Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Fili Interrotti
Fili Interrotti
Fili Interrotti
E-book188 pagine2 ore

Fili Interrotti

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Raccontando la sua vita in un susseguirsi di eventi e personaggi, Giuseppe rivela un universo di affetti, desideri, ricordi e speranze. Ancora giovane deve affrontare la difficile battaglia contro la leucemia e quest’esperienza dolorosa è da lui vissuta come occasione per conoscere se stesso, mettendo a nudo tra fragilità e paure la struggente voglia di vivere. Alla ricerca del senso ultimo del suo agire, in un lucido viaggio interiore che alterna rifiuto e accettazione, ripercorre avvenimenti essenziali, riesamina legami d’amore e di amicizia, riflettendo sui tanti fili interrotti della sua vicenda umana, fino alle ultime tracce della sua esistenza.

Anna Maria Deodato vive a Palmi (RC) dove svolge l’attività di docente di economia e la professione di consulente aziendale. La scrittura è una passione che coltiva da molti anni e ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la narrativa e la poesia in concorsi letterari nazionali e internazionali. I suoi componimenti sono stati pubblicati in diverse antologie. È presidente di giuria e membro di giuria in vari premi letterari. Ha ideato e organizzato il Concorso internazionale di poesia e racconti “Palmi città della Varia” di cui è presidente. È socia accademica dell’Universum Academy Switzerland di Lugano e socia dell’Accademia di Sicilia con sede a Palermo. Nel 2019 le è stato assegnato il diploma honoris causa in Arte e Cultura dall’I.S.L.A.S. (Istituto Superiore di Lettere Arte e Scienze del Mediterraneo di Palermo). Nel 2020 ha pubblicato il libro di poesie dal titolo “Oltre le righe”, casa editrice Pasquale Gnasso. Nel 2021 le è stata conferita la medaglia d’onore del Congresso della Universum Academy Switzerland di Lugano. Nel 2021 ha pubblicato insieme allo scrittore Gaetano Catalani il libro per bambini “Le avventure di Balù”, La Caravella editrice.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2022
ISBN9788830663046
Fili Interrotti

Correlato a Fili Interrotti

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Fili Interrotti

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Fili Interrotti - Anna Maria Deodato

    Nuove Voci – Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove Voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Il romanzo, ispirato da una storia vera, rappresenta personaggi ed eventi elaborati dalla fantasia dell’autrice e pertanto non riferibili a vicende realmente accadute.

    A Giuseppe, amico mio caro.

    Sarai ancora, sarai sempre…

    «Signore, dammi la forza di accettare le cose che non possono essere cambiate, il coraggio di cambiare le cose che possono essere cambiate, la saggezza per distinguere le une dalle altre…»

    Tommaso Moro

    I – Anni Cinquanta

    A volte mi domando come sarebbe stata la mia vita se papà non fosse morto così giovane. Avrei scelto le strade che ho percorso? Lui sarebbe stato un buon padre? Ed io? Sarei stato un buon figlio?

    Non mi è dato sapere cosa sarebbe avvenuto, la mia esistenza è stata solo un passaggio ma credo che ritornerò per altri sentieri.

    Isabella, mia madre, non era una donna particolarmente brillante, ma era tenace ed è stata una buona mamma. Guardava alla vita con la disillusione che nasce dalla tanta sofferenza e dai sacrifici.

    Quando conobbe il marito aveva diciotto anni ed era, per quei tempi, una bella ragazza. Un corpo snello e slanciato, la carnagione olivastra, una cascata di capelli castani che incorniciavano il viso ovale e gli occhiali da vista che le schermavano gli occhi grandi e profondi di cui andava fiera.

    Mio padre, affascinato dal suo aspetto e dai modi educati, la scelse tra le tante che i parenti gli consigliavano. Isabella proveniva da una famiglia agiata e avrebbe avuto una buona dote. Già questo bastava per essere scelta come moglie, ma quel tocco in più legato alla bellezza era un lusso che papà si è potuto permettere.

    Si chiamava Antonio. Alto e magro, con un sorriso dolce e tanti progetti in testa. Lavorava da impiegato in un ufficio postale e possedeva degli uliveti che producevano una piccola rendita.

    Il lavoro gli piaceva, ma soprattutto gli consentiva di rimanere nel suo paese, mentre i compaesani erano emigrati in altri continenti.

