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Nuovi racconti
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E-book198 pagine2 ore

Nuovi racconti

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Info su questo ebook

Una (lunga) raccolta di racconti della prolifica autrice italiana Ida Baccini che dedicò la sua scrittura a libri per bambini e ragazzi, come il famoso "Memorie di un pulcino" che riscontrò un grande successo.-
LinguaItaliano
Data di uscita4 lug 2022
ISBN9788728327692
Nuovi racconti

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    Anteprima del libro

    Nuovi racconti - Ida Baccini

    Nuovi racconti

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1884, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728327692

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    Storia Sacra – Ines – Beneficenza

    Due libri – Eroismo femminile – Stranezze

    Da un vecchio libro di ricordi – Redenzione – Lo sgombero

    Guai a chi lo toccherà! – Come amava la Gemma – Cuor di donna

    Altri tempi, altri usi, altri amori – Durante la villeggiatura

    Il segreto della felicità – Quel che avvenne a C Lupi

    Medio Evo – Pace

    CON INCISIONI

    QUARTA IMPRESSIONE

    FIRENZE

    SUCCESSORI LE MONNIER

    1892

    DEDICA.

    Apparecchiati, libriccino mio, ad un lungo viaggio. Traverserai fioriti sobborghi, valicherai poggi ridenti, seguirai, portato sull’ala infaticabile del desiderio, il corso tortuoso di fiumi e torrenti.

    E quando fra le desolate pianure che la mèsse non indora nè la vite ricrea, ti appariranno i ruderi d’una grande città sepolta, fermati. Ti moverà incontro un uomo cortese pel quale la modestia è istinto, la gentilezza, costume.

    Digli: — La mia signora mi manda a voi. Accettatemi. Poco valgo per me stesso; ma se la mia veste d’oro e di fiamma varra a ricordarvi qualche luminoso tramonto dei nostri colli fiorentini: ma se le umili pagine che mi compongono vi sembreranno, quali sono, un piccolo segno di grande e profonda devozione, nessun destino sarà più glorioso del mio.—

    Che cosa ti risponderà? Non so. Ma egli ti porterà certo con sè, nella serena solitudine della sua stanza da studio.

    E tu allora, o libriccino, parlagli a lungo di Firenze e di me.

    Ida Baccini .

    A QUATTR’ OCCHI!

    — …. E soprattutto, — mi disse l’editore, stringendomi la mano— procuri di tenermele allegre queste giovinette!

    Si figuri! risposi sorridendo.

    Il si figuri è una risposta cortese, che mette, come suol dirsi, il buon per la pace, e lascia il tempo che trova. Non vi pare?

    Mi raccomando: pochi morti!

    Mi ha forse presa per un cronista?

    Cerchi di ammaestrare le fanciulle nei loro doveri….

    Povere figliuole! E se si annoiano?

    Se si annoiano…. le ammaestri raccontando loro delle cose carine, divertenti, nuove….

    Senta, — risposi, — io direi che lasciasse fare a me. M’ingegnerò di far morire poca gente, cercherò di accozzar l’utile al piacevole….

    Basta, faccia lei!

    E ho fatto io. Eccovi il libro. Vi troverete qualche pagina gaia e molte pagine meste. Vi troverete la vita; la vita, tal quale è: senza lazzi carnevaleschi e senza troppe elegìe.

    D’altra parte, io sono fatta così, nè potrei, anche volendo, mutarmi, checchè ne dicano i miei editori. Pigliatemi dunque tal quale sono e vogliatemi bene, chè io ve ne sarò grata assai assai.

    Ida Baccini .

    STORIA SACRA.

    (RICORDI D’INFANZIA)

    Lo vedete quel vecchio libro ingiallito, dalle cantonate logore, dalla copertina tutta imbrattata di fregacci, di omìni, di strani geroglifici? Quel libro ch’io non posso rivedere senza emozione e che stuona così grottescamente tra le eleganti edizioni elzeviriane di cui sono piene le mie scansìe, è la Storia Sacra sulla quale studiavo da piccina. In quel tempo, quantunque fossi avidissima della lettura, non mi si davano altri libri: ed io, com’è naturale, versavo tutta la piena del mio sentimento su que’portentosi racconti che impressionavano così vivamente la mia fantasia.

