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BIO 1 (prima parte)
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E-book348 pagine4 ore

BIO 1 (prima parte)

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Rinascita: Imprigionato nella Matrice Limbo per oltre quarant'anni, Bio Cyberpunk riesce a fuggire grazie all'aiuto di un giovane hacker. Reciso il collegamento neuronale col corpo, Alessio Merisi inizia una nuova esistenza in rete come Entità Bio.
È il 2056.

Missione: Attaccare la Shiba, potente multinazionale che controlla la matrice, per liberare Michela, la donna che ama.

Interferenze: Bio riceve dei file crittografati sotto forma di cristalli. Estrarrà dei video che gli mostreranno Michela mentre vive una vita alternativa in Milano nel 2011. Molti saranno i suoi dubbi, ma nulla lo distoglierà dal liberare Michela finché non scoprirà il mittente e sconvolgenti analogie con i filmati.

Due realtà stratificate e complesse.
Bio vi mostrerà la rete dall'interno. Michela, invece, sembrerà vivere una vita comune, ma è solo apparenza.

Il primo di due romanzi di fantascienza che abbraccia le tematiche sulla realtà del precursore del cyberpunk, Philip Dick, e il film culto “Matrix” unito ai videogiochi e una matrice molto particolare.
Per info: www.biocyberpunk.com
LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2020
ISBN9788867554393
BIO 1 (prima parte)

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    Anteprima del libro

    BIO 1 (prima parte) - Samantha Baldin

    BIO Cyberpunk

    Romanzo di Samantha Baldin

    VOLUME I

    BIO Cyberpunk Vol.1

    Samantha Baldin

    Narcissus - Self Publishing made serious

    Edizione digitale: dicembre 2012

    ISBN: 9788867554393


    Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl


    BENVENUTO

    Gentile lettore,

    prima di lasciarti a BIO Cyberpunk ti avviso che è il primo di due romanzi.

    Non è autoconclusivo. Anche se la narrazione termina in un punto ideale per una pausa, la storia finirà nel secondo volume, che chiarirà tutti gli aspetti seminati fin dall’Incipit.

    Ho creato un punto in rete www.biocyberpunk.com dove potrai leggere i capitoli 1, 2 e 3 con i backstage e i numerosi estratti. Troverai i personaggi, i collegamenti, le curiosità sull’ambientazione e la struttura narrativa.

    BIO Cyberpunk ha due punti di vista (pdv) alternati: Bio e Michela.

    Il passaggio da uno all’altro crea uno scompenso. È voluto. 

    Non è un romanzo per tutti

    È il mio umile contributo al cyberpunk.

    Volevo che nascesse nel suo ambiente ideale: la rete.

    E volevo che tu potessi leggerlo così come l’ho pensato io, con i suoi pregi e difetti. Senza barriere.

    Per questo, però, mi sento in dovere di suggerire la lettura a un pubblico maturo soprattutto in considerazione del volume 2.

    Il mio è solo un suggerimento per tutelare il lettore più sensibile e giovane.

    Non è particolarmente violento, crudo o volgare, ma ci sono molti aspetti psicologici forti.

    Non solo.

    Ho scritto BIO Cyberpunk con uno stile attivo che porta il lettore a collegare gli avvenimenti da solo. A giudicare le azioni dei personaggi da solo.

    Io non ti dico cos’è giusto o sbagliato, non ti spiego i fatti.

    Io mi limito a mostrarti la vita di Bio e Michela.

    Saranno loro a fare delle considerazioni e potrebbero non essere corrette, almeno all’inizio.

    Si parla anche di hacker etici e non, di informatica quindi. Ma su quest’aspetto non sono scesa troppo nel tecnico e gli avvenimenti si evincono dal contesto, perché è la storia che conta.

    Mi sono documentata molto per rendere queste parti le più veritiere possibili. Spero che il risultato sia soddisfacente.

    Cito e mostro dei locali, ristoranti, alberghi e molti luoghi tra Milano e Las Vegas nei pdv di Michela, server con ubicazioni in palesi punti geografici nei pdv di Bio. Ho lasciato i nomi giusti per rendere più veritiera la narrazione, ma nulla più. Non ci sono altri fini se non quello di raccontare la mia storia. Nessun riferimento politico, religioso o razziale.

