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Comunicazione e Migranti
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E-book294 pagine3 ore

Comunicazione e Migranti

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Ogni popolo è un insieme di anime umane perciò aventi diritto ad avere un’identità che non sia sopraffattiva né prevaricatrice: per arrivare a questo bisognerà educare ed educarsi al lavoro. Elemento e alimento, il lavoro, che deve permettere a tutti di vivere nel rispetto della propria dignità d’essere uomo. È un testo d’approccio al percorso interculturale con i Migranti; partendo dalla definizione di Migranti si giunge al Meticciato, alla Comunicazione con i suoi dialoghi interculturali e varchi dialettici, tra multietnicità e interculturalità. È un saggio scritto nel segno, in Europa, dei diversi modelli culturali di incorporazione per l’integrazione e l’inclusione e della legislazione.
LinguaItaliano
Data di uscita24 apr 2020
ISBN9788831667609
Comunicazione e Migranti

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    Anteprima del libro

    Comunicazione e Migranti - Domenico Scapati

    Preambolo

    Dov’è fi­ni­ta l’uma­ni­tà ci si chie­de­va fi­no a qual­che an­no fa e mol­ti di noi con­ti­nua­no a chie­der­se­lo. C’è un fat­to pe­rò: se a chie­der­se­lo e a dir­lo è Ca­ro­la Rac­ke­te o un Pa­pa al­lo­ra sì che è un mes­sag­gio, se in­ve­ce un buon uo­mo del­la stra­da al­lo­ra è uno del par­ti­to po­li­ti­co di si­ni­stra.

    Ter­ri­bi­le.

    Es­se­ri uma­ni i mi­gran­ti, fi­gli di ma­dri che han­no pian­to nel met­ter­li al mon­do, al­cu­ne sof­fren­do ol­tre ogni li­mi­te del no­stro pen­sie­ro.

    So­lo le ma­dri pos­so­no ca­pi­re.

    Cer­ta­men­te ser­ve, an­zi è uti­le, ge­sti­re que­ste per­so­ne (co­me noi) nel mo­do mi­glio­re. L’Ita­lia de­ve da­re mol­to di più agli ita­lia­ni e gli ita­lia­ni mol­to di più al po­po­lo che mi­gra ver­so le no­stre ter­re. L’Ita­lia e l’Eu­ro­pa so­no chia­ma­te a fis­sa­re obiet­ti­vi ben pre­ci­si: qual­sia­si per­cor­so in­tra­pre­so, sen­tie­ro dell’at­te­sa, può es­se­re so­lo l’ini­zio di un gio­co sen­za fi­ne te­nen­do pre­sen­te che il mo­do mi­glio­re per­ché si rea­liz­zi­no so­gni è quel­lo di sve­gliar­si.

    Un po­po­lo che si sve­glia de­ve co­min­cia­re un’ope­ra e que­sta non si rea­liz­ze­rà mai ap­pie­no si­no a quan­do non la co­mu­ni­chi me­glio, ap­pie­no.

    Si de­ve im­pa­ra­re a co­mu­ni­ca­re me­glio.

    È una qua­li­tà pos­se­du­ta da po­chi sep­pu­re tut­ti cre­do­no di pos­se­der­la (co­me fos­se­ro dei sul­la ter­ra). Gen­te che non sa che Co­mu­ni­ca­re vuol di­re met­te­re in co­mu­ne".

    So­no lon­ta­nis­si­mi, lon­ta­ni an­ni lu­ce.

    Si fan­no pre­di­che, ci si con­fes­sa, sen­za fa­re nul­la.

    È il sin­go­lo cit­ta­di­no che de­ve at­ti­var­si ne­gli ap­proc­ci in­clu­si­vi o de­ve es­se­re lo Sta­to a met­te­re or­di­ne qua­li­fi­ca­to in que­sto spe­ci­fi­co am­bi­to? Si di­ce (a pa­ro­le) che si sa be­ne co­mu­ni­ca­re quan­do in­ve­ce si trat­ta di un nul­la: par­la­re equi­va­le a fa­re chiac­chie­re, ri­la­scia­re fra­si o pen­sie­ri spes­so di po­co sen­so com­piu­to.

    Con i Mi­gran­ti non so­lo non si par­la, nep­pu­re si co­mu­ni­ca.

    Po­chi lo fan­no: so­no co­lo­ro che ini­zial­men­te im­pa­ra­no a co­mu­ni­ca­re be­ne uti­liz­zan­do la sem­pli­ci­tà sia nel­le espres­sio­ni (con l’es­sen­zia­le di quan­to det­to) sia nel­le fat­tua­li­tà: il di­re dev’es­se­re per for­za se­gui­to dai fat­ti, dal buon esem­pio, al­tri­men­ti non ser­ve (me­glio star­se­ne zit­ti). Ri­cor­dan­do­ci che trop­pi con­te­nu­ti espres­si in una fra­se de­gra­da­no lo sti­le co­mu­ni­ca­ti­vo.

