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Il Cannibale va in vacanza
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E-book266 pagine3 ore

Il Cannibale va in vacanza

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Info su questo ebook

La dissacrante cronaca dell'estate violenta di due balordi. Uno spaccato di vita della X Generation.

Cannibale ed Henry sono amici per la pelle; vivono la loro squallida esistenza ai margini della città, affrontando le piccole disavventure quotidiane con humor nero e nessuna prospettiva verso il futuro. Quando i guai per Henry diverranno seri, Cannibale dovrà fare i conti con un passato scomodo e doloroso.
LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2016
ISBN9786050451559
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    Anteprima del libro

    Il Cannibale va in vacanza - Attilio D'elia

    Ringraziamenti

    PREFAZIONE

    Romanzucci Pulp: il blog delirante di uno scrittore improvvisato.

    di Vladimiro Spider Ragnini

    Il caffè mi è andato di traverso stamattina, quando ho aperto la mail del Direttore.

    "Vlad, c'è questo tizio che mi sta asfissiando con inviti a mettere «Mi piace» sulla sua pagina; è un blogger e sembra che abbia trovato il Santo Graal.

    Ha scritto un romanzo breve, che non ha esitato a inviarmi; gli ho dato una veloce occhiata e non so classificarlo. Te lo giro in allegato, dagli una scorsa. Se vuoi, va' a fargli un'intervista e tirane fuori un articolo, dato che, in seguito al mancato pezzo della Mancusi sulla «spiaggia dei cani», ho due pagine vuote sul numero di Luglio. Sempre nell'allegato trovi i dati necessari per contattarlo. Che due coglioni!"

    Ho scaricato l'allegato e l'ho aperto con Word: poco più di 200 pagine in formato A5.

    Nell'arco di due ore l'ho divorato.

    Nonostante l'inizio criptico e lento, il racconto dopo un po' ha preso il via. Ho fatto fatica a decifrare alcuni passaggi, mentre in altri mi sono scompisciato dalle risa, ma si sa: sono di bocca buona, mi faceva ridere anche Martufello.

    L'ho riletto durante la pausa pranzo in tramezzineria e mi sono segnato le opportune domande da fare; poi ho chiamato il tizio mentre davo un'occhiata alla sua pagina Facebook.

    Naturalmente non ha risposto.

    Gli lascio un messaggio in segreteria, in cui gli spiego chi sono, per chi lavoro e cosa voglio.

    La sua pagina Facebook è un delirio di citazioni, estratti del romanzo, video di Youtube, immagini divertenti modificate col Paint.

    Mi domando chi mi troverò di fronte: un genio o un idiota?

    Ammesso che mi risponda quando lo richiamerò.

    Deve aver associato il mio numero di cellulare a Whatsapp, perché dopo circa un'ora mi giunge un messaggio (preannunciato dal solito fischietto), in cui mi dice che sarebbe disponibile per l'intervista dopo le 17 di quest'oggi.

    Da Bologna, con un treno pieno all'inverosimile, ci impiego poco più di un'ora; la stazione di Pesaro fa tanto Amarcord sbiadito. Il traffico è impressionante per essere una cittadina di poco meno di centomila anime.

    L'indirizzo, fornito insieme al romanzo, mi rimanda in pieno centro storico; vale a dire 5 minuti a piedi dalla stazione, attraversando le vie brulicanti di turisti e gli scalmanati dello shopping in saldo.

    Il civico corrisponde ad un palazzo del' 700.

    Una sfilza di campanelli nella chiostra del citofono. Premo quello relativo all'interno 4.

    Una voce atona mi invita a salire al secondo piano, mentre un ronzio accompagna l'apertura automatica del pesante portone.

    L'interno dell'androne è fresco; quell'antico palazzo deve avere i muri spessi.

    L'ascensore è occupato dalle commesse del negozio di sartoria maschile, che ha le vetrine al pian terreno; stanno caricando scatoloni e stand con giacche e pantaloni e fanno un baccano infernale. Opto per le scale.

    Le rampe di scalini in marmo dagli orli consunti si avvitano verso l'alto.

    Giungo al secondo piano: un pianerottolo buio si apre sulla destra.

    Lineolum opaco, tre porte tinte di rosse con gli stipiti neri. Lo trovo agghiacciante e di cattivo gusto: Argento (il Dario regista) avrebbe un erezione!

    Quale sarà la porta?