    A costo di sembrarvi feroce, vi confesso che il caso lacrimevole del povero Abele non mi faceva nè caldo nè freddo. Quel buono e candido giovinetto che voleva bene a tutti e al quale tutti volevano bene: che era il cucco della mamma, il prediletto del babbo e il possessore d’un bel gregge, m’ispirava un mediocre interesse. Tutte le mie simpatie erano per Caino: per Caino il sognatore, il solitario, il triste. Siccome in quell’epoca ero gelosa d’una bambina del casamento, a cui i miei genitori facevano gran festa, poichè ell’era tanto mite e gentile, quanto io indomita e turbolenta, così prendevo una viva parte alle torture di quel povero diavolo che si limava dalla passione lungo le rive dell’Eufrate.

    Mi ricordo della povera sora Gegia che si scalmanava a descriverci minutamente i particolari che precederono e accompagnarono il nero delitto! La passeggiata in campagna (per poco non dicevo fuori di porta) il famoso bastone, il sangue innocente, la voce tremenda di Dio, tutto veniva narrato, dipinto con portentosa efficacia. Per me la sora Gegia, a far la maestra, aveva sbagliato vocazione. C’era dell’artista, c’era della Rachel in quella donna grande, ossuta, incartapecorita, dagli sguardi fulminei che v’incutevano un religioso terrore. Bisognava sentirla, quando imitando la voce del Signore, faceva rintronare la scuola colla terribile domanda: — Caino, che hai tu fatto di tuo fratello? — Tutte le bambine si stringevano le une alle altre, impaurite: io sola, col mio sorrisetto di donnina incredula, protestavo contro quella collettiva manifestazione di viltà.

    — A chi volete bene, bambine: A Caino o ad Abele? — concludeva inevitabilmente la sora Gegia, asciugandosi il sudore.

    — Ad Abele! — rispondevano ad una voce tutte quelle povere creaturine palpitanti. E siccome una certa volta io non aprii bocca, la sora Gegia si rivolse a me, chiedendomi con tuono aggressivo:

    — E lei, signora Ida, — quando la buona maestra era sdegnata, ci dava sempre del lei e della signora — a chi dei due fratelli vuol bene?

    — A Caino! — risposi a testa alta, mentre una vampa di rossore mi saliva alle guancie, — a Caino! —

    Le bambine crederono ch’io fossi impazzata e mi guardarono con ansietà. La sora Gegia, poi, suppose che la mia risposta si dovesse attribuire a uno di quei capriccetti inesplicabili di bimba viziata, che cedono a una buona parola, a una carezza affettuosa.

    Decise di prendere, come suol dirsi, la lepre col carro, e riprese con dolcezza:

    — Su via, Iduccia, sii ragionevole: perchè vuoi bene a Caino?

    — Perchè, — risposi — perchè Caino era brutto, solo, disgraziato! Io — aggiunsi con veemenza, ripensando alla leggiadra e cara bambina di cui ero gelosa, — io non amo la gente bella, buona, tutta garbo e grazia! Voglio bene alla gente cattiva, io! —

    E nascosi la faccia tra le mani, dando in un dirotto pianto.

    La mia risposta parve così straordinariamente malvagia, che nessuna delle mie compagne volle, per quel giorno, fare il chiasso con me: e la sora Gegia, scandalizzata, scrisse una lunga lettera alla mamma. Pareva quasi che il suo Abele glie lo avessi ammazzato io!

    Ma tu, mia buona, mia santa mamma, sapesti discernere il diamante nascosto nel fango, ma tu intendesti quanto profondo e melanconico amore racchiudesse il cuore della tua povera bambina calunniata! Ho io bisogno di assicurarvi, lettrici gentili, che oggi detesto Caino al pari di voi?

