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Il cane pastore tedesco
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E-book337 pagine3 ore

Il cane pastore tedesco

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XXI Corso Cinofilo della Guardia di Finanza - Vita, Socialità e Lavoro, Istinti e Comunicazione, Percezione e Comportamento, Prossemica e Aggressività, Educazione e Addestramento, Legislazione.
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2020
ISBN9788831666435
Il cane pastore tedesco

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    Anteprima del libro

    Il cane pastore tedesco - Domenico Scapati

    Fi­nan­za

    Il Veterinario e i Modi di Educare un cane

    Cu­cio­lo di pa­sto­re te­de­sco con gli oc­chi che scru­ta­no il fo­to­gra­fo

    Og­gi l’edu­ca­re e l’ad­de­stra­re è mol­to di­ver­so da ie­ri. So­stan­zial­men­te due so­no i mo­di di am­mae­stra­re un ca­ne. Uno è l’edu­car­lo, l’al­tro l’ad­de­strar­lo: di­pen­de­rà dal suo uti­liz­zo. Un ca­ne per es­se­re te­nu­to in buo­na vi­ta dev’es­se­re edu­ca­to, cu­ra­to e as­si­sti­to. Si po­trà uti­liz­za­re per il gio­co, la com­pa­gnia o per il la­vo­ro (com­pre­so le com­pe­ti­zio­ni).

    Edu­ca­re e ad­de­stra­re so­no, co­me si ve­drà più avan­ti, due mo­di di­ver­si di for­ma­zio­ne dell’ani­ma­le.

    L’edu­ca­zio­ne e l’ad­de­stra­men­to deb­bo­no es­se­re, so­prat­tut­to, ri­vol­ti su chi sa­rà pre­po­sto a que­sto la­vo­ro (fu­tu­ri con­dut­to­ri e, nei ca­si pre­vi­sti, fu­tu­ri fi­gu­ran­ti).

    Nes­sun al­tro può edu­ca­re o ad­de­stra­re un ca­ne, giac­ché è com­pi­to la­scia­to esclu­si­va­men­te al Con­dut­to­re/fi­gu­ran­te. Non­di­me­no, chi è pre­po­sto al­la for­ma­zio­ne del ci­no­fi­lo, do­vrà in­te­res­sar­si dell’at­teg­gia­men­to uti­liz­za­to (an­che co­me spi­ri­to) dal for­man­do edu­ca­to­re o ad­de­stra­to­re del pro­prio ca­ne; avrà pu­re cu­ra dell’aspet­to mi­mi­co e ca­rat­te­ria­le e, più in par­ti­co­la­re, del tem­pe­ra­men­to e del­la per­so­na­li­tà.

    Si par­le­rà quin­di di mi­mi­ca, ca­rat­te­re, tem­pe­ra­men­to, at­teg­gia­men­to, var­co dia­let­ti­co edu­ca­ti­vo e for­ma­ti­vo/ad­de­stra­ti­vo.

    Si do­vrà in­te­res­sa­re mol­to dell’as­so­cia­zio­ne men­ta­le ca­ne/ca­ne e ca­ne/edu­ca­to­re.

    C’è un’area del­le ca­pa­ci­tà dell’in­di­vi­duo che do­vrà edu­ca­re/ad­de­stra­re un ca­ne pa­sto­re te­de­sco (o al­tri di ta­glia si­mi­la­re): an­drà pre­li­mi­nar­men­te ac­cer­ta­to se, ai fi­ni dell’in­sta­bi­li­tà emo­ti­va, il fu­tu­ro con­dut­to­re tol­le­ra l’an­sia, di­mo­stran­do fi­du­cia e si­cu­rez­za nel­le pro­prie ca­pa­ci­tà; se, in al­tre pa­ro­le, sa­rà in gra­do di ge­sti­re e su­pe­ra­re fa­cil­men­te le cri­ti­che ri­vol­te al suo ope­ra­to; se di­mo­stra di pos­se­de­re ai fi­ni del­la ca­pa­ci­tà di rea­liz­za­zio­ne, le giu­ste ca­pa­ci­tà per per­se­gui­re con te­na­cia e si­cu­rez­za il pia­no di pro­gram­ma­ta at­ti­vi­tà su­pe­ran­do osta­co­li e av­ver­si­tà.

    Inol­tre, ai fi­ni del­la lea­der­ship se sa­prà as­su­me­re il ruo­lo di gui­da, as­su­men­do­si re­spon­sa­bi­li­tà e ri­schi e, ai fi­ni del­la so­cie­vo­lez­za, una me­dio-al­ta ca­pa­ci­tà di sta­re in mez­zo al­la gen­te. Ai fi­ni del­la ir­ri­ta­bi­li­tà ser­vi­rà ac­cer­ta­re la ca­pa­ci­tà di re­sta­re cal­mi e pa­zien­ti, sen­za rea­zio­ni im­pul­si­ve o sgar­ba­te.