    Lo stesso discorso vale per i nomi. I nomi sono comuni e potrebbero esistere davvero, ma i personaggi sono di fantasia. Ogni riferimento a persone reali è puramente casuale e non voluto.

    C’è un ultimo aspetto, ma comparirà nel secondo romanzo ed è il fulcro della storia. Quindi, non ne parlo ora. Ti chiedo solo di non pensare che abbia scritto un cyberpunk basandomi su una comune matrice …

    Anche se c’è un’importante storia d’amore, il tema è la fuga. 

    Il protagonista è Bio.

    E BIO vuole essere libero.

    Grazie.

    Ps, 1: Mi scuso per eventuali errori che potresti trovare. Spero siano pochi.

    Ps, 2: Sì. Ho scritto Bio e BIO in modo diverso.

    INDICE

    1- Bio: Bio is free!

    La mente ha bisogno di un corpo per fuggire, ma non per essere libera.

    Primo Livello

    E ora si danza!

    Run-time

    Rigirato

    Scuoti il corpo

    Scuoti la mente

    Sono un po’ confuso

    You bastard!

    Dov’è la mente?

    Astemia

    Ricostruire la realtà

    Il mondo vero

    What the hell!

    Alessio è morto

    2- Michela: Ordinary Caos

    L’amore non ha una forma definita. È pura connessione d’estasi.

    Nata, ancora

    Bersaglio rosso

    Un locale cool!

    L’SMS scenico

    Uno strano ragazzo

    Un nuovo amico

    L’anima di Bio

    Qui, è il medioevo!

    Pedala! Pedala!

    Mi hai mentito

    Sorpresa acida

    3- Bio: Blue Ethic

    Quando muore il corpo, la mente cambia priorità. E l’etica diventa fumosa.

    Hot Byte

    Respiri blu di etica

    Tokyo Side 5

    La ragazza che precipitò dal cielo

    Il file cristallizzato

    Una nuova casa

    È uno scherzo?

    4- Michela: Upside Down

    Le passioni e le paure intrappolano il corpo e l’anima. Solo la mente detiene i codici di sblocco.

    Polvere bollente

    Sempre connessi

    Troppe scarpe

    FuD

    La necrofila e lo spaccalegna, no!

    Sentire il momento

    Happy Pengu

    Age of Apocalypses

    Insieme nel silenzio

    Pillola blu, pillola verde

    Cyber doppelgänger

    Dling Dlong!

    Ci vediamo dopo, Bio

    Non è più lui

    Solo un attimo

    5- Michela: uWin or uDie

    Se il futuro implodesse nel presente, che ne sarebbe del domani?

    La voce di Billy

    Neuro-Box

    Visione alternativa

    La missione

    Alcuni giorni dopo…

    Sola in Paradiso

    Rasputin 0

    6- Bio: Final Jump

    Solo vicino alla meta, ti rendi conto che dovrai saltare.

    75 fake

    Un altro file cristallizzato

    Ricordi di Michela

    Persa nelle lacrime

    Ghost vs. Bio

    Shiba-Day

    L’ app. Michela

    7- Michela: Limbo, believe or not

    Uno stato d’animo intenso Può essere combattuto e vinto oppure assimilato come nuova realtà.

    Novembre piovoso

    Ghost

    1 buona notizia, 1 cattiva notizia

    Felice Nuova Realtà 2013

    Caduta rapida

    Disconnesso

    Infreddolita e in lacrime

    Febbre fredda

    Combatti il presente

    La tazza sorriso

    8- Bio: Falling Down Slowly

    Quando si cade, è veloce e doloroso. Quando si precipita, è una lunga agonia.

    ScarRec nella zuppa

    GUSer

    Febbre?

    Le EtiKoff sono migliori

    Due tombe

    BIO Cyberpunk I

    Matrice L1MB0 attivata.

    Inserimento Progetto BIO03 in corso.

    Elaborazione dati.

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    1 - Bio

    Bio is free!

    La mente ha bisogno di un corpo per fuggire, ma non per essere libera.

    Primo Livello

    «Se il livello precedente era banale, questo è stato a dir poco patetico» sbuffò Bio ravvivandosi i ciuffi sulla fronte. «E questo specchio fluttuante è ridicolo.»

