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Draekon - Il Guerriero: La Forza Ribelle, #1
Draekon - Il Guerriero: La Forza Ribelle, #1
Draekon - Il Guerriero: La Forza Ribelle, #1
E-book296 pagine5 ore

Draekon - Il Guerriero: La Forza Ribelle, #1

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Info su questo ebook

Catturata nello spazio. Imprigionata. Venduta al miglior offerente. Il mio problema più grande, però, è un alieno irritante, prepotente e impossibile. Un alieno che dovrebbe salvarmi.

 

E che io ho baciato.

Potrei aver fatto un errore.

 

Kadir è pericoloso. L'ho visto combattere, il suo corpo è disseminato da cicatrici. È un soldato. Un guerriero e quando perde il controllo, si trasforma in un enorme drago spaventoso che sputa fiamme.

 

Tutti quanti lo temono. Io no. Già… datemi pure della stupida galattica, ma quel grosso idiota mi attrae.

 

* * *

 

Al primo incontro con la piccola umana che mi avevano mandato a salvare, mi sono preso un pugno in faccia.

 

E per darmelo, lei si è rotta il polso. Che donna irrazionale. Poi, ha insistito che ci mettessimo subito a cercare l'amica scomparsa.

 

No, quel che devo fare è portare in salvo Alice Hernandez.

 

Il suo corpo è morbido, eppure è forte.
È fragile, ma molto coraggiosa.

È tutto quello che non sapevo di volere.
Tutto quello che non posso avere.

 

Le torture degli scienziati mi hanno distrutto e quando Alice scoprirà la verità sullo spaventoso drago dentro di me, la perderò per sempre.

 

LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2023
ISBN9798215837733
Draekon - Il Guerriero: La Forza Ribelle, #1

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    Anteprima del libro

    Draekon - Il Guerriero - Lili Zander

    1

    ALICE

    Manuale per sopravvivere quando finisci nell’Inferno più profondo:

    Attenersi a una routine.

    Ogni mattina, al suono della campana mi alzo e traccio un segno sul muro. Finora ne ho fatti duecento sei: sono in questa prigione da quasi sette mesi. Tra breve non avrò più spazio sulle pareti.

    Ricordare chi sei.

    Chiamatele frasi di conferma. Chiamatelo ostinato rifiuto di scordare me stessa. Una volta segnato il giorno, ripeto ad alta voce una litania che fa così: Mi chiamo Alice Hernandez. Mi sono laureata col massimo dei voti alla Johns Hopkins. Avrei potuto scegliere qualunque specializzazione, invece ho tenuto fede a una promessa che mi ero fatta a quattordici anni e sono diventata medico al Pronto Soccorso. Vivo a Chicago e lavoro al Northwestern Memorial.

    Mi piacciono i gatti, ma non ne ho mai avuto uno perché sono allergica alla loro forfora. Per rilassarmi sferruzzo lunghe sciarpe e maglioni informi. Preferisco la birra al vino. Canto nella doccia. Mi ripeto sempre che dovrei leggere di più, ma alla fine di un lungo turno mi isolo da tutto grazie a Netflix. In questo momento sono a metà di una serie TV turca su un tizio che ha scoperto di avere dei poteri magici.

    Ricordo a me stessa che mia madre mi amava, che salvo vite e i miei pazienti mi ringraziano per le mie capacità. Io valgo.

    Reagire sempre.

    Quando suona la seconda campana, dobbiamo metterci tutte in fila davanti alla porta della nostra cella, attendendo docili la nuova infernale tortura che gli scienziati Zorahn hanno concepito per la mattinata. Se non lo facciamo, ci puniscono.

    Vengo punita quotidianamente. Kravex in special modo gode nel punzecchiarmi con un pungolo che mi dà una scossa elettrica dolorosissima. I primi tempi, la mia compagna di cella Tanya, mi domandava perché non obbedivo. Non credo proprio di avere una spiegazione convincente per questo mio comportamento, ma fare ciò che vogliono gli scienziati è come arrendersi, e che sia dannata se mai lo farò.

