diversi racconti.

Esegue lavori di editing sia per le case editrici che privatamente. Nel 2017 i suoi romanzi gialli sono stati pubblicati negli Oscar Mondadori (Il peccato e l’inganno).

Nel 2018 due testi teatrali sono stati messi in scena a Roma: Avrei Voluto Essere (con Valentina Corti e Massimo Izzo) e Lui torna sempre (con Monica Falconi).

A marzo 2019 un nuovo racconto con monsignor Verzi esce nel volume Delitti al Museo (Il Giallo Mondadori), mentre nel saggio digitale Scrivere Fantasy vengono ripubblicati i sei volumi già usciti precedentemente per Delos Digital: I segreti del fantasy, I personaggi del fantasy, I luoghi del fantasy, Dialoghi e descrizioni, La tecnica del fantasy e Lavorare sul testo.

LinguaItaliano
Data di uscita5 mar 2019
ISBN9788825408386
Scrivere Fantasy

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    Anteprima del libro

    Scrivere Fantasy - Andrea Franco

    9788825407242

    Prefazione

    di Giulio Leoni

    Che cos’è quella cosa che chiamiamo Fantasy? A pensarci bene non è che sia così facile rispondere, se nemmeno abbiamo nel nostro vocabolario un termine per definirla e dobbiamo arrenderci alla solita paroletta americana.

    A pensarci anche meglio non è nemmeno facile definire che cosa sia un romanzo, un racconto, una storia: insomma che cosa sia quella materia proteiforme e sfuggente che va sotto il nome omnicomprensivo di scrittura creativa. Provando a farlo, io direi che in estrema analisi per scrittura creativa si possa intendere un qualunque testo nella cui catena di enunciati ce ne sia almeno uno falso. Insomma almeno una frase, un nome, un’allusione che non corrisponda ad alcuno degli stati del mondo che conosciamo. È questo che ci consente di definire scrittura creativa la Guida galattica per autostoppisti, al contrario di quanto non avvenga per esempio con la Guida all’Europa con 10 euro al giorno.

    Ora, seguendo questo ragionamento, il fantasy è un genere che va a collocarsi sulla frontiera estrema della scrittura: in esso la percentuale degli enunciati che non corrispondono ad alcuna condizione fattuale è la massima possibile, appena a un passo dal franare nell’insensatezza più totale. È un testo in cui la vertigine del raccontare si alimenta della sua stessa inammissibilità, in cui l’assurdo si trasforma in qualcosa di necessario. Insomma e in altri termini, il fantasy non è altro che una bellissima, suggestiva e avvincente celebrazione del falso.

    Ma se le cose stanno così, come diavolo si fa allora anche soltanto a immaginare un manuale della falsificazione? Sembrerebbe impossibile. A quali regole infatti si dovrebbe conformare un testo che programmaticamente si fonda sulla violazione di ogni regola? Immaginare un manuale della scrittura fantasy parrebbe quindi un esempio, questo sì da manuale, di contraddizione in termini.

    E invece il grande pregio di questo Scrivere Fantasy sta proprio nel rovesciare questa impossibilità. A cominciare dal titolo, che evita accuratamente la parola manuale o un suo qualunque sinonimo. Andrea Franco ha centrato il vero problema (e la vera difficoltà) in cui si imbatte necessariamente ogni scrittore di fantasy agli inizi, e anche dopo: come dare realtà a qualcosa che non ne ha per il suo stesso statuto ontologico? Una realtà, intendiamoci, che non ha nulla a che vedere con il realismo, perché stiamo parlando di una scrittura che non si pone affatto alcuno scopo di mimesi di stati del mondo: nel fantasy la ricerca della realtà non è un punto d’arrivo ma l’inizio di un processo, è la base su cui si deve fondare la suspension of disbelief, quella semblance of truth di cui parlava Coleridge e che è l’essenza stessa, il motore primo di ogni narrare.

    Scrivere Fantasy, e qui sta il suo grande valore, non insegna affatto a scrivere un fantasy. Suggerisce invece una vasta serie di ottimi consigli su come far sembrare vero quello che si è scritto, qualunque cosa esso sia. L’autore, con la sottile perfidia di ogni scrittore, si guarda bene dal confezionare una ricetta che sarebbe sempre e comunque inadeguata. Si cala invece sin dalle prime pagine nel problema della scrittura creativa tout court, di cui il fantasy non è altro che una particolare e forse estrema declinazione. Se scrivere è dare vita a un inganno, Andrea ci spiega come perpetrare sul lettore l’inganno supremo, quello di fargli credere che sia lui a scrivere la storia che sta leggendo, guidandolo senza parere nel labirinto del testo e aprendogli via via tutte le porte, restando nascosti dietro le sue spalle. Perché di tutto possiamo dubitare, tranne che di quello di cui crediamo di essere autori.

