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Sono tornati: Racconti da mondi diversi
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Sono tornati: Racconti da mondi diversi
E-book166 pagine2 ore

Sono tornati: Racconti da mondi diversi

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Info su questo ebook

Ciò che accomuna questi sei racconti di fantascienza è che nulla è come appare, così in "Sono tornati", segnato dall'attesa dell'invasione del proprio mondo da parte di esseri mostruosi, o in "C'è vita in città?", dove la speranza di trovare forme di vita aliena porta a un imprevedibile esito, o in "Le donne della Terra". Una vena di malinconia percorre "Dove andremo a finire?" e, ancora di più, "Ishi". Infine il lungo racconto "Il segreto di Philip" in cui, al posto di una normalità quotidiana, si svela agli occhi del protagonista l'esistenza di una realtà inimmaginabile.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2019
ISBN9788832591170
Sono tornati: Racconti da mondi diversi

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    Anteprima del libro

    Sono tornati - Giovanni della Casa

    PHILIP

    I.

    SONO TORNATI

    Il vecchio capì subito, da come l’ esploratore si avvicinava correndo, che portava brutte notizie. Lo aveva visto scansare con impazienza le sentinelle all’imbocco del cunicolo e dirigersi verso di lui. Allora aveva lasciato perdere quello che stava mangiando e si era preparato a ricevere le informazioni che un brutto presentimento gli faceva presagire come molto preoccupanti.

    -E’ atterrata- disse, dopo essersi chinato nell’atteggiamento di sottomissione che un giovane esploratore doveva avere di fronte a un vecchio capo. -E’ atterrata vicino al lago occidentale-.

    -Lo immaginavo- disse il vecchio. -Quando l’abbiamo vista in cielo la direzione era quella-. Rimase un attimo in silenzio, come per la paura a formulare la domanda. -Sono scesi? Li hai visti?-

    L’esploratore esitò. -Sì. Ero lontano ma li ho visti-.

    -Allora?- insistette il vecchio, nello sforzo di mascherare la tensione che il suo ruolo gli imponeva di non far trasparire.

    -Sono enormi. Sono alti almeno venti volte rispetto a noi. Si muovono lentamente, come se fossero sicuri della loro forza-.

    -Descrivimeli-. Formulò la richiesta come un ordine senza altre spiegazioni, non si poteva permettere che l’esploratore si chiedesse perché i dettagli del loro aspetto fossero tanto importanti agli occhi del vecchio. Per il momento solo lui doveva saperlo. Il giovane esploratore ne fece una descrizione il più dettagliata possibile cercando di dissimulare l’emozione. Sapeva che gli esploratori dovevano essere prudenti ma non dovevano mai cedere alla paura.

    -Avevano oggetti con sé?-

    -Sì. Non so a cosa servissero. Ho visto però che da uno di essi è uscita una fiamma-.

    Era ancora in grado di percorrere grandi distanze sulla pianura brulla. Sapeva che doveva farlo. Il suo istinto gli diceva di farlo. Gli esploratori sarebbero andati in giro ad allertare tutti gli altri insediamenti, ma sapeva che era necessaria comunque la sua autorità presso i vecchi delle altre comunità. Bisognava aver conoscenza della situazione e prepararsi ad affrontarla. Mentre lasciava la sala dove aveva ricevuto l’esploratore e mentre percorreva la rete di cunicoli che l’avrebbe portato all’esterno sulla vasta pianura si rendeva conto di quanto avrebbero dovuto sopportare. Ma sarà solo un altro episodio della nostra storia pensò. Uccisi a migliaia, a volte a milioni, questo sì, ma mai sconfitti del tutto, e ogni volta ci riprendevamo, ogni volta più numerosi.

    Vide in lontananza la distesa di abitazioni di tronchi, perfettamente ordinati, che si estendeva per chilometri. Anche se sapeva che sotto di essa si sviluppava un labirinto di cunicoli in grado di sostituirsi, come rifugi, all’insediamento esterno, non poté fare a meno di provare dolore al pensiero di quanto lavoro aveva richiesto intagliare e ordinare quella splendida e sapiente architettura che ora difficilmente avrebbe potuto sopravvivere.