    Resisto ad ogni turno, imprecando contro gli scienziati con ogni maledizione Zor che ho appreso. Calcio, graffio e mordo. Sono ribelle e blasfema.

    Vengo picchiata per la mia resistenza. Mi spezzano le ossa, poi me le guariscono solo per romperle nuovamente, ma non mi uccideranno. Gli scienziati somministrano un dolore finemente calibrato. Sono umana, una cavia da laboratorio, perciò rara e di grande valore. Hanno pagato un mucchio di soldi per noi: ucciderci sarebbe uno spreco.

    Mai perdere la speranza.

    Riuscirò a uscire da qui in qualche modo. Sì, sono su un pianeta alieno che ha cieli viola e tre lune verdi. Sono circondata da un vasto deserto e ogni giorno, quando il sole rosso sangue si alza, il calore è soffocante.

    Non sembra esserci via di fuga, ma io ne troverò una. Aspetterò che arrivi l’opportunità e agirò di conseguenza. Tornerò a casa. Finirò la mia serie TV turca e scoprirò se il tizio magico ha vendicato la morte dei genitori.

    Sono più di una cavia da laboratorio. Possono torturarmi, riempire il mio corpo di dolore e sofferenza. Possono picchiarmi e spezzarmi le ossa ma non cambieranno chi sono. Io resisterò, sopravvivrò e avrò la meglio.

    Suona la seconda campana. Mi rimetto deliberatamente a letto e intreccio le mani dietro la testa.

    È ora delle botte mattutine.

    Gli scienziati staranno guardando i monitor. Kravex e Fal’vi staranno litigando su chi deve punirmi e uno di loro prenderà il pungolo.

    Lo scotto da pagare sta diventando più duro. Gli scienziati sono frustrati, trafficano col nostro DNA da sette mesi ormai, ma non stanno facendo progressi. I toni si stanno surriscaldando. Se avessi un po’ di sale in zucca, seguirei Tanya e mi sistemerei obbediente sul punto indicato sul pavimento.

    Mai. Obbedire a loro significa arrendersi.

    «Qual è la tua colazione preferita?» domando, cercando di coinvolgerla in una conversazione. «Io ho sempre avuto un debole per i pancake alla banana e gocce di cioccolato. Mia madre me li preparava ogni domenica.»

    Tanya non risponde. Ormai non mi parla da due settimane. Quando gli scienziati le fanno del male, nemmeno grida più. Quando ci danno la nostra dose pomeridiana di sostanze atte a procurarci un senso di benessere e contentezza – il meglio pur di mantenere il controllo – freme in un’estasi silente. Ogni traccia della graziosa cheerleader di Dallas vivace e chiacchierona è sparita. È rimasto solo un guscio vuoto.

    Non gli permetterò di farmi questo.

    Quando la nostra navicella aliena è atterrata in un porto polveroso e in disuso nel mezzo del nulla, avevamo iniziato a sospettare che qualcosa non andasse. Poi, un gruppo di scienziati Zohran aveva fatto un’offerta per noi come fossimo bestiame a un’asta e allora avevo capito la brutale verità: non eravamo graditi ospiti del Sommo Imperatore e non ci avrebbero alloggiato sul pianeta madre. Eravamo bestie destinate alle gabbie: non avremmo riavuto la libertà né saremmo mai più tornate sulla Terra.

    Quello stesso giorno, Tanya e la maggior parte delle donne era crollata. Io no, e non perché fossi stupidamente coraggiosa, col cavolo. Come tutte le altre me la facevo addosso, ma avevo versato la mia ultima lacrima nove anni prima, il giorno in cui mia madre – uscita per lo shopping natalizio – era stata assassinata da un uomo armato che si era messo a sparare in un centro commerciale affollato.

