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Comportamenti coatti
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E-book108 pagine1 ora

Comportamenti coatti

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Info su questo ebook

E' il 2043 in un'Europa ridotta in miseria in cui le città si sono trasformate per lo più in rifugi per sbandati e in terreno d'azione per bande criminali. Poche sono le strutture rimaste a fornire qualche forma di assistenza in una società in disgregazione, e l'ospedale in cui il protagonista, Poggi, continua a trascinare tra difficoltà sempre maggiori la sua attività è una di queste, finchè, nello spazio di pochi giorni, due incontri, il primo con un giovane a cui si trova casualmente a salvare la vita sottraendolo a una banda di criminali che lo volevano uccidere apparentemente senza motivo e il secondo con un tossico che ha cercato di farla finita, sollevano in lui interrogativi ai quali cerca di dare risposta svelando progressivamente uno scenario inatteso e agghiacciante di controllo della volontà. 
LinguaItaliano
Data di uscita26 gen 2018
ISBN9788827557730
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    Comportamenti coatti - Giovanni della Casa

    10

    1

    E’ in mezzo a quella pioggia fine che sporca le strade che li vedo. Mentre li osservo non capisco che cosa stanno facendo. Penso a un gruppo di giovani che scherzano. Ma si muovono silenziosi, le espressioni del volto sono dure e ottuse, quando le colgo mi comunicano qualcosa di inquietante. C’è una dissonanza nella scena, è il loden verde dell’uomo in mezzo a loro, vestiti di giacche sporche e logore e jeans, sul marciapiede del viadotto che sto percorrendo sulla mia automobile. Quando arrivo a qualche decina di metri da loro mi rendo conto: tre di loro lo hanno afferrato e lo stanno spingendo verso il parapetto. L’uomo col loden strattona, cerca di liberarsi, ma ormai sono a un metro dal parapetto, sotto c’è un’altra strada circa trenta metri più in basso. E’ l’angoscia che mi comunica lo sguardo terrorizzato dell’uomo che mi spinge a fare qualcosa, qualsiasi cosa. Con la macchina punto diritto verso il gruppo tenendo la mano pigiata sul clacson. Si voltano verso di me e si bloccano. Quando sono quasi addosso a loro sterzo di colpo e mi fermo. Vedo che l’uomo è riuscito ad approfittare di quel momento per divincolarsi e sta correndo verso di me. Mi allungo di fianco per aprirgli la portiera di lato e lui si precipita dentro. Quando riparto di scatto due di loro si sono già riavuti dalla sorpresa e si stanno gettando sull’automobile per bloccarla, sento i colpi delle loro mani che cercano di aprire lo sportello. Non ce la fanno. Accelero più che posso. Guardo nello specchietto retrovisore e li vedo mentre mi guardano allontanarmi.

    La paura è qualcosa di contagioso, per sentirmela entrare nelle ossa mi basta girarmi qualche istante a guardare quell’uomo mentre percorro velocemente le strade per allontanarmi il più possibile.

    –Stai bene? Ti porto in un Pronto Soccorso?-

    Non mi risponde subito, per alcuni secondi è come se riflettesse per capire se è rimasto ferito, poi risponde: -No, penso di no.- Guarda davanti a sé, stravolto. –Cristo, mi volevano ammazzare. Quelli mi volevano ammazzare.-

    -Li conoscevi? E’ successo qualcosa prima?-

    -No, Dio mio, non ho idea di chi fossero, non li ho mai visti. Passavo sul viadotto a piedi, lo faccio sempre. Ho visto che erano fermi lì, mentre mi avvicinavo non mi guardavano neanche, poi quando sono stato di fianco a loro mi hanno afferrato. Non parlavano, non hanno detto una parola.-

    Ogni tanto guardo nello specchietto retrovisore, ma non vedo nessuna macchina seguirci. Riduco la velocità e mi rilasso un po’. E’ pallido in modo impressionante, gli occhi sembrano due macchie nere nel bianco del volto. –Vuoi che ci fermiamo a bere qualcosa? Ne hai bisogno, dopo ti sentirai meglio.- Non risponde neppure, fa solo cenno di sì con la testa.

    Nel bar c’è poca gente, ma per uno strano istinto, come se ci sentissimo più protetti, ci sediamo in un tavolino in un angolo. Non diciamo quasi nulla fino a che non abbiamo mandato giù i due whisky che abbiamo ordinato.

    –Andavi a lavorare?- gli chiedo, per rompere il ghiaccio.

    –Sì, vado sempre a lavorare a piedi. Non c’è moltissima strada da fare, e così risparmio sulla benzina, non sono molti adesso che si possono permettere di muoversi in macchina, con un litro di benzina che costa quanto una cena al ristorante.-

    -Già, dicono sempre che il prezzo dovrebbe diminuire, ma dalla prima crisi di approvvigionamento del 2023, vent’anni fa, non ha fatto che salire.- Mi fermo un attimo, bloccato sulla domanda che vorrei fargli, poi glielo chiedo: -Che lavoro fai? Quello che è successo può avere qualche relazione col tuo lavoro?-