    La targhetta «Il Cannibale (aspirante scrittore)» fuga ogni mio dubbio.

    Cito la Sora Lella. 'nnamo bene! 'nnamo proprio bene!

    Suono.

    Niente.

    Risuono.

    Ancora niente.

    E allora busso.

    Avanti, è aperto! ordinano dall'interno.

    Chiedo permesso ed entro.

    La porta rossa si apre su di un minuscolo ufficio, piuttosto buio. La luce piove avara da un'alta finestra che regala l'impareggiabile vista di un'impalcatura.

    L'unica fonte di luce artificiale deriva da una lampada finta art decò sulla scrivania che occupa buona parte della stanza.

    L'arredamento è ridotto all'osso: la brutta scrivania finto architect style dell'Ikea, una libreria rossa, uno schedario anch'esso rosso e uno sgabello da bar con il piantone telescopico cromato.

    Dietro la scrivania, nascosto dallo schermo piatto di un pc mi aspetta il mio anfitrione.

    Mi richiudo la porta alle spalle, cosciente di aver infranto chissà quale magica atmosfera : sento odore di creatività nell'aria; o forse è un mix di puzza di piedi, alcol e aria viziata.

    «Il Cannibale» si alza dalla poltrona d'ufficio e mi viene incontro. Ci stringiamo la mano: ha una presa energica e dolce al contempo; mentre gli porgo il mio biglietto da visita, come da manuale, mi prendo il tempo necessario per studiare l'aspetto del mio ospite.

    E' massiccio: la corporatura di un comodino: Anzi no, di una botte.

    Torace ampio, stomaco da bevitore e ventre da buona forchetta.

    Il volto è incorniciato da una lunga e folta barba che si annoda in viticci come quella del Mosè di Michelangelo. Gli sprazzi bianchi tra i peli castani ne tradiscono l'età: a giudicare dalle rughe d'espressione, l'ampia stempiatura e, appunto, la peluria canuta, il Cannibale veleggia tranquillo verso i 50.

    Barba incolta da orsetto, tatuaggi sbiaditi sugli avambracci...sarà mica un Hipster? Glielo domando di bruciapelo, così, per curiosità personale.

    Si schermisce, ride e mi assicura che nel suo guardaroba non ci sono pantaloni slim fit col risvoltino, e che la sua bicicletta non è del tipo a scatto fisso.

    Mi fa accomodare sullo sgabello da bar, mentre lui riprende posto dietro la scrivania; poi ci ripensa, si rialza e mi domanda se gradisco un drink.

    Faccio spallucce, titubante, ma poi accetto.

    Se lo avessi saputo prima, avrei rinunciato.

    Dal cassetto superiore dello schedario tira fuori due tumbler e una bottiglia di bourbon; ne versa due abbondanti dosi che allunga con dei curiosi cubetti di ghiaccio a forma di pesciolino pescati dal minifrigo sotto la scrivania.

    Il ghiaccio si scioglie in un nanosecondo, donando alla superficie del liquido ambrato una patina oleosa.

    Il sapore è disgustoso: sa di scotch! Sa proprio di nastro adesivo.

    La seduta è scomoda, a nulla vale appoggiare i piedi sul trespolo dello sgabello; finisco nell'assumere una posizione raggomitolata.

    Accendo il tablet, mentre il Cannibale scansiona con la vista a raggi x il mio biglietto da visita.

    Quindi Lei lavora per POLP, il web magazine, domanda.

    Sono un freelancer, in realtà. Sì, comunque sì, sono qui per conto di POLP.

    Accendo il micro recorder che piazzo sulla scrivania e inizio l'intervista.

    No! Niente generalità, per favore, esordisce il Cannibale quando gli domando chi è.

    Riesco solo a strappargli l'anno di nascita. E' del '69, mi confessa. E ha un caratteraccio: è timido e schivo.

    Ecco il perché dello pseudonimo: si vergogna.

    Ma come? Un energumeno del genere!

    Passo alla seconda domanda che ho segnato sul tablet:

    Chi è il Cannibale?

    Il Cannibale è uno e trino.

    Ecco! Lo sapevo, questo quasi cinquantenne è in piena fase di una crisi mistica di mezz'età. Ora immagino che scomoderà gli angeli, gli arcangeli e la Madonna.

    Scomoda solo quest'ultima, tirando un bestemmione quando si versa metà del bourbon sulla polo.

    Nessuna crisi mistica, Dio te ne ringrazio!