    All’ingresso le sentinelle gli si fecero attorno e lo accompagnarono nell’area centrale, dove trovò ad attenderlo gli altri vecchi.

    -Abbiamo saputo- disse uno di essi. -Sono tornati-.

    -Sì, non ci sono dubbi, ormai. Non sappiamo quanti, ma certamente sarà dura. Conviene cominciare subito a portare più provviste possibile nella rete sotterranea-.

    -Possiamo combattere- intervenne uno dei giovani presenti. -Siamo tantissimi, molto più numerosi di loro. E non abbiamo mai avuto paura-.

    -Certo- rispose il vecchio. -Ma non è questo che ci interessa. Quello che ci interessa non è combattere, è sopravvivere. Questa è la nostra tradizione. Che ci ha portati ad essere ancora noi i dominatori di questo pianeta, da quando siamo arrivati qui. Ce lo dice la nostra storia tramandata per generazioni. Le specie, di cui tante più forti di noi, presenti su questo pianeta al nostro arrivo, che alla fine abbiamo sconfitto ora sono scomparse, e noi siamo qui. Dopo di allora, tante volte i giganti che vengono dal cielo ci hanno provato, ma ogni volta noi tornavamo più numerosi. E ora datevi da fare, io devo proseguire il mio percorso-.

    Era stanco quando intravide in lontananza il riflesso luminoso dell’immenso oggetto semisepolto nella sabbia della pianura. Forse anche per quella capacità di far rimbalzare la luce proveniente dal cielo era sempre stato oggetto di attrazione e paura per quelli come lui. Il materiale di cui era fatto era qualcosa di diverso da ogni cosa che loro conoscevano, dal legno, dalla pietra, dalla sabbia.

    Sapeva che all’interno delle sue vaste sale avrebbe avuto la risposta su che cosa li aspettava, avrebbe saputo se anche stavolta si sarebbe trattato di ciò che la loro tradizione tramandata di generazione in generazione riportava essere accaduto più volte nella storia della loro specie.

    Percorse faticosamente, nel caldo implacabile e nella luce accecante dei quattro soli allo Zenit, la distanza che lo separava dall’oggetto. Si diresse verso l’apertura ormai parzialmente ostruita dalla sabbia depositata ed entrò nella vasta sala. Anche all’interno le pareti erano di un materiale che non esisteva nel loro pianeta, questo più tenero e più opaco rispetto a quello esterno. I colori erano diversi da qualsiasi colore si potesse vedere nelle pianure, nelle montagne o nei laghi. Le forme degli oggetti alle pareti perfettamente regolari. Tutto era là, immodificato rispetto al giorno in cui c’era stato quando era un giovane esploratore.

    Guardò le figure alle pareti. Gli si era gelato il sangue ascoltando la descrizione che l’esploratore gli aveva fatto dei nuovi invasori. Era quello che temeva di sentirsi dire. Perché si ricordava bene quelle figure, anche se era passato tanto tempo e, particolare dopo particolare, quella descrizione coincideva con quelle immagini alle pareti.

    Cercò quel cerchio rosso. La prima volta che era stato lì, nell’emozione provocata dall’ingresso nella sala, aveva premuto inavvertitamente quel cerchio e aveva sentito uscire da un punto della parete quella voce. Quelle parole di cui non poteva comprendere il significato. Quel cerchio era ancora lì, parzialmente coperto dalla polvere. Lo premette.

    La voce, come allora, si diffuse nella sala.

    -Diario di bordo della nave interplanetaria KB128. Ventiquattresimo giorno. Sono il comandante Tytgat. Mancano tre settimane all’arrivo sul pianeta Mood, settimo pianeta considerato abitabile nel sistema di Kaplowitz IV. Il viaggio dalla base di New Sidney sul terzo pianeta è stato finora regolare. I motori rispondono bene nelle manovre di correzione della rotta. Il morale dell’equipaggio è buono e non ci sono stati problemi di socializzazione. Il personale tecnico è stato perfettamente efficiente quando c’è stato bisogno di piccoli lavori di riparazione, come nel caso di fili rimasti scoperti, verosimilmente per deterioramento delle guaine in plastica. La scarsa resistenza delle guaine all’usura andrà segnalata nelle prossime gare di appalto per gli impianti-.