    Ai fi­ni dell’or­di­ne e del­la pre­ci­sio­ne, in­fi­ne, se esi­ste l’ac­cu­ra­tez­za nell’es­se­re me­to­di­ci e scru­po­lo­si.

    Qua­li­fi­che di ca­pa­ci­tà que­ste che, per cer­ti aspet­ti, si ri­ver­se­ran­no tut­te sull’ani­ma­le.

    L’edu­ca­re, co­me l’ad­de­stra­re, ov­ve­ro il sem­pli­ce te­ne­re con sé un ca­ne, non è, né sa­rà, per nien­te un gio­co: si de­ve pen­sa­re di pos­se­de­re un ani­ma­le che sia edu­ca­to e ad­de­stra­to giac­ché que­ste es­sen­zia­li­tà fan­no la bel­lez­za di un ani­ma­le (so­prat­tut­to per non far­lo re­sta­re un og­get­to ani­ma­to del tut­to in­si­gni­fi­can­te). Non può il ca­ne es­se­re og­get­to di so­la com­pa­gnia o tra­stul­lo. Ve­dia­mo di co­glie­re le dif­fe­ren­ze tra l’edu­ca­re e l’ad­de­stra­re, due for­ma­zio­ni es­sen­zial­men­te di­ver­se.

    Edu­ca­re un ca­ne non equi­va­le ne­ces­sa­ria­men­te ad ad­de­strar­lo: con l’edu­ca­zio­ne si im­pri­mo­no abi­tu­di­ni e com­por­ta­men­ti, con l’ad­de­stra­men­to si la­vo­ra per ot­te­ne­re ri­sul­ta­ti di la­vo­ro (di­fe­sa per­so­na­le, pi­sta da fiu­to, sal­va­tag­gi in ma­re, ga­re spor­ti­ve, e co­sì via).

    Ad­de­stra­re un ca­ne è il mas­si­mo di una pro­fes­sio­ne giac­ché so­no ri­chie­ste do­ti non in­dif­fe­ren­ti al suo for­ma­to­re. È un eser­ci­zio ri­ser­va­to a po­chi in­di­vi­dui giac­ché pos­seg­go­no in­na­te ca­pa­ci­tà, frut­to an­che di espe­rien­za, pas­sio­ne, sen­si­bi­li­tà, spi­ri­to d’ab­ne­ga­zio­ne e sa­cri­fi­cio. Si do­vran­no af­fron­ta­re co­stan­te­men­te te­mi co­me l’edu­ca­zio­ne di ba­se, la lea­der­ship di ge­stio­ne del­le ri­sor­se (at­ti­vi­tà lu­di­che e so­cia­li, ol­tre che ali­men­ta­ri).

    Edu­ca­zio­ne e ad­de­stra­men­to so­no il bi­no­mio per­fet­to dell’ave­re un ot­ti­mo ca­ne. Edu­ca­re pri­ma, ad­de­stra­re poi. Spe­cie se l’ani­ma­le è di me­dia e gran­de staz­za il la­vo­ro sa­rà dif­fi­ci­le è com­ples­so: non­di­me­no se si vor­rà am­man­sir­lo per ren­der­lo buo­no; di con­tro, mol­to più fa­ci­le sa­rà il mal­trat­tar­lo.

    Chi pos­sie­de un ca­ne do­vrà co­no­sce­re i suoi as­set­ti com­por­ta­men­ta­li; do­vrà es­se­re so­prat­tut­to un buon co­mu­ni­ca­to­re /com­por­ta­men­ti­sta ca­pa­ce di os­ser­va­re, ana­liz­za­re e stu­dia­re i suoi com­por­ta­men­ti.

    L’edu­ca­zio­ne del ca­ne se­gue quel­la dell’in­di­vi­duo che lo pos­sie­de: buo­na re­go­la è che, pos­se­de­re un ani­ma­le non si­gni­fi­ca po­ter in­va­de­re le sfe­re al­trui, nel sen­so di la­sciar­lo li­be­ro, en­tra­re nei lo­ca­li pub­bli­ci li­be­ra­men­te con la pre­sun­zio­ne che nes­su­na leg­ge lo vie­ta. L’edu­ca­zio­ne sta­rà so­lo nell’uo­mo il cui ob­bli­go è quel­lo di far in­na­mo­ra­re la col­let­ti­vi­tà de­gli ani­ma­li.

    Due fi­gu­re pro­fes­sio­na­li ruo­ta­no at­tor­no, non tan­to all’edu­ca­zio­ne, quan­to all’ad­de­stra­men­to del ca­ne: il Con­dut­to­re, e pu­re il Fi­gu­ran­te.