    Tutto il resto, la grande abbondanza di suggerimenti, esempi, osservazioni che accompagnano tutto l’arco della composizione dalla prima intuizione del soggetto fino al prodotto finito, sono una disanima puntuale dei passaggi che ogni scrittore si trova a dover affrontare nella sua opera. Esatti, misurati e allineati secondo una logica compositiva stringente: al punto che ciascun lettore-scrittore dovrebbe subito impensierirsi se constatasse di non essersi imbattuto in ciascuno di essi nel corso della sua opera.

    Mi resta solo un consiglio da dare all’amico Andrea: alla prossima edizione chieda di cambiare il titolo. È efficace, certo, diretto e immediato come tutto il testo che segue, ma inutilmente limitativo.

    Secondo me il suo libro si dovrebbe chiamare semplicemente Scrivere.

    Introduzione

    di Andrea Franco

    Per chiunque aspiri a diventare uno scrittore, esiste sempre un momento ZERO. L’inizio di tutto, quell’istante in cui matura in noi la consapevolezza di voler osare qualcosa di più. Solitamente, prima che si giunga a questo momento ognuno di noi si è dedicato con passione e costanza a quello che ancora oggi ritengo il mio passatempo preferito: la lettura. Quante volte avrete sentito dire che per essere bravi scrittori esiste la sola regola del leggere, leggere, leggere? Be’, per un buon 70% credo che uno scrittore si formi a questo modo. Ma non basta. Ci sono diversi modi di leggere. La maggior parte della gente lo fa per puro diletto, per passare il tempo, per immedesimarsi in una bella storia. Altri invece, un po’ alla volta, iniziano ad andare anche oltre, a scoprire quello che c’è tra le righe, a fissare l’attenzione sul lessico, su una struttura narrativa piuttosto che un’altra, sulla forma dei dialoghi e le descrizioni, il ritmo della narrazione e il punto di vista. Insomma: quel leggere che forma lo scrittore è ben diverso dal leggere in spiaggia sotto al sole, per passare qualche ora lieta. Ha una profondità tecnica differente, che però nulla toglie al gusto di un buon romanzo.

    Quindi, tutto inizia con la lettura.

    Ogni scrittore, dopotutto, ha i propri modelli. Non autori da imitare, ma fonti di ispirazione. Legge un libro che lo emoziona e subito comincia a sondare i meccanismi di quel brivido che ha provato. Per molti anni ho viaggiato tra le pagine di scrittori che hanno segnato il mio modo di pensare, di emozionarmi e, infine, di scrivere. Tolkien, Asimov, London, Salgari, Eco, Baricco, Follett, Smith, McBain, Simmons, Eddings, Card. Ma ci sono anche tanti libri di autori che magari non abbiamo letto in tutta la loro bibliografia, ma che lo stesso ci hanno influenzato. A memoria, nel mio caso, ricordo: L’effetto anomalia (David Brin), Miliardi di tappeti di capelli (Andreas Eschbach), Una musica costante (Vikram Seth), Uomini e topi (John Steinbeck), 1984 (George Orwell), Gli immortali (Poul Anderson), La strada dell’eternità (Clifford D. Simak), e tanti altri ancora, non solo di genere fantastico, come potete vedere.

    Ogni autore, ogni romanzo, è un tassello della mia formazione. Non può essere altrimenti.

    Ma, tornando al momento ZERO, c’è un vero e proprio istante, lo ricordo ancora oggi, in cui ho deciso di diventare uno scrittore, e precisamente un romanziere. Fin da ragazzo avevo sempre prodotto qualcosa: musiche, canzoni e poi racconti. Non so bene il motivo, ma l’idea di scrivere un romanzo non mi era mai venuta. Forse perché inconsciamente sapevo che non ero pronto (e dopotutto non lo sarei stato per molti anni ancora!) e quindi spendevo le mie energie in modo differente.