    Fissava l’oggetto dorato ancora incredulo. Avrebbe potuto attraversarlo con un passo, ma continuava a guardarsi intorno sperando di sbagliarsi. Aggirò lo specchio impreziosito dalla cornice barocca con tanto di targhetta: Bite the byte!

    «Ha anche un umorismo discutibile.»

    Ritornò davanti allo specchio. Fissò il riflesso del panorama alle sue spalle. «Che ci sia una quest nascosta?» La neve fioccava sopra la radura orlata dai pini e le cime dei monti erano soffocate da nubi grigiastre. «Macché. È tutto qui.» Scosse il capo. «Michela» disse senza spostare lo sguardo.

    «Sì, Bio.» Nell’aria echeggiò una voce femminile.

    «Apri il file BiBy e aggiungi leee-» sbadigliò «note finali di questo strepitoso livello tre.»

    «File aperto.»

    «Note ambientali. Il fondale montagnoso non è ben miscelato con l’orizzonte, è scontornato in modo approssimativo: da rivedere. La neve scende in modo non uniforme. In più, io non sono umido. Dovrei, visto che mi nevica addosso.» Si levò dalla spalla il nevischio. «Vedi, nulla. Sono asciutto, e non va bene.»

    Mosse alcuni passi cercando di modificarne l’intensità. Compì un salto. Osservò le impronte. «Sono tutte uguali. Troppo finte. In più, c’è anche l’impronta che dovrebbe mancare, quella del salto. L’algoritmo è sbagliato: da rifare.»

    Incrociò le braccia. «E ora, il pezzo forte: la trama del livello. Ho superato con imbarazzante facilità tutti i nemici. Sarebbe meglio alzare la difficoltà di mezzo punto almeno rispetto al livello precedente. La robottina generosa è stata l’unica nota divertente, ma è durato poco. Direi di incoraggiare il risparmio munizioni come bonus tempo da trascorrere con lei. Oppure inserire un tesoro nascosto. Il pappa-boss col braccio mitragliatore è da rivedere. Il collo è troppo esposto. Un colpo e l’ho fatto secco. Non va bene. È il boss, ci vuole un incremento di potenza e di fuoco. Poi, vediamo cos’altro?» Si grattò il mento.

    «Bio, ti ricordo che mancano quattro giorni alla consegna. Non è il caso di tralasciare alcuni dettagli?»

    «No. Tutto deve essere perfetto. La Shiba vuole un lavoro completo e dettagliato. Hai altri promemoria da sottopormi?»

    «Sì, hai due minuti e tre secondi per l’assunzione dell’antidolorifico.»

    «Che aspettavi a dirmelo?»

    «Un minuto e cinquantasei secondi.»

    Sorrise. «Il processore Fun funziona.» Restò immobile alcuni istanti. «Ecco, ho fatto. Riparti col cronometro, la prossima pastiglia è tra dieci ore.»

    «Sì, Bio.»

    «Ripresa della registrazione. Lo specchio come portale per il livello successivo è un cliché. Cambiare. E poi, che cosa ci farebbe uno specchio qui? Faceva prima a inserire una freccia gialla gigante con la scritta: Per il livello successivo qui! Almeno avrei riso. Il passaggio bisogna inserirlo nel contesto. Apri un segnalibro, inserirò dei suggerimenti in seguito.»

    «Fatto. Vuoi fare una pausa? Sei in gioco da trentadue ore.»

    Bio corrucciò la fronte, le ciocche scure gliela solleticarono. «Facciamo così, procedo ancora un po’.» Si sistemò lo zaino sulle spalle. «Magari nel livello successivo c’è qualcosa d’interessante.»

    Rise. «Mi prendo in giro da solo, figuriamoci!»

    Abbassò il monocolo sull’occhio destro. Imbracciò la pistola-mitragliatrice Ingram MAC-11.380 A1. Appena sfiorò la superficie dello specchio con il palmo della mano, divenne fluido. «Oh, che novità! Ho i brividi.»

    Lo attraversò.

    E ora si danza!

    Un tanfo acre lo assalì.

    Due zombi con arti meccanici gli balzarono addosso. Gli occhi cibernetici spiccavano sui volti putrefatti. Le braccia erano tese cercando di fenderlo mentre le bocche sbavanti lamentavano la fame insaziabile.

    Bio li calciò per distanziarli. Due brevi raffiche e gli zombi si afflosciarono lasciandogli libera la visuale.

