Di luci e di ombre
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Info su questo ebook
Tuttavia c'è un modo coraggioso - violento e delicato al tempo stesso - un modo fatto Di luci e di ombre, per giungere al proprio nucleo vitale: è il percorso di questo romanzo di Sergio Sormani, in cui il protagonista, tra momenti di appassionato trasporto e altri di inibizioni inconfessabili, sceglie di arrivare fino alla fine della sua storia personale, sceglie di esistere nella completezza della sua omosessualità.
Scopre che questo è possibile, e che forse è più semplice di quanto non pensasse all'inizio, dove l'azzurro del mare che compare nell'incipit si riverbera su tutto il racconto.
Una scrittura dall'intonazione spiccatamente poetica, in grado di cogliere l'aspetto più tenero di luoghi e situazioni, quasi in una continua descrizione del paesaggio di un'anima.
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Anteprima del libro
Di luci e di ombre - Sergio Sormani
I
Erano giorni incerti.
Mare alle spalle, mare all’orizzonte, gli occhi riflessi in quell’azzurro e di un azzurro altrettanto intenso. A volte li muoveva, gli occhi, a catturare i sapori delle cose o a guardarsi intorno, fulmineo, come un gatto che si blocca d’innanzi al minimo fruscio. Altre volte li chiudeva, per sognare o spegnere il fastidio di una spina, che non voleva uscire.
Fuori, le stagioni s’inseguivano lente e a volte minacciose, in quel mutare improvviso e illogico d’un orologio difettoso. Lui amava le giornate limpide, nelle quali le città diventano più nitide e ti trovi a camminare con la piacevole impressione che non nascondano insidie.
Amava la vita, e a volte le portava rancore. Era convinto che il tempo lo avrebbe portato ad abbracciarla più forte, e che ogni giorno fosse un’altra occasione per aggiungere storia alla storia. E proprio come due amanti, fra lui e la vita qualche volta lo slancio, qualche volta la lite, qualche volta l’incomprensione.
E gli attimi di buio in cui gli occhi non riflettono azzurro, i giorni di tempesta nei quali il vento distrugge ogni operato, il grigiore che torna a rivestire le città soffocate di paura. poi immobilità, prigionia, paralisi. E vergogna, per aver perso se stesso.
Ma la storia chiedeva altre pagine, l’orgoglio rialzava la testa, spalancava di nuovo quegli occhi e li portava a puntarsi più in là, più a fondo nel cuore delle cose, in un corteggiamento e un amplesso colmi di nuova energia. Sapeva che ce l’avrebbe fatta. Non era nato per perdere, contrariamente a ciò che potesse sembrare a prima vista. Se c’era una cosa che ancora lo disturbava e lo rendeva fragile era la sensazione di esser stato ingannato. Voleva il resto, di quel che aveva speso. In sogni, emozioni, tentativi. E il conto non tornava mai.
Certo, non poteva essere poi così speciale il suo percorso, così diverso da quello di tanti altri, di quella immensa folla di adolescenti cresciuti, di bambini diventati adulti, di figli divenuti padri, e lavoratori, e saggi, e chissà che altro. Ma proprio per questo era forse il caso di non tacerlo, quel percorso. Di non darlo per scontato.
Immaginava che non avrebbe mai avuto un figlio, ma spesso si abbandonava al pensiero di tenergli le mani, nel momento in cui quel piccolo uomo avrebbe intrapreso il tracciato sconnesso, quel sentiero incerto che ora stava percorrendo lui.
La memoria. Ecco l’anello di congiunzione.
Ma il tempo corrode, l’urgenza di futuro che logora il presente non può riconoscere ciò che è rimasto alle spalle, o quantomeno lo offusca, ne sbiadisce i colori, lo svuota d’emozioni perché non freni lo slancio della nostra corsa.
E chissà, forse é meglio così.
La memoria. Forse un giorno l’avrebbe messa da parte, magari una volta saldato il conto. Ma ora no. Ora voleva raccontare a quel figlio che non sarebbe nato i propri giorni incerti, perché altri figli li avrebbero vissuti, e ognuno di loro si sarebbe sentito immensamente solo per un attimo o per sempre, e non avrebbe trovato appiglio in chi aveva già rimosso e dimenticato. In chi, rodato dal tempo, avrebbe forse sorriso di fronte a quelle solitudini e a quelle incertezze, dando davvero tutto per scontato.
Ed allora, come nel restauro di un affresco, provò a restituire vivacità ai colori di ieri, tentò di ridare luce alle emozioni, ai dubbi, agli sforzi… Aveva paura. Sarebbe mai riuscito a raccontarsi tutto?
Un brivido lungo e travolgente come il vortice di un nastro che riavvolge, e poi le immagini, frammentarie. Di lui bambino in cima ad una scala e una tutina a righe bianche e blu. Un missile ricamato in rosso al centro della salopette, e il viaggio incominciava. E già era sulla luna o in un altro lontanissimo paese, dove le case sapevano di olio e pane e il passare di vecchie auto frantumava il silenzio dei lunghi pomeriggi estivi. Ricordò le lucciole che brillavano magiche la sera fra le siepi e poi le città illuminate, laggiù, lontano... Ricordò una filastrocca in rima e i salti appeso a braccia forti che facevano da altalena e poi tanta paura quando qualcuno spegneva la luce, che era già ora di dormire.
Era cresciuto così, fra una risata ed un gioco, un altro giro sulle macchine a moneta e qualche quadro che lo guardava minaccioso dalle pareti di un corridoio, scuro e silenzioso come le ore che lo separavano dal giorno seguente...
Era cresciuto così, come tutti, fra carezze e timori e zucchero filato se non piangi,