    Ancora nessun segno degli scienziati. Ormai dovrebbero essere qui, ad agitare minacciosi il loro pungolo verso di me. Chissà cosa li sta trattenendo.

    Tanya è una grande appassionata di football. Se ho fatto bene i calcoli, ora sulla Terra è il mese di gennaio, tempo di playoff.

    «Non penso che i Bears siano riusciti a vincere il girone», medito. In realtà, le mie conoscenze di football starebbero comode dentro un ditale e rimarrebbe ancora spazio.

    «Credi che i Cowboys ce l’abbiano fatta?»

    Nella base di preparazione creata in fretta e furia dalla NASA, la mia compagna di cella sarebbe andata avanti a blaterare sulla sua squadra per ore e ore. Ma questo era prima. Adesso, neppure menzionare i suoi amati Dallas Cowboys sortisce effetto.

    Di’ qualcosa, prego silenziosamente. Ti prego, fammi sentire il suono di un’altra voce.

    Eravamo in dieci sulla navicella Zohran, ma ci avevano messo all’asta in coppie. Io e Tanya eravamo state condotte qui, su questo strano mondo dove il cielo è violetto, ovunque c’è sabbia rossa e l’acqua è scarsa e preziosa.

    «Ci troviamo in mezzo al deserto», ci aveva informato la scienziata il primo giorno. «La civiltà è a dieci giorni a piedi di distanza e non c’è acqua da nessuna parte. Se cercate di fuggire, morirete.»

    Io vorrei farlo davvero tanto, ma non sono stupida. Non posso portarmi dietro scorte d’acqua per dieci giorni. Non so dove sia la città più vicina, né ho idea se chi ci vive mi aiuterebbe o mi ridurrebbe in schiavitù. Devo aspettare tranquilla che arrivi il momento giusto.

    Sempre nessun segno degli scienziati. L’ansia inizia a corrermi lungo la schiena. Le tre creature, Nara’vi, Fal’vi e Kravex, sono abitudinarie: come mai non sono ancora arrivate?

    Io e Tanya attendiamo in silenzio. Lei è in piedi vicino alla porta, passiva. Io non sono affatto calma… Sta succedendo qualcosa e non so se sia un bene oppure no.

    La giornata passa. Il sole si alza sempre più e la cella diventa soffocante. Mi brontola lo stomaco e ho la gola secca. Gli scienziati hanno dimenticato di nutrirci, un’altra anomalia che mi fa presagire il peggio. Gli esperimenti stanno andando male, a quanto pare stanno collezionando fallimenti in qualunque cosa si fossero prefissati e il trio è sempre più frustrato, ad ogni giorno che passa. Che abbiano mollato? Ci hanno abbandonato al nostro destino?

    Inspiro a fondo per placare la preoccupazione. Dare di matto non mi sarà certo d’aiuto.

    È tardo pomeriggio quando sento finalmente dei passi. Tre figure entrano nella stanza. Riconosco Kravex, ma gli altri sono due sconosciuti molto alti e magri. Indossano una veste grigio fango, che li copre dalla testa ai piedi. Appena entrano, abbassano i cappucci mostrandoci il viso. Hanno la pelle color crema bruciata, probabilmente perché passano troppo tempo al sole, e gli occhi d’un blu sorprendente. La punta della testa è rasata, ma due trecce gemelle penzolano ai lati del viso.

    «Sono loro, le iumane», dichiara Kravex, pronunciandolo come sempre. «Molto rare. Vengono dalla Zona Neutra, saranno un bel dono per il vostro Supremo.»

    Gli sconosciuti ci danno un’occhiata veloce. «Quella sembra difettosa», dichiara uno indicandomi. «È sfregiata.»

    Le cicatrici sul mio viso mi hanno segnata per tutto il periodo del liceo e se credete che il dolore sia scomparso, la risposta è no. Una rabbia infuocata mi riscalda e mi ritrovo a ribattere prima di riflettere.