    Po­chi san­no Co­mu­ni­ca­re: lo os­ser­via­mo dal­la vio­len­za ri­la­scia­ta quo­ti­dia­na­men­te at­tra­ver­so le azio­ni (pen­so al fem­mi­ni­ci­dio e a tut­te le vio­len­ze di ge­ne­re).

    Po­chi san­no che Co­mu­ni­ca­re è far sì che si rea­liz­zi una con­di­vi­sio­ne del pen­sie­ro, che si espli­ci­ti una di­na­mi­ca re­la­zio­na­le dia­lo­ga­ta in gra­do di far cre­sce­re il no­stro in­ter­lo­cu­to­re nel suo ope­ra­to uma­no.

    Con i Mi­gran­ti que­sto as­sun­to sa­rà, per la mas­sa, qua­si del tut­to im­pos­si­bi­le spe­cie se so­no di re­li­gio­ne, cul­tu­ra e co­lo­re del­la pel­le di­ver­si.

    Il pre­giu­di­zio et­ni­co, co­me la tol­le­ran­za, e la man­can­za di var­chi dia­let­ti­ci ini­bi­ran­no tut­ti i dia­lo­ghi. Non­di­me­no, la stes­sa pre­sa di po­si­zio­ne dell’in­clu­sio­ne di cui si par­la, se non se­gui­ta dai fat­ti, sa­rà una splen­di­da inu­ti­li­tà pre­sa sul se­rio.

    L’on­da­ta di pro­fu­ghi pro­ve­nien­ti dal­le zo­ne di guer­ra me­dio­rien­ta­li, in par­ti­co­la­re dal­la Li­bia, Si­ria e Iraq, e da quel­le di­men­ti­ca­te dell’Afri­ca, non­ché di mi­gran­ti eco­no­mi­ci che fug­go­no da si­tua­zio­ni en­de­mi­che di po­ver­tà e di vio­len­za, nell’ul­ti­mo de­cen­nio rag­giun­ge­ran­no il ter­ri­to­rio eu­ro­peo in mi­su­ra de­ci­sa­men­te con­si­sten­te.

    Tutt’ora, men­tre scri­vo, ac­ca­de que­sto (a pre­scin­de­re dal co­lo­re po­li­ti­co di chi go­ver­na la Na­zio­ne).

    Va ana­liz­za­ta l’Eu­ro­pa, e con es­sa il Glo­bo.

    A de­ci­ne, cen­ti­na­ia, con bar­che di for­tu­na e con na­vi del­le Or­ga­niz­za­zio­ni Non Go­ver­na­ti­ve, sfi­dan­do an­che le Au­to­ri­tà por­tua­li e gli or­di­ni di non at­trac­co, di­sat­ten­den­do le leg­gi ema­na­te dal Go­ver­no Con­te tra il 2018 e il 2019, i Mi­gran­ti dell’Afri­ca scen­de­ran­no a ter­ra, sul suo­lo ita­lia­no. In­cu­ran­ti del­le san­zio­ni fa­ran­no il pos­si­bi­le, an­che a co­sto del­la vi­ta, per sbar­ca­re sul suo­lo dell’Eu­ro­pa, mag­gior­men­te in Ita­lia giac­ché pro­ve­nien­ti per buo­na par­te del­la Li­bia.

    So­no Mi­gran­ti che han­no pa­ga­to per at­tra­ver­sa­re la pe­ri­co­lo­sa rot­ta me­di­ter­ra­nea (o bal­ca­ni­ca) e non si fer­ma­no più di­nan­zi a nul­la. For­se han­no pa­ga­to la Ma­fia as­sas­si­na (la Ma­gi­stra­tu­ra in­da­ga tra non po­che dif­fi­col­tà).

    Dram­ma­ti­co.

    L’ar­ri­vo di que­sti mi­lio­ni e mi­lio­ni di mi­gran­ti nel cor­so dei de­cen­ni por­te­rà non po­che ri­per­cus­sio­ni nei Pae­si dell’Unio­ne Eu­ro­pea (Ue). Gli ef­fet­ti si po­tran­no con­sta­ta­re sia in am­bi­to so­cia­le sia in am­bi­to po­li­ti­co ed eco­no­mi­co a lun­go ter­mi­ne. Si so­no crea­ti ne­gli an­ni tra­scor­si se­ri pro­ble­mi ri­guar­do al­la pri­ma ac­co­glien­za e poi al­la lo­ro ri­par­ti­zio­ne nei ter­ri­to­ri di de­sti­na­zio­ne: nel XXI se­co­lo ver­rà mes­so in cri­si il già col­lau­da­to "si­ste­ma di in­te­gra­zio­ne e con­vi­ven­za" tra la po­po­la­zio­ne au­toc­to­na e i nuo­vi ar­ri­va­ti (per lo più di re­li­gio­ne mu­sul­ma­na).