    Il Cannibale è uno e trino, riprende dopo il piccolo imprevisto. E' il personaggio di un romanzo, è un blog, ed è la pagina su Facebook del blogger.

    Romanzucci Pulp, recita l'intestazione del blog; cosa vuol dire?

    Il termine «romanzo» suonava troppo pomposo per catalogare il mio prodotto. Invece «romanzuccio» ti prepara a non dover avere troppe aspettative.

    Quindi Lei è consapevole di non essere uno scrittore, d'altronde l'etichetta sul campanello d'ingresso non smentisce questa ipotesi.

    No, no (ride), sono aspirante scrittore. In realtà nella vita faccio tutt'altro. Sono operaio, mi diletto a scrivere due cazzate nel tempo libero.

    Ce ne vuole, però, dallo «scrivere due cazzate» a diventare scrittore. Come mai si è improvvisato scribacchino?

    Direi che è l'unico modo che conosco per esprimermi; come Le dicevo prima sono piuttosto timido. Quando mi relaziono con il prossimo, faccio fatica a mettere insieme due frasi connesse, balbetto, mi impappino e alla fine dico cose senza senso, stronzate.

    Nonostante la dichiarata timidezza, il Cannibale va a briglia sciolta; poi noto il bicchiere vuoto: l'alcol scioglie anche le lingue più annodate.

    Da operaio a scrittore...Le è mai venuto in mente di fare anche qualcos'altro?

    Fino allo scorso anno mi dilettavo a tatuare. E' una passione, quella per i tatuaggi, che coltivo da più di venticinque anni; poi un giorno ho voluto sperimentare come ci si sente ad impugnare una macchinetta. Mi sono informato, ho comprato l'attrezzatura e mi sono gettato a capofitto. I risultati sono stati discreti, niente di eclatante, però ne traevo soddisfazione. Alla fine ho smesso. Erano più le rotture di coglioni che le soddisfazioni, riuscivo a raccattare esclusivamente i clienti scartati dagli shop seri: i rompicoglioni, per l'appunto. E comunque, oggigiorno, ci sono più tattoo shop che fornai. Il mercato è saturo: l'offerta supera la domanda.

    Ho letto il suo romanzo, anzi no...il romanzuccio. L'ho trovato interessante. Partiamo dal titolo: «Il Cannibale va in vacanza», sembra appropriato per uno di quegli album da colorare per i più piccoli, o peggio ancora è adatto ad una puntata di Peppa Pig.

    Può essere. In realtà il titolo era quello provvisorio, poi non mi è venuto in mente nient'altro, così l'ho tenuto.

    Poteva usare qualcosa con l'aggettivo «criminale», seppur inflazionato ha sempre il suo fascino, no?

    In realtà l'ho già usato per un altro romanzo, si intitola «Flamenco Criminale», ed è stato il primo tentativo di scrivere qualcosa sul Cannibale. Ora riposa in un cassetto...chissà, se «Il Cannibale va in vacanza» riscuote un minimo di successo, magari lo riesumo.

    Un altro romanzuccio; questo qui ha proprio un sacco di tempo da perdere!

    Il suo romanzo ha un incipit...anomalo. Non ci si capisce niente; il lettore rimane spaesato. Non teme che possa essere controproducente iniziare un romanzo in questa maniera?

    L'ho pensato e lo temo ancora. In realtà il primo capitolo è anche l'ultimo; diciamo che è una specie di loop, si comincia dalla fine e poi la trama si dipana in un ordine cronologico ben preciso, intervallata da saltuari flashback e divagazioni; però alla fine tutto riconduce all'inizio. Mi sono spiegato?

    Poco! Però, io che ho letto il romanzo, ho capito. Il suo stile non è comune: unisce slang giovanile, dialetto, poesia e futurismo; crede che sia una formula vincente?

    Se sia vincente non lo so ancora; so che piace. Lo adottavo per scrivere post idioti su Facebook. Ha riscosso successo.

    Che genere di post?

    Avevo aperto una pagina per vendere mobili e cianfrusaglie in previsione di un trasloco. I primi post erano banali annunci di vendita che venivano snobbati, poi mi sono inventato questa cosa di accompagnare le foto degli oggetti in vendita con delle descrizioni deliranti, spiritose. Gli iscritti alla pagina se ne fregavano degli oggetti, era interessati piuttosto alle baggianate che scrivevo. Ho ricevuto i primi complimenti, mi sono gasato e ho continuato. Alla fine ho venduto quasi tutto e mi sono fatto un pochino conoscere.