    Il pri­mo (il con­dut­to­re) è il co­sid­det­to re­gi­sta, il re­spon­sa­bi­le del­la cu­ra, dell’av­via­men­to e dell’im­pie­go dell’ani­ma­le. Il con­dut­to­re è, in pra­ti­ca, il fi­da­to brac­cio de­stro del ca­ne: lo gui­da du­ran­te gli in­ter­ven­ti at­tra­ver­so co­man­di vo­ca­li e ge­stua­li, cer­can­do di sfrut­tar­ne al me­glio le sue po­ten­zia­li­tà, co­no­scen­do­ne be­ne i li­mi­ti, sa­pen­do pu­re co­sa lo sti­mo­la mag­gior­men­te nel­lo svol­ge­re un eser­ci­zio o un la­vo­ro. Ad esem­pio, nel ca­so del­le per­so­ne di­sper­se in mon­ta­gna de­ve sa­per co­me pre­sta­re aiu­to.

    Si trat­ta di man­sio­ne per la cui pro­fes­sio­na­li­tà so­no ri­chie­ste de­ci­ne di ore di for­ma­zio­ne, di eser­ci­ta­zio­ni co­stan­ti e una lun­ga espe­rien­za con­cre­ta.

    Per po­ter es­se­re ri­co­no­sciu­ti co­me con­dut­to­re ci­no­fi­lo si de­ve in­nan­zi­tut­to ot­te­ne­re un Bre­vet­to Ope­ra­ti­vo, ma è an­che im­por­tan­te es­se­re per­so­ne equi­li­bra­te, mol­to pa­zien­ti, pos­se­de­re uno spic­ca­to sen­so di re­spon­sa­bi­li­tà, som­ma­ti a una for­te mo­ti­va­zio­ne e ov­via­men­te ad una gran­de pas­sio­ne.

    Il con­dut­to­re de­ve co­no­sce­re il ca­rat­te­re, la pre­pa­ra­zio­ne e le rea­zio­ni del pro­prio ca­ne giac­ché è l’uni­co pre­po­sto a po­ter­lo im­pie­ga­re nel la­vo­ro da svol­ge­re.

    Il ca­ne e il con­dut­to­re for­ma­no l’uni­tà ci­no­fi­la che ope­ra in per­fet­ta si­ner­gia nel­le si­tua­zio­ni ri­chie­ste.

    Il con­dut­to­re non è ne­ces­sa­ria­men­te il pro­prie­ta­rio dell’ani­ma­le, tut­ta­via, per far sì che il la­vo­ro fun­zio­ni a per­fe­zio­ne, ci dev’es­se­re tra lo­ro una to­ta­le com­pli­ci­tà e fi­du­cia re­ci­pro­ca. Si trat­ta di un rap­por­to dia­lo­gan­te che si ot­tie­ne col­la­bo­ran­do a stret­to con­tat­to.

    Il se­con­do (cioè il fi­gu­ran­te) è co­lui che la­vo­ra nel re­tro­sce­na. Ha un ruo­lo at­ti­vo e fi­si­co poi­ché af­fian­ca l’istrut­to­re nel­la pre­pa­ra­zio­ne dell’uni­tà ci­no­fi­la, con il gio­co e il pro­gres­si­vo con­tat­to, e per mol­te fa­si dell’ad­de­stra­men­to sa­rà lui stes­so a sot­to­por­si all’ad­de­stra­men­to all’at­tac­co, al di­sper­so, e co­sì via.

    Si de­ve trat­ta­re di una per­so­na di ele­va­te com­pe­ten­ze, non so­lo in fat­to di ci­no­fi­lia, quan­to in fat­to di psi­co­lo­gia (sia uma­na, sia ani­ma­le). De­ve co­no­sce­re be­ne il con­dut­to­re con il qua­le la­vo­ra: de­ve, in al­tri ter­mi­ni, aiu­tar­lo a far ca­pi­re al suo ca­ne il van­tag­gio che trae quan­do rie­sce pe­ne in un eser­ci­zio di la­vo­ro. Per di­ven­ta­re fi­gu­ran­ti ci vuo­le sen­si­bi­li­tà, spi­ri­to di adat­ta­men­to e no­te­vo­le espe­rien­za giac­ché, mol­tis­si­mi eser­ci­zi da la­vo­ro si svol­go­no in con­di­zio­ni dif­fi­ci­li. Per la fon­da­men­ta­le for­ma­zio­ne dell’ani­ma­le si ri­cer­ca un’istru­zio­ne ben pre­ci­sa: il con­dut­to­re e il fi­gu­ran­te do­vran­no ope­ra­re in­sie­me al mas­si­mo del­le lo­ro ca­pa­ci­tà. Fon­da­men­ta­le sa­rà il dia­lo­go di cre­sci­ta per sfrut­ta­re al mas­si­mo le po­ten­zia­li­tà fi­si­che e psi­chi­che dell’ani­ma­le e dell’uo­mo.