    Erano tempi duri quegli anni Cinquanta, che obbligavano le famiglie a dividersi per andare in altri Paesi più ricchi a trovare lavoro. C’era chi poi rimaneva lì dando inizio a una nuova vita, altri invece ritornavano, vinti dalla nostalgia.

    Il mio paese era piccolo e s’inerpicava sopra una collina della costa jonica calabrese. Un dedalo di viuzze pavimentate con ciottoli e ornate di antichi palazzi. Al centro, una piazza dove si trovavano la chiesa principale e una bellissima fontana cinquecentesca.

    Papà era vissuto nel borgo insieme alla madre e ai due fratelli; il padre, ammalatosi di polmonite, l’aveva lasciato orfano che era ancora un ragazzino.

    Gli utili ricavati dai terreni non bastavano, così zio Giuseppe, fratello maggiore di mio padre, dopo la morte di mio nonno, emigrò in Australia. E a distanza di poco tempo anche l’altro fratello, Michele, lo raggiunse. Presto le loro mogli e i figli, che erano rimasti in paese, acquistarono un biglietto di sola andata per Sydney, e lì si fermarono per sempre.

    Erano partiti verso l’ignoto con appena i soldi necessari per il viaggio e una valigia di cartone. Non sapevano che tipo di lavoro andassero a fare perché non avevano abilità particolari, ma li accomunava la grande voglia di lavorare.

    In Australia i miei zii appresero il mestiere di falegname e dopo cinque anni di duro apprendistato divennero imprenditori. Avviarono insieme una falegnameria che crebbe velocemente e dette ottimi rendimenti, così riuscirono ad arricchirsi.

    Di loro conservo un buon ricordo. Quelle rare volte in cui tornavano in paese con le famiglie, era una gran festa per noi bambini. Ci portavano tanti regali e la sera, quando ci riunivamo tutti a tavola, ci sbalordivano raccontandoci episodi per noi inimmaginabili della vita in quel continente lontano.

    Dopo la morte della madre, la mia adorata nonna Emilia che li menzionava sempre nelle sue preghiere, non vennero più e, tranne che per le rare lettere e qualche telefonata in occasione del Natale, i nostri contatti si dissolsero col tempo.

    Me la ricordo bene nonna Emilia. Appena entravo in casa sua il buon odore di cibo che aleggiava nell’aria mi investiva come la brezza dell’estate. La cucina, piccola e arredata con mobili in legno scuro, era il suo regno.

    Andando al cimitero a visitare la tomba di mio padre diceva che la nostra famiglia era una calamita per le disgrazie. E quando lo diceva, i suoi occhi, velati dalla cataratta, diventavano tristi.

    Non si poteva certo darle torto! Aveva seppellito il marito ancora giovane, e poi un figlio, gli altri due costretti a emigrare.

    Non si era mai rassegnata alla morte di papà e non smetteva mai di pregare con fervida fede per la sua anima.

    Fu l’unica nonna che ho conosciuto e nonostante il dolore era sempre pronta a donarmi un sorriso mentre volteggiava tra i fornelli, col suo bel grembiule bianco e le mani infarinate, per sfornare dolci per me e mio fratello.

    Nelle lunghe serate invernali, finite le faccende di casa, sferruzzava velocemente matasse di lana e sotto le sue abili mani prendevano forma babbucce e caldi maglioni che, per farle piacere, indossavamo solo se andavamo a trovarla.

    Ero grato alla nonna per le attenzioni e gli incoraggiamenti. Aveva una dolcezza disarmante ed era un porto sicuro per le mie piccole angosce di bambino. Discreta, silenziosa, invisibile, intuiva tutto, lei mi capiva e con il suo affetto compensava l’atteggiamento talvolta freddo di mia madre.

    Questo però prima della caduta che le fratturò una gamba irrimediabilmente, costringendola su una sedia a rotelle.

    L’incidente la cambiò molto. Fu come se oltre al femore si fosse spezzata la voglia di rimanere al mondo. Se ne stava seduta per ore vicino alla finestra a fissare la strada, con lo sguardo assente e la schiena incurvata dal peso della vita.

    I suoi unici momenti di gioia erano quelli in cui qualche amica o il parroco del paese andavano a trovarla; oltre alle nostre visite, che avvenivano quasi tutti i giorni. Gli occhi allora le si illuminavano, piroettava con la sedia a rotelle in cucina per preparare il caffè, sotto lo sguardo attento della domestica, che nonna Emilia non accettava perché le ricordava la sua fragilità.