    Dalla pagina di un mercatino ad un romanzo a puntate su un blog. Non Le pare che abbia compiuto il classico passo più lungo della gamba?

    Ho voluto rischiare. Avevo già scritto i due romanzi, ma non avevo il coraggio necessario di farli leggere. Il piccolo successo della pagina del mercatino e i relativi incoraggiamenti mi hanno convinto a uscire fuori.

    Ma perché un blog e non la classica pubblicazione cartacea?

    Pubblicare un libro vero, di carta, è stato il primo pensiero; poi mi sono informato e ho scoperto che il mondo dell'editoria è una giungla; non volevo rischiare minimamente; innanzitutto ho sempre temuto il rifiuto di un qualsivoglia editore: vedermi sbattere la porta in faccia non rientra tra le mie aspirazioni. Poi non saprei come affrontare l'investimento necessario alla pubblicazione. Diciamo che il blog è un modo per testare l'accoglienza del pubblico. Sto tastandone il polso.

    E come va?

    Per ora il battito è flebile, ma siamo ancora all'inizio. Ho appena pubblicato la prima parte del secondo capitolo. Aspettiamo!

    Ma perché pubblicare un romanzo a puntate?

    Perché era la formula originaria dei racconti pulp; le storie venivano pubblicate a puntate sulle cosiddette pulp magazine. Poi è anche un escamotage per tenere in vita più a lungo possibile il blog. E forse anche perché mi piace pensare che l'eventuale lettore si affezioni un poco alla volta alla storia e ai personaggi, e che aspetti con ansia la pubblicazione del capitolo seguente.

    Mi parli del genere. Perché scrivere un romanzo pulp?

    Perché il genere Pulp mi piace.

    Però è vecchio, fuori moda. Era attuale venticinque anni fa, ora è superato.

    Questo lo dice Lei! Forse sarà così in Italia, ma all'estero va forte. Provi a pensare a Lansdale, Palahniuk, per esempio.

    In Italia, quando sfondò il genere Pulp, gli scrittori appartenenti a quella corrente si auto nominarono «i cannibali», è un caso?

    In parte sì, parlerei più di coincidenza, però. Avevo bisogno di un nome forte per il personaggio che avevo in mente, avevo letto la saga de «Il Gorilla» di Sandrone Dazieri; volevo un nome così: forte, incisivo. Tenga conto poi, che il mio libro racconta di mie vicende personali mooolto romanzate. Anch'io da bambino fui chiamato «cannibale», ma questa è un'altra storia.

    Quindi le vicende narrate nel libro sono in parte vere, e i personaggi?

    Il libro è un parto della mia fantasia, ben inteso. L'ho arricchito con aneddoti che sono capitati personalmente a me o a persone che conosco; io mi sono limitati a stravolgerli. Per ciò che riguarda i personaggi, che dire? Il Cannibale non esiste, per lo meno non in questa realtà. Henry invece sì, esiste. Henry è la summa di tutti i pregi e i difetti fisici e caratteriali di persone a cui ho voluto bene o ancora ne voglio. Henry è la spalle perfetta, forse è lui il protagonista del romanzo.

    Dove si svolge la storia?

    Nella prima parte in una cittadina di mare bagnata dall'Adriatico, a sud di Rimini e a nord dell'Abruzzo..

    Pesaro?

    Forse. Mentre la seconda parte si svolge sulle montagne dell'Abruzzo. Diciamo che mi sono preso molte libertà nel descrivere luoghi, situazioni...

    Ecco! Io, leggendo il Suo libro, ho trovato diverse discrepanze. Non si capisce in che periodo si svolge la storia; è attuale o è ambientata diversi anni fa?

    Guardi, come dicevo prima, mi sono preso molte libertà. La chiami pure licenza poetica. Anzi, senza scomodare Philip Dick, Hugh Everett III, Leinster o addirittura Lewis Carroll, diciamo che si tratta di una realtà parallela, un Altroquando, dove nel secondo decennio del 2000 convivono Wikipedia, i paninari, Peppa Pig, Spongebob e le atrocità degli anni '90, e che esiste una città come Pesaro che non è Pesaro.

    Vorrei tornare a parlare del Suo stile: infarcisce i dialoghi con ogni genere di volgarità; pensa che possa piacere?