    Un’orda era a una decina di metri. Avanzi di corpi iniziarono ad arrancare caotici mentre gli zombi meccanici oltrepassarono gli ostacoli rapidi nei movimenti, decisi nella direzione.

    «Da niente a troppo.»

    Osservò rapido il panorama. Il tramonto tinteggiava di porpora i resti di Tokyo dopo l’apocalisse. Il cartello della metropolitana recitava Shinjuku. Il rottame di un elicottero ostruiva l’area a est. Blocchi di cemento, lamiere e macerie erano disseminati ovunque. Il grattacielo sulla sinistra, scheletrico e annerito dalle esplosioni, mostrava numerose colonne a piano terra che invitavano al riparo.

    Bio fu tentato di correre nella zona buia, avrebbe potuto attirarli in una strettoia o sulle scale e farli fuori uno dopo l’altro. «Pericoloso, però. Se dentro c’è qualcosa, si attiverà appena entro.»

    Vetri infranti erano disseminati lungo il marciapiede, i cadaveri ammassati come aiuole.

    Iniziò a sparare sugli zombi strisciando la schiena contro la parete. Ogni testa che esplodeva, la voce di Michela esultava: Nice Shot!

    Divenne un mantra.

    Bio non mollava il grilletto, i bossoli cadevano ancora fumanti. Finito il caricatore, si gettò sopra il cofano di un’auto gialla parcheggiata nei pressi del grattacielo. Prese il caricatore nuovo. Lo inserì con un gesto deciso. Con un altro salto, salì sul tetto.

    Gli zombi correvano famelici. I pochi che superavano la prima raffica trovavano un sonoro calcio in faccia seguito dalla variante al mantra di Michela: You Cool!

    Il ghigno di frenesia s’arrestò quando all’orizzonte comparve il boss in lento avvicinamento. Un umanoide di quattro metri, glabro e ricoperto di cicatrici avanzava trascinando il coltellaccio arrugginito grande come la sua gamba.

    Bio sgranò gli occhi. «Di già?»

    Crivellò gli zombi vicini più in fretta che poté. Compì due salti per scendere dall’auto. Iniziò a correre lungo la strada. Entrò nel grattacielo. Fece per accedere all’area buia, ma la barriera trasparente lo bloccò. Barcollò.

    Delle braccia lo avvinghiarono alle spalle. Si sentì addosso il peso di un corpo estraneo. La lunga chioma lercia dello zombi gli ostruì la visuale. Cercò di liberarsi sbattendo contro un pilastro di cemento. Versi simili a un lamento si mischiarono al ruggito di una bestia affamata. Più colpi e la presa venne meno. Udì il tonfo.

    Si girò. Bio riconobbe i resti di una donna nello zombi in terra. Una parte delle viscere era esposta e tenuta insieme da lacci emostatici. La testa era mezza mangiata. Pochi istanti e si rialzò sbavando liquido scuro.

    La colpì in faccia col calcio della mitraglietta spezzandole la parte di mascella avanzata. Un paio di colpi ancora e la testa rotolò via separata dal corpo, che si afflosciò striando la parete di sangue e olio.

    Bio nemmeno prese fiato che altri due zombi si gettarono su di lui facendolo cadere all’indietro. Uno lo morse al collo, l’altro alla gamba.

    Gridò.

    Sentì il morso meccanico del bastardo affondargli nella carne. I nervi bruciarono in tutto il corpo che si contorse per gli spasmi. Per pochi istanti, non ebbe più il controllo.

    Gridò ancora, più forte e più a lungo. Serrò la bocca e sgranò gli occhi. Affondò la canna nel cranio dello zombi e sparò. Sentì il lembo di carne del collo strapparsi.

    Sparò all’altro che non era riuscito a oltrepassare col morso il gambale di protezione.

    Bio si alzò a fatica ansimando. Con la mano sinistra premeva la ferita al collo che grondava.

    Uccise ancora due zombi.

    La barriera svanì aprendogli la fuga.

    Vide il boss scaraventare via l’elicottero, l’ultimo ostacolo che li separava.

    «Bene. Il gioco inizia a farsi divertente.»

    «Vuoi fare una pausa?» gli domandò Michela.

    «Scherzi? Adesso che mi sto divertendo.»

    Entrò nel palazzo.