    Fino a che non mi capitò tra le mani un romanzo della serie di Urania: I predatori di Gondwana, un romanzo di Stefano Di Marino (e il caso ha voluto che anche lui sia autore di un interessantissimo vademecum per queste edizioni, Scrivere da professionista). Ricordo come fosse ieri il momento in cui terminai i predatori. In me si era finalmente formata la consapevolezza di voler intraprendere un nuovo e duro percorso. Quello stesso giorno iniziai a programmare il mio primo romanzo di fantascienza: I Ribelli. Da qualche parte ho ancora una stampa a ingiallire, e lo ricordo con molto affetto, anche se non lo farei più leggere a nessuno.

    Il momento ZERO, quindi. Ci ero arrivato anche io. Da quel giorno ho iniziato un percorso che ancora oggi seguo con determinazione e fatica. Cosa c’era nel romanzo di Di Marino da farmi prendere questa decisione? Non so più rispondere, credetemi, sono passati un bel po’ di anni. Ma in quel momento ho capito che c’erano delle storie che volevo raccontare e avevo compreso che potevo farlo.

    Gli anni in parte mi hanno dato ragione, anche se sono all’inizio di un percorso che è ancora oscuro. Ragione nel senso che è vero, ho delle storie da raccontare. Sulla capacità non spetta a me dirlo. Tirerò le somme fra un po’ di anni.

    Così, quando Franco Forte mi ha suggerito l’idea di scrivere una serie di articoli sulla scrittura (in particolar modo quella fantasy) non ho esitato nemmeno un istante. In qualche modo, essere chiamati a scrivere per la rivista italiana più prestigiosa per il mondo della scrittura era un segnale che il lavoro svolto in tanti anni iniziava a dare i suoi frutti. Non solo scrivevo, ma i miei scritti erano addirittura letti e apprezzati dagli esperti del settore. E non è cosa da poco, al giorno d’oggi.

    Così con il numero 21 della Writers Magazine Italia ho iniziato la pubblicazione degli articoli della serie Scrivere Fantasy. Un percorso abbastanza lungo, durato quasi due anni, che oggi trova la sua sintesi in questa nuovea pubblicazione digitali.

    Nell’eBook che avete tra le mani, infatti, troverete gli articoli usciti sulla Writers Magazine Italia, rivisti e corretti per l’occasione, e ampliati con una nuova sezione di approfondimenti, legata al romanzo Il Canto delle Armi. Dalla teoria alla pratica, insomma!

    E ancora nuovi articoli che ho aggiunto nel mentre, per la seconda serie di pubblicazioni, con esempi che prendono spunto dalle serie che io stesso mi sono trovato a selezionare e curare per la collana Fantasy Tales. No, non è un modo spudorato per pubblicizzare quei libri, che tuttavia reputo interessanti e da leggere, ma semplicemente la via più semplice per portare degli esempi concreti, visto che questo libro e quelle uscite hanno un punto in comune: me stesso.

    Per quanto riguarda il romanzo, alcune precisazioni.

    Il Canto delle Armi è il seguito naturale del romanzo Il Signore del Canto (Delos Books, 2009). Pur essendo un secondo capitolo, è un romanzo che si legge a sé. Se avete piacere, però, vi consiglio di leggere prima l’altro romanzo. Perché? Perché tutti e due sono legati da un qualcosa di molto particolare, qualcosa che ammanta la storia e la amplifica pagina dopo pagina: l’emozione dell’amore. Un fantasy atipico, a detta di molti, una storia da leggere lentamente, aggiungo io, senza fretta (non solo perché è breve!).

    Per mostrare come ho lavorato a questo secondo romanzo, alla fine di alcuni capitoli ho aggiunto una sezione nuova, non presente negli articoli pubblicati sulla rivista: Lavoriamo sul testo. Entreremo in punta di piedi nel romanzo, senza svelare nulla, ve lo prometto, per vedere come è nato questo capitolo della mini saga fantasy sul Canto.

    Per il resto, lo troverete accennato qua e là, questo non è un manuale di scrittura. È una chiacchierata, semplicemente. Perché per dire come funzionano certe cose non sempre è necessario essere pedanti e didascalici. Non serve una cattedra, tantomeno alunni annoiati.

    Di cosa parleremo, quindi, nelle prossime pagine?

    Di scrittura. Di scrittura fantastica (fantasy e anche fantascienza) e non solo. Perché ci sono alcuni elementi che sono peculiari a un genere e non a un altro. Tanti altri, invece, accomunano tutto il mondo della narrativa. Lo scrivere bene è uno di questi. Parleremo perciò di scrittura, di idee, cercheremo stratagemmi per migliorare i nostri testi. Il tutto, calandoci il più possibile in una meravigliosa, magica, unica atmosfera fantasy.