    I po­po­li si ri­ve­le­ran­no stan­chi e pre­oc­cu­pa­ti per gli at­ten­ta­ti ter­ro­ri­sti­ci del­le cel­lu­le ter­ro­ri­sti­che im­paz­zi­te (co­me quel­le dell’ISIS) che han­no mie­tu­to cen­ti­na­ia e cen­ti­na­ia di vit­ti­me: si trat­te­rà co­mun­que di oriun­di mi­gran­ti ra­di­ca­liz­za­ti o nuo­vi giun­ti isla­mi­sti che, per mo­ti­vi re­li­gio­si e po­li­ti­ci, non si fer­ma­no di­nan­zi al­le più ecla­tan­ti for­me di de­lit­ti (ad­de­stra­ti a ge­ne­ra­re ter­ro­re per con­to di ca­pi po­li­ti­ci e di po­ten­ta­ti eco­no­mi­ci). In no­me del­la lo­ro re­li­gio­ne, ec­ce­zio­ne fat­ta per al­cu­ne spo­ra­di­che ma­ni­fe­sta­zio­ni di an­ti­ca mi­li­tan­za ol­tran­zi­sta re­li­gio­sa con­dot­ta con me­to­di san­gui­na­ri dal­la set­ta de­gli as­sas­si­ni (spe­cial­men­te in Per­sia e ne­gli ex-do­mi­nî fa­ti­mi­di qua­li Egit­to e Si­ria), il fe­no­me­no ha as­sun­to di­men­sio­ni glo­bal­men­te ri­le­van­ti nel se­con­do do­po­guer­ra.

    Le Na­zio­ni che ac­col­go­no i Mi­gran­ti ma­tu­re­ran­no se­gni di pau­ra e in­si­cu­rez­za con pun­te di odio: pau­re ge­ne­ra­te da quel­le di­ver­se or­ga­niz­za­zio­ni isla­mi­che che, be­ne ad­de­stra­te agli at­ti ter­ro­ri­sti­ci, fa­ran­no ri­cor­so nel tem­po ad at­ten­ta­ti di­na­mi­tar­di, ra­pi­men­ti, di­rot­ta­men­ti ae­rei, omi­ci­di e at­ten­ta­ti sui­ci­di. Il tut­to con estre­ma ef­fe­ra­tez­za: mo­ti­vo per cui il po­po­lo, so­prat­tut­to quel­lo cri­stia­no, te­men­do­li, apri­rà le por­te e l’ami­ci­zia all’Islam. Sa­rà uno dei mo­ti­vi per cui il si­ste­ma di in­te­gra­zio­ne e con­vi­ven­za mes­so a pun­to con tan­ta fa­ti­ca pro­prio nei de­cen­ni suc­ces­si­vi al­la fi­ne del­la Se­con­da Guer­ra mon­dia­le en­tre­rà sem­pre più in cri­si: le Na­zio­ni, spe­cie quel­le eu­ro­pee, si ac­cor­ge­ran­no tem­po do­po, e tra que­ste pu­re l’Ita­lia, che la coe­sio­ne so­cia­le sa­rà un obiet­ti­vo dif­fi­ci­lis­si­mo da rag­giun­ge­re, for­se im­pos­si­bi­le. Non po­trà mai es­se­re pie­na­men­te rag­giun­ta sen­za le giu­ste con­di­zio­ni e l’idea­le ido­nea for­ma­zio­ne di un po­po­lo: non ci sa­rà mai an­che per­ché non sa­rà vo­lu­to da al­cu­na del­le par­ti e pu­re per­ché tra i po­po­li non ci sa­rà mai una ca­pa­ci­tà co­mu­ni­ca­ti­va.

    In al­tre pa­ro­le i per­cor­si per av­vi­ci­na­re le par­ti in dia­lo­go sa­ran­no ca­ren­ti o pri­vi di con­te­nu­to e spes­so­re dia­let­ti­co.

    Non si di­stin­gue­rà mai l’esat­ta por­ta­ta del­la sa­na com­pe­ti­zio­ne: trop­pe chiac­chie­re, po­chis­si­mo co­strut­to. Le spe­re­qua­zio­ni cul­tu­ra­li e so­cia­li so­no di­stan­zia­te: a ciò si ag­giun­ge la man­ca­ta co­no­scen­za del­le ri­spet­ti­ve lin­gue, gli scar­si e bas­sis­si­mi li­vel­li sco­la­sti­ci, i com­por­ta­men­ti co­mu­ni­ca­ti­vi so­cia­li e uma­ni e le re­li­gio­ni.