    «Fottiti, pezzo di stronzo. Mi trovi guasta? Ti sei guardato allo specchio?»

    Non è un granché come risposta, dato che gli altri due, a differenza di Kravex, non indossano il traduttore e non riescono a capirmi. Sanno che ho detto qualcosa di maleducato – era ovvio dal tono della mia voce – ma non hanno idea di cosa sia.

    «Ha temperamento», dice Kravex. «Il Supremo si divertirà ad addomesticarla.»

    Gli uomini – credo siano maschi – sembrano dubbiosi.

    «Hanno un’aria debole», osserva l’altro. «Non da buone combattenti. L’altra è gradevole, sarà arrendevole.»

    Addomesticarla. Arrendevole. Il suono di queste parole non mi piace. Se conosco bene Kravex, ci sta vendendo come schiave del sesso.

    Dalla padella alla brace.

    Kravex fa una smorfia.

    «Ci hanno dato ordine di evacuare e non possiamo portare le iumane con noi», spiega. «Se le prendete entrambe vi farò lo sconto.»

    I due acquirenti parlottano tra loro sottovoce, infine annuiscono.

    «Due pelli d’acqua per tutte e due», offre l’alieno che mi aveva trovato ‘difettosa’.

    Kravex sembra scandalizzato.

    «Sei pelli almeno e voglio essere pagato in crediti Zor, non acqua.»

    Iniziano a contrattare ed io mi avvicino a Tanya.

    «Stammi vicina», le sussurro. «Potrebbero portarci in una città. In quel caso tenteremo la fuga. È la nostra occasione migliore.»

    Lei mi fissa con espressione vacua.

    Il terzetto finalmente concorda su un prezzo. Kravex deve aver ottenuto più denaro di quanto si aspettasse. Sembra quasi compiaciuto.

    «Avete acqua a sufficienza per il vostro viaggio?» domanda.

    «Sì, Baku loda la vostra generosità. Akan è a soli tre giorni. Sederete il carico per il trasporto? Abbiamo molte fermate da fare lungo la strada.»

    Kravex mi lancia un’occhiata maligna.

    «Oh, sì. Sarò felice di farlo», dichiara stringendo il pungolo.

    2

    KADIR

    Galleggio in un’infinita oscurità. Alla deriva in questo mare nero, il rumore dell’universo è ovattato e resta in sottofondo. Il mio battito cardiaco è congelato, i sensi obnubilati. Il guerriero che è in me è incarcerato, imbavagliato e coi ceppi. Sono imprigionato dietro pareti che non vedo, ma il silenzio perfetto viene spezzato da una voce femminile.

    «È un errore», dichiara terrorizzata. «Non sapete quello che state facendo. Questi sono i primi esemplari di Draekon che abbiamo creato e sono i più pericolosi. Sono assassini brutali. Non possiamo fidarci.»

    «Capisco», replica un uomo.

    Sotto una superficie di granitica determinazione, le sue emozioni sono in subbuglio. Si sta chiedendo se abbia compiuto un errore fatale.

    «Fatelo comunque.»

    Un ago mi penetra nel bicipite. Le catene della stasi si disintegrano e mi risveglio bruscamente. Il rathr, il parassita che riveste il mio DNA, affonda all’istante le sue zanne nella mia mente. Il mio corpo è punto da tanti aghi dolorosi e una familiare agonia esplode dentro di me.

    La mia vista si riempie di luce. Davanti a me, sei figure sfocate attente e prudenti. Batto le palpebre e i corpi acquisiscono definizione: quattro uomini e quattro donne. I primi stanno puntando cauti le armi verso di me.

    Il mio sguardo va alle donne: quella più alta ha una toga bianca. I panneggi serici le avvolgono il seno e le spalle, arrivando al pavimento. Anche ciò che indossa sotto è bianco. Nelle trecce scarlatte sono inseriti i tratti distintivi del suo status sociale: è una scienziata.