    L’Au­to­re con Sa­fen del­le Fiam­me Gial­le in un eser­ci­zio a fer­mo

    (sta­to di at­te­sa)

    Il Cane e l’Uomo

    Chi pos­sie­de co­rag­gio e ca­rat­te­re, è sem­pre mol­to in­quie­tan­te per chi gli sta vi­ci­no

    (H. Hes­se)

    La ca­rat­te­ria­li­tà per­so­na­le e lo stu­dio dell’al­tro, sia uo­mo sia ani­ma­le, per­met­te di ana­liz­za­re, va­lu­ta­re, va­lo­riz­za­re e mo­ni­to­ra­re il la­vo­ro, il per­cor­so di vi­ta, l’as­sem­blag­gio dei pez­zi del­la vi­ta. Ta­le stu­dio, mol­to com­ples­so, co­mun­que le­ga­to stret­ta­men­te al­la pra­ti­ca sen­za la qua­le non avreb­be sen­so, de­ve per­met­te­re il ra­gio­na­men­to e la ri­fles­sio­ne per cui, chi si av­via ad ave­re un ca­ne, de­ve es­se­re con­sa­pe­vo­le che è uno dei ca­ni da la­vo­ro più no­ti e ap­prez­za­ti in Ita­lia per la sua ver­sa­ti­li­tà.

    L’ad­de­stra­re un ca­ne pa­sto­re te­de­sco all’at­ti­vi­tà di con­tra­sto al con­trab­ban­do, al­la di­fe­sa per­so­na­le, al se­gui­re le pi­ste per in­di­vi­dua­re i ta­bac­chi, la dro­ga, le pol­ve­ri da spa­ro e le ar­mi e co­sì via è sta­ta un’espe­rien­za che pos­so de­fi­ni­re uni­ca per l’im­pe­gno ri­fles­si­vo po­sto giac­ché, co­me il gio­co de­gli scac­chi, stu­di la ma­nie­ra del co­me drib­bla­re di­nan­zi al­le pos­si­bi­li azio­ni e rea­zio­ni del ca­ne. Tut­ta psi­co­lo­gia: og­gi que­sta me­ra­vi­glio­sa espe­rien­za non è più pos­si­bi­le far­la; a me­no di non ap­par­te­ne­re ad uno dei Cor­pi ar­ma­ti che si av­val­go­no del ca­ne nell’at­ti­vi­tà isti­tu­zio­na­le svol­ta.

    Si par­la del pa­sto­re te­de­sco co­me di un ca­ne im­pe­gna­ti­vo per si­gni­fi­ca­re che non c’è più una li­sta ne­ra di quel­li pe­ri­co­lo­si ma la di­scre­zio­ne del ve­te­ri­na­rio che li ha in cu­ra: il ve­te­ri­na­rio è la so­la fi­gu­ra pro­fes­sio­na­le che po­trà par­la­re e cer­ti­fi­ca­re la ma­ni­fe­sta ag­gres­si­vi­tà per il com­por­ta­men­to as­sun­to dall’ani­ma­le.

    È il suo com­pi­to.

    Un at­ten­to per­cor­so te­so a co­no­sce­re il ca­ne non può non ave­re ri­fe­ri­men­to al­la le­gi­sla­zio­ne vi­gen­te che ver­rà trat­ta­ta a mar­gi­ne del pre­sen­te la­vo­ro.

    È op­por­tu­no sa­pe­re che, all’ac­qui­sto di un cuc­cio­lo, si do­vrà chie­de­re all’al­le­va­to­re la do­cu­men­ta­zio­ne che di­mo­stri l’as­sen­za di di­spla­sia (un’in­va­li­dan­te me­no­ma­zio­ne ere­di­ta­ria dell’an­ca nei ge­ni­to­ri).

    Il ca­ne pa­sto­re te­de­sco, un po’ co­me tut­ti i ca­ni, è un ani­ma­le so­cia­le, vi­ven­te.

    Ab­bi­so­gna di cu­re, ali­men­ta­zio­ne, at­ten­zio­ni e dia­lo­go al­lo stes­so mo­do di un bam­bi­no ap­pe­na na­to. Se non si è all’al­tez­za di of­fri­re que­ste at­ten­zio­ni, me­glio non aver­lo; gli evi­te­rem­mo inu­ti­li sof­fe­ren­ze.

    Il com­por­ta­men­to del ca­ne può es­se­re adat­ti­vo, cioè che ap­pren­de ed è so­cia­liz­zan­te; di­ver­sa­men­te, è de­fi­ni­to non adat­ti­vo nel sen­so che ha un de­fi­cit da so­cia­liz­za­zio­ne. In que­st’ul­ti­mo ca­so può es­se­re do­vu­to o a fat­to­ri di pre­di­spo­si­zio­ne ge­ne­ti­ca (da pa­to­lo­gia) o a trau­mi su­bi­ti (in que­sto ca­so non ha un ap­pren­di­men­to fun­zio­na­le).

