Il Galateo: di Monsignor Giovanni della Casa sulla "buona creanza" e sul corretto comportamento
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Il noto trattato del Cinquecento di Monsignor Giovanni della Casa sulla “buona creanza” e sul corretto comportamento ha influenzato i costumi di gran parte della società occidentale degli ultimi secoli. Il termine “galateo” deriva da Galeazzo (Galatheus) Florimonte, il vescovo di Sessa che ha suggerito a Monsignor Giovanni della Casa di scrivere il trattato. Scritto probabilmente negli anni in cui si ritirò nell’abbazia di Sant’Eustachio presso Nervesa, nel trevigiano, tra il 1551 e il 1555, e pubblicato postumo nel 1558. L’opera era stata preceduta da un breve trattato in latino sullo stesso argomento, il De officiis inter tenuiores et potentiores amicos (1546). Allusioni indirette presenti nel testo del Galateo fanno ritenere che il trattato sia stato scritto tra il 1550 e il 1552, in un periodo di tranquillità seguito alla rinuncia di molte sue cariche e precedente la nomina a Segretario di stato voluta da Papa Paolo IV. L’opera fu dedicata a Galeazzo Florimonte, vescovo prima di Aquino e poi di Sessa Aurunca (da ciò il titolo dell’opera, infatti Galatheus è la forma latina del nome del dedicatario).
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Anteprima del libro
Il Galateo - Giovanni della Casa
Indice generale
Galateo overo De’ costumi 1
Note critiche 4
II 8
III 9
IV 12
V 14
VI 16
VII 18
VIII 20
IX 23
X 25
XI 26
XII 28
XIII 30
XIV 34
XV 37
XVI 38
XVII 44
XVIII 46
XIX 49
XX 52
XXI 55
XXII 57
XXIII 64
XXIV 67
XXV 70
XXVI 75
XXVII 77
XXVIII 79
XXIX 83
XXX 87
Note critiche
Il libro, che ebbe un largo successo sia in Italia che all’estero, attraverso la voce narrante di un vecchio «idiota» (come è scritto nel titolo completo dell’opera: Trattato di Messer Giovanni Della Casa, nel quale sotto la persona d’un vecchio idiota ammaestrante un suo giovinetto, si ragiona dei modi che si debbono o tenere o schifare nella comune conversazione, cognominato Galateo ovvero dei costumi), vale a dire un illetterato che vuole consigliare un giovane, espone tutti quei comportamenti da evitare quando ci si trova in compagnia o in pubblico, suggerendo allo stesso tempo la giusta tenuta di condotta.
Seguendo il precetto del rispetto della personalità altrui, il vecchio illetterato mette in guardia il suo allievo da comportamenti che possano sembrare sprezzanti (come la trasandatezza nel vestire) verso gli altri; lo invita nella conversazione a non affrontare argomenti sia troppo frivoli sia troppo complessi perché potrebbero annoiare chi ascolta; suggerisce di evitare le moine e i consigli non richiesti; insegna come comportarsi a tavola, come vestirsi, insomma non tralascia nessun aspetto del vivere sociale.
