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La delicata durezza del titanio
La delicata durezza del titanio
La delicata durezza del titanio
E-book152 pagine2 ore

La delicata durezza del titanio

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Info su questo ebook

Il dolore, mai sopito, per la morte del padre e il desiderio di conoscere finalmente una verità che aveva sempre voluto ignorare spingono Valentina Valli, scrittrice affermata, a fare i conti con il passato. Quarant’anni assorbiti in poche ore di vita, una protagonista ben delineata nei suoi tratti distintivi, e un plot narrativo ricco di originali intuizioni, fino alla conclusione, assolutamente imprevista e imprevedibile: La delicata durezza del titanio. Una storia tra sogno e realtà ha tutti i requisiti di un perfetto thriller psicologico, che cattura l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima pagina.

Giuseppe Polliere, padre di tre figli, Elvira, Alessia e Antonio, è nato a Napoli, dove si è laureato in Giurisprudenza e ha iniziato la professione di avvocato nel 1977. Trasferitosi prima a Milano e poi a Lecco, ha continuato a esercitare la professione forense per un ente pubblico di primaria importanza, ricoprendo dal 2014 al 2020 il ruolo di Avvocato coordinatore regionale. È stato Presidente e componente di Commissione per l’esame di Avvocato presso il Ministero di Giustizia- Corte di Appello di Milano al 2009 al 2019. Nei primi anni Novanta ha svolto altresì funzioni di amministratore pubblico, Assessore, presso il Comune di Basiglio-Milano Tre ed è stato cofondatore e Presidente, per oltre dieci anni, dell’Associazione Sportiva di Volley femminile New Dynam-Basiglio Mi 3. Attualmente vive a Galbiate, in provincia di Lecco, con la sua inseparabile cagnolina Mya e due magnifici gatti. Deposta la toga e accantonato il diritto, vive dedicando il suo tempo alla narrativa e alla recitazione.
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2023
ISBN9788830690639
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    La delicata durezza del titanio - Giuseppe Polliere

    cover01.jpg

    Giuseppe Polliere

    La delicata durezza del titanio

    Una storia tra sogno e realtà

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8718-9

    I edizione ottobre 2023

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    La delicata durezza del titanio

    Una storia tra sogno e realtà

    A Claudia e a tutti quei lettori che avranno la voglia

    e la pazienza di leggermi

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima.

    (Trad. Ginevra Bompiani)

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1

    Racconto Breve di Valentina Valli

    "Ci sono momenti in cui senti mancare ogni appiglio, momenti in cui disperatamente tenti di aggrapparti al più piccolo pezzo di legno che galleggia, nella speranza che ti porti sopra quell’onda nera immensa che vedi arrivare, ma mentre allunghi la mano, ti accorgi che quell’onda è già arrivata e tu non sai se sei già morto o ti manca ancora una frazione di secondo per esserlo.

    Spesso conoscere la verità non serve a comprendere il perché di certe cose, tutt’altro.

    A volte la consapevolezza ti lascia più smarrito e più incredulo di qualche attimo prima, quando ancora ti chiedevi se fosse stata reale la sensazione che avevi provato, se quel retrogusto amaro in fondo alla tua bocca fosse stato davvero il sapore della sconfitta e non piuttosto la paura che lo fosse.

    Ed è proprio in questi attimi eterni che vedi scorrere il film muto della tua vita, il tuo passato fatto di attimi sempre in fuga, di sensazioni mai fermate, di paure esorcizzate solo per il tempo di una preghiera.

    Tenero amore mio, non saprai mai le ragioni del mio pianto!

    Incredulo amore mio, non ti racconterò mai la storia dei miei passi incerti fino al momento di incontrare te: l’ultima sconfitta di un viaggio senza meta, vissuto con la penosa illusione di andare avanti sicuro e convinto, senza vedere il baratro profondo che accompagnava la mia strada, senza avvertire il freddo che continuava a bloccare ogni giorno di più le mie gambe e che mi chiudeva forte gli occhi fino a farli lacrimare.

    Giovane amore mio, non ti parlerò mai del mistero dei miei pensieri persi dietro al ricordo di ciò che ero ed al desiderio di essere ciò che non sono mai stato e che mai sarei stato. Non ti svelerò mai il segreto di un mondo dove una folla di ombre sconosciute mi urla, in silenzio, la mia incapacità di essere e di vivere al di là del sogno.

    A che servirebbe? A trasformare forse, l’illusione in realtà? Non credo

    A fermare i minuti o le ore o i mesi o gli anni che mi separano ancora dalla fine? No.

    Sarebbe solo un esercizio inutile di prosa triste e noiosa, un tentativo stupido di suscitare la tua comprensione o, peggio, la tua tenerezza effimera e bugiarda."