    Per uti­liz­za­re al me­glio le ri­sor­se dell’ani­ma­le e ri­sol­ve­re i pro­ble­mi del suo de­fi­cit di so­cia­liz­za­zio­ne è ne­ces­sa­rio fre­quen­ta­re spe­ci­fi­ci cor­si di edu­ca­zio­ne for­ma­ti­va pri­ma, di ad­de­stra­men­to do­po (se ne­ces­sa­rio per un suo im­pie­go la­vo­ra­ti­vo).

    L’ot­ti­ma­le ini­zio per l’ad­de­stra­men­to del ca­ne pa­sto­re te­de­sco ai fi­ni di un im­pie­go nel la­vo­ro è nel com­pi­men­to del set­ti­mo/ot­ta­vo me­se di vi­ta e non ol­tre i suoi due an­ni.

    Edu­car­lo pri­ma di que­sto pe­rio­do si può, ad­de­strar­lo in­ve­ce no per­ché sop­por­te­reb­be un one­re gra­vo­so ed ec­ces­si­vo in quan­to non an­co­ra mor­fo­lo­gi­ca­men­te pron­to.

    Si po­treb­be­ro, al più, far fa­re pic­co­le co­se con­nes­se al­lo sta­to edu­ca­ti­vo (mo­ti­vo per cui si ter­ran­no di­stin­te le due fi­gu­re di istrut­to­re/edu­ca­to­re e istrut­to­re/ad­de­stra­to­re.

    So­no fi­gu­re che si pos­so­no met­te­re in­sie­me.

    L’istrut­to­re/edu­ca­to­re (e l’istrut­to­re/ad­de­stra­to­re) ci­no­fi­lo è co­lui che è pre­po­sto ad istrui­re il pa­dro­ne dell’ani­ma­le: è una fi­gu­ra pro­fes­sio­na­le po­li­fun­zio­na­le le cui com­pe­ten­ze lo ren­do­no ca­pa­ce di for­ma­re il pa­dro­ne e il suo ca­ne an­che ai fi­ni di mi­glio­ra­re la lo­ro con­vi­ven­za. Que­sta fi­gu­ra pro­fes­sio­na­le, a vol­te chia­ma­ta fi­gu­ran­te, re­spon­sa­bi­liz­za il pa­dro­ne dell’ani­ma­le nel­la sua ge­stio­ne im­par­ten­do­gli in­se­gna­men­ti for­ma­ti­vi adat­ti a se­con­da dell’esi­gen­za.

    Espri­me­rà la sua uti­li­tà fa­vo­ren­do la com­pren­sio­ne de­gli at­teg­gia­men­ti che il ca­ne as­su­me nel tem­po con la cre­sci­ta e il suo cor­ret­to ad­de­stra­men­to: sa­rà sem­pre il con­dut­to­re, sot­to la gui­da dell’istrut­to­re, ad ad­de­stra­re il ca­ne. Nes­sun al­tro, sal­vo che non sia sog­get­to già qua­li­fi­ca­to co­me esper­to ad­de­stra­to­re, po­trà ad­de­stra­re un ani­ma­le (sa­reb­be inu­ti­le).

    L’edu­ca­to­re (o ad­de­stra­to­re) dell’ani­ma­le do­vrà pos­se­de­re ido­nee qua­li­tà ca­rat­te­ria­li so­prat­tut­to giac­ché il ca­ne fa­rà in­te­ra­men­te suoi tut­ti i suoi as­set­ti com­por­ta­men­ta­li qui­vi com­pre­sa la ve­lo­ci­tà del suo pen­sie­ro, la sua po­si­ti­vi­tà o ne­ga­ti­vi­tà, e pu­re quan­to tie­ne na­sco­sto a li­vel­lo in­con­scio, non vi­si­bi­le ai no­stri oc­chi. Un mo­ti­vo c’è: il ca­ne è il mi­glior imi­ta­to­re del tem­pe­ra­men­to e del ca­rat­te­re del suo con­dut­to­re (o pa­dro­ne) giac­ché rie­sce, do­po qual­che me­se di con­vi­ven­za, a far ri­sal­ta­re quei suoi aspet­ti com­por­ta­men­ta­li, psi­chi­ci, ci­ne­ste­si­ci, ren­den­do­li leg­gi­bi­li a chi ha co­no­scen­ze di que­ste di­sci­pli­ne si­ste­mi­che tant’è che ne met­te in ri­sal­to i la­ti buo­ni e non buo­ni.