    Buon viaggio a tutti.

    E buona lettura.

    Qualche considerazione sull’ambientazione fantastica

    Qualche tempo fa mi hanno chiesto per quale motivo, a mio avviso, gli autori emergenti dedichino tanta attenzione alla scrittura di storie fantasy.

    Avrei voluto rispondere che è un genere che permette di lasciar correre la fantasia, di dare sfogo a tutte le emozioni che un autore agli inizi sente di dover mettere nero su bianco e cose del genere. Poi però mi sono chiesto se davvero le cose stavano così. Ci ho riflettuto un po’ e alla fine ho risposto mettendo da parte la diplomazia: gli autori emergenti scrivono fantasy perché è meno impegnativo, almeno così sembra.

    Mi spiego meglio. Ci muoviamo in un mondo immaginario, del tutto (o parzialmente) inventato, dove le regole le scriviamo noi e tutti possono fare ogni cosa se noi abbiamo deciso che va bene.

    Detto questo, scrivere un fantasy (o un testo fantastico in generale) veramente dà l’idea di essere liberi, di non avere vincoli. Voglio raccontare questa storia. E lo faccio, senza problemi. Voglio parlare di questo personaggio di una razza particolarissima che ho appena immaginato. Nessun problema, davvero. La massima espressione della fantasia, appunto. Sennò che fantasy sarebbe?

    La via più semplice, insomma.

    Secondo me dietro questa scelta c’è prima di tutto un ragionamento di questo tipo (non solo, ovviamente, ma permettetemi di semplificare il concetto). Non che gli autori lo facciano consapevolmente, non dico questo. Però, da qualche parte, nascosto nella mente frenetica dell’autore, ci deve essere qualche pensiero del genere.

    Poi ci sono anche quegli autori che leggono fantasy e solo fantasy da quando sono nati e non potrebbero scrivere altro, ma non è di loro che voglio parlare.

    Precisamente, andando al punto, vorrei parlare delle difficoltà che un autore deve affrontare nella preparazione di una storia fantasy. Creare un mondo non è attività di tutti i giorni, sia chiaro, quindi dovremo metterci con un certo impegno per fare in modo che tutto funzioni correttamente e che, nonostante si parli di un’ambientazione fantastica, sia fatto salvo un elemento imprescindibile di ogni buona storia: la credibilità.

    Ci tengo a precisare che sono cresciuto all’ombra del libro che più di tutti è stato in grado di darmi emozioni: Il Signore degli anelli. Da quando ho iniziato a scrivere ho sempre immaginato di dedicarmi, prima o poi, a questo meraviglioso genere letterario. Alla fine l’ho fatto, ma dopo quasi 20 anni. Perché? Non mi sentivo pronto, avrei dato spazio alle emozioni senza curare tutto il resto. Dai miei polpastrelli sarebbe uscito un polpettone insulso che mi avrebbe fatto vergognare di aver messo per tutta la vita su un piedistallo il capolavoro di Tolkien.

    Quando ho scritto il primo capitolo del mio primo romanzo fantasy (, poi ci ho preso gusto e sono andato oltre) ho capito che le difficoltà erano ovunque, più di quante ne avessi immaginate (e ne avevo pensate davvero tante).

    Parleremo qui di seguito di alcune di queste difficoltà, cercando di fare luce su alcune zone d’ombra che celano infiniti trabocchetti.

    Prima di proseguire, una precisazione. Ci sono diversi metodi per raccontare una storia. Negli esempi che riporteremo più avanti ragioneremo seguendo quello che al momento è il metodo di narrazione più frequente: utilizzando il punto di vista di un personaggio. Ovvio che un narratore onnisciente si può prendere delle libertà differenti, così come la prima persona narrante sotto certi punti di vista non segue regole particolari sul cosa e come dire: è il punto di vista di chi vive la storia e, per questo, tutto diventa legittimo (entro certi limiti).

    Comunque ci sono delle considerazioni generali che nulla hanno a che vedere con la fase di scrittura, ma riguardano l’impostazione della storia, dell’ambientazione e dei personaggi.

    Sfogliando alcuni dei numerosi manuali di scrittura, troviamo una serie di informazioni sul come e perché si deve fare o non fare un qualcosa. Fatta eccezione per la grammatica, non esiste la regola sempre valida e immutabile. Esistono però una serie di consigli che possono guidare lo scrittore e aiutarlo a trovare il giusto equilibrio tra le parti. Partendo proprio da uno dei principi fondamentali (e troppo spesso ignorato) della scrittura, è facile che su questi manuali si trovi qualcosa del genere: una storia deve essere ambientata in un luogo (e in un tempo) che l’autore conosce bene.