    Non deve piacere obbligatoriamente. Il Cannibale si esprime così. Non dimentichiamoci che è un balordo, un emarginato, uno che vive al di fuori di normali contesti civili. Il libro va interpretato come un lungo racconto narrato dal Cannibale stesso; provi ad immaginarlo come una torrenziale confessione di un ubriaco troppo ciarliero davanti al bancone di un bar. Però il linguaggio, seppur ricercato, è quello che si ascolta quotidianamente in strada, tra i giovani, in fila alle Poste. Credo che oggigiorno, nel parlare quotidiano dell'italiano medio, il termine «cazzo» sia secondo solamente alla parola «io», vero?

    Cazzo!

    Ridiamo. Avrei un altro paio di domande da rivolgere a questo simpatico ciarlatano, ma ho il treno tra dodici minuti, e voglio essere a Bologna per l'ora di cena. Così lo saluto e gli stringo la mano callosa. Mi accompagna alla porta e mi dice un timido ciao. Il ghiaccio è rotto.

    Uscendo dal portone mi trovo di fronte le vetrine di una libreria; ben esposti il libro di Totti, quello di Schettino e altri titoli imbarazzanti. Tra tante assurdità, «Il Cannibale va in vacanza» non sfigurerebbe poi così tanto. Al ciccione che si è improvvisato scrittore gli auguro di avere soddisfazione, magari di veder pubblicato il suo romanzuccio.

    In culo alla balena , Cannibale, e vedi di non mordere!

    CAPITOLO I

    The Butcher Boy

     Quando le urla si spensero, nell’anfiteatro dell’ex cava cadde il silenzio. Un grillo, o forse una di quelle cazzo di cicale, iniziò a frignare timidamente.

    La sera era calata di botto, come la scure di un boia frettoloso. Appena Venere spuntò gagliarda a un tiro di sputo dalla falce della Luna, un manipolo di quegli insetti fastidiosi si unì a rimpolpare il coro. Lasciai quella scena da macelleria messicana e con passo malfermo mi diressi verso l’uscita di quella trappola. La strada, tra tornanti e curve, s’impennava con fastidiosa pendenza verso l’unico varco d’accesso alla valle. I miei passi risuonavano stanchi come le pigre sculacciate di una scoglionata mistress.

    Percorsi quel chilometro scarso in catalessi, tenendo gli occhi chiusi a mezz’asta, governato esclusivamente dal pilota automatico. Che tortura fu giungere allo spiazzo nascosto dove avevo imboscato la Guzzilla.Il bicilindrico italiano era rimasto quieto, ricoperto dalla cortina di fronde e rami di felci. Quando sciolsi il verde intrico, la chiassosa livrea tornò a brillare sotto la complice luce di una Luna lestofante. Misi in moto e il rombo rabbioso degli scarichi aperti azzittì quegli insetti.

    «Clunck!» fece la Guzzilla quando innestai la prima. Le ruote frusciarono sonnolente sul tappeto di aghi di pino, poi scricchiolarono sul pietrisco della mulattiera. Condussi infine la moto sul nastro d’asfalto malconcio che si avvitava fuori dalla piccola valle.

    Mi sentivo stanco come un fabbro con un braccio solo; ero zuppo di sangue, che grazie a Dio non era il mio. Stavo imbrattando manopole, sella e serbatoio. Mi fermai davanti alla sbarra che bloccava l’ingresso alla cava e misi in folle. Dovevo riaprire il lucchetto che avevo applicato per tenere i ficcanaso fuori dalle palle. Con le mani tremanti e viscide armeggiai a lungo; le chiavi mi caddero e bestemmiai a denti stretti. Chinandomi a raccoglierle mi colse una fitta lancinante alle reni, i capelli impastati di polvere e sangue mi ricaddero sugli occhi, la vista mi si appannò. Ero sul punto di svenire.

    Se cedevo, potevo considerarmi fottuto.

    Presi fiato inalando salubre aria di montagna: resina e liquerizia, ginestra e cardo. Mancavano solo le fave di Fuca.

    Risolsi l’inghippo del lucchetto e sollevai la sbarra in una pioggia di scaglie arrugginite. Cigolò in maniera sinistra, tanto da farmi rizzare i capelli sulla nuca e schizzare al massimo il pippaculo.

    Un produttore di rumore molesti che si divertiva nel violentare la sacralità della notte, questo ero. E non solo.

    Il cuore nelle orecchie: un sordo

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