    -Trentaduesimo giorno. C’è stata necessità di parecchi interventi di manutenzione straordinaria e questo ha provocato una diffusa irritazione nell’equipaggio che accusa le aziende fornitrici di risparmiare sui materiali. Sono state riscontrate discontinuità delle guaine dei fili in molti punti e i lavori di riparazione hanno tenuto impegnati per molte ore i tecnici, che già da ora programmano di richiedere pagamento di ore di straordinario al termine della missione. Ho parlato col capotecnico che è perplesso perché non sa darsi spiegazione del fatto che nei punti di discontinuità le guaine sono letteralmente sparite, senza residui-.

    -Trentaseiesimo giorno.I danni alle guaine continuano, anzi si moltiplicano e stanno determinando guasti nei circuiti. Il personale è costantemente occupato a identificare i guasti e a ripararli, e questo moltiplica le situazioni di tensione nell’equipaggio. Si sono verificate diverse liti, anche per motivi futili e con giustificazioni poco credibili: ieri sera alcuni che smontavano dal turno sostenevano che qualcuno era entrato nella mensa e aveva mangiato parte della loro cena. Si fa fatica a mantenere disciplina e collaborazione-.

    -Quarantunesimo giorno. La situazione sta diventando difficilmente controllabile, l’unica cosa che un po’ mi rassicura è che ormai mancano pochi giorni all’arrivo. Negli ultimi giorni il dubbio del sabotaggio si è diffuso nell’equipaggio e, nonostante abbia cercato di contrastarlo, adesso anch’io non posso fare a meno di pensare che sia l’unica spiegazione. L’impianto d’illuminazione ormai funziona solo a tratti e solo in alcuni punti perché i fili interrotti non si contano più, i tecnici sono costantemente in giro per la nave con le torce a cercare i guasti. Ma i danni peggiori riguardano le riserve alimentari: scorte scomparse, contenitori danneggiati col cibo deteriorato e inutilizzabile. Le riserve per il viaggio di ritorno sono, ormai, a stento sufficienti-.

    -Quarantatreesimo giorno. L’equipaggio sta impazzendo. Tutti sospettano di tutti. Alcuni rifiutano ormai di lavorare e se ne stanno chiusi nelle loro cabine urlando che sulla nave c’è una maledizione. La maggior parte della nave è al buio e le scorte alimentari sono quasi finite perché ormai quasi tutti i contenitori sono stati danneggiati. Ci sono segni di tentativi di danneggiamento anche sui serbatoi dell’acqua, graffi e tagli che in uno di essi hanno provocato l’uscita dell’acqua e l’allagamento di uno dei vani motore. Alcuni dei membri dell’equipaggio hanno allucinazioni, quando entrano nei locali dove devono eseguire riparazioni vedono minuscole figure muoversi e scomparire nel nulla e sentono rumori che non avevano mai sentito provenire dagli angoli più nascosti-.

    -Quarantacinquesimo giorno. Siamo riusciti, non so come, ad atterrare sulla superficie del pianeta. C’è voluta tutta la mia forza di disperazione per portare a termine la manovra d’atterraggio, buona parte dei comandi è fuori uso per i danni all’impianto. Siamo in una zona desertica a perdita d’occhio. I serbatoi dell’acqua sono quasi tutti danneggiati, abbiamo acqua solo per pochi giorni. Ho mandato gruppi di uomini in tutte le direzioni per cercare acqua e cibo, ma dubito che possano avere successo in questa landa desolata. Ora anch’io, quando mi muovo nella nave, sento quegli strani rumori acuti. Rumori che mi fanno accapponare la pelle-.