    Che dirvi della profonda impressione lasciatami dagli spaventosi racconti di Core, Natan ed Abiron? Di quell’Ieu che buttava le persone dalla finestra, come se fossero stati torsoli di mela? Della sciagurata Gezabele mangiata dai cani?

    La mia Storia Sacra era adorna di quelle solite incisioni nelle quali, lì per lì, non è facile distinguer la faccia degli uomini da quella delle bestie, e le fiamme divoratrici da un cesto d’insalata romana. Eppure quelle incisioni mi tenevano inchiodata al tavolino per lunghe e lunghe ore: eppure io le vedevo sempre, anche in sogno!

    Oh i Padri Eterni dalle lunghe barbe spaventose! Oh i poveri Maccabei, la cui testa faceva appena capolino da una enorme conca circondata di lingue di fuoco! Oh la brutta Atalia che sgambettava spavalda davanti il limitare del tempio!

    Sono lì, tutti, che menano intorno al mio scrittoio una ridda grottesca….

    Nonostante le mie bizzarrie, ero una bambina studiosa, diligentissima. Non s’era mai dato il caso ch’io fossi andata a scuola senza aver fatto le lezioni.

    Servivo d’esempio a tutte: e quando veniva a ispezionar la scuola un certo sor Romolo, un pretino arzillo, allegro, che non stava mai fermo un minuto, la sora Gegia voleva ch’io gli presentassi i miei quaderni.

    Il sor Romolo che mi vedeva di buon occhio, lodava la mia buona volontà, portava a cielo il mio ingegno e mi gratificava d’una grossa manciata di confetti di Pistoia, che io fingevo di trovare eccellenti. Quand’ero in buona, gli cantavo, senza farmi pregare, la preghiera del Mosè:

    Dal tuo stellato soglio

    e siccome avevo una vocina agile ed intonata, tutti mi stavano ad udire a bocca aperta, e dimenticavano le mie orribili preferenze. Ma la vista della vecchia Storia Sacra mi ricorda un altro episodio, ch’io non voglio tacervi, perchè lo credo il più caratteristico.

    Come ho detto, io non ero mai andata a scuola senza aver fatto le lezioni. Ma un giorno, un giorno memorando in cui era arrivata a casa una nostra cuginetta che aspettavamo a braccia aperte, non ebbi voglia di studiare, e lasciai che Balaam e l’Asina se la intendessero fra loro.

    Appena arrivata a scuola, vedo il sor Romolo più vispo e arzillo del solito: e sento la voce un po’chioccia della sora Gegia che ci annunzia come qualmente il degno pretino ci interrogherà sulla lezione di Storia Sacra assegnata per quel giorno. Figuratevi come rimasi!

    — Ecco rovinata la mia reputazione di bambina, diligente — pensai. — I confetti di Pistoia e il sorrisetto della sora Gegia anderanno chi sa a chi!… — Era un’amarezza insopportabile. Che fare? Mi viene, lì per lì, una idea improvvisa, luminosa. Apro la Storia Sacra alla pagina 56, e stacco delicatamente il breve capitoletto che trattava dell’Asinae di Balaam. Poi, seria e composta, aspetto gli avvenimenti.

    — Tocca a lei! — mi dice poco dopo la sora Gegia.

    Mi alzo e cogli occhi bassi dichiaro che nella mia Storia Sacra mancano, da mesi e mesi, due facciate, proprio quelle della lezione, e che perciò mi è stato impossibile lo studiarla.

    La mia abituale sincerità e la stima di cui godevo da tanto tempo, non permisero ad alcuno di mettere in dubbio le mie parole. E fui festeggiata come al solito, e mi furono empite le tasche di confetti. Ma i confetti, quel giorno, mi parvero addirittura scellerati.

    Quando fu l’ora di andar via e che la scuola era rimasta vuota, cominciai a ronzare intorno alla sora Gegia che faceva il cappelletto a una soletta. Mi pareva di avere un gran pietrone sullo stomaco.

    — Perchè non vai a casa, bambina? — mi chiese la buona donna senza alzar gli occhi.