    L’istinto mi incita ad attaccare. Gli uomini mi spareranno, ma le loro armi non possono fermarmi. Sono stato creato per la battaglia, sono in grado di ridurre in pezzi ogni singola creatura presente in questa stanza. A iniziare dalla scienziata.

    Ti hanno risvegliato dalla stasi. Scopri perché.

    Scaccio la foschia rossa dai miei occhi battendo le palpebre e sposto l’attenzione sull’altra femmina: non è una Zorahn. Vaglio la mia lista di specie senzienti, ma non riesco a identificarla con nessuna. Il suo corpo è minuto, i muscoli sottosviluppati e non porta alcun segno identificativo, nessun tatuaggio sulla pelle. Ha un’aria insignificante e debole al tempo stesso: è la persona meno minacciosa della stanza. Il bersaglio più facile.

    Eppure… è l’unica qui dentro che non ha paura. Curioso.

    «Numero Due della Forza Purpurea», scandisce la scienziata. «Riesci a sentirmi?»

    È la donna che ha parlato all’inizio, quella che mi riteneva brutale e pericoloso. Il suo accento è strano, il dialetto difficile da seguire ma non impossibile.

    Annuisco.

    «Sei rimasto in stasi per oltre mille anni.»

    Impossibile.

    Sono sconvolto. Mille anni. Tutti quelli che conoscevo saranno morti. La Madre Assoluta, la scienziata che ci aveva creati e le sue colleghe. I miei amici e i miei nemici. Non c’è più nessuno. E poi, mi sovviene un pensiero più concreto: prima di risvegliarmi mi hanno messo in una vasca di riscaldamento. Vogliono qualcosa da me.

    In silenzio, attendo che la scienziata prosegua.

    «Mi chiamo Raiht’vi», mi dice tralasciando il nome del suo casato. «Siamo nel cinquantottesimo anno di regno del Sommo Imperatore Lenox. Nei mille anni della tua stasi, il gene Draekon ha infettato la popolazione. Ogni Zorahn del Sommo Impero, ora reca in sé materiale genetico Draekon, ma nella maggior parte di essi il gene è dormiente.»

    Un cupo senso di soddisfazione mi colma: ci hanno dato la caccia e sterminato come fossimo insetti, ma noi abbiamo resistito.

    «La purezza del sangue è sacrosanta per gli Zorahn», dichiara uno dei maschi, una piega amara sulle labbra. «Gli scienziati ritengono che la mutazione Draekon contamini la razza, o almeno è quello che dicono. Penso che in realtà ci temano.»

    Il mio drago ha una costituzione potente, con un’apertura alare in grado di competere con le astronavi più grandi dell’Impero. Le scaglie sono invincibili e quando sputo fuoco, intere città ardono. Fanno bene ad avere paura.

    «Ogni anno, ciascun cittadino del Sommo Impero viene testato», prosegue l’uomo. «Se il gene è attivo, il cittadino viene esiliato, o molto spesso mandato in un laboratorio segreto per essere studiato.»

    Mi fissa deciso. «Tu sai cosa intendo.»

    Sì, lo so: agonia, torture… è questo che infliggono gli scienziati ai soggetti involontari.

    «Sono il Comandante Tarish, leader della Ribellione. Abbiamo molti sogni, molti obiettivi ma per il momento salviamo i Draekon prima che vengano esiliati.»

    Gli artigli del rathr mi graffiano. Ignoro l’ondata di dolore che mi riempie la testa. Mi hanno fatto uscire dalla stasi e ora capisco il perché: sono un’arma di distruzione destinata alla battaglia. Ho guadato fiumi di sangue. Nei miei sogni, le urla di morte mi risuonano nelle orecchie e il puzzo della carneficina mi riempie le narici.

    Vogliono che combatta.

    Raiht’vi indica l’altra donna. «Olivia Buckner fa parte della razza senziente chiamata ‘umani’. Vengono dal pianeta Terra, che si trova nella Zona Neutra.»