    Rimane sorpreso dalla mia domanda, come se gli avessi aperto uno scenario inaspettato. Per alcuni secondi rimane zitto a pensare. -No, non faccio un mestiere che mi crei dei nemici. Sono perito di un’assicurazione, lavoro su roba piccola, più che altro risarcimenti per incidenti stradali. No, figurati, non è un lavoro nel quale posso aver pestato i piedi a qualcuno.- Mi guarda con un’espressione disarmata –Non so cosa pensare.-

    -Ho sentito dire che ne stanno accadendo diversi, di….-mi blocco prima di dire la parola ‘omicidi’ , mi sembra già abbastanza terrorizzato - di…..episodi come questo. Forse gira troppa roba, e troppa roba strana, tra gli extra, e vanno fuori di testa. Già essere un extra ti predispone ad andare fuori di testa.-

    Extra’ sono quelli che non rientrano in quel minimo residuo di organizzazione sociale che è rimasto dopo la grande crisi del 2023. E’ curioso come i termini acquisiscano via via significati diversi da quelli da cui sono derivati. Nei primi anni del 2000 era una contrazione di ‘extracomunitari’, adesso non c’entra più niente con quella connotazione, anzi, tra gli extra la percentuale di immigrati di quel periodo e di loro figli è minore della percentuale di quelli che sono da sempre italiani. Sono quelli che non sono stati in grado di conquistarsi un qualsiasi posto di lavoro, che hanno man mano esaurito il piccolo capitale di risparmio lasciato dai genitori, che hanno vissuto anni dell’infanzia e dell’adolescenza in cui nulla li ha preparati a lottare per la sopravvivenza. Vivono per strada o in vecchie strutture industriali abbandonate, raramente si allontanano dalle periferie delle città per aggirarsi nelle campagne, dove il pericolo per loro è ben peggiore, perché i gruppi di agricoltori organizzati che presidiano i raccolti e gli alberi da frutta non hanno esitazioni a massacrarli a fucilate e non hanno problemi a farne sparire i corpi. Cercano di sopravvivere, e di solito non ce la fanno, soprattutto quando rimangono isolati. Le loro probabilità aumentano quando formano gruppi, ma allora aumenta anche la necessità di lottare, con altri gruppi o con le squadre di vigilantes. Alcuni sono bande criminali organizzate, ma molti non sono altro che drappelli di disperati che si aggirano con il cervello bruciato dalle droghe più devastanti.

    -Cazzo, mi hai salvato la vita. Avresti potuto continuare per la tua strada, invece sei intervenuto, e hai rischiato parecchio anche tu. Non si sa cosa dire, in questi casi. Solo che, se adesso non sono sfracellato ai piedi di quel viadotto, lo devo a te.- Mi guarda, mi studia un attimo. - E tu cosa fai? Non mi sembri né un poliziotto nè un militare.-

    -Infatti. Faccio il medico. Mi chiamo Paolo Poggi.-

    -Io Enrico Bardelli. E dove fai il medico? Sei nell’ospedale dei cristiani o in quello dei comunisti?-

    -In quello dei comunisti. Quando mi sono laureato ho cominciato lì e lì sono rimasto. Mi andava bene l’uno o l’altro, quasi nessuno sceglie per ideologia, il lavoro che fai lì dentro è lo stesso, cerchi di salvare la pelle a tanta gente inventandoti qualcosa tutti i giorni. Tante famiglie che non saprebbero dove sbattere la testa. E tanti extra. Alcuni di noi ogni tanto mollano e cercano di andare in qualche grossa clinica, per avere una casa più bella e un’automobile più bella. Il prezzo da pagare è farsi trattare come una merda e soprattutto sapere che sei una merda.-

    Sembra davvero una brava persona, uno di quelli che cercano di attaccarsi alle poche regole che ancora in qualche modo continuano ad avere corso in questa società in disfacimento, che vi si attengono sperando di esserne ricambiati. Ce ne sono tanti così, spesso non ti saprebbero dire se ci credono veramente, ma gli dà sicurezza tenere lo sguardo basso su un binario e seguirlo. –Ti porto a casa o vuoi andare a lavorare?-

    -Preferisco andare comunque a lavorare. Mi risulterà più facile non pensare a quello che mi è successo. E poi, ho due o tre cose da fare assolutamente entro oggi. Devo completare due pratiche di risarcimento e devo vedere la perizia sull’incidente di Parsi.-

    -Parsi? Chi, Franco Parsi, il direttore del Centro di Sorveglianza?-

    -Sì, lo sai che è morto in un incidente tre giorni fa?-

    -Sì, l’ho sentito. Mi è dispiaciuto. Lo conoscevo quando studiavo Medicina, era il mio professore di tossicologia e neurofarmacologia. Insegnava ancora all’Università, anche dopo che era diventato il responsabile del Centro di Sorveglianza sulle Tossicodipendenze. Era bravo, le sue lezioni le ricordo ancora, mi avevano fatto venire voglia di fare il farmacologo. Poi ho cominciato a lavorare in Pronto Soccorso e tutto quello ha cominciato a sembrarmi molto lontano.-

    -Hanno dato in mano a me la pratica dell’incidente, aveva un’assicurazione sulla vita. E’ uscito di strada in una curva, non c’erano segni di frenata. Probabilmente un colpo di sonno, ma comunque dobbiamo fare la perizia sull’automobile.-

    Lo accompagno al lavoro. Ci scambiamo i numeri di

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