    -Quarantottesimo giorno. Nessuno degli uomini mandati in esplorazione è tornato. Quando i quattro soli di questo sistema erano allo zenit ho capito che non poteva che essere un’impresa disperata, il caldo è insopportabile e sicuramente si sono rapidamente disidratati-.

    -Cinquantasettesimo giorno. Sono rimasto solo. L’acqua è finita, non mi rimane che restare qui ad aspettare la fine. Ora ho capito a quali esseri immondi dobbiamo la nostra fine. Li ho visti muoversi per la nave, non più furtivi, ma con l’impudenza di chi sa di aver vinto-.

    Il vecchio premette il cerchio e sospese la voce. Aveva visto attraverso il vetro della nave avvicinarsi alcune decine di quegli orribili, rivoltanti giganti. Ed ebbe la conferma, erano gli stessi delle immagini sulla parete della nave. Mostruosi nel loro lento modo di muoversi, ritti sulle zampe posteriori, le zampe anteriori che reggevano quegli strani oggetti allungati, la pelle che doveva essere dello stesso materiale che aveva visto all’interno della nave, la testa dalla forma perfettamente rotonda che mandava riflessi di luce sotto i quattro soli allo zenit. A questo punto sapeva che cosa li aspettava. Ma sapeva comunque che anche stavolta ce l’avrebbero fatta. Ce l’avevano sempre fatta, erano sempre sopravvissuti.

    Premette di nuovo il cerchio e la voce riprese. -Dio mio, quante volte ne abbiamo letto nei libri di storia antica, ma pensavo che potesse succedere solo tanti millenni fa, nelle navi che allora solcavano i mari della Terra. Chi poteva crederlo possibile sulle nostre navi? E ora stanno sciamando fuori, chi pensava che fossero tanti?-

    Il vecchio continuava ad ascoltare, in qualche modo affascinato dal suono di quella voce, così morbido, tanto diverso dallo squittio della sua e dei suoi simili. Poi, per scrutare meglio fuori, si alzò sulle zampette mentre la voce pronunciava le ultime parole: -Maledetti, finiranno per dominare questo pianeta. E ce li abbiamo portati noi. Maledetti sorci-.

    Accostò il muso al vetro. Ora erano più vicini, poteva vedere ogni particolare, anche quegli strani segni sulla loro pelle bianca. Se avesse saputo leggerli, avrebbe avuto conferma alle sue paure: Servizio interplanetario di derattizzazione.

    II.

    C’È VITA IN CITTA’?

    Hines camminava davanti a lui con la solita scioltezza, nonostante il valore di gravità 1.39 rispetto alla Terra. Blackwell lo osservava e pensava che in quei momenti i suoi cinquantadue anni se li sentiva tutti. Certo, dopo sette mesi passati nella nave di trasporto non chiedeva di meglio che poter fare quattro passi fuori da quegli angusti locali che ormai conosceva a memoria, ma dopo poche centinaia di metri si ricordò che doveva comunque fare i conti col fatto che non era più un ragazzo. Per fortuna, in quanto capo del gruppo d’esplorazione era suo il compito di dettare la velocità di marcia, che naturalmente adeguava al suo non brillante stato di forma fisica.

    Procedevano in quella strana luce intensa ma rossastra. Il sole si stagliava come un disco enorme, almeno trenta volte il diametro del sole della Terra, vicino com’era al pianeta su cui stavano muovendo i loro passi. Blackwell guardò sul display sull’avambraccio sinistro la temperatura dell’ambiente esterno: i -40° contrastavano con l’intensità della luce, che sembrava quella di un tramonto nonostante la posizione del sole a picco sulle loro teste. Gli giunse nell’interfono la voce di Ivanov: -C’è un sole gigantesco e fa un freddo cane. E’ una delle stelle meno efficienti che abbiamo visto-.

    La temperatura esterna peraltro non costituiva per loro un problema, protetti come erano dalle tute che garantivano all’interno 20° costanti. Blackwell si guardava intorno: camminavano in una pianura uniforme affondando i piedi in una sabbia finissima. Quello che più lo colpiva era la ricchezza di

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