    Il ca­ne, lo san­no tut­ti, ob­be­di­sce a leg­gi spe­cia­li: ha un suo al­ter ego che è il suo con­dut­to­re/pa­dro­ne che ben lo iden­ti­fi­ca (nel suo ca­rat­te­re) tant’è ve­ro che so­lo in que­sta per­so­na (e nes­sun’al­tra) ri­por­rà fi­du­cia e di­fe­sa. Ol­tre al suo con­dut­to­re (che di­vie­ne l’al­ter ego) il ca­ne ha un pro­prio grup­po d’ap­par­te­nen­za: è com­po­sto da tut­ti gli ani­ma­li in­ten­den­do tut­te le co­se che si muo­vo­no, il con­dut­to­re e tut­to il re­sto del­la fa­mi­glia, gli al­tri ani­ma­li se pre­sen­ti, sen­za al­cu­na di­stin­zio­ne giac­ché per lui non c’è di­stin­zio­ne. Sia chia­ro che, per il ca­ne co­me per tut­ti gli ani­ma­li, non c’è di­stin­zio­ne di per­so­ne, ani­ma­li e co­se (qua­lun­que co­sa ani­ma­ta si trat­ti).

    La ba­se istin­ti­va è il pa­ra­dig­ma del suo es­se­re.

    È as­so­lu­ta­men­te ne­ces­sa­rio, per­tan­to, che la per­so­na che si av­vi­ci­na al ca­ne com­pren­da esat­ta­men­te co­sa si­gni­fi­ca sta­re in­sie­me ad un ani­ma­le, so­prat­tut­to co­me con­vi­ver­ci, rap­por­tar­si, ge­sti­re la ri­sor­sa che non è so­lo il la­vo­ro ma la so­cia­li­tà.

    Chi si av­vi­ci­na ad un ca­ne de­ve es­se­re equi­li­bra­to, se­re­no, sa­no di men­te, cor­ret­to nel rap­por­to, ra­gio­ne­vo­le nel pen­sa­re che il ca­ne è un ani­ma­le che ab­bi­so­gna di es­se­re ta­le, con i suoi spa­zi e le sue ne­ces­si­tà, al­li­nea­to nel con­te­sto del si­ste­ma a tut­ti gli ef­fet­ti. De­ve com­pren­de­re che ogni for­za­tu­ra nel ren­de­re il ca­ne si­mi­le a lui uo­mo nel con­si­de­rar­lo più uo­mo che ani­ma­le, fi­no al sot­to­por­lo a trat­ta­men­ti si­mi­li, è un mal­trat­ta­men­to (di­cia­mo an­che pu­ra paz­zia).

    Chi si av­vi­ci­na ad un ca­ne de­ve es­se­re un os­ser­va­to­re, uno che com­pren­da co­me si ge­sti­sce cor­ret­ta­men­te l’ani­ma­le sia nell’am­bi­to ca­sa­lin­go/fa­mi­lia­re sia fuo­ri di ta­le con­te­sto. Per­ciò, se vuo­le, ed è au­spi­ca­bi­le, de­ve im­pa­ra­re a far ese­gui­re al­cu­ni pic­co­li eser­ci­zi co­me la co­no­scen­za dei se­gna­li vi­si­vi, ge­stua­li, vo­ca­li, e ma­ga­ri al­tri co­me lo sta­re se­du­to, lo sta­re in po­si­zio­ne di ter­ra, re­sta, vai, tor­na, cer­ca, tro­va, e co­sì via. Que­sti so­no cen­ni che sa­ran­no ap­pro­fon­di­ti più avan­ti.

    Si deb­bo­no os­ser­va­re le leg­gi.

    Chi pos­sie­de un ca­ne de­ve sa­pe­re co­me va con­dot­to il ca­ne al guin­za­glio e, qua­lo­ra sen­za (giam­mai nei luo­ghi pub­bli­ci), al­la cor­sa, al la­vo­ro su­gli spe­ci­fi­ci eser­ci­zi a ri­chie­sta (co­me ad esem­pio l’at­tac­co, se ca­ne del­le po­li­zie), il non ac­cet­ta­re il ci­bo da estra­nei, l’at­ten­de­re il se­gna­le pri­ma di scen­de­re dal­la mac­chi­na, il non at­tra­ver­sa­re la stra­da, il o il no per so­cia­liz­za­re con al­tri ca­ni, il re­sta­re fer­mi in un po­sto sen­za muo­ver­si aspet­tan­do il con­dut­to­re/pa­dro­ne, e co­sì via.

    Chi pos­sie­de (a qua­lun­que ti­to­lo) un ca­ne de­ve sa­pe­re che è uti­le l’ave­re sti­pu­la­to una va­li­da po­liz­za as­si­cu­ra­ti­va (sep­pu­re non ob­bli­ga­to­ria) per tu­te­lar­si dal­le re­spon­sa­bi­li­tà ci­vi­li nel ca­so di dan­ni ar­re­ca­ti a ter­zi a mez­zo del pro­prio ca­ne. Mol­te com­pa­gnie as­si­cu­ra­ti­ve han­no un elen­co di ca­ni che non pos­so­no es­se­re co­per­ti da ri­schio re­spon­sa­bi­li­tà ci­vi­le.