    Sa­ran­no in­com­pa­ti­bi­li i mo­di di es­se­re e il fa­re. Non­di­me­no sa­ran­no sem­pre più ri­dot­ti gli adat­ta­men­ti co­mu­ni­ca­ti­vi per l’in­ca­pa­ci­tà de­gli Sta­ti ri­ce­ven­ti ad im­por­re leg­gi più pre­gnan­ti per spin­ge­re i Mi­gran­ti, com­pre­si quel­li re­si­den­ti da de­cen­ni, a for­mar­si e adat­tar­si in to­to al nuo­vo Sta­to ove han­no de­ci­so di fer­mar­si (o so­no ri­ce­vu­ti).

    La man­can­za de­gli ob­bli­ghi sco­la­sti­ci all’adat­ta­men­to for­ma­ti­vo/co­mu­ni­ca­ti­vo fa­rà da cu­sci­net­to al­la pro­fon­da spac­ca­tu­ra e spe­re­qua­zio­ne: an­dreb­be fat­to com­pren­de­re a chi si il­lu­de d’es­se­re pa­la­di­no dell’in­clu­sio­ne che que­sto mo­du­lo di in­te­gra­zio­ne è sta­to e sa­rà un fal­li­men­to to­ta­le.

    Ciò che man­che­rà, es­sen­zial­men­te, sa­rà l’ade­gua­ta for­ma­zio­ne in ter­mi­ni di ca­pa­ci­tà nel­la Co­mu­ni­ca­zio­ne In­ter­per­so­na­le Com­por­ta­men­ta­le tra il po­po­lo de­gli Sta­ti di ac­co­glien­za e chi con­vi­vrà sot­to lo stes­so tet­to. La man­can­za di Co­mu­ni­ca­zio­ne sa­rà to­ta­le an­che tra gli or­ga­ni che am­mi­ni­stra­no la Na­zio­ne e il suo stes­so po­po­lo: do­vu­to, es­sen­zial­men­te, al­la ca­ren­te pre­pa­ra­zio­ne tec­ni­ca e giu­ri­di­ca da far va­le­re nel­le Com­mis­sio­ni Eu­ro­pee che trat­ta­no il fe­no­me­no sen­za qua­glia­re (nel sen­so di da­re li­nee e di­ret­ti­ve va­li­de al­le Na­zio­ni ade­ren­ti). L’Ita­lia non svi­lup­pe­rà mai la ve­ra cul­tu­ra dell’in­te­gra­zio­ne a mez­zo del mo­del­lo dell’in­clu­sio­ne: la Co­mu­ni­ca­zio­ne sa­rà qua­si del tut­to as­sen­te tra gli ope­ra­to­ri del­le strut­tu­re di ac­co­glien­za e i mi­gran­ti che, al­la fin fi­ne, sa­ran­no ri­co­ve­ra­ti in sta­to de­ten­ti­vo in at­te­sa del­la Na­zio­ne ove es­se­re de­sti­na­ti. So­lo chiac­chie­re e riem­pi­men­ti di mo­du­li, quan­do, nel­la real­tà, ben si do­vreb­be, dal gior­no suc­ces­si­vo all’ar­ri­vo, im­pie­gar­li in For­ma­zio­ne co­stan­te e di­ret­ta. La pau­ra di un’in­va­sio­ne or­ga­niz­za­ta da par­te del­le Na­zio­ni estra­nee ai no­stri ter­ri­to­ri, a mez­zo di at­tac­chi an­che ter­ro­ri­sti­ci, è no­te­vo­le (e que­sto è un de­ter­ren­te e fa pu­re pau­ra). Il non aver fat­to cre­sce­re mei mo­di do­vu­ti le Na­zio­ni dell’Afri­ca che fu­ro­no co­lo­niz­za­te, piut­to­sto de­pau­pe­ran­do­le e sfrut­tan­do­le, sa­rà il ma­cro­sco­pi­co er­ro­re che ver­rà pa­ga­to in ma­nie­ra de­ter­mi­nan­te. Nes­su­na Na­zio­ne av­ver­ti­rà que­sto er­ro­re pre­fe­ren­do non par­lar­ne, sot­ta­cen­do­lo all’opi­nio­ne pub­bli­ca. I po­te­ri oli­gar­chi­ci ma­fio­si e pa­ra-ma­fio­si mon­dia­li con i traf­fi­ci il­le­ci­ti po­sti nel­le lo­ro ma­ni fi­ni­ran­no per de­ter­mi­na­re gli equi­li­bri eco­no­mi­ci e so­cia­li del fu­tu­ro fat­to sal­vo il ca­so in cui non si rie­sca a met­ter­vi un se­rio ri­me­dio.  In­for­ma­re è un’ar­te che ha una du­pli­ce fi­na­li­tà: quel­la di in­for­ma­re, ap­pun­to, ma an­che e so­prat­tut­to quel­la di for­ma­re, cioè in­ci­de­re sul pro­ces­so di co­stru­zio­ne del­le opi­nio­ni del sog­get­to e del­la col­let­ti­vi­tà. Non tut­to è co­mun­que per­so. Il pas­sa­to, co­me il pre­sen­te e il fu­tu­ro sa­ran­no og­get­to con­ti­nuo di fe­no­me­ni sto­ri­ci e cul­tu­ra­li strut­tu­ra­ti sul­le con­flit­tua­li­tà: al­me­no fi­no a quan­do l’uo­mo dell’Uma­ni­tà non ca­pi­rà che nei rap­por­ti so­cia­li so­no ri­chie­ste da sem­pre do­ti qua­li la tra­spa­ren­za, la qua­li­tà e la pu­rez­za (non ac­ca­drà mai). Non si pre­ten­de­rà di vo­ler fa­re del­la mo­ra­le, ma è nel do­ve­re di chi può far sì che sia po­sto in es­se­re.