    — Vorrei domandarle una cosa — dissi con un fil di voce.

    La sora Gegia mi guardò fissa e aspettò.

    — Senta, — ripresi. — Se una bambina, per ricoprire una sua mancanza le avesse detto una bugia, meriterebbe una grave punizione, non è vero?

    — Secondo, — rispose la maestra guardandomi sempre, — secondo: se questa bambina si pentisse subito del suo fallo e ne chiedesse perdono a Dio….

    — Allora? — chiesi tremando e avvicinandomi.

    — Io la scuserei e la scongiurerei a non mentir più, mai, a nessun costo. — E mi prese sulle ginocchia.

    — Le due pagine della Storia Sacra, — balbettai allora piangendo — le ho strappate da me, perchè non avevo studiata la lezione.

    — Povera Ida! Quanto hai dovuto soffrire! Quanto devono soffrire tutte le persone che mentiscono! Ma questo brutto fatto non si verificherà più….

    — Mai più, mai più!

    — Oh come mi rendi contenta! —

    La commozione mi soffocava. E nello slancio della mia gratitudine abbracciai strinta strinta la sora Gegia, sussurrandole in un orecchio:

    — Lo sa a chi voglio bene? Ad Abele! —

    Ed ero sincera anche quella volta. Oh le inesplicabili contradizioni del cuore umano!

    INES.

    …. l’acqua veniva giù a catinelle. Col viso livido dal freddo e il corpo riparato alla meglio da un lungo soprabito da viaggio, scese i due gradini del vagone, senza che nessuno l’aiutasse, senza che nessuno le porgesse l’unica valigia, che ella, colle sue piccole e scarne mani, dovè alzare da terra.

    Uscita dalla stazione, stette alcuni momenti immobile sotto la tettoia a guardar la piazza, la tetra piazza, male illuminata, deserta, inondata dalla pioggia. Una carrozza le si fece vicina. Ella accennò al vetturino e si slanciò dentro.

    — Dove? — chiese quest’ultimo.

    — Alla locanda del Sud, piazza Santa Lucia. —

    Durante il breve tragitto, ella tenne sempre il viso appoggiato contro il manicotto, come se avvesse avuto un gran freddo; in via delle Tre Lampade il fiacre s’incrociò in un altro; e poiché la strada era tutta sottosopra, dovè fermarsi per cedere il passo. Sorpresa di quella sosta improvvisa, la giovane signora mise il capo fuori del finestrino: ma lo ricacciò subito dentro, soffocando un gemito che pareva un singhiozzo.

    Quando il cameriere dell’albergo aprì lo sportello, ella si guardò intorno con dolorosa curiosità, come se avesse voluto ravvivare antichi ricordi, riveder cose, fisonomie già note, troppo note: e allorchè il proprietario le si fece innanzi ossequioso, col suo berretto in mano, ella articolò con voce tremante:

    — È libera la camera al numero 29?

    — La signora intende parlare del quartiere giallo, al primo piano? — osservò sorpreso il proprietario, dando un’occhiata investigatrice al meschino bagaglio e al soprabito scolorito della viaggiatrice.

    — Quello. —

    Il dabben uomo avrebbe voluto prevenirla che quel quartiere veniva ordinariamente riservato ai ministri, ai deputati, alle grandi attrici; che costava la bellezza di trenta lire al giorno, che…. un monte di che, insomma. Ma non ne ebbe il coraggio. Eppoi si fa presto a prendere una cantonata! E se quella giovane pallida, spaurita, piuttosto bruttina, con quei profondi solchi sotto gli occhi, fosse una principessa in incognito, una regina detronizzata, una Sarah Bernhardt in vacanza? Sono così strane, così capricciose certe donnine!

    Decise di prender consiglio dalla notte.

    — La signora desidera che le venga apparecchiata una refezione?

    — Mi farete portare un brodo e null’altro.

    — E…. perdono! Il nome della Signora?

    — Ines.

    — Signora Ines…. e poi?

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