    Run-time

    Dopo aver trovato rifugio al secondo piano, Bio si assicurò che il boss non potesse accedere alla struttura. Si affacciò da una finestra e lo osservò mentre ciondolava davanti l’ingresso.

    «Bene, bene. Aspettami giù, tra poco scendo e ti spacco!»

    Controllò lo stato di salute. Aprì lo zaino, cercò il kit medico. Gli sembrò che la valigetta bianca con la croce rossa lo beffeggiasse: Prima o poi, tocca a tutti!

    Appena la toccò, gli si pose fluttuante davanti al volto. Si aprì mostrando il menù interattivo del contenuto.

    Le tacche del livello vita erano solo dieci su trentacinque.

    «Ahi, ahi» bisbigliò vedendo la linea verde acido sopra quella della vita. «Porca miseria, sono stato avvelenato.»

    Con la mano insanguinata toccò l’icona del menù per accedere alle medicine.

    Aveva solo sei dosi base della vita, nessuna contro i veleni.

    «Fantastico!» esclamò mordendosi il labbro.

    «Per ora mi dovrò accontentare.» Premette sopra l’immagine della fialetta rossa. Una siringa ad aria compressa si materializzò. Al suo interno, la fiala rossa era già inserita. L’afferrò. Fece saltare il cappuccio protettivo col pollice. Addentò la sicura di plastica, la strappò via e la sputò.

    Fece aderire bene la siringa alla pelle del collo. Pigiò l’estremità. Il liquido penetrò senza dolore.

    Un nuovo strato d’epidermide comparve cicatrizzando la ferita, ma non del tutto. Rimase sensibile al tatto, come se avesse una settimana e non pochi minuti.

    Bio vide subito le tacche salute impennarsi sino a ventotto.

    Gettò la siringa, che svanì a mezz’aria. In terra cadde solo la fialetta vuota.

    Si sentiva ancora stanco. La vista era appannata.

    «Deve essere il veleno. Mi abbassa la vita comunque. Mi serve un vaccino.»

    Chiuse il kit medico. Controllò lo stato delle armi e delle munizioni. «Solo tre caricatori.» Fece per alzarsi quando ebbe un capogiro. Si accasciò. «Il mio corpo non sta dietro alla mia mente.» Si morse il labbro. «Michela» bisbigliò.

    «Sì, Bio.»

    «Ho cambiato idea, stacco adesso. Qui è un buon punto per fare una pausa. Quando rientro, devo controllare il palazzo e il resto del livello. Cercare il vaccino e fare fuori il boss. Salva.»

    «Fatto.»

    «Esco…» Bio socchiuse gli occhi mentre le pareti di cemento si sgretolarono in una moltitudine di pixel. Lentamente scivolò nella realtà.

    La schifosa realtà.

    Rigirato

    Bio era davanti al computer, circondato dai promemoria. Tolse il casco virtuale. Cercò uno spazio sul tavolo per appoggiarlo. Lo ricavò a forza tra il cartone della pizza aperto con i due tranci avanzati e il posacenere, che sembrava supplicarlo di essere svuotato.

    Stirò le braccia. La maglietta umida gli si appiccicò al petto.

    «Magari faccio un bagno prima di dormire» disse annusandosi l’ascella.

    Fece per alzarsi, ma la parte inferiore del suo corpo non reagì.

    Si afferrò le cosce serrando la bocca. Strinse il panno morbido del pantalone.

    Chiuse gli occhi chinando il capo in avanti.

    Sospirò. «Forza. Dai.»

    Tolse il freno della sedia a rotelle. Afferrò le maniglie parallele alle ruote e spinse all’indietro con lo sguardo basso. Trovava ironico e cinico muoverle in direzioni opposte per girarsi. Per tutta la vita s’era sforzato di migliorare la coordinazione e ora faceva fatica a ruotare su se stesso.

    Fece un bel respiro. Si avviò.

    Sfiorò il letto matrimoniale. Il copriletto trapuntato marroncino odorava ancora di bucato.

    Percorse il corridoio evitando l’incontro diretto col riflesso nello specchio dell’armadio. Con la coda dell’occhio vide l’ombra di uno straniero paralitico, e così doveva restare. Un’ombra.

    Entrò in bagno. Le mattonelle erano lucide di cera.

    La doccia che prima adorava, ormai lo irritava al solo vederla.