    Se si vor­rà, qual­co­sa po­treb­be mu­ta­re nel tem­po.

    Il ve­ro pre­po­sto a que­sto com­pi­to de­li­ca­tis­si­mo sa­rà chi è po­sto a ca­po e go­ver­na le Na­zio­ni: spet­te­rà a que­sti Go­ver­na­to­ri far­lo con le ade­gua­te ca­pa­ci­tà. Do­vran­no la­vo­ra­re tan­tis­si­mo sul­la buo­na Co­mu­ni­ca­zio­ne per ren­de­re van­tag­gi al­le po­si­zio­ni di lea­der­ship eco­no­mi­ca e so­cia­le. Deb­bo­no com­pren­de­re la ne­ces­si­tà, con tut­to il po­po­lo, di man­te­ne­re al me­glio i Mi­gran­ti co­me ri­sor­sa uma­na.

    I ma­na­ger del­le scuo­le for­ma­ti­ve e gli stes­si do­cen­ti do­vran­no pos­se­de­re l’agi­li­tà emo­ti­va di­nan­zi ai con­ti­nui stress ac­cu­mu­la­ti nel por­ta­re avan­ti com­pi­ti in con­ti­nua evo­lu­zio­ne, in un set­to­re aper­to al­le tan­te dif­fe­ren­ze.

    Ser­ve es­se­re in­no­va­ti­vi e per­ciò si per­de­reb­be il sen­so che pro­du­ce le emo­zio­ni. Il che non si­gni­fi­ca da­re a chiun­que la pos­si­bi­li­tà di sfo­gar­si in mo­do ir­ra­zio­na­le o cao­ti­co ma, al con­tra­rio, sa­per crea­re gli spa­zi ove ascol­ta­re ogni vo­ce e per­met­te­re al­le per­so­ne di ti­ra­re fuo­ri sé stes­si in mo­do cal­mo, equi­li­bra­to e sag­gio. Ca­pa­ci­tà ri­chie­ste an­che a gui­de­rà que­ste or­ga­niz­za­zio­ni tra le dif­fi­col­tà di un’epo­ca in con­ti­nua tra­sfor­ma­zio­ne.

    Sa­rà es­sen­zia­le la si­cu­rez­za psi­co­lo­gi­ca.

    Non v’è dub­bio che si in­con­tre­ran­no dif­fi­col­tà.

    Gli Sta­ti e i Po­po­li deb­bo­no svi­lup­pa­re i bi­so­gni e la lo­ro cre­sci­ta con la co­no­scen­za del­la Co­mu­ni­ca­zio­ne e dei cor­re­la­ti­vi mo­del­li di in­te­gra­zio­ne dei mi­gran­ti, in­te­si que­sti ul­ti­mi co­me istru­zio­ne/for­ma­zio­ne e ap­pli­ca­zio­ne del­le com­po­nen­ti di ba­se dei si­ste­mi or­ga­niz­za­ti del­la vi­ta dell’uo­mo. Ov­ve­ro co­no­scen­za del­le cer­chie so­cia­li con­cen­tri­che, dei var­chi e dei dia­lo­ghi di ci­vil­tà tra grup­pi ap­par­te­nen­ti a cul­tu­re di­ver­se per un plu­ra­li­smo con­di­vi­so, un mi­glior ap­proc­cio al per­cor­so in­ter­cul­tu­ra­le, la co­no­scen­za di quan­to per­vie­ne at­tra­ver­so il me­tic­cia­to e la co­mu­ni­ca­zio­ne, la mul­tiet­ni­ci­tà e l’in­ter­cul­tu­ra­li­tà.

    Non è po­co, nep­pu­re mol­to.