    E via di seguito a critiche varie sulla mania tutta italiana di inventare i soliti John e Charlie e farli vivere in una New York improvvisata. Per carità, non è detto che non lo si debba mai fare. Ma troppo spesso americanizziamo nel modo errato, solo per il gusto di farlo, perché sembra tutto più interessante. C’è un tipo di narrativa che richiede eccome l’esotismo, scenari sempre differenti, di andare alla scoperta del mondo. Ma ogni genere ha le proprie regole e quello che va bene per esempio per un action thriller – come i giochi spara e fuggi di qualche anno fa – non può essere applicato a ogni romanzo. Purtroppo noi penne italiane tendiamo a generalizzare troppo, snaturando ogni cosa e proiettandoci sempre oltre oceano, purché non sia casa nostra!

    Cosa c’entra questo con un’ambientazione fantastica? C’entra eccome, perché parliamo di credibilità, ancora una volta, e anche quando ci accingiamo a costruire il nostro nuovo mondo dobbiamo farlo con cura e attenzione. Il fatto che Jardin l’elfo sia un personaggio puramente fantasioso, così come lo è l’alieno del XXXII secolo sulla base spaziale di Marte, non ci permette di lasciarci andare a una scrittura superficiale.

    La conoscenza è l’unico modo che abbiamo per superare i primi ostacoli. Un autore che si appresti a gettare le basi del suo mondo deve entrarci dentro davvero, muoversi attraverso le vie delle città, tra i boschi, camminare nei corridoi angusti delle navi spaziali, osservare i tramonti dei due soli o il sorgere delle terza luna… tutto questo non deve essere improvvisato. Deve essere nella mente dell’autore prima ancora che questi inizi la stesura della storia.

    Ma a dirla tutta non è questa la difficoltà maggiore che si deve affrontare. Conoscenza, abbiamo detto. E fino a questo punto non c’è bisogno di approfondire. Ognuno troverà il suo grado di conoscenza del mondo creato, ma è chiaro da subito che maggiori sono i dettagli assimilati anzitempo dall’autore, maggiore sarà la fluidità delle descrizioni, la perfezione dei luoghi e dei personaggi. Lo stesso processo che si mette in atto quando si realizza un romanzo storico. Studiamo i luoghi, cerchiamo di conoscere a fondo i personaggi che caratterizzano il tempo, reali o fittizi che siano. In un romanzo fantasy o in un romanzo di fantascienza ambientato nello spazio a centinaia di anni luce di distanza, le difficoltà sono le stesse. Studio approfondito del dove, come e chi. Più si entra in questo, più il testo che andremo a scrivere sarà credibile e avrà possibilità di toccare le corde emotive dei lettori (passando sempre, scusate se lo ripeto, attraverso la credibilità). Il momento più difficile viene subito dopo, abbiamo detto. Già, proprio in fase di scrittura. Proviamo a entrare nel problema.

    Il nostro personaggio arriva al centro della città. L’edificio che ha davanti è una scuola di magia! Nulla di strano, siamo in un mondo in cui la magia è la norma e così lo sono anche le scuole che insegnano a utilizzarla. Il lettore non dovrà avere l’impressione che i personaggi (riflesso dell’autore) appartengono a un mondo in cui non esistono edifici simili. Il lettore dovrà essere nella storia, e l’autore al suo fianco, ma invisibile. Perché è in situazioni del genere, in fasi in cui vorremmo dire ciò che andrebbe fatto capire, che si cela un errore da evitare: l’eccesso di informazione o, peggio ancora, l’infodump. Il mondo va fatto vivere, non raccontato, altrimenti si perde tutta la magia (mai parola è stata più adatta) della scrittura.

    Per questo, l’immedesimazione e la conoscenza sono ancora più importanti. Via quelle note di stupore dal nostro testo. Via la meraviglia (se non giustificata) dai sentimenti del personaggio. In quel mondo certe cose sono normali e credibili. Metteremmo meraviglia o descrizioni superflue in un romanzo ambientato a Roma ai nostri giorni se il personaggio dovesse arrivare davanti all’ingresso della metropolitana (magari solo rabbia e sconforto per la calca e la sporcizia)? Un mondo fantastico ha parametri di

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