    Tolse i vestiti e li lanciò in terra. Si avvicinò alla vasca. Aprì la porticina smaltata e, aiutandosi con le maniglie, riuscì a sedersi sul bordo. Afferrò le ginocchia, una dopo l’altra, e spostò le gambe all’interno della vasca. Si sedette dentro, richiuse la porticina.

    Si prese un momento per respirare.

    Ogni gesto s’era fatto impegnativo. Quello che prima era normale, ora lo percepiva come una skill baggata.

    Aprì l’acqua miscelando la calda con la fredda. Afferrò il manico della doccia e s’innaffiò a lungo.

    Osservò la mensola porta sapone. Le boccette erano in bella vista, tutte con le scritte in Inglese oltre che in Giapponese.

    «Happy Life Shampoo del Park Hyatt Tokyo di Shinjuku» disse a denti stretti. «Proviamolo, magari torno happy pure io.»

    Mentre la schiuma invadeva i capelli neri, incrociò il suo riflesso nello specchio. Lo spettro di Alessio lo fissava. Gli occhi arrossati poggiavano sulle occhiaie. Li chiuse un istante. Quando li riaprì, si sforzò di vedere il suo avatar digitale. «Alessio è morto. Solo Bio mi può aiutare a uscire da quest’incubo.» Sospirò. «Dai. Non manca molto e tornerà tutto come prima.» Gli sembrò di essere più pallido del solito, ma forse erano le luci dell’albergo. Luci basse da cimitero.

    Finito di lavarsi, attese che l’acqua si scaricasse per uscire dalla vasca.

    Indossò l’accappatoio, bianco e morbido, appoggiato sulla rastrelliera sopra la testa. Come al rewind, replicò le azioni e tornò in camera. Una volta sdraiatosi nel letto, osservò Tokyo dalla vetrata che occupava buona parte della parete.

    Era notte fonda.

    Le scie luminose dei veicoli che percorrevano la sky-street erano così ben definite da lasciare graffi colorati in cielo.

    Sotto, le luci illuminavano i grattacieli, giganteschi cilindri di vetro interrotti solo dagli schermi fluidi della pubblicità. I numerosi video ammassati si riflettevano gli uni negli altri. Uno mostrava una pizza farcita con pomodori, peperoni, formaggio e un uovo all’occhio di bue al centro.

    «Il bagno mi ha fatto passare il sonno. Potrei mangiare qualcosa.»

    Il telefono era a portata di mano. Meglio una pizza nuova che l’avanzo sul tavolo. Afferrò la cornetta senza scomporsi troppo. Premette lo zero.

    «Room service» rispose una voce femminile molto cortese. «Good evening. Can I help you?»

    «Hi! My room is three-six-four-eight. I would like to have a pizza.» Attese. Il suo Inglese maccheronico andava a braccetto con il loro a base di soia.

    «Hai, sir. Which kindo of piza

    «Huge pizza. As you wish.»

    «Hai, sir. An Happy Sunday, the special saizo. Do you lik-o to drink-o something?»

    «A cherry coke. Huge, too!»

    «Hai, sir.» La giapponesina sogghignò. «Ten minutes.»

    «A-ri-ga-to!» Riagganciò. Si tirò su col busto aiutandosi con le braccia. Afferrò l’altro cuscino e se lo mise dietro la schiena.

    «Dieci minuti d’attesa?» Incrociò le dita e prese a tamburellare i pollici. «Un’eternità. Potrei impazzire.»

    Osservò ancora il telefono.

    «Magari la chiamo» bisbigliò.

    Girò con lo sguardo tutta la stanza. Quando aveva chiesto una stanza con l’essenziale, forse avevano capito vuota. A parte il tavolo dove operava e lo scrittoio, c’era il frigo in miniatura. Purtroppo, conteneva anche cibo e bibite in miniatura. Degli assaggi. La palla rossa d’emergenza che s’accendeva in caso di terremoto, tsunami e ritorno di Godzilla, invece, era spenta come il televisore a parete.

    Tornò sul telefono.

    «Che idiota che sono.» Scosse il capo. «Che la chiamo a fare? Per sentirmi dire che vuole restare mia amica? Tanto l’ho capito da solo, non serve che me lo faccia sbattere in faccia.»

    Si massaggiò la fronte. «Ho un sonno pazzesco eppure non riesco

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