    Non­di­me­no tor­ne­rà uti­le sa­pe­re qua­li so­no i ma­li che de­ri­va­no dal­la tol­le­ran­za, gli ef­fet­ti dell’ano­mia co­me la vio­len­za nel­le sue più di­ver­se sfac­cet­ta­tu­re, la so­li­tu­di­ne, la ti­mi­dez­za, il di­sa­gio da cui si cor­re­la­no sot­to­mis­sio­ne, ag­gres­si­vi­tà e di­sa­dat­ta­men­to so­cia­le. Per­ché si dia spa­zio a chi ar­ri­va nel­le no­stre Na­zio­ni evo­lu­te nel­le tec­no­lo­gie tor­ne­rà pu­re uti­le far adat­ta­re il Mi­gran­te che co­pia i no­stri com­por­ta­men­ti e sog­gia­ce al­le ri­chie­ste avan­za­te. La so­cie­tà che ac­co­glie de­ve pos­se­de­re qua­li­tà che, se ine­si­sten­ti, deb­bo­no es­se­re ac­qui­si­te. Non sa­rà mai suf­fi­cien­te quan­to scrit­to in que­sto pic­co­lo vo­lu­me: ser­vi­rà stu­dia­re e ap­pli­ca­re il tan­to.

    Il pre­sen­te la­vo­ro ori­gi­na da un’idea sul te­ma del­le "Pro­ble­ma­ti­che di na­tu­ra so­cio-sa­ni­ta­ria as­si­sten­zia­le e uma­ni­ta­ria de­ri­van­ti dall’at­tua­le flus­so mi­gra­to­rio".

    Il te­ma fu pro­po­sto qual­che an­no fa dal­la Se­zio­ne Uma­ni­tà dall’Ac­ca­de­mia Si­ci­lia­na dei Mi­ti­ci del Cen­tro In­ter­na­zio­na­le de­gli Stu­di sul Mi­to, con se­de a Pa­ler­mo, ret­ta da S.E. il Pre­fet­to dott. Gian­fran­co Ro­ma­gno­li, la­vo­ro in par­te pub­bli­ca­to sul si­to dell’Ac­ca­de­mia.

    Il ri­fe­ri­men­to tem­po­ra­le sa­rà quel­lo di qual­che an­no fa quan­do gli sbar­chi sul­le co­ste si­ci­lia­ne era­no con­ti­nui e le on­da­te di ar­ri­vo dei mi­gran­ti era­no dram­ma­ti­che este­so si­no ad og­gi 2019: tut­to è cam­bia­to sen­za che po­tes­se mu­ta­re nul­la. Si sus­se­guo­no e cam­bia­no i go­ver­ni: si fa un gran par­la­re sen­za giun­ge­re mai al no­do del pro­ble­ma. Il fe­no­me­no del­la mi­gra­zio­ne è, da sem­pre, un ve­ro pro­ble­ma non più so­la­men­te so­cia­le ed eti­co, an­che di eco­no­mia e mu­ta­men­to strut­tu­ra­le del­le abi­tu­di­ni, qua­li­tà del­la vi­ta, or­di­ne di si­cu­rez­za pub­bli­ca, scuo­la ed edu­ca­zio­ne.

    Que­sto stu­dio da so­lo è in­suf­fi­cien­te: me­ri­ta d’es­se­re ac­com­pa­gna­to dal­la si­ste­mi­ca ge­ne­ra­le del­le al­tre di­sci­pli­ne di ri­cer­ca in cam­po so­cio­lo­gi­co, psi­co­lo­gi­co, psi­chia­tri­co, fi­lo­so­fi­co, an­tro­po­lo­gi­co ol­tre che del­la im­pre­scin­di­bi­le scien­za e tec­ni­ca for­ma­ti­va del­la Co­mu­ni­ca­zio­ne.

    Esem­pli­fi­che­rò tan­to que­sto la­vo­ro: si è re­so ne­ces­sa­rio in fun­zio­ne dell’av­vi­ci­na­men­to de­gli uten­ti let­to­ri al no­to fe­no­me­no dell’im­mi­gra­zio­ne che di­vi­de i po­po­li, spe­cie quel­lo ita­lia­no, il qua­le, die­tro le fan­ta­sie del­la po­li­ti­ca e al­cu­ne pa­ven­ta­te cac­cia­te dei mi­gran­ti, pre­fe­ri­sce ne­ga­re gli sbar­chi dei pa­le­stra­ti gio­va­ni ma­schi che a frot­te giun­go­no sui bar­co­ni del­le ONG, qua­si tut­ti se­le­zio­na­ti, mu­ni­ti di te­le­fo­ni cel­lu­la­ri sa­tel­li­ta­ri d’ul­ti­ma ge­ne­ra­zio­ne, pri­vi di do­cu­men­ti d’iden­ti­tà.

    Un po­po­lo, spe­cie quel­lo ita­lia­no, che da emi­gran­te qual è sta­to, non è mai sta­to raz­zi­sta, al­me­no all’ap­pa­ren­za, ma che poi si sco­pri­rà es­se­re ta­le quan­do si ve­drà in­va­so dal­le de­lin­quen­ze a cui que­sti ex­tra­co­mu­ni­ta­ri, non­di­me­no, si adat­te­ran­no fa­cil­men­te, per buo­na par­te ma­ni­po­la­ti dal­le ma­fie e dai cri­mi­na­li del­le lob­by ma­la­vi­to­se, di ma­laf­fa­re, che li sfrut­ta­no per lo­schi traf­fi­ci (dal­la pro­sti­tu­zio­ne al­lo smer­cio di dro­ga al com­mer­cio di or­ga­ni, e co­sì via).