    Dopo la caduta cominciò il declino fisico e subentrò uno stato di demenza. A volte diceva cose incomprensibili, parlava del figlio e del marito credendoli vivi. Era come se il passato l’avesse avvolta con un manto nero e volesse risucchiarla.

    L’ultima volta che la vidi era magrissima e non ci vedeva praticamente più. Il corpo era pieno di piaghe dovute all’immobilità e la mente navigava in balia di una tempesta. Sembrava non accorgersi neppure della nostra presenza. Muoveva lentamente il capo, quasi fosse alla ricerca di ricordi, era in altri mondi.

    L’abbracciai per salutarla e mi avvolse quel suo profumo particolare, un po’ antico, simile al borotalco. Lei mi guardò, esprimeva con gli occhi smarriti parole che non riusciva a dire.

    Morì quella stessa notte e, quando la trovammo la mattina, la piega che si era formata sulle labbra sembrava un sorriso.

    Al suo funerale c’era tanta gente, ne rimasi stupito. Non mi aspettavo che la nonna avesse tanti amici. Grappoli di persone sostavano vicino alla bara. Molti erano raccolti in preghiera e altri, come spesso succede durante le cerimonie funebri, si soffermavano in pettegolezzi sottovoce.

    L’orazione fu interminabile. Don Giacomo le voleva bene, e quello che non disse lui si sentì nel vociferare delle vecchiette che la compiangevano per la prematura scomparsa del figlio.

    Uscito dalla chiesa, notai davanti al sagrato Cartuccia, il suo cane. La stava aspettando. Povero Cartuccia! Seguì il corteo funebre fino al cimitero, poi lo portai a casa con me. Un mese dopo morì, forse di vecchiaia o forse perché gli mancava la padrona.

    Mia madre si sentì in colpa per non essere riuscita a prendersi cura della nonna come lei avrebbe meritato. Non si dava pace per non esserle stata vicina negli ultimi istanti di vita. Aveva sofferto? Si sarebbe salvata se qualcuno di noi le fosse stato accanto?

    Con questi dubbi in testa mamma singhiozzava disperata, mentre io invece mi domandavo dove fossero finiti i desideri e i pensieri della nonna. Chissà se erano svaniti subito o se magari avevano indugiato, in attesa di ritornare vivi almeno per un attimo. Guardando la bara mi venne il pensiero che per lei fosse giunta l’ora di ricongiungersi al figlio e al marito, che sicuramente desideravano la sua presenza nella loro nuova vita. Mi pentii però subito di questa riflessione, perché aveva il sapore di accettazione di un’assenza che ancora non avevo metabolizzato. La notte non riuscii a dormire, la pensai intensamente e piansi.

    II – Il breve tempo di mio padre

    Mio padre quasi tutti i pomeriggi sostava nella piccola piazza del paese insieme agli amici a chiacchierare, oppure si recava all’osteria a bere un bicchiere di vino.

    Le rare volte in cui usciva con la moglie, salutava ossequiosamente i compaesani usando gesti quasi teatrali. Soleva togliere la mano dalla tasca e sollevare il palmo a mezz’aria con modi che avevano il sapore di altri tempi.

    Era una persona dalla stravagante allegria, mentre mia madre, timida di carattere, accennava un sorriso per nascondere l’imbarazzo dovuto agli atteggiamenti del marito. Dai suoi racconti ho saputo che era un uomo buono e che le aveva voluto bene.

    Quando decisero di sposarsi, zio Mimì, il fratello di mamma, si attivò per farlo assumere nell’ufficio postale di un paese vicino, poiché gli uliveti avuti in eredità non rendevano abbastanza. E mio padre, contento di avere un impiego sicuro, comprò subito una Vespa, che gli permetteva di raggiungere il posto di lavoro.

    Alla nascita di mio fratello Matteo, papà fu felice di aver generato un figlio maschio. Poi il giorno in cui nacqui io, fu orgoglioso: due figli ed entrambi maschi.

    La notte prima che io nascessi, mia madre fece uno strano sogno. Un gabbiano bellissimo volava nel cielo, mentre lei passeggiava sulla spiaggia con in braccio un neonato, tenendo la manina di mio fratello. Il neonato ero io e lei mi stringeva al petto. Era una giornata di sole ed era felice al mare, ma all’improvviso vide il cielo oscurarsi e un fulmine colpire il gabbiano, che stramazzò ai suoi piedi. Si spaventò e istintivamente fece per stringere più forte a sé il neonato, ma

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1