    Il prin­ci­pio è sem­pre uno: l’ani­ma­le è si­mi­le all’uo­mo, ma non è una per­so­na.

    Tra l’ani­ma­le e l’uo­mo ci so­no pre­ci­se dif­fe­ren­ze che stan­no sia nel­la man­can­za del­la ra­gio­ne e sia del­la ri­fles­sio­ne: nell’as­set­to co­mu­ni­ca­ti­vo, l’uo­mo co­mu­ni­ca in mo­do di­gi­ta­le e ana­lo­gi­co men­tre l’ani­ma­le ap­pe­na di­gi­ta­le.

    Il ca­ne agi­sce sem­pre d’istin­to e non cal­co­la mai le pos­si­bi­li­tà di scel­ta su ciò che va o non va fat­to.

    Se è ad­de­stra­to ese­gue gli or­di­ni; in­fat­ti a dif­fe­ren­za di un ro­bot non può es­se­re pro­gram­ma­to.

    Il do­ver as­se­gna­re le re­go­le ad un ca­ne, con coe­ren­za, è fon­da­men­ta­le: la co­no­scen­za del co­me dar­le pre­sup­po­ne il sa­pe­re di tan­te co­se.

    La mam­ma ca­gna è la pri­ma edu­ca­tri­ce dei suoi fi­gli.

    Pri­ma di par­to­ri­re ri­cer­ca e pre­pa­ra la ta­na e poi, all’at­to del par­to, cioè all’espul­sio­ne del cuc­cio­lo, af­fer­ra il sac­co am­nio­ti­co con i den­ti e lo la­ce­ra; da so­la ta­glia il cor­do­ne om­be­li­ca­le e man­gia tut­ti gli in­vo­gli, lec­ca vi­go­ro­sa­men­te il neo­na­to sti­mo­lan­do­lo. Ac­cu­di­sce i suoi pic­co­li, li nu­tre, li tie­ne cal­di e li di­fen­de, sti­mo­la e pu­li­sce le deie­zio­ni fin­ché le fe­ci so­no co­sti­tui­te da lat­te di­ge­ri­to. In­ter­vie­ne pron­ta­men­te al ri­chia­mo del cuc­cio­lo per­du­to cor­ren­do im­me­dia­ta­men­te a re­cu­pe­rar­lo.

    Per 35-40 gior­ni mam­ma ca­gna pro­ce­de al­lo svez­za­men­to ri­gur­gi­tan­do ci­bo pre­di­ge­ri­to.

    Edu­ca i cuc­cio­li all’au­to­con­trol­lo gui­dan­do­li all’in­te­gra­zio­ne.

    Pur­trop­po ca­pi­ta che la mam­ma ca­gna, per mo­ti­vi di pe­ri­co­lo per i pic­co­li o per trau­ma su­bi­to, pos­sa ave­re com­por­ta­men­ti anor­ma­li che pos­so­no con­si­ste­re nell’ec­ces­so o nel de­fi­cit di cu­ra mo­stran­do o in­dif­fe­ren­za o ag­gres­si­vi­tà ver­so i neo­na­ti, a vol­te pro­ce­den­do con l’in­fan­ti­ci­dio o il can­ni­ba­li­smo. Non c’è da me­ra­vi­gliar­si se i com­por­ta­men­ti dei cuc­cio­li pos­so­no ri­sul­ta­re in­fan­ti­li vol­ti a cer­ca­re cu­re. Sia­mo nel­la nor­ma­li­tà se ven­go­no da­ti col­pet­ti al ca­pez­zo­lo o col­pet­ti col mu­so (se­gno di pa­ci­fi­ca­zio­ne), ov­ve­ro al­za­no la zam­pa po­ste­rio­re che sta co­me ri­spo­sta al lec­ca­men­to ma­ter­no (sot­to­mis­sio­ne, ac­cet­ta­zio­ne dell’esplo­ra­zio­ne), ov­ve­ro an­co­ra si sdra­ia­no sul dor­so che è sot­to­mis­sio­ne pas­si­va (min­zio­ne). Pos­so­no pu­re im­pa­sta­re con gli an­te­rio­ri (su­zio­ne), al­za­re una zam­pa qua­le at­to di sot­to­mis­sio­ne; toc­ca­re con la zam­pa co­me sot­to­mis­sio­ne at­ti­va, cioè ri­chie­sta di at­ten­zio­ne; lec­ca­re le lab­bra (sol­le­ci­ta­re il ri­gur­gi­to) co­me at­to pa­ci­fi­ca­to­rio, af­fet­to, sot­to­mis­sio­ne; chiu­de­re gli oc­chi (con la ma­dre) che è se­gno di ami­che­vo­lez­za, se­gna­le cal­man­te.

    Co­sì co­me è sem­pre nor­ma­le che ci sia una for­ma di am­mic­ca­men­to con­si­de­ra­to stress e in­si­cu­rez­za.