    Un rin­gra­zia­men­to è ri­vol­to ai ri­cer­ca­to­ri e agli stu­dio­si in­di­ca­ti­va­men­te in­di­ca­ti nel­la Bi­blio­gra­fia.

    Lo­ro mi per­met­te­ran­no di se­gui­re l’in­te­ro fe­no­me­no stan­do al di fuo­ri de­gli am­bi­ti dei me­dia, sep­pu­re ma­ni­po­la­ti dal­le pro­prie­tà del­le te­sta­te, che tor­na­no al­la ri­bal­ta nei mo­men­ti in cui, la no­ti­zia, ge­sti­ta se­con­do un uso e ap­pro­pria­to con­su­mo, su­sci­ta sol­le­ci­ta­zio­ni po­li­ti­che.

    C’è pu­re il fat­to che scar­te­ran­no, di fat­to, le real­tà: va det­to a chia­re let­te­re che le real­tà so­no ben di­ver­se dai rac­con­ti giac­ché le in­ter­vi­ste e le chiac­chie­re non rac­col­go­no i com­ples­si e dif­fi­ci­li coin­vol­gi­men­ti emo­ti­vi di que­sta po­ve­ra gen­te (la chia­mo po­ve­ra per­ché quan­do giun­ge in una Na­zio­ne non co­no­sciu­ta non san­no co­sa fa­re, co­me com­por­tar­si, co­me so­prav­vi­ve­re).

    Non so­lo coin­vol­gi­men­ti emo­ti­vi dei Mi­gran­ti quan­to pu­re di chi la­vo­ra per lo­ro.

    Nel rin­gra­zia­re quin­di tut­ti gli Au­to­ri ci­ta­ti nel­la Bi­blio­gra­fia es­sen­zia­le sol­le­ci­te­rò lo stu­dio del­la Tec­ni­ca del­la Co­mu­ni­ca­zio­ne: si ren­de­rà uti­le per ave­re sog­get­ti mi­gran­ti al la­vo­ro (so­no ne­ces­sa­ri ap­proc­ci com­por­ta­men­ta­li e iden­ti­ta­ri do­ta­ti di per­so­na­li­tà coe­ren­ti).

    Sa­rà es­sen­zia­le il com­pi­to edu­ca­ti­vo/ for­ma­ti­vo per cui si sa­rà chia­ma­ti ad ope­ra­re: è dif­fi­ci­le es­se­re mae­stri del­le gen­ti spe­cie quan­do ci si av­vi­ci­ne­rà a lo­ro per la con­di­vi­sio­ne di pro­get­tua­li­tà e cre­sci­ta. Si de­ve cre­sce­re in­sie­me, stan­do in pa­ri po­si­zio­ni: e non so­lo nel ri­spet­to dell’Io. Non par­lo so­lo del Sud dell’Ita­lia che, in mo­men­ti co­me que­sti, ab­bi­so­gna di for­te, as­si­dua e par­te­ci­pa­ta col­la­bo­ra­zio­ne tra le Isti­tu­zio­ni. L’Uni­ver­si­tà (e l’in­te­ro Mon­do Ac­ca­de­mi­co) si do­vrà fa­re pro­mo­to­re dell’aiu­to nel for­ni­re al­le scuo­le e ai gio­va­ni un’edu­ca­zio­ne/for­ma­zio­ne tan­to ade­gua­ta co­sì da as­si­cu­ra­re un pro­gres­so più con­for­tan­te di­ret­to es­sen­zial­men­te al­le nuo­ve ge­ne­ra­zio­ni. Mi pia­ce l’or­di­ne nel­la de­mo­cra­zia, giam­mai il di­sor­di­ne. Mi pia­ce la se­ve­ri­tà ap­pli­ca­ta all’or­di­ne e al ri­spet­to del­la con­se­gna. La vio­len­za che non sia quel­la le­git­ti­ma di chi de­ve far os­ser­va­re una leg­ge o un prov­ve­di­men­to va abor­ri­ta. Sa­rò sin­ce­ro: non amo, non con­di­vi­do, non ac­cet­to idee che sia­no de­ni­gra­to­rie ver­so i de­bo­li e gli ul­ti­mi per i qua­li le Isti­tu­zio­ni deb­bo­no in­ter­ve­ni­re af­fin­ché ab­bia­no di­rit­to al­la di­gni­tà e al­la vi­ta, giam­mai ac­cet­te­rò le idee che ab­bia­no con­no­ta­zio­ni fa­sci­ste, na­zi­ste o an­ti­se­mi­te.

    Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

    La Di­chia­ra­zio­ne Uni­ver­sa­le dei Di­rit­ti dell’Uo­mo, pro­cla­ma­ta per tut­ti gli Sta­ti mem­bri che ne so­no par­te, na­sce dal bi­so­gno pri­ma­rio di di­fen­de­re la co­scien­za dell’uma­ni­tà, la li­ber­tà di pa­ro­la e di cre­do, la li­ber­tà dal ti­mo­re e dal bi­so­gno co­me la più al­ta aspi­ra­zio­ne dell’uo­mo con­tro ogni for­ma di di­sco­no­sci­men­to e di­sprez­zo dei di­rit­ti uma­ni. Nel suo in­ten­to la Di­chia­ra­zio­ne, in sin­te­si, ha co­me obiet­ti­vi pri­ma­ri, lo svi­lup­po dei rap­por­ti ami­che­vo­li tra le Na­zio­ni, l’ugua­glian­za dei di­rit­ti dell’uo­mo e del­la don­na, il pro­gres­so so­cia­le, un mi­glior te­no­re di vi­ta in una mag­gio­re li­ber­tà da par­te di tut­ti, il ri­cor­so dell’uo­mo al­la ri­bel­lio­ne con­tro le ti­ran­nie e le op­pres­sio­ni.

    Gli Sta­ti mem­bri sot­to­scrit­to­ri del­la Di­chia­ra­zio­ne DU­DU si so­no im­pe­gna­ti a per­se­gui­re, in coo­pe­ra­zio­ne con le Na­zio­ni Uni­te, il ri­spet­to e l’os­ser­van­za uni­ver­sa­le dei di­rit­ti uma­ni e del­le li­ber­tà fon­da­men­ta­li. L’idea­le co­mu­ne sta nel fat­to che ogni in­di­vi­duo (e or­ga­no del­la so­cie­tà), aven­do­la co­stan­te­men­te pre­sen­te, si sfor­zi di pro­muo­ve­re, a mez­zo dell’in­se­gna­men­to e dell’edu­ca­zio­ne, il ri­spet­to dei di­rit­ti e del­le li­ber­tà. Inol­tre, ga­ran­ti­re con mi­su­re pro­gres­si­ve di ca­rat­te­re na­zio­na­le e in­ter­na­zio­na­le l’uni­ver­sa­le ed ef­fet­ti­vo ri­co­no­sci­men­to e ri­spet­to sia tra i po­po­li de­gli Sta­ti mem­bri sia tra que­sti po­po­li e quel­li dei ter­ri­to­ri sot­to­po­sti al­la lo­ro giu­ri­sdi­zio­ne.

    Sta di fat­to che og­gi, a que­sti va­lo­ri si an­dran­no a con­trap­por­re, per ef­fet­to del­le cri­si de­pres­si­ve eco­no­mi­che che at­ta­na­glia­no buo­na par­te del pia­ne­ta, due ma­li as­so­lu­ti che mi­nac­cia­no le so­cie­tà e che tro­va­no ter­re­no fer­ti­le nell’igno­ran­za, nel­le in­si­cu­rez­ze e nel­la pau­ra

    l’intolleranza da intendersi

    … co­me at­teg­gia­men­to im­pron­ta­to a un ri­gi­do ri­fiu­to del­le opi­nio­ni o con­vin­zio­ni al­trui

    il razzismo da intendersi

    co­me di­scri­mi­na­zio­ne esa­cer­ba­ta a dan­no di in­di­vi­dui e ca­te­go­rie.

    Nes­su­na real­tà uma­na può dir­se­ne im­mu­ne dal pro­va­re que­sti sen­ti­men­ti: ca­pi­ta che le re­li­gio­ni sia­no le pri­me a por­re fre­ni al­la pro­mo­zio­ne e al­lo svi­lup­po dell’in­te­gra­zio­ne e di con­se­guen­za dell’in­clu­sio­ne (per in­clu­sio­ne si do­vrà in­ten­de­re non un’as­si­mi­la­zio­ne ma l’aper­tu­ra dei con­fi­ni a tut­ti): ov­ve­ros­sia, tut­to ciò, quan­do si vuo­le di­fen­de­re l’in­te­gri­tà e at­tac­ca in­di­stin­ta­men­te chi la pen­sa in mo­do di­ver­so. Il raz­zi­smo, co­me fe­no­me­no, dif­fi­cil­men­te sa­rà con­trol­la­bi­le: la stes­sa esa­spe­ra­zio­ne che si dif­fon­de in un po­po­lo ver­rà so­ma­tiz­za­ta co­me vio­len­za in­di­ret­ta. Il raz­zi­smo si ge­ne­re­rà in­fat­ti co­me ma­lat­tia di di­sa­gio fi­no ad

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