    Attendo che arrivino al punto e il mio silenzio deve rendere nervosa la scienziata, perché deglutisce faticosamente e si rivolge all’umana. «Olivia, vuoi proseguire?»

    La donna minuta fa un passo avanti. «Ciao», dice. Parla una lingua strana, che non dovrei essere in grado di comprendere – non ho mai conosciuto qualcuno proveniente dalla Zona Neutra, né mi è mai stato impiantato il suo linguaggio, eppure la capisco. Hanno elevato le mie dotazioni. Una scintilla di rabbia s’illumina dentro di me: quali altre modifiche mi hanno fatto mentre ero incosciente?

    La donna mi fa un mezzo sorriso. Sta cercando di essere amichevole, conciliante. Vuole la mia collaborazione.

    «Sono Olivia Buckner.» Indica i maschi che la fiancheggiano. «Questi sono i miei compagni: Liorax e Zunix. Qual è il tuo nome?»

    La voce della Madre Assoluta mi riecheggia nelle orecchie: I nomi sono per le persone. Tu sei un soldato, sei fatto per la battaglia. Non hai una casa, né una stirpe. Non ti sei guadagnato un nome.

    Eppure, sfidando il suo editto me ne sono dato uno: io sono Kadir ab Usora, guerriero generato dalla Luce.

    Non l’ho mai detto ad alta voce. Nessuno lo conosce, nemmeno gli altri Draekon della Forza Purpurea. È solo mio.

    «Non ho nome», replico. «Sono un soldato e potete rivolgervi a me tramite il mio titolo: io sono Due.»

    L’umana, Olivia Buckner è scioccata e furiosa.

    «Non ti hanno nemmeno dato un nome?»

    Fa un profondo respiro e si obbliga a recuperare la calma.

    «Lascia che ti racconti come vanno le cose: sette mesi fa, gli Zorahn sono venuti sul mio pianeta. Volevano donne in salute. Per quanto ne sappiamo, dalla Terra sono partite due navicelle con dieci femmine ciascuna. Quella sulla quale ero io si è schiantata sul pianeta prigione che tu conosci come Trion VI.»

    Trion VI, il pianeta su cui sono stato creato. Se anche non lo rivedessi mai più per il resto della vita, non lo rimpiangerei.

    «I pirati dovrebbero aver fatto esplodere l’altra navicella, la Sevril V.»

    È ridicolo, i pirati non fanno esplodere le navi.

    «Tuttavia, prima di sparire la Sevril si è inaspettatamente fermata su un pianeta chiamato Misram.»

    Provo una nuova ondata di rabbia. Non solo hanno trafficato con le mie dotazioni linguistiche, ma hanno aggiornato anche la mia memoria senza permesso. Ora conosco tutti i maggiori avvenimenti degli ultimi mille anni. Sui polpastrelli ho le mappe stellari e le planimetrie di ogni nave spaziale. Conosco i nomi di ogni Senatore del Sommo Impero, le loro Casate, a chi sono leali e i loro nemici. Vedo l’equilibrio mantenuto dagli Imperi del Triumvirato, e so con quanta facilità sarebbe possibile distruggere la fragile pace che regge da centinaia di anni.

    «È mia opinione che gli scienziati abbiano le donne mancanti», prosegue Olivia Buckner. «Normalmente le cercheremmo noi, tuttavia dobbiamo affrontare una minaccia: i Draekon detenuti nei laboratori sono oggetto di caccia da parte di un’organizzazione chiamata Blood Heart.»

    La memoria appena impiantata mi fornisce tutte le informazioni che mi servono: Blood Heart ritiene i Draekon una razza inferiore, che diluisce la purezza del loro sangue e indebolisce gli Zorahn. La loro missione è sterminarci.

    «La priorità della Ribellione deve essere il salvataggio di centinaia, possibilmente migliaia di Draekon a discapito di una manciata di umani, ma le donne sono sole

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