    Scagliò sul letto il suo mozzicone di matita e si voltò di scatto; i suoi occhi incrociarono, per un attimo, il viso disteso di lei che continuava a dormire malgrado la luce gialla della lampada puntasse diritta nella sua direzione.

    Avrebbe voluto urlare, scuoterla, spezzare quello stupido sonno tranquillo e dirle d’un fiato tutto quello che da mesi non usciva più dalle sue labbra e che inutilmente aveva tentato di scrivere, ogni notte, ogni volta che la paura lo divorava.

    Rimase in silenzio anche quella volta, lo sguardo fisso su di lei nel silenzio naturale della solita camera, la numero 26.

    Un minuto, forse due. I pensieri avevano smesso di fluire, adesso solo un vuoto pneumatico nel cervello ed il respiro regolare e leggero di lei. Tutto fermo, sospeso in una bolla d’aria.

    Poi piano piano, i contorni delle cose tornarono a prendere forma: il letto disfatto, lo scrittoio di legno scuro, i vestititi sparsi sul pavimento di moquette e la porta del bagno socchiusa.

    Ancora lì, ancora solo, ancora incapace di essere vivo, eppure non ancora finito. Si portò d’istinto le mani al viso e si accorse che stava ancora piangendo.

    Ormai non riusciva più a fermare quel silenzioso fluire che sapeva di tristezza e di impotenza, non riusciva più ad allontanare la sensazione di sconfitta che lo seguiva come un’ombra, la voce discreta di un amico spietato.

    Trovò la forza di staccare lo sguardo dal viso di lei, e lentamente si alzò dalla sedia.

    Quanto tempo era passato quella sera?

    Era il loro porto sicuro quell’albergo, piccolo e fuori dal mondo, silenzioso ed anonimo, come un abito grigio in un consiglio d’amministrazione di una S.p.A.

    La cura e la pulizia degli interni tuttavia stonavano con l’aspetto trasandato e decadente della facciata. A vederlo da fuori non veniva proprio la voglia di passarci anche soltanto qualche ora. L’insegna seminascosta da un intreccio di arbusti: passando sulla provinciale non lo avresti distinto dalla vecchia fabbrica di catene da neve la cui facciata era un tutt’uno con quella dell’albergo.

    Sembrava uscito dalla penna di Kerouac se non fosse che quel portone sgangherato non si apriva sulla U.S. Route 66, ma soltanto su di una strada provinciale della bassa padana.

    L’aveva scoperto per caso Sergio, una sera che la sua auto si era fermata proprio ad una decina di metri di distanza e non aveva più voluto saperne di ripartire.

    Dopo quella volta ci era ritornato con lei: camera n. 26 come la prima volta.

    Casa sua era troppo distante da dove abitava Claudia, e spesso per lei una mezz’ora in più bastava a complicarle maledettamente le cose.

    E così quel posto assurdo divenne ben presto quasi una costante per i loro incontri semiclandestini.

    Avevano fatto l’amore come sempre, con la stessa voglia pazza di fermare il tempo, di annullare ogni dolore, di ignorare tutto quello che intorno a loro era contro, quasi a voler rimandare tutto ad un momento che forse non sarebbe mai arrivato; attimi eterni durante i quali l’unica realtà erano gli spasmi convulsi del loro desiderio e l’esplosione silenziosa dei loro orgasmi.

    E poi, come a venir fuori da una nebbia onirica, istante dopo istante, erano ritornati quei discorsi: la frustrazione di chi vorrebbe ma non riesce, la disperazione di chi sente sparire il futuro e, infine, l’amarezza di chi è consapevole di rimanere immobile di fronte alla fine.

    Ore veloci, parole sempre uguali ed ansia nuova in ogni parola.

    Lei era crollata, lui no.

    Ogni volta che provava ad inventarsi una finta ragione, ad ignorare il dolore, fitte lancinanti gli spaccavano lo stomaco, costringendolo a pensare: colpa degli anni – pensava – colpa di quei bastardi figli di puttana!.

    E quei bastardi avevano lasciato il segno. Anche quella sera li vide passare uno ad uno, silenziosi come una lenta processione, inesorabile e senza meta.

    Ormai li riconosceva, uno per uno, senza rischio di sbagliare: agili e pesanti, veloci e lenti, indulgenti e severi, ma tutti con lo stesso sguardo di stupore e di finta compassione.

    Allora si era alzato dal letto, aveva trovato quella mezza matita proprio sullo scrittoio e, senza sapere il perché, aveva cominciato a scrivere. O forse il perché lo sapeva.

    Sì che lo sapeva. Sarebbe stato più facile spiegare così le ragioni di una scelta che non riusciva a fare, di una decisione che, tutte le volte che ci provava, rimaneva a mezz’aria, incapace di materializzarsi e di diventare realtà.

    Era cominciato tutto quel lunedì pomeriggio di

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