    Le espres­sio­ni dei cuc­cio­li pos­so­no es­se­re gio­co­se in­te­so co­me in­chi­no per gio­co, in­vi­to al gio­co o al cor­teg­gia­men­to. Agli sta­ti di nor­ma­li­tà si ve­ri­fi­ca­no sta­ti di al­te­ra­zio­ne do­vu­ti agli ec­ces­si (di­pen­den­za da con­tat­to, ec­ces­si­va ri­cer­ca di at­ten­zio­ne), de­fi­cit da di­sin­te­res­se nei ri­guar­di di chi si pren­de cu­ra.

    Sia chia­ro che i ca­ni so­no ani­ma­li na­ti per vi­ve­re nei grup­pi so­cia­li sta­bi­li.

    Il ri­spet­to, la fi­du­cia e la col­la­bo­ra­zio­ne so­no gli ele­men­ti di ba­se del­le lo­ro re­la­zio­ni e per­ciò, in tal sen­so, de­ve muo­ve­re l’edu­ca­zio­ne e la for­ma­zio­ne.

    Deb­bo­no ri­spet­ta­re le re­go­le.

    Ci so­no ca­ni par­ti­co­lar­men­te reat­ti­vi, al­tri più tran­quil­li (l’uti­liz­zo dell’ag­gres­si­vi­tà è mo­ti­vo, per il ca­ne, di ri­so­lu­zio­ne di un con­flit­to).

    Le cau­se che de­ter­mi­na­no una reat­ti­vi­tà spro­po­si­ta­ta dell’ani­ma­le so­no da ri­cer­car­si nei fat­to­ri dell’anor­ma­li­tà di cui si par­la. Non va sot­ta­ciu­to né di­men­ti­ca­to che il ca­ne cuc­cio­lo che ar­ri­va in una fa­mi­glia uma­na por­ta con sé ca­rat­te­ri­sti­che in­na­te e al­tre ma­tu­ra­te con l’espe­rien­za fat­ta nel­la sua ado­le­scen­za. Non­di­me­no non va sot­to­va­lu­ta­to il fat­to che tut­ti i suoi com­por­ta­men­ti han­no mo­da­li­tà e in­ten­si­tà dif­fe­ren­ti e che ciò di­pen­de dal ca­ne.

    Non si pen­si che un ca­ne pos­sa es­se­re fa­cil­men­te ad­de­stra­to a non nuo­ce­re a per­so­ne o ani­ma­li, a non mor­de­re.

    Un ca­ne, qua­lun­que sia, an­che se ad­de­stra­to, può mor­de­re (è un’azio­ne che può es­se­re com­piu­ta an­che dal ca­ne che, a vi­sta, si giu­di­ca buo­no). L’uo­mo non po­trà mai sa­pe­re qua­li pos­so­no es­se­re le azio­ni che un ca­ne po­trà com­pie­re su di lui se, in quel mo­men­to, non ha il suo pie­no do­mi­nio. È es­sen­zia­le che l’uo­mo ab­bia, in qua­lun­que istan­te, il pie­no do­mi­nio dell’ani­ma­le.

    Chi de­ci­de di for­ma­re un ca­ne pa­sto­re te­de­sco sa di do­ver edu­ca­re un ani­ma­le mol­to dut­ti­le, ad­de­stra­bi­le: non­di­me­no de­ve pos­se­de­re qua­li­tà di istin­to e ca­pa­ci­tà la­vo­ra­ti­ve di for­ma­zio­ne che so­no su­pe­rio­ri, so­prat­tut­to de­ve es­se­re si­cu­ro di sé, ido­neo.

    Non è as­so­lu­ta­men­te fa­ci­le pos­se­de­re tut­te que­ste ca­pa­ci­tà che ri­te­nia­mo (a no­stro mo­do di ve­de­re) di pos­se­de­re.

    Chiun­que ha un ca­ne de­ve por­re mol­ta cu­ra nel gio­co (co­me quel­lo del­la trec­cia o del­la pal­li­na); co­sì l’edu­ca­to­re (o l’ad­de­stra­to­re).

    De­ve co­no­sce­re la tec­ni­ca del raf­for­zo: de­ve sa­per da­re, e si ri­pe­te an­co­ra, una cor­ret­ta im­po­sta­zio­ne del con­tat­to fi­si­co con l’ani­ma­le, co­me ad esem­pio l’ac­ca­rez­zar­lo e toc­car­lo; de­ve pu­re stu­dia­re per ave­re buo­ne ba­si di tec­ni­ca co­mu­ni­ca­ti­va, co­me ad esem­pio la pros­se­mi­ca e la vo­ce; de­ve im­pa­ra­re a co­me far sì che il pro­prio ca­ne eli­mi­ni ap­pro­pria­ta­men­te, ne­gli ap­po­si­ti luo­ghi, le sue uri­ne e sap­pia pu­re do­ve ri­la­scia­re le

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