Con ciò sia cosa che tu incominci pur ora quel viaggio del quale io ho la maggior parte, sì come tu vedi, fornito, cioè questa vita mortale, amandoti io assai, come io fo, ho proposto meco medesimo di venirti mostrando quando un luogo e quando altro, dove io, come colui che gli ho sperimentati, temo che tu, caminando per essa, possi agevolmente o cadere, o come che sia, errare: acciò che tu, ammaestrato da me, possi tenere la diritta via con la salute dell’anima tua e con laude et onore della tua orrevole e nobile famiglia. E perciò che la tua tenera età non sarebbe sufficiente a ricevere più prencipali e più sottili ammaestramenti, riserbandogli a più convenevol tempo, io incomincerò da quello che per aventura potrebbe a molti parer frivolo: cioè quello che io stimo che si convenga di fare per potere, in comunicando et in usando con le genti, essere costumato e piacevole e di bella maniera: il che non di meno è o virtù o cosa molto a virtù somigliante. E come che l’esser liberale o constante o magnanimo sia per sé sanza alcun fallo più laudabil cosa e maggiore che non è l’essere avenente e costumato, non di meno forse che la dolcezza de’ costumi e la convenevolezza de’ modi e delle maniere e delle parole giovano non meno a’ possessori di esse che la grandezza dell’animo e la sicurezza altresì a’ loro possessori non fanno: perciò che queste si convengono essercitare ogni dì molte volte, essendo a ciascuno necessario di usare con gli altri uomini ogni dì et ogni dì favellare con esso loro; ma la giustitia, la fortezza e le altre virtù più nobili e maggiori si pongono in opera più di rado; né il largo et il magnanimo è astretto di operare a ogni ora magnificamente, anzi non è chi possa ciò fare in alcun modo molto spesso; e gli animosi uomini e sicuri similmente rade volte sono constretti a dimostrare il valore e la virtù loro con opera. ] Adunque, quanto quelle di grandezza e quasi di peso vincono queste, tanto queste in numero et in ispessezza avanzano quelle: e potre’ ti, se egli stesse bene di farlo, nominare di molti, i quali, essendo per altro di poca stima, sono stati, e tuttavia sono, apprezzati assai per cagion della loro piacevole e gratiosa maniera solamente; dalla quale aiutati e sollevati, sono pervenuti ad altissimi gradi, lasciandosi lunghissimo spatio adietro coloro che erano dotati di quelle più nobili e più chiare virtù che io ho dette. E come i piacevoli modi e gentili hanno forza di eccitare la benivolenza di coloro co’ quali noi viviamo, così per lo contrario i zotichi e rozzi incitano altrui ad odio et a disprezzo di noi. Per la qual cosa, quantunque niuna pena abbiano ordinata le leggi alla spiacevolezza et alla rozzezza de’ costumi (sì come a quel peccato che loro è paruto leggieri, e certo egli non è grave), noi veggiamo non di meno che la natura istessa ce ne castiga con aspra disciplina, privandoci per questa cagione del consortio e della benivolenza degli uomini: e certo, come i peccati gravi più nuocono, così questo leggieri più noia o noia almeno più spesso; e sì come gli uomini temono le fiere salvatiche e di alcuni piccioli animali, come le zanzare sono e le mosche, niuno timore hanno, e non di meno, per la continua noia che eglino ricevono da loro, più spesso si ramaricano di questi che di quelli non fanno, così adiviene che il più delle persone odia altrettanto gli spiacevoli uomini et i rincrescevoli quanto i malvagi, o più. Per la qual cosa niuno può dubitare che a chiunque si dispone di vivere non per le solitudini o ne’ romitorii, ma nelle città e tra gli uomini, non sia utilissima cosa il sapere essere ne’ suoi costumi e nelle sue maniere gratioso e piacevole; sanza che le altre virtù hanno mestiero di più arredi, i quali mancando, esse nulla o poco adoperano; dove questa, sanza altro patrimonio, è ricca e possente, sì come quella che consiste in parole et in atti solamente.
II
Il che acciò che tu più agevolmente apprenda di fare, dèi sapere che a te convien temperare et ordinare i tuoi modi non secondo il tuo arbitrio, ma secondo il piacer di coloro co’ quali tu usi, et a quello indirizzargli; e ciò si vuol fare mezzanamente, perciò che chi si diletta di troppo secondare il piacere altrui nella conversatione e nella usanza, pare più tosto buffone o giucolare, o per aventura lusinghiero, che costumato gentiluomo. Sì come, per lo contrario, chi di piacere o di dispiacere altrui non si dà alcun pensiero è zotico e scostumato e disavenente. Adunque, con ciò sia che le nostre maniere sieno allora dilettevoli, quando noi abbiamo risguardo all’altrui e non al nostro diletto, se noi investigheremo quali sono quelle cose che dilettano generalmente il più degli uomini, e quali quelle che noiano, potremo agevolmente trovare quali modi siano da schifarsi nel vivere con esso loro e quali siano da eleggersi. Diciamo adunque che ciascun atto che è di noia ad alcuno de’ sensi, e ciò che è contrario all’appetito, et oltre a ciò quello che rappresenta alla imaginatione cose male da lei gradite, e similmente ciò che lo ’ntelletto have a schifo, spiace e non si dèe fare.
III
Perciò che non solamente non sono da fare in presenza degli uomini le